Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 07-07-2011) 01-08-2011, n. 30462

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. Il presente procedimento penale ha ad oggetto una serie di attività estorsive compiute nell’aversano nel 2002 da alcuni imputati facenti capo ad un autonomo clan Della Volpe-Ciocia, pur a sua volta riconducibile al più vasto clan dei casalesi, nonchè alcuni reati, commessi da alcuni degli stessi imputati, fatti ritenuti non riferibili a tale ambito associativo.

Più in particolare si tratta di estorsioni, plurime e sistematiche sul territorio, ai danni di piccoli esercenti o imprese edili, nonchè in relazione all’installazione di videogiochi. Con sentenza in data 20.01.2010 la Corte d’appello di Napoli parzialmente riformava la pronuncia di primo grado (resa dal Tribunale di Santa Maria Capua Vetere il 16.07.2008), peraltro pienamente confermandone l’impianto decisorio. Dall’integrato disposto delle due sentenze di merito risulta, in sintesi, il seguente quadro:

a. D.V.R. è stato ritenuto colpevole del reato associativo (capo 1 della rubrica) e dei reati specifici di cui ai capi 2, 5, 14 e 17 (tutte estorsioni in concorso, consumate o tentate) e 10 (qualificato ai sensi dell’art. 611 c.p. aggravato L. n. 203 del 1991, ex art. 7) e, ritenuto vincolo di continuazione tra tali delitti, condannato alla pena finale di anni 18 di reclusone ed Euro 4.000 di multa;

b. F.A. è stato ritenuto colpevole del reato associativo (capo 1 della rubrica) e dei reati specifici di cui ai capi 2, 3, 5, 6, 7, 8, 13, 14, 15, 16, 17, 18, 20, 21, 22, 23, 25, 27, 28, 29, 30 (tutte estorsioni tentate o consumate), fatti tutti ritenuti tra loro in continuazione, nonchè dei reati di cui ai capi 9 (estorsione) e 12 (usura) ritenuti autonomi, e condannato alla pena finale complessiva di anni 21, mesi 6 di reclusione ed Euro 11.000 di multa;

c. E.L. è stato ritenuto colpevole del reato associativo (capo 1 della rubrica) e dei reati specifici di cui ai capi 13, 14, 15, 16, 17, 18, 20, 22, 23, 29 e 30 (tutte estorsioni tentate o consumate) e, ritenuto vincolo di continuazione tra tutti tali reati, veniva condannato alla pena finale complessiva di anni 14, mesi 6 di reclusione ed Euro 3.200 di multa;

d. F.L. veniva ritenuto colpevole della estorsione tentata di cui al capo 9 (ai danni dei coniugi R.: v. prima sentenza ff. 71-74) e, concesse attenuanti generiche equivalenti, condannato alla pena di anni 2 di reclusione ed Euro 300 di multa;

e – G.V. (posizione separata all’odierna udienza) veniva ritenuto colpevole della estorsione consumata di cui al capo 7 e, concesse attenuanti generiche prevalenti, condannato alla pena di anni 4 e mesi 8 di reclusione ed Euro 600- di multa;

f – P.F. (che citiamo per completezza del quadro, non essendo ricorrente) veniva ritenuto colpevole dei fatti di estorsione consumata e tentata di cui ai capi 25 (e 27, in continuazione, e, in concorso di attenuanti generiche e di cui all’art. 62 c.p., n. 6, prevalenti, condannato alla pena di anni 5, mesi 8 di reclusione ed Euro 700- di multa;

9 – V.R. colpevole del reato di cui al capo 10 (qualificato nei termini già detti: v. prima sentenza f. 74-84) e condannato alla pena di anni 1 e mesi 6 di reclusione.

Entrambe le sentenze di merito fondavano il loro giudizio sulle dichiarazioni delle parti lese, anche se a volte parzialmente reticenti, sul contenuto dei colloqui intercettati e sugli esiti delle parallele indagini di p.g..

La Corte territoriale respingeva anzitutto alcune questioni procedurali riproposte (essendo state già disattese in primo grado) in ordine in particolare alle svolte intercettazioni.- Di poi, esaminando i vari motivi d’appello proposti sui singoli reati, confermava la congruenza probatoria degli elementi raccolti.- 2. Avverso tale sentenza non interponeva impugnazione il P. nei cui confronti la sentenza di condanna passava dunque in giudicato.

