Cons. Stato Sez. III, Sent., 06-09-2011, n. 5018 Contratto di appalto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con due distinti ricorsi, proposti dinanzi al TAR Campania, la società S. s.r.l., seconda classificata nella procedura ristretta bandita dalla s.p.a. S. (Società Regionale per la Sanità) per la fornitura di "dispositivi e stent per emodinamica" relativamente ai lotti n.23 (catetere per PTCA per occlusioni totali 1,0 mm.) e n.111 (test e apparecchiatura per il monitoraggio della terapia antiaggregante), da aggiudicare con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa (il primo), e con il criterio del prezzo più basso (il secondo), ha impugnato gli atti della procedura con i quali la fornitura per i due lotti è stata aggiudicata alla società CID s.p.a..

Questi i motivi di gravame dedotti dalla ricorrente S.:

1) la soc. CID non ha dichiarato il possesso dei requisiti previsti dall’art. 38, 1° comma, lett. b), mter) e c) del d.lgs. n. 163/2006 con riferimento al sig. G. S., presidente del consiglio di amministrazione munito dei poteri di rappresentanza, in carica al momento della fase di prequalifica e di presentazione delle offerte;

2) i prodotti offerti dalla CID, sia per il lotto 23 che per il lotto 111, non sarebbero conformi alle specifiche tecniche previste dal capitolato.

La soc. CID proponeva ricorso incidentale impugnando la clausola del disciplinare di gara che prevedeva l’esclusione a causa della omessa presentazione da parte dei candidati di una dichiarazione attestante il possesso dei requisiti.

Con sentenza in forma semplificata 18 marzo 2011, n.1544 il TAR adito respingeva i ricorsi incidentali e accoglieva i ricorsi principali, avendo ritenuto:

– che "la prescrizione impugnata deve ritenersi ragionevole, proporzionata e non discriminatoria in quanto, a fronte di una formalità che può essere adempiuta dagli interessati con un minimo di diligenza, mira ad accelerare la procedura di gara e a garantirne la regolarità (C.S. VI 19 maggio 2010, n. 3158)";

– che "l’art. 38 d.lgs. n. 163/2006, nella parte in cui prevede la sussistenza dei requisiti di moralità per le società di capitali con riferimento agli "amministratori muniti di poteri di rappresentanza", comporta che coloro i quali rivestono cariche societarie, alle quali sia istituzionalmente connesso il possesso di poteri rappresentativi, sono in ogni caso tenuti a rendere la dichiarazione in questione, senza che possa avere alcuna rilevanza l’eventuale ripartizione interna di compiti e deleghe (C.S. IV 3 dicembre 2010, n. 8535)";

– che sono invece fondate e assorbenti le censure proposte dalla ricorrente principale contro l’ammissione alla gara di CID per quanto concerne la omessa dichiarazione dei requisiti con riferimento al soggetto che all’epoca ricopriva la carica di presidente del consiglio di amministrazione.

Nei riguardi della anzidetta pronuncia CID ha interposto appello deducendo i seguenti motivi di gravame:

1) la sentenza del TAR è erronea nella parte in cui ha disatteso il ricorso incidentale con riguardo alla clausola di cui all’art. 1, punto 3 del Disciplinare, in quanto la mancata dichiarazione circa i requisiti di cui all’art.38 del D.Lgs. n.163/2006 non può essere sanzionata con l’esclusione dalla gara in caso di effettiva sussistenza dei requisiti;

2) la statuizione del TAR, nell’assegnare rilievo escludente al mero dato formale della omessa dichiarazione, si pone in contrasto con il più recente orientamento giurisprudenziale;

3) gli amministratori muniti del potere di rappresentanza, tenuti a rendere la dichiarazione ex art. 38, sono coloro che oltre a rappresentare la società, hanno anche "poteri di gestione", cioè che determinino le scelte all’interno dell’impresa, in altri termini, che abbiano un significativo ruolo decisionale e gestionale. Tale non è il presidente del consiglio di amministrazione della società CID (ing.Saporiti), poiché dalla visura della società risulta che "tutti i poteri di ordinaria e straordinaria amministrazione, da esercitare con firma libera e nell’interesse della società" erano attribuiti all’amministratore delegato ing. Franco Vallana.

