Cass. pen., sez. I 26-02-2007 (06-02-2007), n. 8015 Confisca dei beni sequestrati – Terzo titolare di diritti reali sui beni – Requisito della buona fede del terzo creditore originario

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con contratti 5.5.81, 21.7.81, 23.7.83 l’istituto bancario S. Paolo concedeva alla s.r.l. Sisat mutui fondiari ipotecati sul complesso immobiliare denominato (OMISSIS) sito in loc. (OMISSIS);
in data 18.2.1988 la Sisat vendeva detto complesso alla s.r.l. C.E.D.A.C., con amministratore C.L., il quale si accollava le quote dei mutui;
in data 27.7.90 l’istituto bancario pignorava i beni ipotecati nell’ambito di un’esecuzione immobiliare instaurata presso il Tribunale di Lamezia Terme;
in data 12.2.1992 la C.E.D.A.C. veniva dichiarata fallita;
in data 15.2.1993, nell’ambito della procedura per l’applicazione della misura di prevenzione personale a carico di C.L., il Tribunale di Salerno, ai sensi della L. 31 maggio 1965, n. 575, art. 2 ter, disponeva la confisca del citato complesso immobiliare, avendolo già sottoposto a sequestro in data 24.2.92, e quindi dopo il pignoramento;
in data 4.8.2000 la International Recovery s.r.l. acquistava pro soluto i crediti in sofferenza dell’istituto bancario;
con ordinanza 16.4.2004 il tribunale di Salerno, in funzione di giudice dell’esecuzione, rigettava la richiesta presentata dalla s.p.a Servizi Immobiliari Banche – S.I.B. – procuratrice speciale della cessionaria del credito – volta a far accertare, a norma degli artt. 665, 666 c.p.p., che nulla osta a che lo Stato, e per esso l’Amministrazione cui i beni sono stati devoluti, liberi i beni dalle ipoteche corrispondendo a favore della Inernational Credit s.r.l., terzo in buonafede, il credito vantato in conformità a quanto previsto dall’art. 2889 c.c., nonchè il diritto di International Credit Recovery s.r.l. a proseguire l’instaurando espropriazione forzata immobiliare al fine di soddisfare il proprio credito sugli immobili ipotecati. Il Tribunale motivava il suo rigetto sul fatto che non veniva chiesta una revoca della confisca, ma l’adozione di una pronuncia meramente dichiarativa che non costituiva materia di incidente di esecuzione;
la creditrice ipotecaria proponeva ricorso per cassazione, la quale (con sentenza della sez. 1^, 9.3-12.4.2005, n. 13413 – ric. S.I.B.) dichiarava che, in tema di misure di prevenzione e disposizioni contro la mafia, l’applicazione della confisca che determina la successione dello Stato a titolo particolare nella titolarità del bene, non comporta l’estinzione dei diritti reali di garanzia costituiti sul bene confiscato a favore dei terzi, i quali possono far valere in sede esecutiva i propri diritti, a condizione che si tratti di terzi in buona fede, che abbiano trascritto il proprio titolo anteriormente al sequestro ai fini di prevenzione, con l’onere per i terzi di provare i fatti costitutivi della pretesa che intendono far valere;
con ordinanza 30.3.2006 il tribunale di Salerno rigettava, in sede di rinvio, l’istanza riproposta dalla Credit Serving s.p.a. (già S.I.B. s.p.a.) per conto dell’International Credit Recovery s.r.l., sostenendo che non era stata data prova della buona fede in capo all’originario titolare del credito, cioè la banca erogatrice del mutuo ipotecario.
Proponeva ricorso per cassazione la Credit Serving, sempre in rappresentanza dell’International Credit Recovery, deducendo:
1) e 2) Manifesta contraddittorietà della motivazione risultante dal testo del provvedimento stesso (art. 606 c.p.p., lett. e)) e violazione di legge in riferimento alla L. n. 575 del 1965, art. 2 ter, n. 3, (art. 606 c.p.p., lett. b)). Con tali motivi la ricorrente s.p.a. lamenta essenzialmente che il tribunale avrebbe enunciato l’assunto in ragione del quale, "… per deliberare sulla buona fede di chi, come l’attuale ricorrente, sia divenuto titolare del credito e del diritto reale di garanzia attraverso una serie di trasferimenti di tali diritti, occorra fare riferimento al momento in cui fu costituita l’ipoteca; sicchè la prova da offrire non concernerebbe semplicemente la buona fede della ricorrente, ma necessariamente anche l’altrui buona fede", cioè dell’istituto che concesse l’ipoteca e acconsentì all’accollo. Ciò contrasterebbe, secondo la ricorrente, col principio civilistico di cui all’art. 1147 c.c., secondo il quale la buona fede si presume, e l’eventuale collegamento del dante causa col Cardano non può riverberarsi su chi diventa successivamente titolare in buona fede del diritto acquisito.