Proponevano ricorso per cassazione i restanti imputati che motivavano le rispettive impugnazioni svolgendo le seguenti deduzioni:

2.1 – D.V.R. deduce:

A quanto al reato associativo, violazione di legge e vizio di motivazione, per mancata considerazione dell’autonomia del reato, rispetto al concorso nei reati fine, del breve lasso temporale (un anno circa) di presunta vitalità del gruppo, della mancanza di una struttura e di una ripartizione dei ruoli; B quanto agli altri reati:

a) capo 2: mancata considerazione dell’inattendibilità delle dichiarazioni della parte offesa D.D. e dell’insussistenza di elementi di riscontro; mancata considerazione che esso ricorrente non compare mai nella gestione dei videogiochi e che il D.D. non lo menziona; b) capo 5: mancata considerazione dell’impossibilità di individuare l’oggetto materiale della presunta estorsione; mancata valutazione critica delle intercettazioni rilevanti sul punto e della circostanza che la parte lesa B. aveva escluso di avere avuto contatti con esso D.V.; c) capo 14: la p.o. non ha attribuito alcun ruolo ad esso ricorrente; non vi è corrispondenza nelle somme oggetto del reato; le intercettazioni non propongono riscontri all’accusa; d) capo 17: non giustificato svilimento delle dichiarazioni del teste Tulipano Luigi; inadeguata motivazione in ordine al ritenuto coinvolgimento, quale mandante, di esso ricorrente, non emergente dalla indicata captazione n. 1960 nè da successive; incertezza anche sull’attribuzione della captazione ad esso ricorrente; e) capo 10: vizio di motivazione per omessa considerazione della natura non intimidatoria emergente dal tenore delle conversazioni; C quanto alle circostanze: errato riconoscimento dell’aggravante L. n. 203 del 1991, ex art. 7, sia per carenza di motivazione sulla presunta finalizzazione all’agevolazione della cosca, sia per mancata giustificazione del metodo mafioso.

2.2 – F.A. deduce:

2.2.1 – con atto del difensore: A sulle intercettazioni: elusiva risposta all’eccezione difensiva circa l’identificazione dei soggetti che avevano partecipato alle attività di captazione; B quanto al reato associativo: mancata considerazione che non vi era uno stato di effettiva intimidazione in capo alle parti lese, nè un tipico modus operandi; le somme erano del tutto modeste; mancata considerazione che l’intervento di S.E., per conto dei casalesi, aveva scalzato il gruppo D.V. dall’affare dei videogiochi; C quanto agli altri reati: a) capo 2: mancata considerazione che il proprio intervento era intercessivo e non complice; mancata considerazione che si trattava di reato tentato e non consumato; b) capo 3: carenza di motivazione in ordine alla configurazione di reato tentato e non consumato; c) capo 7 e capo 8: mancata considerazione trattarsi di esercizio arbitrario delle proprie ragioni e non di estorsione, attesa la proporzione della minaccia; d) capo 22:

motivazione del tutto disancorata dalle emergenze processuali sia in ordine alla ritenuta compartecipazione criminosa, anzichè intercessiva, sia in ordine alla ritenuta aggravante L. n. 203 del 1991, ex art. 7; e) capo 27: mancata considerazione dell’anomalia costituita dal quantum lasciato all’iniziativa della parte lesa;

insussistenza dell’aggravante ex art. 7 L. 203/91; f) capo 28: errata sottovalutazione della versione della parte lesa; mancata considerazione della denegata sussistenza di una qualche minaccia; D quanto all’aggravante L. n. 203 del 1991, ex art. 7: mancata motivazione in ordine alla sussistenza della stessa in ogni episodio;

E quanto alla pena ed alla mancata concessione delle attenuanti generiche: mancata considerazione che si trattava di episodi più petulanti che violenti; pena sproporzionata.