Si è costituita in giudizio S., la quale ha rappresento che S.. con provvedimento 21.4.2011, n. 41 ha annullato in via di autotutela le aggiudicazioni in favore di CID, anche rispetto ad altri lotti, ritenendo che la stessa non potesse essere ammessa alla gara; ed ha aggiudicato a S. il lotto 23, mentre ha ritenuto non conveniente aggiudicare il lotto 111. In relazione a questi fatti sopravvenuti ha eccepito la improcedibilità o inammissibilità dell’atto di appello per non aver impugnato la determinazione n. 41/2011.

S. ha poi contestato la fondatezza dei motivi di appello e riproposto i motivi del ricorso introduttivo relativi alla non conformità dei prodotti offerti da CID rispetto alla lex specialis.

Con successiva memoria CID ha ribadito e ulteriormente illustrato le proprie tesi difensive.

Alla pubblica udienza del 15 luglio 2011 la causa è stata trattenuta in decisione.

Motivi della decisione

In via preliminare deve essere disattesa la eccezione di improcedibilità dell’atto di appello sollevata dalla difesa di S. nell’assunto che la mancata impugnativa del provvedimento con cui la stazione appellante ha annullato in via di autotutela tutte le aggiudicazioni degli appalti in favore di CID non farebbe conseguire alcuna utilità a quest’ultima da un eventuale accoglimento dell’appello.

Al riguardo giova infatti osservare che il provvedimento anzidetto (id est: la determinazione di S.. del 21.4.2011, n. 41) è stato assunto in dichiarata osservanza della sentenza di primo grado che escludeva la odierna appellante dalla partecipazione alla gara; sì che, in caso di accoglimento del presente gravame la stazione appaltante dovrebbe adottare tutti i necessari atti consequenziali onde adeguarsi alla pronuncia di annullamento del provvedimento di esclusione.

Nel merito l’appello è però infondato.

Secondo quanto esposto nella narrativa del fatto, in accoglimento del ricorso proposto da S., il TAR ha annullato l’aggiudicazione dell’appalto in favore di C. per non avere quest’ultima dichiarato, secondo quanto prescritto dal disciplinare di gara, il possesso dei requisiti previsti dall’art. 38, comma 1, lett. b), mter) del d.lgs. n. 163 /2006 con riferimento al sig. G. S., presidente del consiglio di amministrazione.

Tutti gli argomenti sviluppati nell’atto di appello per contrastare le conclusioni cui è pervenuto il giudice di prime cure sono privi di pregio.

Va intanto osservato che, contrariamente a quanto sostenuto dall’appellante, la clausola del disciplinare era chiara nel comminare l’esclusione dalla gara in caso di omessa dichiarazione circa il possesso dei requisiti di cui all’art. 38.

Il disciplinare di gara, all’art. 1 "Modalità di partecipazione" così esordiva:

"Tutta la documentazione di seguito descritta, pena l’esclusione dalla gara, deve pervenire…"

E tra le dichiarazioni facenti parte della documentazione da allegare alla domanda, lo stesso art.1 del disciplinare indicava:

"dichiarazione, sottoscritta, a pena di esclusione, con firma leggibile da parte dei seguenti soggetti:…* in caso di altre società o consorzi: tutti gli amministratori muniti di potere di rappresentanza ed eventuale direttore tecnico, attestante: a) di non trovarsi nelle condizioni previste dall’art. 38, comma 1, lettere b) mter) e c) del d.lgs. n.163/2006…".

