Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 30-06-2011) 01-08-2011, n. 30428

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con ordinanza 23.11.2010, emessa ex art. 310 c.p.p., il tribunale di Milano ha rigettato l’appello proposto nell’interesse di C. U.W.G., avverso l’ordinanza 22.9.2010 della corte di appello della stessa sede, con la quale è stata dichiarata l’inammissibilità, per giudicato cautelare, dell’istanza di dichiarazione di perdita di efficacia del provvedimento applicativo della custodia in carcere, per decorrenza del termine massimo di fase, ex art. 303 c.p.p., n. 3, comma 1, lett. a). Il Gip aveva emesso, a seguito di mancata esecuzione dell’ordinanza cautelare per irreperibilità dell’indagato, mandato di arresto Europeo, che era stato notificato, nel febbraio del 2007, al C., detenuto in Francia per espiazione pena e il giudice aveva disposto la sua consegna all’A.G. italiana, a seguito del completamento dell’espiazione, con provvedimento 28.11.08, eseguito il 22.12.08.

All’udienza preliminare 29.6.09, il gip emetteva ordinanza di rigetto delle richieste di declaratoria di inefficacia della misura, ex art. 306 c.p.p., in relazione alla L. n. 69 del 2005, art. 33, comma 5, e art. 303 c.p.p., comma 4, presentate nell’interesse del C. e del coindagato R. e il tribunale del riesame rigettava, ex art. 310 c.p.p., entrambe le impugnazioni, sostenendo che, se la sentenza n. 143/2008 Corte. cost. aveva reso possibile il computo nel termine di fase del periodo cautelare sofferto all’estero in esecuzione del M.A.E., non è prevista la commutabilità del periodo trascorso in detenzione, in espiazione di una pena ivi inflitta; tale compatibilita deve escludersi in via interpretativa, ritenendosi sospesa l’efficacia del titolo custodiate che ha dato origine al M.A.E., sino a che la pena inflitta dallo Stato estero che per tale ragione ha rinviato la consegna non sia stata espiata. Avverso queste ordinanze del tribunale, veniva presentato ricorso per cassazione, che veniva rigettato, quanto al C. con provvedimento 20.1.2010, affermando che il termine di custodia cautelare decorre dal momento in cui lo Stato estero mette la persona a disposizione dell’A.G. richiedente. Nel caso di specie, il C. non era a disposizione dello Stato italiano, tanto che è stato estradato solo a pena espiata.

Il ricorso presentato nell’interesse di R. otteneva la dichiarazione di nullità dell’ordinanza con rinvio, sancendo un principio contrario, secondo cui i termini di fase hanno iniziato a decorrere dalla notifica del M.A.E. e l’espiazione della pena e la custodia cautelare sono compatibili, per cui non va esclusa la contemporanea decorrenza, secondo il principio desumibile dall’art. 297 c.p.p., comma 5, e art. 298 c.p.p..

Il tribunale del riesame, conformandosi, con ordinanza 13.7.2010, dichiarava la perdita di efficacia della misura, disponendo la liberazione dell’indagato.

La corte di appello, con ordinanza 22.9.2010, dichiarava inammissibile l’istanza di declaratoria di perdita di efficacia della misura cautelare applicata al C., per essersi formato, a seguito dell’ordinanza 20.1.2010 della S.C., il giudicato cautelare e il tribunale del riesame con provvedimento 23.11.2010, ha confermato l’ordinanza suddetta. Il difensore del C. ha presentato ricorso per i seguenti motivi:

1. violazione di legge in riferimento all’art. 587 c.p.p., in quanto il tribunale ha ritenuto inapplicabile l’effetto estensivo alla posizione del C. della pronuncia più favorevole resa sullo stesso quesito dalla S.C. in relazione alla identica posizione dei coimputato, per essersi formato nei confronti del primo il giudicato cautelare. La prima sezione della Cassazione, in accoglimento del ricorso presentato nell’interesse del R., con decisione 17.3.2010, ha affermato che le pronunce della Cassazione, secondo cui il termine di custodia cautelare, nella procedura attiva di consegna, decorre dal momento in cui lo Stato estero mette a disposizione dell’A.G. richiedente la persona richiesta, sono anteriori alle sentenza della Corte costituzionale n. 143 del 16.5.2008. La sentenza citata dal tribunale del riesame è relativa a un caso di procedura passiva di consegna. I termini di fase della custodia cautelare, giusta sentenza della Corte costituzionale, hanno inizio a decorrere dalla notifica del M.A.E..

Posto che la contemporanea esecuzione della pena e la custodia cautelare sono compatibili, non c’è ragione di escludere la loro contemporanea decorrenza, secondo il principio generale desumibile dall’art. 297 c.p.p., comma 5, e art. 298 c.p.p.

La ordinanza di inammissibilità del gravame, emessa dalla corte di appello, per giudicato cautelare, è errata, in quanto andava riconosciuto l’effetto estensivo, ex art. 587 c.p.p., secondo cui, nel caso di concorso di più persone in uno stesso reato, l’impugnazione proposta da uno degli imputati, purchè non fondata su motivi esclusivamente personali, giova anche agli altri imputatati.