2.2.2 – con atto personale: A sulle intercettazioni: errata motivazione in ordine alla deduzione di nullità o inutilizzabilità delle intercettazioni per mancata sottoscrizione leggibile da parte dei pubblici ufficiali operanti; B quanto al reato associativi:

insussistenza dello stesso per mancata forza intimidatrice e per mancati collegamenti con il clan dei Casalesi; C quanto ai restanti reati: a) capo 2: carenza di motivazione in ordine alle doglianze difensive in particolare circa l’accordo commerciale tra la parte offesa ed esso ricorrente; inaffidabilità del D.D., mancanza di condotta minacciosa in capo ad esso ricorrente; insussistenza dell’aggravante L. n. 203 del 1991, ex art. 7; b) capo 3: mancata valutazione della credibilità della parte lesa A.; carenza di motivazione in ordine alla qualificazione giuridica; insussistenza dell’aggravante L. n. 203 del 1991, ex art. 7; c) capo 5: mancanza di motivazione sul punto; d) capo 6: illogicità della motivazione che attribuisce valore a riconoscimento fotografico da parte di soggetto che ebbe solo colloquio telefonico; mancata considerazione della concreta mancanza di minacce; errato riconoscimento dell’aggravante L. n. 23 del 1991, ex art. 7; e) capi 7 e 8: motivazione contraddittoria in ordine alla logica della vicenda ed alla mancanza di una condotta minacciosa; f) capo 9: mancanza di riscontri ai presunti contatti con la parte lesa, mancanza di condotta violenta o minatoria; g) capo 12 (usura): vizio di motivazione in ordine alla mancata prova di un vantaggio di tipo usuraio, trattandosi di mero prestito a titolo di amicizia; h) capi 13, 15 e 16: vizio di motivazione per mancanza di condotta violenta, per la mancanza di dichiarazioni accusatorie ad opera delle parti lese e per la genericità delle intercettazioni; insussistenza dell’aggravante L. n. 203 del 1991, ex art. 7; i) capo 14: insufficienza della conversazione con il D.V. per ritenere la propria partecipazione; insufficienza delle intercettazioni per ritenere sussistente il reato; omessa valutazione delle dichiarazioni negatorie delle parti lese; insussistenza dell’aggravante L. n. 203 del 1991, ex art. 7; l) capo 17: mancata risposta alle doglianze difensive circa l’irrilevanza del primo episodio e l’estraneità al secondo; m) capo 18: mancata motivazione in ordine al dubbio difensivo che la parte offesa fosse tale V.G.;

insussistenza dell’aggravante L. n. 203 del 1991, ex art. 7; n) capo 20: generica individuazione delle parti offese, mancata considerazione delle loro dichiarazioni negatone; ingiustificata prevalenza delle intercettazioni; insussistenza dell’aggravante L. n. 203 del 1991, ex art. 7; O) capo 21: mancanza di condotta minatoria portata a termine, in presenza di (legatoria della parte lesa;

insussistenza dell’aggravante L. n. 203 del 1991, ex art. 7; p) capo 22: l’intervento era stato a titolo di amicizia e disinteressato;

insussistenza dell’aggravante L. n. 203 del 1991, ex art. 7; q) capo 23: mancata considerazione della negatoria delle parti offese e della genericità dell’unica intercettazione; insussistenza dell’aggravante L. n. 203 del 1991, ex art. 7; r) capo 25: non vi era mero errore materiale tra capo 24 e 25; S) capo 27: insufficienza delle intercettazioni per ritenere sussistente il reato; omessa valutazione delle dichiarazioni negatorie delle parti lese; insussistenza dell’aggravante L. n. 203 del 1991, ex art. 7; t) capo 28:

sussistenza solo di un rapporto commerciale tra le parti; mancanza di condotta minatoria; insussistenza dell’aggravante L. n. 203 del 1991, ex art. 7; u) capo 29: incongruenza della motivazione in ordine alla posizione del coimputato E. al fine di identificare la parte lesa anella Cooperativa Auto di tal C.; insussistenza dell’aggravante L. n. 203 del 1991, ex art. 7; v) capo 30: vizio di motivazione in ordine alla rilevanza dell’unica intercettazione a fronte della negatoria della parte lesa; insussistenza dell’aggravante L. n. 203 del 1991, ex art. 7; D quanto alla commisurazione sanzionatoria: ingiustificato diniego delle generiche in relazione alla scarsa rilevanza dei fatti ed al ruolo non apicale;

valutazione della sola personalità ritenuta negativa per la determinazione della pena.

