Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo
1. Con ordinanza del 14 dicembre 2010 il Tribunale di Catanzaro, adito ai sensi dell’art. 309 cod. proc. pen., ha respinto la richiesta di riesame proposta da G.F. detto Gino avverso l’ordinanza del 19 novembre 2010, con la quale il G.I.P. del Tribunale di Cosenza aveva applicato nei suoi confronti la misura della custodia cautelare in carcere, siccome gravemente indiziato:
– del delitto di cui al capo A) della rubrica (omicidio aggravato in danno di S.N., colpito con due colpi esplosi con un fucile da caccia calibro 12, che lo avevano attinto all’arto inferiore sinistro e nella parte alta dell’emitorace posteriore sinistro, cagionandone il decesso quasi immediato);
– del delitto di cui al capo B) della rubrica (illegale porto in luogo pubblico del fucile da caccia di cui sopra, con l’aggravante di avere commesso il fatto per eseguire il delitto che precede).
2. L’omicidio è avvenuto alle ore 23,40 circa del 26 settembre 2008 in località Pietremerine del Comune di Acri (CS); la vittima era stata colpita dall’esterno con due colpi sparati con un fucile da caccia calibro 12, mentre si trovava in piedi nella cucina della sua abitazione, posta al piano terra.
Le indagini si erano rivelate fin dall’inizio particolarmente difficili, siccome ostacolate da un fitto clima di omertà, pervicacemente inteso a proteggere il colpevole, essendo il fatto avvenuto in un piccolo centro agricolo, in un contesto fortemente condizionato da legami di parentela e di personali frequentazioni; e la vittima era notoriamente una persona che creava problemi, usando egli commettere piccoli furti in danno dei proprietari dei fondi finitimi, furti che più volte avevano creato difficoltà ai suoi più stretti parenti, presso i quali i derubati si erano più volte lamentati; ed il clima di omertà aveva coinvolto persino il maresciallo dei carabinieri G.G., vice comandante della stazione di carabinieri di Acri, avendo il medesimo inspiegabilmente restituito all’indagato, il giorno successivo al sequestro, uno dei tre fucili da caccia, pienamente compatibile con l’arma usata per il delitto, sequestratogli in quanto era l’unico dei tre in suo possesso ad essere stato di recente accuratamente pulito.
2. Il Tribunale ha rilevato la sussistenza a carico dell’indagato dei seguenti indizi di colpevolezza:
– le dichiarazioni rese da P.R., madre della vittima e testimone oculare del delitto, la quale il 4 dicembre 2009, dopo circa un anno dai fatti, aveva deciso di collaborare con gli inquirenti ed aveva indicato nell’indagato l’autore dell’omicidio;
– le dichiarazioni rese da S.E., padre della vittima, il 4 dicembre 2009; egli, sebbene non aveva assistito all’omicidio, perchè in quel momento dormiva, aveva ricevuto nell’immediatezza dei fatti le confidenze della moglie, che aveva indicato nell’indagato l’autore dell’uccisione del figlio; ed il Tribunale ha dato atto dell’evidente errore in cui il teste era incorso, per aver indicato l’indagato come S.E., quando in realtà egli intendeva riferirsi proprio all’indagato, essendo quest’ultimo l’unico della sua cerchia di conoscenze a lavorare presso il Comune di Acri;
– le dichiarazioni rese da F.G., nipote della vittima siccome figlio della sorella S.D., il quale, sentito il 4 dicembre 2009, aveva riferito che i nonni fossero a conoscenza dell’identità dell’assassino, identificato nell’odierno indagato, altresì noto col nome di G., che aveva litigato con la vittima per il furto di legna e castagne sul suo terreno;
– l’intercettazione fra presenti avvenuta all’interno dell’abitazione di F.F. e S.D., rispettivamente cognato e sorella della vittima, il 5 novembre 2009, nonchè la conversazione ambientale captata all’interno della sala d’attesa del Comando provinciale dei carabinieri di Cosenza fra M.P., C. N., S.G., S.P. e P.N., nel corso delle quali era stato espressamente indicato dai soggetti intercettati l’indagato, detto "Gino maresciallo", quale autore del gravissimo fatto di sangue; ed al riguardo il Tribunale ha ritenuto che non fosse ravvisabile nei discorsi captati alcun intento calunnatorio, tale da indurre i soggetti a dichiarare il falso;
– la circostanza che l’indagato avesse la disponibilità di un’arma perfettamente compatibile con quella usata per uccidere S. N.; e tale arma, come in precedenza riferito, era risultata perfettamente ripulita, a differenza delle altre due pure in possesso dell’indagato;
– la circostanza che, dai tabulati telefonici dell’utenza in uso all’indagato, era emerso che egli si trovasse, durante l’ora dell’omicidio, nel Comune di Acri. Il Tribunale ha ritenuto che nessun elemento a favore dell’indagato potesse desumersi dal fatto che in nessuna intercettazione ambientale, in cui egli era stato coinvolto, erano emersi elementi a suo carico, avendo ritenuto che ciò si fosse verificato in quanto egli sapeva di essere intercettato, tanto conoscendo dalle informazioni ricevute dal maresciallo dei carabinieri G., con cui era in contatto.
