Cons. Stato Sez. VI, Sent., 05-09-2011, n. 4995

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Tornano all’esame della Sezione due appelli riuniti (nn. 7277/07, notificato il 5 settembre 2007, e 2786/09, notificato il 18 settembre 2009), attraverso i quali venivano contestate altrettante sentenze del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania, sede di Napoli (sez. I, n. 6658/07 in data 11 luglio 2007, notificata il 7 agosto 2007 e sez.III, n. 6451/08 del 30 giugno 2008, che non risulta notificata), con le quali erano stati respinti i ricorsi proposti, rispettivamente, dall’ing. R. C., avverso la rescissione di un contratto di prestazione d’opera professionale (nonché avverso l’informativa presupposta), e dalla C. s.r.l., avverso una revoca di autorizzazione all’esercizio di attività estrattiva, disposta per ragioni analoghe. Per entrambe le situazioni rilevava infatti (rapporto in data 26 febbraio 2005 della Commissione Interforze, nominata con decreto prefettizio n. 21286 del 30 gennaio 2004) il "profilo criminale della famiglia C.", le cui partecipazioni societarie (C. s.r.l., M. s.r.l., E. Service s.r.l.) sarebbero state condizionate "nelle scelte e negli indirizzi da soggetti, direttamente o indirettamente riconducibili a consorterie criminali". Da tale valutazione sembrava discendere anche l’informativa, riferita alla persona dell’ing. R. C., in rapporto al quale si comunicava (nota n. I/20195/Area 1 bis – riservata amministrativa – del 15 marzo 2006) l’assenza di "provvedimenti o procedimenti in corso per l’applicazione di misure di prevenzione", ovvero di "provvedimenti che dispongano divieti, sospensioni e decadenze", a norma dell’art. 10 della legge n. 575 del 1965, come anche di condanne o misure cautelari, con l’unica nota negativa riferibile alla società M. s.r.l. sopra citata, cui partecipava lo stesso ing. C. ed in rapporto alla quale era segnalato come sussistente un "condizionamento da parte della criminalità organizzata".

Le segnalazioni sopra sintetizzate contrastavano con le dettagliate informative della Questura di Napoli in data 12 febbraio 1998 e 16 marzo 1999, la prima riferita alla medesima M. s.r.l. e la seconda ai signori C. M. e C. R. (quest’ultimo attuale appellante). In tali note si riferiva di una vicenda penale, scaturita da dichiarazioni del collaboratore G. e riferita a presunti rapporti di affari della famiglia in questione con il clan, facente capo a C. A.: tale vicenda, tuttavia, risultava presto ristretta al solo M. C. e veniva infine archiviata su richiesta del P.M. in data 2 ottobre 1993.

Una successiva vicenda penale, basata sui medesimi fatti, si concludeva il 3 maggio 1997 con sentenza di non luogo a procedere nei confronti di C. M., per impromovibilità dell’azione penale.

Del tutto positive, infine, risultavano le informazioni che – attraverso le medesime note – si fornivano sull’ing. R. C., spesso nominato perito dal Tribunale di Nola e ritenuto privo di collegamenti con organizzazioni criminali o anche soltanto di frequentazioni con soggetti malavitosi.

In base alle circostanze sopra sintetizzate, il Collegio avvertiva l’esigenza di ulteriori approfondimenti in via istruttoria (previa riunione degli appelli, in quanto legati da evidente connessione oggettiva): approfondimenti disposti con sentenze interlocutorie nn. 1012/10 del 22.2.2010, 444/10 in data 8 luglio 2010, 108/11 del 12 gennaio 2011 e 1480/11 del 9 marzo 2011, con avvenuto deposito di documenti, da parte dell’Amministrazione, solo in data 10 febbraio 2011.

Nella prima di tali decisioni si evidenziava come – pur essendo la disciplina, applicata nel caso di specie, rispondente ad una forma di "tutela avanzata" dell’ordinamento nei confronti di fenomeni di criminalità organizzata (tutela perseguibile anche in mancanza di prove idonee per la condanna in sede penale e della stessa applicazione di misure di prevenzione) – dovesse comunque ritenersi necessaria, per la corretta formazione delle informative di cui trattasi, una valutazione coerente e frutto non di mere congetture, ma di plausibili indizi, riconducibili a situazioni di fatto.

