Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 07-07-2011) 01-08-2011, n. 30466

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Il 21 maggio 2010 la Corte d’appello di Roma confermava la sentenza del locale Tribunale, appellata dagli imputati, che, in data 25 settembre 2009, all’esito di giudizio abbreviato, aveva dichiarato M.D. e Q.M. colpevoli dei delitti di resistenza a pubblico ufficiale, lesioni volontarie aggravate in danno del Carabiniere S.A., tentato omicidio in danno dei Carabinieri D.P. e S.O.A. e, ritenuta la continuazione fra i reati, con la diminuente per il rito, li aveva entrambi condannati alla pena di cinque anni e quattro mesi di reclusione, oltre alle pena accessorie; aveva, inoltre, condannato il solo M. alla pena di quattro mesi di arresto per guida in stato di ebrezza.

2. Da entrambe le sentenze emergeva la seguente ricostruzione dei fatti.

Il 5 giugno 2009, verso le ore 2,30, i Carabinieri I., S., D., liberi dal servizio, entravano nel bar "supergelo" di Roma, ove, poco dopo sopraggiungevano, a bordo di una "BMW" decappottabile, i due imputati che, riconoscendo i presenti come appartenenti alle forze dell’ordine, li apostrofavano con espressioni gravemente offensive. Per evitare che la situazione degenerasse, i Carabinieri uscivano dal locale, ma, ciò nonostante, venivano seguiti da M. e Q. che indirizzavano loro altri epiteti ingiuriosi e li spintonavano. Alla richiesta formulata dai Carabinieri di fornire loro i documenti di identità, Q. reagiva colpendo con un calcio al petto il Carabiniere S..

Quindi i due imputati salivano a bordo dell’auto e cercavano di darsi alla fuga. Il Carabiniere I. li rincorreva e, prima che l’auto fosse messa in moto, poggiava le mani sulla portiera, lato passeggero, intimando ai due ricorrenti di scendere dal mezzo. Per tutta risposta Q. bloccava le mani del Carabiniere e, contestualmente, incitava M. a partire e a investire gli altri due Carabinieri, postisi davanti al veicolo, pronunciando la frase:

"metti sotto questi due Carabinieri di merda". M. partiva a forte velocità, sgommando, e trascinava per circa dieci metri il Carabiniere I., le cui mani erano trattenute da Q. e il cui corpo urtava ripetutamente contro la carrozzeria dell’auto fino a quando il militare non riusciva a liberarsi, cadendo a terra.

Mentre trascinava I., immobilizzato alle mani, l’auto, anzichè immettersi sulla carreggiata, si dirigeva a tutta velocità contro gli altri due appartenenti all’Arma dei Carabinieri.

D., investito, riportava ferite ad una gamba, mentre S. evitava l’impatto tuffandosi lateralmente. L’auto si dava quindi alla fuga, inseguita dai militari che, poco dopo, riuscivano a bloccarla con l’aiuto di altri colleghi nel frattempo intervenuti.

I giudici ritenevano provata la responsabilità degli imputati sulla base delle testimonianze delle parti offese, dei referti medici attestanti le lesioni da essi subite, della deposizione di A. V. e E.M.M., entrambi dipendenti del bar "super gelo", delle parziali ammissioni di M. che dichiarava che, davanti al locale, Q. aveva iniziato a insultare i Carabinieri in borghese, qualificatisi come tali solo in un secondo momento, nonchè degli accertamenti svolti in merito all’assunzione di alcolici da parte dei due ricorrenti.

3. Avverso la predetta sentenza hanno proposto ricorso per cassazione Q.M., personalmente, e M., tramite il difensore di fiducia.

Entrambi lamentano l’assenza degli elementi costitutivi del tentativo di omicidio, mancando l’univocità e l’idoneità degli atti, da apprezzare alla luce delle emergenze processuali acquisite e della condotta posta in essere dai due imputati, il cui intento, considerato anche lo stato di ebrezza alcolica in cui versavano, era soltanto quello di darsi alla fuga e non di provocare lesioni ai due Carabinieri nè, tanto meno, la loro morte.

II solo M. formula anche le seguenti, ulteriori doglianze.

Denuncia contraddittorietà della motivazione in ordine all’asserito consapevole contributo fornito dall’imputato alla consumazione del delitto di lesioni volontarie in danno dei Carabinieri S. e I., considerato che l’imputato era rimasto del tutto estraneo alla fase antecedente alla partenza dell’auto e che il fatto si era svolto in maniera improvvisa e concitata in un breve lasso di tempo.

Lamenta, quindi, inosservanza ed erronea applicazione della legge penale in relazione alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche.

Deduce, poi, mancanza e illogicità della motivazione in ordine alla confisca dell’auto, disposta ai sensi dell’art. 240 c.p.p., comma 1, in assenza di una richiesta specifica del pubblico ministero e dei relativi presupposti.

4. L’udienza del 26 maggio 2011, originariamente fissata per la trattazione del ricorso, veniva rinviata alla data odierna, in accoglimento dell’istanza formulata dal difensore di M., legittimamente impedito per malattia, debitamente certificata.

Motivi della decisione

I ricorsi sono manifestamente infondati.

1. Con riferimento alla prima censura, prospettata da entrambi i ricorrenti, il Collegio osserva che la prova del dolo di omicidio o di tentato omicidio deve essere desunta attraverso un procedimento inferenziale, analogo a quello utilizzabile nel procedimento indiziario, da fatti esterni e certi, aventi un sicuro valore sintomatico, che, con l’ausilio di appropriate massime di esperienza, consentano di inferire l’esistenza del dolo.