Il Tribunale ha infine ritenuto non idonee ad inficiare il quadro indiziario emerso a carico dell’indagato le dichiarazioni rese dai testi P.A., G.A., G.P. ed A.R., sentiti dai suoi difensori ai sensi degli artt. 391 bis e segg. cod. proc. pen., sia perchè non più attendibili degli altri testi sentiti dagli inquirenti, sia perchè smentite dalla univoche emergenze investigative.
3. Il Tribunale ha poi ritenuto sussistere a carico dell’indagato gravi esigenze cautelari, tali da far fondatamente ritenere che l’indagato, ove rimesso in libertà, avrebbe potuto commettere altri gravi delitti della stessa specie, tenuto conto delle concrete modalità del fatto, non avendo il prevenuto esitato a ricorrere alla violenza ed alla minaccia anche avvalendosi di un’arma; poteva pertanto presumersi la sussistenza di un’inclinazione a delinquere, idonea a formulare una prognosi cautelare a lui sfavorevole, siccome indicativa di una sua significativa capacità a delinquere.
Ha poi fatto riferimento alla presunzione di cui all’art. 275 c.p.p., comma 3, che imponeva l’applicazione nei suoi confronti della misura custodiale in carcere, tenuto conto del tipo di reato ascrittogli, non essendo stati forniti dalla sua difesa elementi dai quali risultassero insussistenti le esigenze cautelari.
4. Avverso detto provvedimento del Tribunale del riesame di Catanzaro ha proposto ricorso per cassazione G.F. per il tramite dei suoi difensori, che hanno dedotto due motivi di ricorso – Col primo motivo lamentano violazione di legge circa la sussistenza di gravi indizi di colpevolezza nei suoi confronti, in quanto gli unici elementi a suo carico erano costituiti dalle dichiarazioni rese dalla madre della vittima P.R., ritenute dal Tribunale attendibili e credibili, anche se rese a distanza di circa un anno dai fatti; al contrario non era stato tenuto conto che si trattava di teste dalle limitate capacità di analisi di percezione della realtà circostante, in ragione dello stato confusionale in cui la stessa versava per patologia psichiatrica; la stessa invero, sentita subito dopo il fatto, aveva dichiarato di non sapere nulla di quanto accaduto a suo figlio, il che era probabile, atteso che il delitto si era svolto al buio, in quanto era spenta la lampadina esterna ad uso domestico, sostitutiva della mancata illuminazione pubblica; ed anche se fosse stata presente tale luce esterna, la teste ben difficilmente avrebbe potuto percepire le fattezze dell’omicida; inoltre la teste aveva dapprima riferito di avere visto esso ricorrente in compagnia dei due figli, A. e P., poi in compagnia del solo figlio più basso, presumibilmente A.; ed al riguardo il P.M., in sede di incidente probatorio, aveva insistito nel ritenere che la teste avesse confuso la sequenza temporale degli eventi, in quanto i fratelli G. erano stati presenti nel pomeriggio e non la sera del giorno dell’omicidio.
Erroneamente poi non era stato poi ritenuto credibile l’alibi fornito ad esso ricorrente da sua moglie A.R., nè quanto riferito dal teste P.A..
Le risultanze delle intercettazioni ambientali e telefoniche erano poi da ritenere inficiate dalla circostanza che due sottufficiali dei carabinieri, il maresciallo G.G. ed il brigadiere T., usavano informare gli interessati delle intercettazioni in corso.
Col secondo motivo lamentano violazione di legge e motivazione carente, nella parte in cui il provvedimento impugnato aveva ritenuto la sussistenza di concreto pericolo di reiterazione del reato e di inquinamento probatorio; in particolare il quadro indiziario era da ritenere fortemente attenuato rispetto al parametro della gravità di cui all’art. 275 c.p.p., comma 3; non era stato tenuto conto che trattavasi di persona con famiglia, impiegato comunale, incensurato, come tale non definibile nè socialmente pericoloso, nè incline a delinquere; neppure le esigenze cautelari potevano ritenersi collegate alla necessità di tutelare la genuinità della prova, atteso che l’impenetrabile muro di omertà, di cui aveva parlato il Tribunale, continuava a permanere indipendentemente da ogni possibile sua ingerenza; ed una misura meno afflittiva, quale quella degli arresti domiciliari, avrebbe perfettamente sopperito all’esigenza di tutelare qualsiasi forma di inquinamento probatorio e di pericolo di reiterazione del reato.
