Cass. pen., sez. VI 28-02-2007 (14-02-2007), n. 8449 Mandato di arresto europeo – Consegna per l’estero – Decisione – Presupposti – Sottoscrizione da parte del giudice del mandato di arresto europeo

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. Con la sentenza in epigrafe la Corte d’appello di Napoli ha disposto la consegna di P.R. alla Repubblica Federale di Germania, dando seguito al mandato di arresto europeo (m.a.e.) spiccato a fini processuali dalla Procura di Stato di Amburgo per una serie di reati di evasione fiscale (artt. 370 comma 1 n. 2 del testo unico delle leggi tributarie – AO e 53 del codice penale – StGB), commessi in territorio tedesco dall’aprile 2004 al giugno 2005, per i quali la Pretura di Amburgo aveva emesso mandato di arresto in data 24 agosto 2005.
Sia nel m.a.e., che nel provvedimento cautelare della Pretura amburghese, le autorità richiedenti facevano presente che il P., in qualità di amministratore della Pi.Ro Trading, non aveva presentato nessuna denuncia preventiva dell’imposta sugli affari dovuta ai sensi dell’art. 18 UStG, evadendo imposte per un ammontare complessivo di Euro 3.403.340,77.
La Corte d’appello, dopo aver verificato il rispetto delle formalità e la sussistenza delle condizioni previste dalla L. n. 69 del 2005, tenuto conto che la persona richiesta in consegna è cittadino italiano, ha subordinato l’esecuzione del m.a.e. alla condizione che la persona, dopo essere stata "ascoltata", sia rinviata in Italia per scontarvi la pena o la misura di sicurezza privativa della libertà personale, eventualmente comminate nei suoi confronti dall’autorità giudiziaria tedesca (L. n. 69 del 2005, art. 19, comma 1, lett. c).
2. P., per mezzo del suo difensore, ha proposto ricorso per cassazione contro la decisione della Corte d’appello e, dopo avere richiesto preliminarmente l’assegnazione del procedimento alle Sezioni unite, ha dedotto i motivi di seguito indicati.
2.1. Violazione della L. n. 69 del 2005, art. 7, comma 3: si ritiene che la previsione della punibilità del reato previsto dall’art. 370 AO con una pena alternativa, pecuniaria o detentiva, sia in contrasto con le condizioni previste dalla L. n. 69 del 2005, art. 7 che non contempla la possibilità di consegna per un reato che possa essere punito con una semplice sanzione penale pecuniaria, anche se alternativa a quella detentiva; inoltre, si assume che i giudici d’appello non avrebbero potuto dichiarare la sussistenza del requisito della doppia punibilità tenuto conto che il reato contestato può essere punito con una sanzione che può anche essere inferiore ai dodici mesi richiesti dalla legge italiana (art. 7, comma 3, legge cit.); infine, si rileva che i giudici hanno ritenuto che i fatti contestati costituiscano reato anche in Italia, indicando erroneamente la fattispecie di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 8 che si riferisce all’emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, quindi ad un comportamento attivo, mentre al P. si rimprovera una condotta meramente omissiva.
2.2. Violazione dell’art. 1, comma 3, L. cit: si assume che il M.A.E., in quanto emesso e sottoscritto dal pubblico ministero (Procuratore di Stato di Amburgo) e non da un giudice, avrebbe dovuto essere considerato inefficace per il nostro ordinamento, perchè in contrasto con quanto previsto dell’art. 1, comma 3, legge cit., e di conseguenza comportare il rifiuto della consegna, aggiungendo che, qualora si dovesse ritenere eseguibile la consegna sulla base di un M.A.E. non sottoscritto da un giudice, la disposizione citata sarebbe incostituzionale per contrasto con l’art. 3 Cost., art. 13 Cost., commi 2 e 3. 2.3. Omessa motivazione del M.A.E.: si deduce la violazione della L. n. 69 del 2005, combinato disposto art. 1, comma 3 e art. 18, comma 1, lett. t) per assoluta mancanza di motivazione del M.A.E., che si limita ad una descrizione del fatto priva di ogni riscontro e di ogni giustificazione sulla riconducibilità del fatto al suo autore.