3) Manifesta illogicità della motivazione risultante da un atto del processo e, in ogni caso, mancanza della stessa (art. 606 c.p.p., lett. e)). Con tale motivo la ricorrente lamenta essenzialmente che non è vero che la stessa non avrebbe fornito precisi e puntuali elementi di valutazione circa l’assenza di ogni collegamento col C., nonchè circa il suo totale incolpevole affidamento ed incolpevole ignoranza circa gli ipotetici collegamenti tra il C. e la banca mutuante.
4) Manifesta illogicità della motivazione risultante dal provvedimento impugnato (art. 606 c.p.p., lett. e)). Con l’ultimo motivo la ricorrente si duole essenzialmente il giudice di merito abbia ravvisato un’inesorabile negligenza dell’aver acconsentito all’accollo del mutuo da parte di C.E.D.A.C. – C..
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il ricorso è infondato e va respinto.
Occorre prendere le mosse dalla sentenza dei giudici delle leggi (Corte Cost. 20.11.1995, n. 487) e della Suprema Corte (Cass. 1^, 11.2.2005 – ric. Fuoco e al.), i quali hanno affermato che dal coordinamento delle norme del codice civile che regolano l’ipoteca è il diritto potestativo ad essa inerente, comunemente qualificato come "ius distrahendi", con la disciplina della misura di prevenzione patrimoniale, prevista quale mezzo di repressione dell’illecita accumulazione di capitali da parte di indiziati di appartenenza ad associazioni mafiose, può trarsi un primo preciso dato normativo: quello secondo cui, ai fini dell’opponibilità del diritto di garanzia reale, non basta che l’ipoteca sia stata costituita mediante iscrizione nei registri immobiliari prima della trascrizione del sequestro L. n. 575 del 1965, ex art. 2 ter, ma è altresì richiesta l’inderogabile condizione che il creditore ipotecario si sia trovato in una situazione di buona fede e di affidamento incolpevole, dovendo individuarsi in quest’ultimo requisito la base giustificativa della tutela del terzo di fronte al provvedimento autoritativo di confisca adottato dal Giudice della prevenzione a norma della legislazione antimafia.
Questo, dunque, è quello che ha fatto il Tribunale, con motivazione coerente ed adeguata (che come tale non è suscettibile di rivisitazione in questa sede di legittimità). Nessun dubbio, dunque, che se del credito fosse rimasto titolare l’istituto bancario che aveva erogato il mutuo, la questione sarebbe già chiusa, perchè nessuna confutazione è stata mai fatta rispetto alle argomentazioni del tribunale circa la mancanza di buona fede in capo all’originario creditore ipotecario.
Sostiene, però, la ricorrente che il terzo di cui parla la Suprema Corte nella sentenza di rinvio n. 13413/05 è lei soltanto, e non l’istituto bancario originario, avendo lei acquistato in totale buona fede il credito della banca.
La doglianza è infondata, avendo il Tribunale ben preso in considerazione l’asserita buona fede della cessionaria del credito per giungere ad una negazione in proposito.
Ora, com’è noto, la cessione del credito può essere pro solvendo oppure pro soluto. La cessione del credito pro soluto, onerosa com’è avvenuto nel caso di specie, costituisce una vera e propria compravendita avente ad oggetto il credito. Da dove nasce questo credito? Dal mutuo concesso. L’inadempimento nella restituzione del mutuo ha comportato la risoluzione del contratto di mutuo, quindi l’obbligo di restituzione in capo al mutuatario, essendo il mutuante garantito per di più da ipoteca. Con la cessione pro soluto di questo credito (compravendita del credito) il cedente può ovviamente trasferire solo quello che gli compete e nulla di più: nemo plus iuris quam ipse habet transferre potest. Corollario di questa affermazione è che, a prescindere dalla sua buona o mala fede, l’acquirente non acquista quello che il cedente non è in grado di trasferirgli. Ne consegue che la banca cedente non poteva a quel punto trasferire il credito garantito dall’ipoteca in quanto, mancando la prova della sua buona fede, prevaleva ex lege il diritto dello Stato alla confisca. Dimentica cioè l’acquirente International Recovery s.r.l. che essa non può far valere un diritto che in realtà non le è stato trasferito dal suo dante causa il 4.8.2000. Che poi già in tale data entrambi i contraenti avessero quanto meno gravi dubbi in proposito è confermato dal fatto che la cessione è avvenuta pro soluto, e non pro solvendo.