Al riguardo non merita condivisione la tesi dell’appellante secondo cui la comminatoria di esclusione si riferirebbe unicamente alla mancata sottoscrizione della dichiarazione e non anche alla assenza totale della dichiarazione, giacchè, a prescindere dalla considerazione che non avrebbe molto senso specificare la comminatoria di esclusione in un caso in cui la dichiarazione per il fatto di non essere sottoscritta è "tamquam non esset", sarebbe contraria ad ogni principio di logica non sanzionare con la esclusione dalla gara la fattispecie più grave (e cioè quella della assenza totale della dichiarazione).

Non può essere poi seguita la impostazione dell’appellante quando oppone che l’interpretazione data alla clausola del disciplinare dal primo giudice sarebbe in contrasto con le previsioni contenute nell’art. 38.

Sul punto il Collegio deve infatti rilevare che nella giurisprudenza di questo Consiglio si riscontrano due orientamenti antitetici sulla portata precettiva dell’art. 38: l’uno ("sostanzialistico") che non ritiene preclusiva della partecipazione alla gara la omissione delle dichiarazioni relative al possesso dei requisiti di moralità, purché il soggetto possieda di fatto tali requisiti, nella considerazione che l’esclusione non corrisponderebbe ad alcun effettivo interesse pubblico; l’altro che, proponendosi di assicurare la verifica sulla affidabilità dei soggetti partecipanti fin dalla fase iniziale della gara, sanziona con la esclusione la omessa dichiarazione anche se il soggetto risulti in possesso dei requisiti prescritti. E’ però orientamento dominante nella stessa giurisprudenza che la disciplina del procedimento di gara rientra nella discrezionalità della stazione appaltante, fatto salvo il sindacato di legittimità nel caso di manifesta illogicità, ingiustizia o sproporzione delle clausole del bando, come ha stabilito la sentenza quivi appellata.

E la clausola in questione, oltre a non essere in conflitto con le previsioni dell’art.38, appare anche ragionevole sia perché si tratta di formalità che può essere adempiuta con un minimo di diligenza, sia perché "l’esigenza di ordinato svolgimento della gara e di opportuna trasparenza richiedono di anticipare al momento della presentazione della offerta la dichiarazione del possesso dei prescritti requisiti" (così Cons. St. III, 3 marzo 2011, n.1371; cfr. anche Cons. St. VI, 19 maggio 2010, n. 3158).

Per concludere sul punto, è dunque infondato il motivo di censura con il quale è stata contestata la esclusione dalla gara di CID come conseguenza della mancata dichiarazione ex art. 38.

Si può passare all’esame dell’ulteriore profilo di gravame volto ad escludere che nella fattispecie il presidente del consiglio di amministrazione di CID fosse tenuto a siffatta dichiarazione, per la considerazione che tenuto alla dichiarazione sarebbe soltanto l’amministratore dotato, oltre che dei poteri di rappresentanza, anche dei "poteri di gestione dell’impresa".

Ma in proposito la giurisprudenza di questo Consiglio -che la Sezione condivide- ha più volte ribadito che il primo criterio da seguire per l’individuazione dei soggetti obbligati alla dichiarazione ex art.38 è costituito dalla "riconoscibilità ed ufficialità del potere della persona fisica di trasferire direttamente, al soggetto rappresentato, gli effetti del proprio operare"; e che pertanto debbono considerarsi destinatari degli obblighi posti dalla anzidetta disposizione tutti i soggetti che essendo titolari del potere di rappresentanza della persona giuridica "sono comunque in grado di trasmettere, con il proprio comportamento, la riprovazione dell’ordinamento nei riguardi della loro personale condotta, al soggetto rappresentato" (così Cons.St. V, 15 gennaio 2008, n. 36 e Cons. St. IV, 1 aprile 2011, n. 2068).

Non essendo in discussione che il presidente del consiglio di amministrazione della società appellante fosse munito dei poteri di rappresentanza della società, è pertanto infondata anche l’ulteriore censura dedotta nei confronti della sentenza impugnata.

Per quanto suesposto l’appello in esame deve essere respinto.

Sussistono giusti motivi per compensare le spese processuali del presente grado di giudizio tra le parti in causa.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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