2.3 – E.L. deduce:

A quanto al reato associativo. violazione di legge e vizio di motivazione, per mancata considerazione dell’autonomia del reato, rispetto al concorso nei reati fine, del breve lasso temporale (un anno circa) di presunta vitalità del gruppo, della mancanza di una struttura e di una ripartizione dei ruoli; B Quanto agli altri reati, in generale, vizio di motivazione per mancata considerazione delle varie doglianze difensive; a) capi nn. 13, 15 e 16: la p.o. B. non attribuisce ad esso E. alcun ruolo; anche dalle intercettazioni non emerge una sua partecipazione; non sono spiegate le ragioni dell’identificazione delle voci; b) capo 14: la p.o. non ha attribuito alcun ruolo ad esso ricorrente; non vi è corrispondenza nelle somme oggetto del reato; le intercettazioni non propongono riscontri all’accusa; c) capo 17: non giustificato svilimento delle dichiarazioni del teste T.L.; inadeguata motivazione in ordine al ritenuto coinvolgimento di esso ricorrente, non emergente dalla indicata captazione n. 1026; d) capo 18: mancata considerazione della circostanza che la parte lesa aveva escluso di aver subito un’estorsione; impossibilità di attribuire un ruolo attivo ad esso E. in base alle intercettazioni; e) capo 22:

mancata considerazione che non emergeva alcun titolo di partecipazione alla condotta estorsiva ("cavallo di ritorno") e che, quindi, non si può ricollegare a quel fatto la spartizione del denaro che emergerebbe dalle telefonate; f) capo 20: inesistenza di elementi di reato e di un concorso di esso ricorrente; g) capo 23:

affermazione apodittica di concorso nel fatto di reato; h) capo 29:

mancata considerazione della dedotta genericità delle conversazioni poste a base della motivazione di condanna; h) capo 30: mancata considerazione della negatoria della parte offesa e della mancanza di elementi riconducibili ad esso ricorrente nelle telefonate; C Quanto alle circostanze: a) errato riconoscimento dell’aggravante L. n. 203 del 1991, ex art. 7, sia per carenza di motivazione sulla presunta finalizzazione all’agevolazione della cosca, sia per mancata giustificazione del metodo mafioso; b) mancato riconoscimento dell’attenuante ex art. 114 c.p. per la marginalità del ruolo eventualmente rivestito.

2.4 – F.L. deduce: (per la tentata estorsione R.) vizio di motivazione per errata interpretazione della telefonata intercettata, unico elemento a carico di esso ricorrente, che non consente di estrarre intenti delittuosi; mancato approfondimento del punto.- 2.5 – G.V., ora A.V. (si omette, per essere stata stralciata la posizione all’odierna udienza).

2.6 – V.R.: (reato ex art. 611 c.p., ai danni della Idea Costruzioni) deduce: a) mancanza di condotta minatoria, come riferito dai tesi P. ed A.; b) mancato riconoscimento della desistenza dalla condotta; c) errato riconoscimento dell’aggravante L. n. 203 del 1991, ex art. 7; d) iniquità della pena, troppo gravosa.- 3. Va dapprima rilevato come all’odierna udienza sia stata separata, e quindi rinviata a nuovo ruolo, la posizione del ricorrente G.V. (ora A.V.) per legittimo impedimento del suo difensore.- Vengono qui valutati, pertanto, i residui cinque imputati ricorrenti. Tutti i ricorsi, infondati nelle loro varie deduzioni, devono essere rigettati con ogni dovuta conseguenza di legge.

3.1 – D.V.R..