5. Con memoria depositata il 4 luglio 2011, i difensori del ricorrente hanno ulteriormente sviluppato i motivi di ricorso di cui sopra, insistendo in particolare sul tema dell’inattendibilità del principale teste d’accusa, P.R., avendone messo in rilievo le sue compromesse capacità mentali, per essere stata essa più volte ricoverata per disturbi mentali, ed essendo stata dichiarata affetta da depressione involutiva.
Hanno altresì lamentato che il provvedimento impugnato non aveva fatto alcun riferimento all’intercettazione ambientale dell’11 maggio 2009, avvenuta presso l’abitazione della famiglia della vittima, dalla quale non erano emersi elementi indiziari a carico del ricorrente.
Motivi della decisione
1. E’ infondato il primo motivo di ricorso proposto da G. F., avente ad oggetto l’insussistenza, a suo carico, di validi indizi di colpevolezza, tali da giustificare la misura custodiate impugnata.
2. Il provvedimento impugnato ha invero adeguatamente motivato in ordine alla sussistenza a carico della ricorrente di gravi indizi di colpevolezza per i reati a lui contestati, tanto avendo desunto:
– dalle dichiarazioni rese da P.R., madre della vittima e testimone oculare del delitto, la quale il 4 dicembre 2009, dopo circa un anno dai fatti, aveva deciso di collaborare con gli organi inquirenti ed aveva indicato nell’indagato l’autore dell’omicidio;
– dalle dichiarazioni rese da S.E., padre della vittima, in data 4 dicembre 2009; egli aveva ricevuto nell’immediatezza dei fatti le confidenze della moglie, che aveva indicato nell’indagato l’autore dell’uccisione del figlio; ed il Tribunale ha dato atto dell’evidente errore in cui il teste era incorso, avendo indicato l’indagato come S.E., quando in realtà egli intendeva riferirsi proprio all’indagato, essendo quest’ultimo l’unico della sua cerchia di conoscenze a lavorare presso il Comune di Acri;
– dalle dichiarazioni rese da F.G., nipote della vittima siccome figlio della sorella S.D., il quale, sentito il 4 dicembre 2009, aveva riferito che i nonni fossero a conoscenza dell’identità dell’assassino, identificato nell’odierno indagato, altresì noto col nome di Gino, che aveva litigato con la vittima per il furto di legna e castagne sul suo terreno;
– dall’intercettazione fra presenti, avvenuta all’interno dell’abitazione di F.F. e S.D., rispettivamente cognato e sorella della vittima, il 5 novembre 2009, nonchè dalla conversazione ambientale captata all’interno della sala d’attesa del Comando provinciale dei carabinieri di Cosenza fra M. P., C.N., S.G., S.P. e P.N., nel corso delle quali era stato espressamente indicato dai soggetti intercettati l’indagato, detto " G. maresciallo", quale autore del gravissimo fatto di sangue; ed al riguardo il Tribunale ha ritenuto che non fosse ravvisabile nei discorsi captati alcun intento calunnatorio, tale da indurre i soggetti a dichiarare il falso;
– dalla circostanza che l’indagato avesse la disponibilità di un’arma perfettamente compatibile con quella usata per il delitto; e l’arma, prima sequestrata, poi inspiegabilmente restituita al ricorrente, come in precedenza riferito, era risultata perfettamente ripulita, a differenza delle altre due, pure in possesso dell’indagato;
– dalla circostanza che, dai tabulati telefonici dell’utenza in uso all’indagato, era emerso che egli si trovasse, durante l’ora dell’omicidio, proprio nel Comune di Acri.