2.4. Violazione dell’art. 17, comma 4, Legge cit.: si deduce l’insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza, mancando gli elementi da cui desumere la stessa attribuibilità della condotta contestata al P..
2.5. Violazione dell’art. 6, commi 3 e 4, lett. a) Legge cit.:
si sostiene che la consegna avrebbe dovuto essere rifiutata, in quanto non risulta siano stati allegati nè il provvedimento restrittivo della libertà personale emesso dall’autorità giudiziaria tedesca, nè la relazione sui fatti addebitati con l’indicazione delle fonti di prova.
2.6. Violazione dell’art. 18, comma 1, lett. e) Legge cit.:
si censura la decisione della Corte d’appello per non avere rifiutato la consegna in presenza di una legislazione che non prevede i limiti massimi della "carcerazione preventiva", sottolineando come la sentenza impugnata abbia in sostanza travisato la nota informativa tedesca, ritenendo, erroneamente, che quel sistema preveda limiti massimi di custodia cautelare.
MOTIVI DELLA DECISIONE
3. Il ricorso è infondato.
3.1. La richiesta di consegna si riferisce ad un procedimento relativo a reati fiscali commessi in Germania da un cittadino italiano, per cui nella specie trova applicazione la L. n. 69 del 2005, art. 7, comma 2. Questa norma contiene una sorta di deroga al principio della doppia punibilità di cui al precedente comma 1, prevedendo che nel caso di reati fiscali e di quelli in materia "di dogana e di cambio" non sia richiesta una coincidenza con la disciplina che regola la stessa materia nello Stato membro di emissione, imponendo, tuttavia, con riferimento ai soli reati fiscali, una valutazione di assimilabilità per analogia tra "tasse o imposte" previste in Italia e nello Stato richiedente, valutazione a cui si aggiunge l’ulteriore presupposto che la fattispecie di reato prevista in Italia sia punita con la pena della reclusione pari o superiore a tre anni, senza possibilità di prendere in considerazione le eventuali aggravanti.
Rispetto alla decisione-quadro del Consiglio del 13 giugno 2002, che all’art. 4, par. 1 in materia di tasse, di imposte, di dogana e di cambio, si proponeva di superare il principio della doppia punibilità – ribadito per i reati non contemplati nella lista di cui all’art. 2, comma 2 -, la normativa di attuazione interna italiana, almeno per i reati fiscali (tasse e imposte), ha fatto una scelta differente, introducendo una serie di requisiti restrittivi concernenti la natura della violazione (che deve essere assimilabile a quella prevista nello Stato richiedente), la tipologia della pena (che deve essere necessariamente la pena della reclusione) e il limite edittale massimo (pari o superiore a tre anni).
E’ quindi in relazione a questo regime rafforzato che deve essere compiuta una prima valutazione circa la sussistenza dei requisiti per la consegna del P. alle autorità tedesche, tenendo conto che resta ferma, ovviamente, anche la verifica circa la punibilità del fatto, nello Stato membro di emissione, con una pena o con una misura di sicurezza della durata non inferiore a dodici mesi (art. 7, comma 3, legge cit).
3.2. Per quanto riguarda il giudizio sull’assimilabilità del reato contestato con una delle fattispecie penali conosciute nel nostro ordinamento, deve rilevarsi che i giudici napoletani hanno indicato come reato di "riferimento" il D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 8 (emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti), che però riguarda un’ipotesi che non appare soddisfare il criterio indicato dalla L. n. 69 del 2005, art. 7, comma 2 mentre la fattispecie che più si avvicina, per analogia, alla condotta presa in considerazione dall’art. 370 AO, che punisce la mancata presentazione del preavviso relativo all’imposta generale sull’entrata o sulla ricchezza, è quella dell’art. 5, d.lgs. cit., relativa alla omessa dichiarazione dell’imposta sul valore aggiunto.