Si disponeva pertanto (con successive reiterazioni della richiesta istruttoria in questione, nei confronti prima del Ministero dell’interno – Ufficio Territoriale del Governo di Napoli, poi dello steso Prefetto di Napoli) l’acquisizione di una documentata e dettagliata relazione attestante, in modo sintetico, le circostanze di fatto cui dovevano rapportarsi le informative oggetto di causa, con ulteriore specificazione e produzione dei documenti, relativi ai rapporti di interesse fra le società, riconducibili alla famiglia C. (ivi comprese M. s.r.l., Calcestruzzi S. s.p.a. e Calcestruzzi d’Italia), con G. C. o altri soggetti ritenuti vicini ad organizzazioni camorristiche.

La relazione depositata dall’Amministrazione – n. prot. I/20915/Area 1 ter/OSP del 2 febbraio 2011, in buona parte reiterativa di controdeduzioni difensive, già presenti in atti – fornisce, ad avviso del Collegio, un quadro indiziario sufficientemente strutturato per l’emanazione di provvedimenti ex lege 31 maggio 1965, n. 575 nei confronti della C. s.r.l. (in fase di liquidazione), ma non anche nei confronti dell’ing. R. C., da distinguere rispetto a familiari omonimi in base al titolo di studio ed alla data di nascita (27 settembre 1963).

Viene ricordato infatti come la predetta società fosse stata costituita il 22 gennaio 1976, a seguito di conferimento della ditta individuale "C. M." e dell’ingresso di nuovi soci: C. G., N. e R. (quest’ultimo non identificabile con l’attuale appellante, all’epoca tredicenne); per il periodo successivo, risultano segnalati "diversi passaggi di quote tra i numerosi componenti della famiglia C.", con finale acquisizione della qualità di soci unici dell’arch. R. C. (cugino del medesimo appellante) e di G. C.. Solo per un periodo, a partire dal 2 gennaio 2000, la C. s.n.c. era stata data in affitto alla M. s.r.l., con sede a Nola, poi affidataria – a seguito di contratto stipulato in data 8 marzo 2001 con la E. service s.r.l. – di lavori di manutenzione e lavorazione di materiale calcareo; in tale periodo vengono segnalati come soci al 50% i signori C. M. (padre dell’appellante R.) e C. G. e come "intermediario….tale A. D., nato a Pozzuoli", che avrebbe ricoperto "di frequente incarichi di fiducia in molte imprese legali del clan Nuvoletta".

In occasione di accertamenti economicofinanziari, inoltre, sarebbero emerse "cointeressenze societarie", nell’Azienda Calcestruzzi d’Italia s.p.a., Italia Costruzioni s.r.l. e S. Calcestruzzi, "tra la famiglia C. e Carfora G…..utilizzato in qualità di prestanome del noto boss C. A.". C. M. e C. G., inoltre, sarebbero stati "titolari fittizi di quote di società pacificamente controllate dal N.", da intendere come A. S. N., denunciato a piede libero il 3 novembre 1994 per associazione di tipo mafioso, destinatario della misura di prevenzione n. 681/98 e condannato il 20 giugno 2000 a quattro anni di reclusione per il reato di cui all’art. 416bis Cod. pen. dal Tribunale di Nola. Per quanto sopra, erano state inviate alle stazioni appaltanti informative atipiche, volte a segnalare il pericolo di condizionamento della società C. da parte della criminalità organizzata; nessuna annotazione tuttavia, nella nota sopra sintetizzata, viene specificamente riferita all’ing. R. C., diretto destinatario dei provvedimenti impugnati con ricorso di primo grado n. 5889/06. Avverso la medesima nota (che non fornisce, in effetti, risposte pienamente esaustive rispetto alle richieste formulate in via istruttoria) sono stati presentati dalle parti appellanti motivi aggiunti di gravame, notificati il 18 e 19 aprile 2011, essenzialmente per sottolineare la produzione, da parte della stessa Amministrazione, del rapporto del Gruppo investigativo sulla criminalità organizzata (GICO) presso il Nucleo di Polizia tributaria di Napoli in data 1 febbraio 2011, in esito ad accertamenti richiesti dalla locale Prefettura. In tale rapporto si afferma che "non risultano, allo stato, elementi utili ai fini della normativa antimafia", rientranti nell’art. 10 del d.P.R. 3 giugno 1998, n. 252 (articolo che espressamente richiamava, al comma 9, l’art. 1septies del d.l. 6 settembre 1982, n. 629, conv. dalla l. 12 ottobre 1982, n. 726, fondamento normativo delle cosiddette informative atipiche). Sarebbero state ignorate dall’Amministrazione, pertanto, non solo le informative del 1998 e del 1999, ma anche l’inattualità delle circostanze riferite a rapporti intercorsi con G. C. (rapporti cessati da quindici anni) e con A. N. (rapporti risalenti al periodo compreso fra il 1980 e il 1990 e antecedenti ai coinvolgimenti giudiziari dello stesso). Non sarebbero state depositate inoltre le informative, da cui avrebbero dovuto evincersi il "profilo delinquenziale della famiglia C.", ovvero notizie utili per evidenziare il coinvolgimento nella criminalità organizzata delle società M. s.r.l. e S. Calcestruzzi (quest’ultima del tutto estranea a M. e G. C. e ai loro discendenti). La nuova informativa del GICO in data 1 febbraio 2011, in ogni caso, avrebbe superato il precedente accertamento della Commissione interforze del 26 febbraio 2005, su cui era basata l’informativa atipica.