Pertanto, per stabilire se il colpevole abbia effettivamente voluto la morte del soggetto passivo, è necessario affidarsi ad una serie di regole di esperienza, la conformità alle quali – quando non sussistano circostanze di fatto che lascino ragionevolmente supporre che le cose sono andate diversamente da come vanno le cose materiali ed umane – è sufficiente per dimostrare l’animus necandi (Sez. 1^, 27 novembre 1991, ric. Terranova).

La valutazione circa l’esistenza o meno dell’animus necandi – che rifiuta ogni presunzione che, oltre a contrastare con al personalità della responsabilità penale, non si concilierebbe con l’essenza del dolo – costituisce il risultato di un’indagine di fatto, rimessa all’apprezzamento del giudice di merito, a base della quale può essere posto qualsiasi dato probatorio acquisito al processo, che appaia rilevante per tale profilo.

In mancanza di attendibile confessione, la prova del dolo omicida è normalmente e prevalentemente affidata alle peculiarità estrinseche dell’azione criminosa, aventi valore sintomatico in base alle comuni regole di esperienza, quali il comportamento antecedente e susseguente al reato, la natura del mezzo usato, le parti del corpo della vittima attinte, la reiterazione dei colpi, nonchè tutti quei dati che, secondo l’id quod plerumque accidit, abbiano un valore sintomatico.

2. La sentenza impugnata ha fatto corretta applicazione di questi principi, laddove ha valorizzato, con motivazione compiuta e logica, quali elementi sintomatici della volontà omicidiaria la qualità del mezzo usato (un’autovettura di grossa cilindrata quale una "BMW Z 24"), caratterizzato da elevata potenza e notevole peso, l’alta velocità con la quale l’auto, una volta messa in moto, partì dirigendosi contro i Carabinieri D. e S., la traiettoria della macchina che puntò direttamente contro gli appartenenti all’arma dei Carabinieri che si trovavano a poca distanza in corrispondenza della parte anteriore destra della "BMW", la complessiva condotta di guida di M. che, incitato da Q. a investire le parti offese, non pose in essere, pur avendone la possibilità, alcuna manovra di emergenza per evitare l’impatto, ma anzi puntò decisamente a velocità sostenuta contro D. e S..

Non possono, d’altra parte, trovare ingresso in questa sede i rilievi difensivi, volti a prospettare una non consentita lettura alternativa dei fatti sulla base di un’interpretazione dei dati probatori più favorevoli alle testi dei ricorrenti a fronte di un tessuto argomentativo della sentenza impugnata caratterizzato da intrinseca coerenza logica e da un’attenta disamina del materiale acquisito.

Al giudice di legittimità resta, infatti, preclusa, in sede di controllo sulla motivazione, la pura e semplice rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, preferiti a quelli adottati dal giudice di merito, perchè ritenuti maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa. Queste operazioni trasformerebbero, infatti, la corte nell’ennesimo giudice del fatto e le impedirebbero di svolgere la peculiare funzione assegnatale dal legislatore di organo deputato a controllare che la motivazione dei provvedimenti adottati dai giudici di merito (a cui le parti non prestino autonomamente acquiescenza) rispetti sempre uno standard di intrinseca razionalità e di capacità di rappresentare e spiegare l’iter logico seguito dal giudice per giungere alla decisione.

2. All’evidenza priva di pregio è la seconda censura prospettata dalla difesa di M..

I giudici di merito, con motivazione esente da vizi logici e giuridici, hanno correttamente ravvisato il concorso dell’imputato nel delitto di lesioni in danno del Carabiniere I. sulla base delle testimonianze acquisite e degli accertamenti medico-legali svolti, atti tutti evidenzianti che entrambi gli imputati, in un crescendo di violenza e di aggressività fisica e verbale, si adoperarono, ciascuno traendo rafforzamento del proprio proposito criminoso dalla presenza del correo, per usare gratuita e immotivata violenza contro S. e I., colpendo il primo con un calcio e, quindi, bloccando le mani di I. che si era aggrappato alla portiera destra della "BMW" per impedire loro di darsi alla fuga, e trascinandolo a forte velocità per una decina di metri.

3. Manifestamente infondato è anche il motivo di ricorso prospettato dalla difesa di M. in tema di trattamento sanzionatorio.

La sentenza impugnata, in coerenza con i principi costantemente enunciati da questa Corte, ha valorizzato, ai fini del diniego delle circostanze attenuanti generiche, la gravita dei fatti, caratterizzati da gratuita e preoccupante violenza che, solo per circostanze fortuite, non ha prodotto ben più gravi conseguenze, l’intensità del dolo sotteso ai comportamenti serbati dagli imputati, l’assenza di resipiscenza successivamente mostrata.

4. Manifestamente infondata, infine, è anche l’ultima censura formulata da M..

I giudici di merito hanno, infatti, correttamente disposto, nell’ambito dei poteri ad essi riservati dalla legge e nel rispetto delle regole stabilite dall’ordinamento, la confisca dell’auto, di proprietà dell’imputato, quale mezzo da lui utilizzato per la commissione dei delitti di lesioni e di tentato omicidio, mentre versava in stato di ebrezza.

Alla dichiarazione di inammissibilità dei ricorsi consegue di diritto la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di prova circa l’assenza di colpa nella proposizione dell’impugnazione (Corte Cost. sent. n. 186 del 2000), al versamento della somma di mille Euro alla cassa delle ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e, ciascuno, al versamento della somma di mille Euro alla cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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