Cons. Stato Sez. VI, Sent., 05-09-2011, n. 4997

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, Roma, sez. III, n. 12586/09 del 5 dicembre 2009 (che non risulta notificata) veniva accolto il ricorso proposto dalla C. s.r.l. avverso la nota n. prot. 23137/08/VILA/SOA, trasmessa il 18 aprile 2008, con cui l’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture comunicava l’inserimento di accertate falsità nelle dichiarazioni rese su requisiti e condizioni rilevanti per la partecipazione alle procedure di gara per detta società nel casellario informatico, ai sensi e per gli effetti dell’art. 17, comma 1, lettera m) e dell’art. 27, comma 2, lettere s) e t) del d.P.R. 25 gennaio 2000, n. 34 (sul sistema di qualificazione per gli esecutori di lavori pubblici). Infatti in suo danno era stata accertata la produzione, in fase di istanza di qualificazione indirizzata alla S. A. s.p.a., di prove documentali successivamente risultate prive di riscontro oggettivo, con riferimento a lavori di cui non era stata riconosciuta l’effettuazione da parte del Comune di Altavilla Vicentina.

La sentenza rilevava che l’Autorità emanante il provvedimento impugnato avrebbe dovuto fornire maggiori elementi circa la riferibilità oggettiva e soggettiva del falso all’impresa ricorrente, tenuto conto del fatto che la certificazione non veritiera seguiva l’acquisto di un ramo di azienda, da parte della ricorrente C. s.r.l., dalla C. Costruzioni s.r.l., che a sua volta aveva acquistato la struttura aziendale, già fornita di attestazione di qualificazione, dalla S. Impianti s.p.a.. Non condivisibili, pertanto, erano le conclusioni dell’Autorità, secondo cui la falsa attestazione sarebbe stata imputabile alla società ricorrente solo in base al presupposto – non dimostrato – che il direttore tecnico di C.. s.r.l., avendo svolto il medesimo ruolo nella società cedente il ramo di impresa di cui trattasi (C. Costruzioni s.r.l.), "fosse stato nella condizione di conoscere, alla stregua degli ordinari parametri di diligenza, la falsità afferente il certificato lavori del Comune di Altavilla"; tale circostanza, viceversa, sarebbe stata da escludere, non essendo intervenuta alcuna contestazione al riguardo "sia alla data del primo trasferimento del ramo di azienda alla menzionata C., sia alla data del successivo trasferimento (…) all’attuale istante".

In sede di appello (n. 3382/10, notificato il 2 aprile 2010) l’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture ribadiva le conformità degli atti, emessi nell’ambito della procedura descritta, al quadro normativo di settore ed agli indirizzi giurisprudenziali al riguardo riscontrabili. In primo luogo, infatti, un attestato di qualificazione non potrebbe mai sussistere sulla base di documenti non autentici, in considerazione della natura pubblica e vincolata degli attestati in questione. Quando, per il rilascio di un’attestazione di qualificazione, fossero stati prodotti documenti non veritieri, l’Autorità non avrebbe potuto non essere informata della circostanza, quale organismo deputato al controllo, anche ai fini della relativa annotazione nel casellario informatico, previsto dall’art. 27 del d.P.R. n. 34 del 2000 e da intendere quale fonte ufficiale di informazioni per le stazioni appaltanti, per verificare l’esistenza dei requisiti di capacità tecnica e finanziaria, ai fini dell’affidamento di lavori pubblici. In tale ottica, l’imputabilità all’impresa di una produzione documentale non veritiera, utilizzata per il conseguimento di un attestato di qualificazione, avrebbe potuto essere esclusa sole ove la falsità fosse maturata al di fuori di ogni possibilità di controllo della stessa, secondo gli ordinari parametri di diligenza: circostanza questa non sostenibile nel caso di specie.

Il Collegio ritiene condivisibili le argomentazioni dell’appellante Amministrazione.

L’art. 17, comma 1, lettera m) del d.P.R. 25 gennaio 2000, n. 34 – applicabile nella fattispecie ratione temporis – prevede infatti, tra i requisiti di ordine generale occorrenti per la qualificazione degli esecutori di lavori pubblici, "l’inesistenza di false dichiarazioni circa il possesso dei requisiti richiesti per l’ammissione agli appalti".

A tale riguardo l’Autorità per la vigilanza sui lavori pubblici ha precisato, con determinazione n. 6/2006, che "l’accertamento dell’utilizzo, da parte dell’impresa, di certificati falsi non fa venir meno solo la validità dell’attestazione di qualificazione, ma ha come fondamentale conseguenza la perdita, da parte dell’impresa stessa, del requisito dell’affidabilità morale e professionale. Ne deriva, come ulteriore conseguenza, che l’impresa non può ottenere una nuova attestazione per il periodo di un anno dalla data di inserimento nel casellario delle imprese qualificate (…)". Infatti "il legittimo possesso di attestazione costituisce elemento fondamentale dei principi di trasparenza e par condicio che informano lo svolgimento di gare di appalto (…)", di modo che "la non imputabilità della falsità all’impresa che ha conseguito la qualificazione acquista rilevanza ai fini del rilascio di nuova attestazione, in quanto in caso di falso non imputabile, ai sensi dell’art. 17, lettera m, del d.P.R. n, 34 del 2000, sussisterà il requisito generale di non aver reso false dichiarazioni (…)".