Circa le caratteristiche di tale informativa, correttamente la difesa dell’Azienda sanitaria locale Napoli n. 4 ha sottolineato – per ribadire la legittimità dei provvedimenti adottati – come la stessa costituisca la "massima anticipazione di tutela preventiva, come risposta dello Stato verso il crimine organizzato, in quanto la legge ha assunto come obiettivo principale l’assoluta salvaguardia dei principi di trasparenza e libertà di agire contrattuale della pubblica amministrazione, rispetto a soggetti che possano in un modo o nell’altro risultare serventi, rispetto a realtà imprenditoriali contigue ad associazioni criminali".

Altrettanto condivisibili risultano le osservazioni della medesima Amministrazione sopra citata in ordine all’ampia discrezionalità – e ai conseguenti limiti, in sede di sindacato giurisdizionale di legittimità – delle valutazioni sottostanti all’informativa di cui all’art. 4 del d.lgs. n. 490 del 1994, indirizzata alla repressione ed alla prevenzione di attività economiche collegate al fenomeno mafioso, senza necessario collegamento con fatti di rilevanza penale, o con misure di prevenzione applicate al soggetto interessato. Per costante giurisprudenza, infatti, la sussistenza di tentativi di infiltrazione mafiosa potrebbe emergere da un complesso di circostanze (procedimenti penali anche non conclusi con condanna, collegamenti parentali con soggetti malavitosi, dichiarazioni di pentiti) tali da configurare la possibilità che l’attività dell’impresa possa, anche in via indiretta, agevolare attività criminali o esserne in qualche misura condizionata per la presenza, nei centri decisionali, di soggetti legati ad organizzazioni mafiose (cfr. in tal senso Cons. Stato, VI, 26 ottobre 2005, n. 5981 e 17 maggio 2006, n. 2867).

Pur condividendo i principi generali sopra ricordati, il Collegio ritiene che le ragioni dell’Amministrazione possano essere condivise solo in parte.

A fondamento di tutte le iniziative assunte, in sede prima penale e poi amministrativa, nei confronti di appartenenti alla famiglia C., restano infatti le dichiarazioni rese – fra il 1992 e il 1993, dal pentito G., secondo il quale l’impresa dei fratelli M. e G. C. sarebbe stata "gradita ad Alfieri ed a lui vicina"; tale dichiarazione comportava l’avvio di un procedimento penale in un primo tempo (1993) archiviato, ma successivamente (1995) riaperto con ordinanza di custodia cautelare nei confronti dei medesimi fratelli C., ai quali sarebbero state imputabili anche partecipazioni societarie con altri imprenditori inquisiti (N. e Carfora), il cui profilo e la cui vicinanza all’organizzazione camorristica sono già stati in precedenza ricordati.

Con sentenza n. 3670 del 10 aprile 1996, tuttavia, la Corte di Cassazione annullava la predetta ordinanza cautelare, rilevando come il "gradimento", a suo tempo espresso da un capo indiscusso dell’organizzazione camorristica, quale doveva ritenersi C. A., potesse riguardare anche solo rapporti economici o di affari, inerenti ad attività lecite.

A sua volta il Tribunale di Napoli, sezione riesame dei provvedimenti restrittivi della libertà personale, con ordinanza del 9 aprile 1996 aveva ordinato la rimessa in libertà dei due indagati, ritenendo che non fossero emerse circostanze atte ad escludere che i rapporti dei fratelli C. con gli imprenditori N. e Carfora non trovassero spiegazione lecita e plausibile nei rapporti di lavoro all’epoca in corso, tenuto conto anche della omessa menzione dei medesimi fratelli C. nelle dichiarazioni rese nel 1994 da C. A..