Va conseguentemente annullata l’ordinanza 23.11.2010 del tribunale del riesame che ha confermato l’ordinanza della corte di appello, affermando che l’effetto estensivo, ex art. 587 c.p.p., invocato dalla difesa non è applicabile.

Il ricorrente chiede:

1. A fronte del contrasto tre le decisioni 20.1.2010 e 17.3.2010 della stessa sezione della S.C., che la questione sia rimessa alle sezioni unite.

2. Annullare l’ordinanza del tribunale del riesame che ha confermato la dichiarazione di inammissibilità della corte di appello, ritenendo erroneamente che si sia formato per C. il giudicato cautelare, che impedirebbe l’effetto estensivo, ex art. 587 c.p.p., in favore dello stesso C., della pronuncia favorevole di identica questione decisa in favore del coimputato R..

Il ricorso merita accoglimento, in riferimento alla richiesta sub 2, per la fondatezza di alcune censure, da inquadrare in un più ampio quadro normativo, rendendo allo stato non necessario investire della questione interpretativa le Sezioni Unite.

L’esame della questione deve partire dall’analisi della sentenza della Suprema Corte n. 21056, emessa il 17.3 2010, in ordine al coindagato R.V.M.A., la cui posizione risulta identica a quella del C..

Come è noto, in ordine al ricorrente C., la stessa sezione, con precedente sentenza n. 11496 del 20.1.2010, aveva affermato che il termine della custodia cautelare decorre dal momento in cui lo Stato estero mette la persona richiesta a disposizione dell’autorità richiedente. Con la decisione n. 21056/10, invece, la medesima sezione ha adottato un’interpretazione della medesima disciplina, favorevole al R., ritenendola doverosa, alla luce della sentenza n. 143/08 della Corte costituzionale, che ha dichiarato costituzionalmente illegittima la L. n. 69 del 2005, art. 33, nella parte in cui non prevede che la custodia cautelare sofferta all’estero, in esecuzione del mandato di arresto Europeo, sia computata (oltre che agli effetti della durata dei termini complessivi) anche agli effetti della durata dei termini di fase, ex art. 303 c.p.p., commi 1, 2, 3. Richiamato questo principio, in base al quale i termini di fase cominciano a decorrere comunque dalla notifica del M.A.E., la sentenza della sez. 1^ della Cassazione, preso atto che il R. stava espiando la pena detentiva inflitta dall’autorità giudiziaria francese, ha affermato la compatibilità tra la espiazione della pena e la custodia cautelare e ha concluso per la loro contemporanea decorrenza. Dovendosi quindi ritenere trascorso il termine di fase, la corte ha dichiarato la nullità dell’ordinanza che aveva rigettato l’istanza di scarcerazione negando il trascorrere del termine. Le argomentazioni di questa sentenza, emessa nei confronti del R., sono condivisibili e va inoltre rilevata la presenza, nella parte motiva, di un’affermazione di indubbia rilevanza anche nell’analisi del ricorso presentato nell’interesse del C..

Si legge, infatti, nella sentenza della S.C., che il principio interpretativo seguito nel procedimento incidentale relativo alla posizione di quel ricorrente, vada esteso al C.U. "Ciò va precisato anche in riferimento a precedenti pronunce di segno contrario, anche recenti, di questa stessa sezione della Corte (v.

C.U. del 20.1.2010)".

Questo drastico mutamento di indirizzo interpretativo così fortemente sottolineato dalla sua stessa fonte pone il problema della estensibilità o meno degli effetti favorevoli della decisione cautelare relativa al R. al C., la cui posizione processuale è identica a quella del primo.

Il diseguale trattamento della libertà personale dei due indagati non è stata negata dal tribunale del riesame, che ha superato il problema invocando il principio del giudicato cautelare, reso operativo, nel caso in esame, dalla sentenza n. 11496 del 20.1.2010, che, come già rilevato, ha risolto, in maniera negativa per C., una questione di natura processuale priva di valenza soggettiva limitata al medesimo e uguale a quella del coindagato.

A questo punto, merita una breve riflessione questo tema del giudicato cautelare, rilevando che:

1. costituisce una figura concettuale, normativamente non prevista, ma espressa dalla giurisprudenza, intendendola come preclusione di natura endoprocessuale, fondata sul principio del ne bis in idem e come funzionale alla "esigenza di evitare un’illimitata reiterazione di provvedimenti o di richieste di revoca, incompatibile con l’economia processuale " (S.U. n. 20 del 12.10.1993, rv 195353).

Siamo quindi al di fuori della ratio storica e culturale della regola fondamentale dell’art. 649 c.p.p., quale espressione del metodo accusatorio, che impone forme e tempi esatti per l’accusa e per il giudice; comunque risolto, il caso è chiuso (salvi rimedi straordinari in bonam partem). Come insegna autorevole dottrina, questo metodo si differenzia da quello inquisitorio classico, per cui ogni conclusione è perfettibile: essendo il diritto penale affare terapeutico, è esclusa la res iudicata, con i relativi effetti preclusivi. L’absolutus ab observatione iudicii rimane perseguibile.