Tale imprecisione, segnalata dal ricorrente, non incide sulla tenuta della sentenza impugnata, atteso che il reato sopra indicato rientra negli altri parametri richiesti dalla L. n. 69 del 2005, art. 7, comma 2 in quanto è punito con la pena della reclusione, che nel massimo arriva fino a tre anni.
3.3. Il ricorrente contesta che possa essere ammessa la consegna per un reato che, come quello oggetto del procedimento davanti alla autorità giudiziaria tedesca, preveda la punibilità con pena alternativa e, inoltre, consenta in concreto l’irrogazione di una pena detentiva anche inferiore ai dodici mesi richiesti dal citato art. 7, comma 3.
Si osserva che ai fini della verifica dei limiti edittali si deve avere riguardo non alla pena che in concreto sarà applicata, ma alla c.d. punibilità in astratto, che nel caso di specie, con riferimento alle soglie, deve ritenersi integrata ogni qualvolta lo Stato richiedente preveda per il reato oggetto della richiesta di consegna una pena che nel massimo non sia inferiore a dodici mesi.
Si tratta di una scelta del legislatore italiano, che ancora una volta non trova agganci nella decisione quadro, ma che si giustifica con la ritenuta esigenza di individuare quelle condotte che abbiano, astrattamente, un certo grado di disvalore penale negli ordinamenti degli Stati membri, escludendo la consegna per i ed. reati minori.
Peraltro, se la valutazione della punibilità deve essere compiuta in astratto ne consegue che la circostanza che il reato in questione sia punito in via alternativa, con la pena detentiva fino a cinque anni o con la multa, non rileva ai fini del controllo sulla tipologia della pena, in quanto per l’art. 7, comma 3 cit. è sufficiente che la legislazione dello Stato emittente preveda, comunque, una pena detentiva la cui durata massima non sia inferiore a dodici mesi.
3.4. Del tutto infondato è anche il motivo con cui si deduce la violazione della L. n. 69 del 2005, art. 1, comma 3 in relazione alla mancata sottoscrizione del m.a.e. da parte di un giudice.
La richiamata disposizione nel richiedere la sottoscrizione di un giudice non si riferisce al m.a.e., come erroneamente sostenuto dal ricorrente, ma al provvedimento cautelare in base al quale il mandato stesso è stato emesso: nella specie, è in atti il mandato d’arresto emesso dalla Pretura di Amburgo in data 24 agosto 2005, regolarmente sottoscritto dal giudice Reinke.
La garanzia individuata dall’art. 1, comma 3 cit. non riguarda l’atto con cui si richiede allo Stato membro la consegna, ma si rivolge direttamente al provvedimento con cui si limita la libertà di una persona, si tratta, cioè, di una garanzia sostanziale che ha ad oggetto il presupposto stesso del m.a.e., che deve avere natura gjurisdizionale. In questa procedura la vera garanzia della libertà della persona non sta nel fatto che sia un’autorità giurisdizionale ad emettere il m.a.e., ma che il mandato trovi il suo fondamento in un provvedimento di un giudice.
Del resto l’art. 6 della decisione quadro rimette al singolo Stato membro la determinazione dell’autorità giudiziaria competente ad emettere (o ad eseguire) un mandato d’arresto europeo e la stessa legge di attuazione italiana, per quanto riguarda la procedura attiva di consegna, prevede alcune ipotesi in cui competente ad emettere il m.a.e. sia il pubblico ministero (L. n. 69 del 2005, art. 28).
In sostanza, deve escludersi la dedotta violazione di legge con riferimento al fatto che a sottoscrivere il m.a.e. sia stato il Procuratore di Stato di Amburgo.
3.5. Allo stesso modo deve ritenersi manifestamente infondata la questione di costituzionalità sollevata dal ricorrente, secondo cui sarebbe in contrasto con l’art. 3 Cost. e art. 13 Cost., comma 2, art. 3 Cost. la disposizione di cui alla L. n. 69 del 2005, art. 1, comma 3 qualora dovesse essere interpretata nel senso che si è detto, escludendo, cioè, la necessità che il M.A.E. sia sottoscritto da un giudice.