E’ infondato, invero, il primo motivo di ricorso in ordine al reato associativo, sul quale – contrariamente all’erroneo assunto del ricorrente – i giudici del merito hanno fornito congrua e corretta motivazione anche sui profili ora censurati da questo imputato (durata nel tempo, struttura, ripartizione dei ruoli) in coerenza ai dati di fatti accertati (in esito alla verificata sistematicità di comportamenti diffusi sul territorio, ripetuti per molto tempo – un anno -, in un quadro di collegamenti funzionali).- In ordine ai plurimi reati specifici, vanno anzitutto respinte le doglianze del ricorrente, ribadite sui vari episodi, relative alla diffusa reticenza di molti tra le parti lese: si tratta di atteggiamenti ben valutati dai giudici del merito che hanno verificato il rilevante grado delle pesanti e perduranti intimidazioni (derivanti dalle concrete minacce di volta in volta poste in essere e dalla stessa appartenenza associativa degli imputati). In ogni caso, peraltro, la completezza probatoria era raggiunta da ulteriori elementi (in specie i risultati captativi) che consentivano di superare – con coerente valutazione in fatto – le eventuali reticenze (spesso parziali) degli estorti.- Vanno poi disattese ulteriori errate affermazioni di questo ricorrente spese sui vari episodi specifici: -in presenza di elementi probatori di per sè certi e direttamente dimostrativi (quali le dichiarazioni testimoniali ed i risultati captativi) non c’è bisogno di "riscontri", tecnicamente necessari solo per le chiamate in correità (caso ben diverso); -è irrilevante che qualche parte lesa non abbia citato esso D.V. quale soggetto attivo nei fatti, sia per la già rilevata diffusa reticenza, sia – soprattutto- perchè il suo determinante intervento, spesso, era alle spalle dei complici esecutori materiali (come si addice a chi riveste ruolo di vertice); – è del pari irrilevante che, a volte, non sia stata accertata l’entità della somma pretesa, allorchè è comunque certa la concreta condotta estorsiva (o tentata).- Le altre deduzioni qui propose risultano, in definitiva, non consentite incursioni nel merito, a fronte di motivazioni logiche, complete e coerenti.- Quanto al reato sub 10) – relativo all’infortunio del Fontanarosa, nei confronti della "Idea Costruzioni"- la deduzione dell’odierno ricorrente dimentica la qualificazione ex art. 611 c.p. e dunque che non si tratta più di estorsione; la complessiva pressione intimidatoria, comunque, è ben presente e dimostrata in motivazione.- Quanto all’episodio ai danni della ditta Tulipano (capo 17), la deduzione che censura l’attribuzione delle telefonate ad esso imputato (a cominciare dalla intercettazione n. 1960 del 27.08.2002, in poi) oltre che fondata su soggettive illazioni, è destituita di fondamento sulla base di coerenti e robusti dati di fatto, ben esplicati dai giudici del merito (v. in particolare la prima sentenza a ff. 129-130: il nome R., l’auto Punto rossa, il negozio di profumi della moglie, tutti elementi individualizzanti).- Sono del pari infondati i motivi di ricorso in ordine alla ritenuta ricorrenza dell’aggravante L. n. 203 del 1991, ex art. 7 ben motivata – contrariamente all’erroneo assunto dell’odierno ricorrente – sia per l’evidente rafforzamento della cosca che i reati posti in essere hanno determinato (sia per il profilo economico, che per il controllo del territorio), sia per il metodo intimidatorio che richiamava costantemente l’appartenenza alla consorteria (come ben motivato dai giudici del merito). Seguono le spese.

3.2 – F.A.;

Va premesso che molte deduzioni di questo imputato sono, in sostanza, le stesse, ripetute nell’atto del difensore ed in quello personale.- Devono valere, anche per questo ricorrente, gran parte delle argomentazioni svolte in relazione all’imputato D.V., trattandosi in definitiva di deduzioni analoghe, di tal che qui (per evitare inutili ripetizioni) comunque si fa rimando a quanto appena sopra motivato. Così è per il reato associativo ed in generale sulle intimidazioni di stampo mafioso, peraltro marginale essendo – rispetto al complessivo materiale raccolto- la questione del subingresso di S.E. nell’affare dei videogiochi (il che, peraltro, conferma l’interesse dei casalesi al settore).- Quanto alle intercettazioni, è infondata la deduzione in ordine all’individuazione dei soggetti operanti (sui cui da corretta risposta la Corte territoriale a ff. 30-31 alle cui argomentazioni ci si riporta).- Sino infondate le deduzioni, ripetute per molti episodi specifici, volte a sostenere il tentativo, anzichè il reato consumato, ovvero a qualificare il proprio intervento come intercessivo per la vittima, anzichè complice nell’estorsione. Si tratta di deduzioni in fatto (in quanto intese a limitare l’accertamento compiuto ovvero a dare interpretazione soggettiva alle rilevate condotte) non spendibili in questa sede di legittimità;