E così la giurisprudenza ha escluso l’assenza del requisito negativo di cui trattasi in caso di falso non imputabile (cfr., fra le tante, Cons. Stato, VI, 4 febbraio 2010, n. 515 e 8 luglio 2010, n. 4442).

L’imputabilità, tuttavia, non può ricondursi in via esclusiva al solo caso della diretta ed immediata riconducibilità all’imprenditore della falsa dichiarazione, ma ha portata più ampia, perché – per un’immanente esigenza di tutela dell’affidamento delle amministrazioni pubbliche – si debbono a questi effetti ascrivere tra i fatti sfavorevolmente imputabili anche condotte non uniformate alla diligenza esigibile nel mercato dei pubblici appalti, qual è nel caso di omissione di adeguati controlli in occasione dell’acquisto di un ramo di azienda. Le attestazioni inerenti i lavori effettuati dalle imprese, infatti, costituiscono la base di ufficiali certificazioni sui requisiti di capacità tecnica e finanziaria, che attestano con effetti di affidamento di tutte le amministrazioni la capacità dell’imprenditore rispetto all’oggetto dei contratti pubblici, e che perciò sono necessari per partecipare alle gare indette dalle amministrazioni medesime per realizzare col mezzo di quei contratti opere e lavori pubblici.

Dal principio generale di successione nei rapporti giuridici oggettivi dell’azienda ceduta (cfr. art. 2558 Cod. civ.), nel cui novero rientrano anche gli effetti di queste dichiarazioni circa l’affidabilità morale e professionale indistintamente valevoli verso le stazioni appaltanti pubbliche, consegue che, in caso di acquisto di ramo di azienda, incombe sull’imprenditore acquirente – che da quel momento diviene attributario delle qualificazioni – l’onere della verifica della veridicità delle preesistenti attestazioni relative al plesso aziendale da lui acquisito e di cui assume, con le utilità, il rischio.

Al cessionario d’azienda possono dunque non essere, a questi fini, addebitate false dichiarazioni del cedente solo in caso di comprovata impossibilità di loro conoscenza, seppur in presenza di opportune verifiche effettuate in occasione della cessione, in relazione alle dimensioni dell’impresa e al settore di attività interessato (cfr., in senso conforme, Cons. Stato, II, parere n. 1661/2005 del 25 maggio 2005, per il quale rimane imputabile all’acquirente la falsità non difficilmente accertabile, ad es. mediante i certificati penali e dei carichi pendenti dei gestori della cedente).

Nella situazione qui in esame, l’Autorità non poteva che rilevare il disconoscimento, da parte del Comune di Altavilla Vicentina, di un certificato attestante la regolare esecuzione di lavori, inerenti la costruzione di un nuovo plesso scolastico polifunzionale, da parte della S. Impianti s.p.a.: lavori per i quali, in data 8 giugno 2005, il citato Comune avviava azione di risoluzione, in danno dell’impresa, del contratto di appalto. In data 3 agosto 2005, il ramo di azienda interessato dall’attestazione, inerente i medesimi lavori, veniva acquistato dalla società C. Costruzioni s.r.l., che a sua volta lo cedeva a C. s.r.l. il 18 settembre 2007. In ordine al disconoscimento dell’attestazione, inoltre, veniva inoltrata denunciaquerela da parte del legale rappresentante di S. Impianti s.p.a., nei confronti del direttore dei lavori e del responsabile del procedimento del Comune in questione.

Di tale complessa situazione contenziosa, del cui esito non è stato fornito riscontro, non sembra illogico ritenere che potesse avere avuto notizia l’ing.V. S., direttore tecnico sia della C. Costruzioni s.r.l. (acquirente del ramo di azienda a circa due mesi di distanza dall’avvio dell’azione di risoluzione) sia della C. s.r.l. (acquirente successiva, che dell’attestazione contestata intendeva avvalersi ai fini della qualificazione).

Il Collegio non condivide, pertanto, le conclusioni del giudice di primo grado, secondo cui avrebbe dovuto "escludersi che il menzionato ingegnere fosse stato nelle condizioni di conoscere la falsità del certificato lavori emesso dal Comune di Altavilla Vicentino", trattandosi di "presupposto non dimostrato". Una dimostrazione di non conoscibilità (nonostante le opportune verifiche, da condurre all’atto dell’acquisizione dell’azienda) spettava infatti all’impresa e non certo all’Autorità, che aveva ravvisato ragionevoli e concordanti indizi per desumerne l’imputabilità di cui trattasi.

Per le ragioni esposte, il Collegio stesso ritiene che l’appello debba essere accolto, con le conseguenze precisate in dispositivo; le spese giudiziali, da porre a carico della parte soccombente, vengono liquidate nella misura di Euro 3.000,00 (tremila/00) per i due gradi di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando, accoglie il ricorso in appello indicato in epigrafe e per l’effetto, in riforma della sentenza appellata, respinge il ricorso proposto in primo grado dalla società C. s.r.l.; condanna quest’ultima al pagamento delle spese giudiziali, liquidate nella misura complessiva di Euro. 3.000,00 (euro tremila/00) per i due gradi di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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