Nella procedura di consegna passiva prevista nel nostro ordinamento, la tutela della libertà della persona richiesta è assicurata dall’intervento della corte d’appello ed infatti l’art. 5 prevede che la consegna di un imputato (o di un condannato) non potrà essere concessa senza la decisione favorevole di questo giudice. E’ sulla base di questa garanzia giurisdizionale che si fonda la procedura passiva di consegna, nel pieno rispetto delle norme costituzionali invocate dal ricorrente. A questa garanzia si aggiunge l’altra norma di tutela, rappresentata dall’art. 1, comma 3, che vuole che alla base della richiesta dello Stato emittente vi sia un provvedimento coercitivo che abbia natura giurisdizionale (sottoscritto da un giudice).
3.6. Infondati sono anche i motivi con i quali si assume la omessa motivazione del M.a.e. e la insussistenza dei gravi indizi.
In tema di riconoscibilità del presupposto dei gravi indizi di colpevolezza la giurisprudenza di questa Corte ha stabilito che l’autorità giudiziaria italiana deve limitarsi "a verificare che il mandato sia, per il suo contenuto intrinseco o per gli elementi raccolti in sede investigativa, fondato su un compendio indiziario che l’autorità giudiziaria emittente ha ritenuto seriamente evocativo di un fatto reato commesso dalla persona di cui si chiede la consegna", precisando che il presupposto della motivazione del M.A.E. cui è subordinato l’accoglimento della domanda di consegna "non può essere strettamente parametrato alla nozione ricavabile dalla tradizione giuridica italiana", essendo sufficiente rilevare che "l’autorità giudiziaria di emissione dia ragione del mandato di arresto", anche attraverso la puntuale allegazione delle evidenze fattuali a carico della persona di cui si chiede la consegna, in ciò realizzandosi il "controllo sufficiente" richiesto all’autorità giudiziaria di esecuzione dalla decisione-quadro, nel punto n. 8 delle premesse (cfr., Sez. 6^, 23 settembre 2005, n. 34355, Ilie Petre).
Nella specie la Corte d’appello ha fatto corretta applicazione di tali principi, ritenendo sussistenti i gravi indizi di colpevolezza a carico del P.. Infatti, dal m.a.e. e dal mandato d’arresto emesso dalla Pretura di Amburgo, allegato in atti, risulta che l’indiziato, in qualità di amministratore della ditta Pi.Ro trading, ha evaso l’imposta generale sull’entrata dal marzo 2004 al gennaio 2005, per un totale di oltre tremilioni di Euro, e che le fonti indiziarie sono rappresentate dalla documentazione acquisita, riportata nel mandato di arresto del 24 agosto 2005, relativa al volume di affari sviluppato nel periodo preso in considerazione e risultante dalle stesse fatture rilasciate dalla ditta Pi.Ro, nonchè dalle dichiarazioni dei testimoni P., V., L. e K..
Tenendo conto che i procedimenti per reati fiscali sono prevalentemente basati su prove documentali gli elementi indiziari evidenziati appaiono ampiamente idonei a sorreggere la richiesta di consegna.
3.7. Manifestamente infondati sono i motivi con cui si deduce la violazione della L. n. 69 del 2005, art. 6, commi 3 e 4.
Contrariamente a quanto dedotto dal ricorrente, il provvedimento restrittivo della libertà (mandato di arresto della Pretura di Amburgo) che ha dato origine alla richiesta è stato regolarmente acquisito agli atti, sulla base di una richiesta formulata ai sensi dell’art. 6, comma 5, Legge cit. ed è stato preso in ampia considerazione dalla Corte d’appello nella sua decisione.