2. l’efficacia preclusiva, nel giudicato cautelare, può essere esclusa soltanto in presenza di un fatto nuovo, nel cui ambito non è stato sinora riconosciuta dalla giurisprudenza il mero sopravvenire di una sentenza della corte di cassazione che esprima un indirizzo giurisprudenziale minoritario, diverso da quello seguito dall’ordinanza che ha deciso la questione controversa (S.U. n. 14535 del 19.12.2006; sez. II, n. 1180 del 26.11.2008). L’indirizzo minoritario può essere rappresentato, nel caso in esame, da sez. 5^, n. 21344 del 23.4.2002, rv 221925, secondo cui in tema di giudicato cautelare, può costituire fatto nuovo, idoneo a modificare il quadro indiziario, già a suo tempo valutato, e legittimare istanza di revoca della misura, il fatto che, nell’ambito dello stesso procedimento, un altro indagato o imputato abbia ottenuto una decisione favorevole, specie se questa sia stata dovuta ad un sopravvenuto mutamento della giurisprudenza di legittimità, attraverso una decisione delle Sezioni Unite.

Più recentemente, questo orientamento ha ricevuto nuovo rilievo, grazie alla sentenza delle Sezioni Unite (n. 18288 del 21.1.2010, rv 246651), in tema di giudicato esecutivo (questo è disciplinato dalla specifica norma dell’art. 666 c.p.p., comma 2).

La decisione ha ritenuto che possa rientrare nel concetto dì fatto nuovo un nuovo elemento di diritto costituito da una decisione delle S.U. La Corte ha precisato che la soluzione adottata era stata imposta dalla necessità di garantire il rispetto dei diritti fondamentali della persona, in linea con i principi della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo, il cui art. 7, come interpretato dalle Corti Europee, include nel concetto di legalità sia il diritto di produzione legislativa, sia quello di derivazione giurisprudenziale.

Questo orientamento, che pone dei condivisibili limiti alla preclusione di proporre istanze dirette a ottenere la tutela di diritti fondamentali (tra cui è pacificamente da includere il diritto alla libertà personale), non è applicabile nel caso di specie. La sentenza n. 21056/2010, pur con il suo forte spessore di innovazione, in favore della libertà personale dell’indagato, non può essere direttamente assimilata a una decisione del massimo organo del giudizio di legittimità. Comunque, anche se non classificabile,secondo la prevalente giurisprudenza di legittimità, come fatto nuovo, la decisione n. 21056 ha una ineludibile rilevanza per la corretta decisione del ricorso.

Essa si èposta in linea con il principio della corte costituzionale, fissato dalla sentenza n. 143/2008, e la estensione del suo criterio interpretativo conforme alla legalità costituzionale trova paradossalmente ostacolo in una sentenza, foriera della preclusione del giudicato cautelare pur se emessa al di fuori della linea interpretativa conforme alla legalità costituzionale.

Questo irrazionale paradosso può essere superato riconoscendo l’effetto estensivo dell’esito dell’impugnazione del R., non solo in nome della legalità costituzionale della decisione, ma anche in nome del principio di uguaglianza ex art. 3 Cost., che condiziona un trattamento diseguale a soggetti e in situazioni uguali alla presenza di una ragionevole giustificazione. E’ bene ribadire che il principio di uguaglianza, come interpretato dal giudice delle leggi, "include nel concetto di legalità sia il diritto di produzione legislativa sia quello di derivazione giurisprudenziale" (v. S.U. n. 18288/2010), tanto più nel campo della libertà personale costituzionalmente garantita.

Nel contesto normativo cosi delineato, appare priva di ragionevole giustificazione un’interpretazione, che, nel confronto tra garanzia dell’economia processuale e garanzia della liberta personale dell’indagato C.U., dia prevalenza alla prima.

Va quindi riconosciuto effetto estensivo al criterio interpretativo, secondo cui, riconosciuto che i termini di fase cominciano a decorrere comunque dalla notifica del M.A.E. e preso atto della compatibilità tra la espiazione della pena inflitta dall’autorità giudiziaria francese e la custodia cautelare, imposta dall’autorità giudiziaria italiana, deve ritenersi, in virtù della loro contemporanea decorrenza, trascorso il termine di fase della custodia cautelare.

La frammentazione del procedimento incidentale non può generare un limite all’estensione dell’effetto favorevole di una decisione, quando questa abbia fondamento nell’interpretazione di una norma processuale conforme ai principi di legittimità ordinaria e costituzionale: questa interpretazione non può non accomunare e coinvolgere tutti gli indagati titolare di un uguale condizione processuale (su un equivalente, anche se opposta, ipotesi di un vizio di illegalità radicale, che non può precludere l’estensione degli effetti favorevoli della decisione cautelare a tutti i coindagati, v. sez. 5^, n. 21641 del 24.3.2001, rv 229193).

Va quindi dichiarata nullità dell’ordinanza impugnata, con rinvio per nuovo esame al tribunale di Milano.

La cancelleria provvederà alle comunicazioni ex art. 94 disp. att. c.p.p..

P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio al tribunale di Milano per nuovo esame; art. 94 disp. att. c.p.p..

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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