Nel 2003, infine, venivano respinte dal Tribunale di Napoli – settore misure di prevenzione – le richieste di applicazione di tali misure, da parte del Procuratore nazionale antimafia, nei confronti di M. e G. C., nonché dell’ing. R. C., per i primi non essendo emerse attività illecite delle società Calcestruzzi d’Italia s.p.a., C. s.r.l. e B. I. s.a.s. (frutto dei rapporti d’affari in precedenza ricordati), per il terzo essendo stati ritenuti elementi indiziari insufficienti il mero legame parentale e la partecipazione alla M. s.r.l., affittuaria per un periodo (2000/2004) dell’azienda C. s.r.l..

In tale contesto documentale e sulla base di esso, il Collegio ritiene che sia dimostrato che l’esistenza di relazioni – benché in apparenza del tutto lecite e risalenti nel tempo – con esponenti di spicco della malavita organizzata, risultasse riferibile ai soli M. e G. C. ed alla società omonima, sulla quale l’influenza dei medesimi fratelli C. non risultava venuta meno alla data di emanazione dell’informativa atipica, che poteva in effetti prescindere da responsabilità penali accertate ed anche dalla ritenuta insussistenza dei presupposti per l’applicazione di misure di prevenzione (con conseguente ragionevolezza dell’informativa stessa, circa il pericolo di condizionamento dell’attività societaria da parte di esponenti della criminalità organizzata, che con tale società avevano effettivamente intrattenuto rapporti, sia pure giustificati da esigenze di lavoro). Ad analoghe conclusioni, tuttavia, il medesimo Collegio non ritiene che si potesse aprioristicamente pervenire per l’ing. R. C., mai coinvolto dalle vicende pregresse riguardanti il proprio padre ed il fratello di lui, nonché, come risultante dagli atti, impegnato in attività professionale autonoma, sufficiente per giustificare il tenore di vita del nucleo familiare dal medesimo costituito, sul quale le informative raccolte appaiono ampiamente positive. Tenuto conto, peraltro, della mancanza di qualsiasi dimostrazione di attività illecite, direttamente riconducibili alla società C. s.r.l. (la cui vicinanza a soggetti, appartenenti ad organizzazioni criminose, è desumibile solo dai contatti addebitati ai ricordati M. e G. C.), non appare giustificativa dei provvedimenti assunti (oggetto del ricorso di primo grado n. 5889/06) la mera partecipazione societaria dell’ing. R. C. alla M. s.r.l., sul conto della quale nessuna circostanza significativa è stata segnalata dall’Amministrazione, anche in esito alle reiterate richieste istruttorie, formulate nel presente grado di giudizio.

Mentre, dunque, risultano documentate circostanze di fatto, idonee in astratto a giustificare il sospetto di condizionamento della criminalità organizzata sulla società s.r.l. (con conseguente sussistenza dei già descritti presupposti dell’informativa atipica), non altrettanto può dirsi per la persona dell’ing. R. C., non potendo ritenersi sufficiente al riguardo il mero rapporto di parentela dello stesso con un soggetto, di cui è stata segnalata non l’appartenenza ad associazioni criminose, ma la sospetta contiguità di interessi con le stesse, nello svolgimento di attività lecite; quanto sopra, anche in presenza della già ricordata partecipazione del soggetto di cui si discute alla M. s.r.l., affittuaria della C. s.r.l. dal 2000 al 2004, mancando qualsiasi indizio di coinvolgimento personale dello stesso con persone legate ad ambienti della criminalità organizzata e non essendo stata segnalata dall’Amministrazione alcuna attività sospetta, riconducibile al periodo di gestione sopra indicato, con riferimento a contatti personali del più volte citato ing, C..

Per le ragioni esposte, in conclusione, il Collegio ritiene che il ricorso n. 7277/07 debba essere accolto e che il ricorso n. 2786/09 vada invece respinto, nei termini e con gli effetti precisati in dispositivo.

Quanto alle spese giudiziali, infine, la solo parziale soccombenza dell’Amministrazione ne giustifica, ad avviso del Collegio stesso, la compensazione.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando in ordine ai ricorsi riuniti nn. 7277/07 e 2786/09, accoglie il primo di tali appelli e – in riforma della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Campania, Napoli, n. 6658/07 in data 11luglio 2007, annulla i provvedimenti impugnati con ricorso n. 5889/06; respinge l’appello n. 2786/09; compensa le spese giudiziali.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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