Per quanto riguarda la relazione sui fatti addebitati all’indagato, che secondo la previsione di cui all’art. 6, comma 4, lett. a) Legge cit. deve essere allegata al mandato d’arresto, si rileva che nella specie la sua omessa trasmissione non determina alcuna conseguenza di carattere processuale. Infatti, il provvedimento di diniego alla consegna previsto dal citato art. 6, comma 6 può derivare solo nel caso in cui lo Stato emittente non dia corso alla richiesta di integrazione formulata dalla Corte d’appello tramite il Ministro della giustizia ex art. 6, comma 5, Legge cit.: ma in questo caso non vi è mai stata alcuna richiesta di acquisizione della relazione.
Inoltre, deve rilevarsi che il mandato d’arresto emesso dalla Pretura di Amburgo contiene tutte le informazioni relative ai fatti addebitati al P., con riferimento alle fonti di prova, al tempo e al luogo dei commessi reati, nonchè alla qualificazione giuridica degli stessi, per cui ben può essere considerato atto equipollente alla relazione, con conseguente irrilevanza, anche sotto questo profilo, della sua mancata allegazione al M.A.E..
3.8. Con l’ultimo motivo il ricorrente ha censurato la sentenza della Corte d’appello per non aver rifiutato la consegna nonostante la legislazione tedesca non preveda i limiti massimi di carcerazione preventiva.
Al riguardo si osserva che è errato il presupposto di partenza delle argomentazioni addotte, in quanto la Germania conosce un sistema processuale in cui è previsto un limite massimo di custodia cautelare (sei mesi), con possibilità di eventuali proroghe e di periodici controlli a tempi brevi – entro tre mesi -, sistema che comunque assicura un automatico effetto di cessazione della misura determinato dalla scadenza dei termini ovvero dalla mancanza dei controlli.
Sulla questione sono intervenute di recente le Sezioni unite di questa Corte, proprio con riferimento ad un caso che riguardava una richiesta di consegna proveniente dalla Repubblica Federale di Germania, affermando che la disciplina processuale tedesca "appare rispettare sia la lettera sia lo spirito della disposizione contenuta nella L. n. 69 del 2005, art. 18, comma 1, lett. e)" (Sez. un., 30 gennaio 2007, n. 4614, Ramoci).
Secondo l’art. 121 c.p.p., comma 1, tedesco la custodia cautelare in carcere non può superare i sei mesi e tale termine viene considerato un limite massimo alla cui scadenza si produce automaticamente l’effetto della liberazione dell’imputato (art. 121, comma 2 cit.);
è prevista la possibilità di proroghe della durata della custodia, ma per periodi non superiori a tre mesi, in presenza di presupposti determinati (complessità e vastità delle indagini ovvero altro grave motivo che non consentano di pronunciare una sentenza) e di controlli periodici ad ogni scadenza.
Quindi, il sistema prescelto dall’ordinamento tedesco non si pone in contrasto con la normativa italiana sul M.A.E., in quanto anch’esso prevede termini massimi di carcerazione preventiva, non dovendo intendersi il termine "massimo" come equivalente di "assoluto", ma dovendo avere riferimento al fatto che, anche in assenza di una disposizione che fissi formalmente la durata massima della custodia cautelare, vi sia un meccanismo che alla fine preveda un automatico effetto liberatorio alla scadenza del termine, anche se oggetto di più proroghe, tenendo presente l’esistenza "di una prassi, collegabile a precisi dettami costituzionali, che di fatto contiene comunque in tempi ridotti la durata complessiva della custodia cautelare ante judicium" (in questi termini, Sez. un., 30 gennaio 2007, n. 4614, Ramoci).
4. Alla declaratoria di infondatezza dei motivi consegue il rigetto del ricorso, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
La conferma della sentenza impugnata comporta la consegna di P. R. allo Stato richiedente, consegna che, trattandosi di cittadino italiano, è subordinata alla condizione, L. n. 69 del 2005, ex art. 19, comma 1, lett. c) che dopo il processo, in caso di condanna, sia rinviato in Italia per scontarvi la pena.
La Cancelleria provvederà alle comunicazioni di cui alla L. n. 69 del 2005, art. 22, comma 5.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui alla L. n. 69 del 2005, art. 22, comma 5.
Motivazione riservata.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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