peraltro su tutti tali punti i giudici del merito hanno già fornito adeguata e corretta risposta, che qui va convalidata, trattandosi di esposizioni difensive già svolte nei precedenti gradi.- Quanto alla vicenda Verolla-Galluccio, l’esclusione del minore reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni e stata ben motivata (v. la prima sentenza a ff. 69-70), con argomentazioni che qui vanno convalidate, sia sulla base di un interesse proprio che animava il F. (estraneo al credito iniziale) che in relazione all’entità sproporzionata del profitto (metà della somma in discussione).- L’entità delle somme estorte (o tentate di estorcere) od anche il fatto stesso che a volte, per le resistenze della parte lesa, o per le sue precarie condizioni, si abbassavano le pretese (fino a dare una qualche facoltà al soggetto passivo) sono elementi che non possono incidere sulla sussistenza del reato, non depotenziando la natura illecita delle pretese stesse.- Quanto all’usura, il motivo di amicizia al prestito -dedotto quale argomento di pretesa insussistenza del reato- è del tutto improprio, irrilevante essendo a fronte della realtà oggettiva, ben dimostrata, di interessi esorbitanti.- Si è già detto, in generale, sull’irrilevanza delle dichiarazioni delle varie parti lese, timorose o reticenti, in un quadro comunque sostenuto a sufficienza dai risultati captativi.- Anche in ordine all’aggravante L. n. 203 del 1991, ex art. 7, in entrambe le sue previsioni, non resta che fare rimando a quanto già sopra motivato (v. la posizione del D.V.), analoghe essendo le deduzioni proposte in merito.- Ciò posto, va ancora rilevato: a) sono infondate le deduzioni di omessa pronuncia in ordine al capo 5 – estorsione B. – posto che vi è risposta esaustiva sia nel complesso delle motivazioni sui vari punti (come sopra già qui argomentato) sia a proposito del correo D.V.; b) l’equivoco tra i capi 24 e 25 -tale essendo- è stato ben chiarito, nella sua irrilevanza, dalla Corte territoriale: in realtà essenziale è che il fatto, nelle sue varie componenti, sia stato ben esaminato, al di là della inesatta titolazione (in definitiva l’equivoco risiede solo nella rubrica data in motivazione dai primi giudici); c) sono altresì infondati i rilievi critici in ordine alla presunta omissione di motivazione quanto al capo 17 – tentata estorsione Tulipano- posto il rinvio (v. f. 36) alla posizione D.V. in cui è data risposta esaustiva alle prospettate questioni.- In ordine alla commisurazione sanzionatoria deve essere dapprima rilevato come sia inemendabile l’errore di calcolo a suo favore, in mancanza di impugnazione da parte dell’Accusa (per la pena detentiva: anni 19 e mesi 8, più anni 2, più anni 1 e mesi 6 sommano anni 23 e mesi 2, non anni 21 e mesi 6 come erroneamente pronunciato dalla Corte territoriale). Ciò posto, è comunque inammissibile il motivo di ricorso sul punto (pena nelle sue varie articolazioni e generiche) atteso che vi è stata ampia e convincente motivazione in proposito (v. ff. 40-41: gravità e pluralità dei reati, negativa personalità contrassegnata da numerosi precedenti specifici) in un campo rimesso per legge alla ragionevole discrezionalità dei giudici del merito.- Seguono le spese.

3.3 – E.L..

Le sue deduzioni in ordine al reato associativo, del tutte analoghe a quelle dei precedenti imputati (sulla durata, sull’organizzazione, sui ruoli), non impongono ulteriori considerazioni, per cui sulle stesse va fatto rimando a quanto sopra già motivato.- Quanto ai singoli reati fine, parimenti vanno qui riprese le argomentazioni di carattere generale già spese in ordine alle analoghe questioni sollevate dal D.V. e dal F.: così per le, a volte timorose o reticenti, dichiarazioni delle parti lese; così sull’identificazione dei colloquianti; così sulla pretesa mancanza di riscontri; così ancora per i termini delle somme di denaro.- Ciò posto, va anche rilevata la genericità che affligge le deduzioni su alcuni reati specifici, ogni volta che il ricorrente si limita a protestare indistintamente la pretesa insufficienza del materiale raccolto o denegare l’affermata invalidità delle proposte tesi.- Peraltro, in particolare sui punti specifici dedotti: -quanto alla tentata estorsione T., la telefonata n. 1026 è eloquente ( E. afferma di avere fatto la richiesta estorsiva alla vittima), l’utenza è in comprovato suo uso; – in ordine al capo 18 – tentata estorsione V. – il ruolo evidente, emergente dalle intercettazioni, in complicità con il F., è quello di esattore (v. ff. 134-144 della prima sentenza); – quanto al capo 22 – estorsione D.P. – l’evidenza di un previo accordo spartitorio, che emerge dalla captazione, conforta l’affermata complicità nell’intera vicenda (del resto il ricorrente non fornisce spiegazione alternativa a tale spartizione).- Va quindi rilevato come siano inammissibili tutte le deduzioni avanzate in ordine al capo 20, per non essere stato oggetto di appello, sul quale vi è stata, pertanto, acquiescenza. Quanto all’aggravante L. n. 203 del 1991, ex art. 7, entrambe le sentenze di merito esplicano corretta ed ampia motivazione che va qui convalidata -anche con rimando a quanto sopra già argomentato – rispetto a deduzioni più teoriche che concrete e quindi non prive di rilevabile genericità.- Anche il motivo di ricorso relativo al diniego della diminuente ex art. 114 c.p. non è fondato, atteso che vi è ampia e corretta motivazione che esclude la pretesa marginalità del concorso di questo imputato (v. ff. 44-45 della sentenza impugnata).- Seguono le spese.