Se infatti non viene dimostrato, nel procedimento di prevenzione, la buona fede del mutuante ipotecario, si verifica (dal giorno dell’iscrizione del sequestro di prevenzione, avendo la sentenza che accerta o meno la buona fede solo valore dichiarativo e non costitutivo) una modifica soggettiva dal lato del creditore originario, e questa sostituzione avviene ex lege (o per factum principis che dir si voglia). Se il creditore originario non supera l’onere della prova che su di lui gravava, l’art. 41 Cost. – secondo il quale in caso di conflitto fra iniziativa economica privata e utilità sociale, prevale la seconda – autorizza la confisca di prevenzione a travolgere l’ipoteca antecedentemente trascritta, e il credito collegato resta ovviamente privo della garanzia reale. Come il grado delle ipoteche, così come fissato dall’ordine cronologico con cui vengono iscritte presso l’Agenzia del territorio, può essere mutuato con una postergazione concordata e debitamente annotata fra le parti (art. 2843 c.c.), così la legge autorizza lo Stato (in conformità al disposto dell’art. 41 Cost.) a rendere di fatto inefficace nei suoi confronti l’ipoteca preventivamente iscritta quando colui che l’ha iscritta non dimostri di essersi trovato in una situazione di buona fede. Ciò all’evidente fine di conservare effettività alla prevenzione reale, che altrimenti sarebbe facilmente eludibile con una serie di trasferimenti fittizi e non fittizi.
Non trova posto, dunque, nella fattispecie, l’invocato disposto dell’art. 147 c.c., perchè in realtà l’istituto bancario ha ceduto un credito non più coperto da garanzia ipotecaria (rispetto alla confisca), e in proposito operano i principi propri dei contratti. Del resto la cessionaria ha acquistato i crediti della S. Paolo Imi, ivi incluse le garanzie ipotecarie, pro soluto, conoscendo entrambe le parti contrattuali l’esistenza del sequestro e della confisca in prevenzione (giusta trascrizione di questi provvedimenti), e quindi col rischio accettato che i crediti in sofferenza e i diritti connessi fossero di fatto pregiudicati dalla disposta confisca:
giustamente, dunque, il tribunale sostiene che neanche la International Recovery s.r.l. può invocare, in siffatta situazione, un affidamento incolpevole, ingenerato cioè da una oggettiva apparenza che rendesse scusabile l’eventuale ignoranza o difetto di diligenza: la ricorrente ben sapeva che era stato effettuato un sequestro di prevenzione, ed ha acquistato a rischio (pro soluto) senza aver mai nè dichiarato, nè tanto meno dimostrato, di aver fatto un qualche accertamento sulla buona fede della cedente, condizione – come si è detto all’inizio – inderogabile perchè la garanzia reale che accompagnava il credito ceduto fosse opponibile allo Stato sequestrante.
Sostiene la ricorrente – nella sua memoria integrativa, – che stante la mole dei crediti ceduti, i controlli potevano essere fatti solo a campione, per cui non le si può addebitare il fatto di non aver controllato i registri pubblici nel caso di specie. La doglianza è palesemente infondata, giacchè lo scopo dei registri pubblici è proprio quello di rendere opponibile a chicchessia una situazione esteriorizzata nelle forme prescritte.
Ovviamente la buona fede o l’incolpevole affidamento della S. Paolo Imi e della International Recovery s.r.l. operano su piani, e quindi in base a valutazioni, diversi; ma il buon nome delle società (richiamato dalla ricorrente a sostegno della propria buona fede) non basta certamente a far configurare in maniera ragionevolmente logica un affidamento incolpevole quando dai registri pubblici emergevano evidenti tracce di dubbia liceità nelle condotte del dante causa della odierna ricorrente.
Nessuna illogicità manifesta appare dunque nell’affermazione del tribunale (contestata dalla ricorrente) secondo cui la prova da offrire non riguardava solo "l’altrui buona fede" (cioè quella della S. Paolo Imi), ma anche quella della stessa ricorrente, nè il tribunale ha esorbitato dai suoi poteri di giudice del rinvio.
Al rigetto del ricorso segue l’obbligo del pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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