3. Nella presente sede di legittimità non è dato invero riesaminare nel merito gli indizi posti a carico del ricorrente dai giudici di merito, onde accertare se gli stessi siano o meno validi in sè e preferibili rispetto ad altri, pure utilizzabili ed idonei a fornire una diversa ricostruzione dei fatti, quanto piuttosto accertare se gli indizi fatti propri dai giudici di merito siano sorretti da una motivazione accettabile sul piano della completezza, della logica e della non contraddizione (cfr. Cass. 4A 3.5.07 n. 22500, rv. 237012;
Cass. 6A 15.11.05 n. 20474, rv. 225245); e, sotto tale aspetto, ritiene questa Corte che gli indizi ritenuti idonei dal Tribunale del riesame di Catanzaro per confermare l’ordinanza cautelare impugnata sono adeguati e rispondenti ai criteri di cui all’art. 192 c.p.p., comma 2. 4. Le argomentazioni svolte dal ricorrente per inficiare gli indizi di colpevolezza anzidetti, particolarmente intese a mettere in rilievo l’inattendibilità delle dichiarazioni rese dalla teste P.R., madre della vittima, non sono ammissibili nella presente sede di legittimità, in quanto essenzialmente intese a fornire una diversa lettura alternativa dei fatti; d’altra parte il Tribunale risulta avere adeguatamente motivato in ordine alle imprecisioni riscontrate nel narrato della teste, avendo rilevato che non inficiasse la complessiva attendibilità della teste il fatto che la stessa avesse sovrapposto nella sua memoria episodi avvenuti in momenti diversi, con specifico riferimento alla circostanza se l’indagato fosse stato o meno in compagnia dei figli al momento dell’omicidio. L’ordinanza impugnata, con motivazione incensurabile nella presente sede, siccome conforme ai canoni della logica e della non contraddizione, ha invero rappresentato un quadro indiziario a carico del ricorrente che non solo ha tenuto solo delle dichiarazioni rese dalla teste P.R., ma ha valorizzato anche numerosi altri indizi, sopra descritti, i quali, valutati nel loro assieme, assumono una significativa valenza indiziaria, tale da giustificare l’adozione del provvedimento impugnato; va inoltre rilevato come il provvedimento impugnato abbia indicato i validi motivi per i quali non ha ritenuto di attribuire rilevanza alle deposizioni testimoniali raccolte dal difensore del ricorrente ai sensi degli artt. 391 bis e segg. cod. proc. pen..
5. E’ altresì infondato il secondo motivo di ricorso, con il quale il ricorrente lamenta violazione di legge e carenza di motivazione, per avere il provvedimento impugnato ritenuto la sussistenza di gravi esigenze cautelari nei suoi confronti, tali da giustificare la custodia cautelare in carcere disposta nei suoi confronti.
5,Va infatti rilevato che il provvedimento impugnato non ha fatto solo riferimento alla presunzione di cui all’art. 275 c.p.p., comma 3, tenuto conto del tipo di reato ascrittogli, presunzione da ritenere peraltro venuta meno, a seguito della sentenza della Corte Costituzionale n. 164 del 2011, la quale ha ritenuto costituzionalmente illegittima la norma anzidetta, nella parte in cui non fa salva altresì l’ipotesi di acquisizione di elementi specifici, relativi al caso concreto, dai quali risulti che le esigenze cautelari possano essere soddisfatte con altre misura.
Il provvedimento impugnato invero, oltre a far riferimento alla presunzione anzidetta, ha altresì offerto una motivazione completa ed articolata, incensurabile nella presente sede di legittimità, siccome conforme ai canoni della logica e della non contraddizione, circa la sussistenza di esigenze cautelari idonee a giustificare, ai sensi dell’art. 274 c.p.p., lett. c), la misura cautelare adottata, avendo fatto riferimento al concreto pericolo che il ricorrente potesse reiterare la condotta criminosa, ciò avendo desunto da elementi specifici, inerenti al fatto, alle sue motivazioni ed alla personalità del soggetto, ritenuto come propenso all’inosservanza degli obblighi connessi ad una diversa misura (cfr. Cass. Sez. 1 n. 30561 del 15/07/2010 dep. il 30/07/2010, imp. Micelli, Rv. 248322).
Il Tribunale ha invero fatto ampio riferimento:
– alle gravissime modalità con cui l’omicidio era avvenuto, caratterizzato dall’uso di un’arma da fuoco e dall’essere stato commesso mediante un agguato teso in ora notturna;
– all’inesistenza di validi motivi, idonei a giustificare un così efferato comportamento;
– alla circostanza che l’omicidio fosse rappresentativo di una personalità incline alla violenza ed incapace di contenersi, con pressante e concreto pericolo che il ricorrente potesse ripetere simili comportamenti delittuosi con l’uso di armi.
6. Il ricorso proposta da G.F. va pertanto respinto, con sua condanna, ex art. 616 cod. proc. pen., al pagamento delle spese processuali.
7. Si provveda all’adempimento di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Dispone trasmettersi, a cura della Cancelleria, copia del provvedimento al direttore dell’istituto penitenziario, ai sensi dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.
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