3.4 – F.L..

E’ stato condannato, nei termini di cui sopra v. sopra sub 1.d, per il solo episodio della tentata estorsione ai coniugi R. in relazione al furto della loro auto Y10 (capo 9 della rubrica) in concorso con F.A..- Nei suoi motivi di ricorso v. sopra sub 2.4 deduce vizio di motivazione sostenendo l’errata interpretazione della telefonata che lo coinvolge.- Tale unico motivo di ricorso -al limite dell’inammissibilità per dedurre questione sostanzialmente in fatto-non è comunque fondato. Le due conformi sentenze di merito, che tra loro si integrano, dando anche con ciò risposta alla deduzione difensiva, svolgono ampia (specie quella di prime cure) e coerente giustificazione argomentativa significando che fu proprio il F., su istigazione del F. (che aveva ricettato l’auto), a fare la telefonata con la richiesta estorsiva ai proprietari derubati. In tal senso è univoco, e pressochè palese, il colloquio telefonico tra i due imputati di questo reato (si veda, in particolare, la prima sentenza ai ff. 72-73), mentre il ricorso propone interpretazione implausibile e contrastante con i dati testuali (non è possibile che F. intendesse quanti soldi dare a chi era in possesso dell’auto, per riprenderla in favore dei derubati, posto che il F. aveva già detto "io già la tengo").- Il ricorso è dunque infondato.

Seguono le spese.

3.5- V.R..

E’ stato condannato, nei termini di cui sopra v. sopra sub 1.g, per il solo episodio qualificato ex art. 611 c.p. ai danni della Idea Costruzioni (capo 10 della rubrica, in relazione all’infortunio mortale dell’operaio F.L.) in concorso con D. V.R..- Nei suoi motivi di ricorso v. sopra sub 2.6 deduce vizio di motivazione e violazione di legge nel merito del reato e quanto alla commisurazione sanzionatoria.- Tali motivi di ricorso non sono fondati.- Su tutti i profili dedotti in questa sede quali motivi della proposta impugnazione, invero, già avanzati nelle precedenti sedi, i giudici del merito hanno data ampia e congrua risposta argomentativa, coerente con le risultanze di causa, sia in merito alle sussistenti intimidazioni, sia in ordine alla irrilevanza della dedotta desistenza (il reato ex art. 611 c.p. era già consumato), sia infine quanto all’aggravante L. n. 203 del 1991, ex art. 7, avendo il D.V. speso la sua pesante caratura, ben nota in zona, di appartenente ai Casalesi. Tutto ciò è ben espresso dalla prima sentenza a ff. 74-84 e trova corrispondenza nella sentenza della Corte territoriale, con puntuali risposte alle doglianze difensive, ai ff. 49-50.- In ordine alla quantificazione sanzionatoria il ricorso – al limite dell’inammissibilità per genericità – non è comunque fondato, ben avendo entrambi i giudici del merito esplicato congrua e corretta motivazione sul punto (e con ampia riduzione in secondo grado), compreso il diniego delle generiche per i numerosi precedenti penali. Il ricorso è dunque infondato in ogni sua prospettazione. Seguono le spese.

3.6 – La reiezione di tutti i proposti ricorsi, qui esaminati, comporta ex lege, in forza del disposto dell’art. 616 c.p.p., la condanna dei predetti ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento.

P.Q.M.

Rigetta i ricorso di D.V.R., F.A., E.L., F.L. e V.R. e li condanna al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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