Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 11-07-2011) 01-08-2011, n. 30472

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con sentenza del 27 ottobre 2010 la Corte d’assise d’appello di Milano ha confermato la condanna alla pena di anni 18 di reclusione inflitta dalla Corte d’assise di Milano a B.A., ritenuto penalmente responsabile del delitto di cui all’art. 575 cod. pen. (omicidio volontario di C.P.G., perchè, alla guida di una Mercedes classe A, investiva a forte velocità la vittima, mentre attraversava sulle strisce pedonali viale (OMISSIS), caricandola sul cofano anteriore, trascinandola per circa 100 metri, zigzagando e cambiando continuamente direzione, frenando e ripartendo, al fine di liberarsi della vittima, cagionandone infine la caduta, con arrotamento del corpo con almeno una ruota dell’auto di cui era alla guida).

Esclusa l’aggravante di cui all’art. 61 cod. pen., n. 4 (aver agito con crudeltà verso la vittima) e concesse le attenuanti generiche.

2. Il fatto è avvenuto a (OMISSIS) circa del (OMISSIS), incrocio con via (OMISSIS); in un primo momento si era assunta la responsabilità dell’accaduto D. B.A.M., convivente dell’imputato ed intestataria dell’autovettura investitrice; e la D.B. aveva appunto dichiarato di essere alla guida dell’auto anzidetta al momento dell’incidente; poi la stessa aveva dichiarato agli inquirenti che responsabile dell’accaduto era in realtà l’odierno imputato; e da accertamenti effettuati dalla polizia era emerso che il sedile lato guida dell’auto investitrice, peraltro rinvenuta incendiata all’interno di un campo nomadi in via (OMISSIS), era posizionato in modo da non corrispondere alla figura minuta della D.B., la quale era stata pertanto scagionata.

Il B. aveva a questo punto parlato di due albanesi, tali S. e Sa., ai quali avrebbe prestato l’auto; ma anche tale versione dei fatti era rimastra priva di ogni riscontro fattuale; era poi emerso che, al momento dell’accaduto, il telefono dell’imputato aveva agganciato una cella di via (OMISSIS) e l’imputato non aveva fornito alcun alibi circa la sua presenza in quella via ed a quell’ora.

3.Secondo la Corte territoriale il comportamento dell’imputato era stato inizialmente caratterizzato dalla colpa, per la grave imperizia e negligenza, con cui egli si era posto alla guida di un’auto, sebbene privo di patente di guida, percorrendo ad alta velocità una via di Milano, intersecata da più passaggi pedonali, si da investire con violenza un pedone, che attraversava uno di tali passaggi pedonali; poi, una volta intervenuto l’investimento, il suo atteggiamento psicologico era stato ritenuto come trapassato dalla colpa al dolo, nella sua manifestazione nota come dolo eventuale, in quanto l’imputato, invece di frenare e soccorrere l’investito, aveva continuato a procedere a forte velocità, quantificata in circa 70-80 km. orari, pur avendo esattamente percepito la presenza del pedone investito sul cofano dell’auto di cui era alla guida, ben visibile ai suoi occhi, attesa la conformazione della Mercedes classe A, ed aveva proceduto a zig-zag allo scopo di far cadere il corpo della vittima, che cercava disperatamente di tenersi aggrappato al cofano anteriore dell’auto; ed era stata intenzione dell’imputato scaricare la vittima, pur con la previsione delle conseguenze che la vittima poteva subire, non esclusa la sua morte, trattandosi di persona anziana, investita con violenza, che aveva sostenuto il gravoso sforzo di restare aggrappata alla vettura; e la morte della vittima era infatti sopravvenuta una volta che la stessa era caduta dal cofano, in quanto sul suo corpo era passata almeno una ruota dell’auto, di cui l’imputato era alla guida; il che aveva determinato lo scoppio di un organo cavo quale la vescica e di un organo parenchimatoso, quale il polmone.

4. Avverso detta sentenza della Corte d’Assise d’Appello di Milano ricorre per cassazione B.A. per il tramite del suo difensore, che ha dedotto tre motivi di ricorso.

Col primo motivo lamenta violazione di legge, in quanto il G.U.P., nel corso dell’udienza preliminare, celebratasi solo nei suoi confronti, avendo ritenuto incompatibile il proprio difensore di fiducia, per avere egli difeso anche la propria convivente L.B. A., aveva applicato in modo erroneo l’art. 106 cod. proc. pen., comma 2, in quanto, senza specificare i relativi motivi e senza fissare un termine per rimuovere l’incompatibilità, aveva sostituito il proprio difensore di fiducia con uno d’ufficio, prontamente reperito in loco, in tal modo violando il proprio diritto di difesa, in quanto il difensore di fiducia ritenuto incompatibile, siccome estromesso, non aveva potuto chiedere il rito abbreviato; nè tale rito alternativo era stato chiesto dal difensore d’ufficio subentrato in sua difesa nell’udienza preliminare anzidetta.

Secondo la sentenza impugnata il primo momento utile per dedurre la violazione del suo diritto di difesa era da individuare nell’ambito dell’udienza preliminare in corso; e poichè nel corso di tale udienza il ricorrente era stato ritualmente assistito da un difensore d’ufficio, nessuna violazione dell’art. 178 cod. proc. pen., comma 1, lett. c), poteva ritenersi avvenuta; secondo il ricorrente invece, il primo momento utile per fare valere tale lesione del suo diritto di difesa era da individuare nella fase degli atti preliminari del dibattimento successivamente intervenuto.

Col secondo motivo lamenta violazione di legge e motivazione erronea circa la ritenuta volizione, da parte sua, del rischio morte della persona da lui investita, come conseguenza della sua condotta di guida.

Al punto a) ha rilevato come non fosse emerso con certezza dagli atti di causa che fosse stato proprio lui alla guida dell’autovettura al momento in cui era stato investita la vittima.

Al punto b) ha contestato il metodo argomentativo seguito dalla sentenza impugnata per individuare esso ricorrente come autore dell’investimento; in particolare ha rilevato come egli abitasse nei pressi del luogo in cui era avvenuto l’incidente ed in cui l’auto investitrice era stata data alle fiamme, si che non era significativo per ritenere esso ricorrente autore del fatto la circostanza che il suo telefono avesse agganciato una cella di quella zona.

Al punto c) ha lamentato che la sentenza impugnata non abbia qualificato i fatti come omicidio colposo ai sensi dell’art. 589 cod. pen., in quanto era da ritenere escluso nel suo comportamento il dolo eventuale, essendo tale giudizio ancorato ad un dato di fatto apodittico ed aprioristico, costituito dal giudizio sulla velocità del veicolo e dal fatto che egli avesse effettivamente percepito la presenza del pedone sul cofano anteriore dell’autovettura di cui era alla guida. Al punto d) ha contestato, ai fini della sussistenza nel suo comportamento dell’animus omicidiario, la velocità elevata dell’auto e la pericolosità della stessa. Al punto e) ha lamentato che la sentenza impugnata abbia privilegiato la valenza probatoria desunta dalla deposizione resa dal consulente d’ufficio GOJ, rispetto a quanto dichiarato dai testimoni oculari, i quali avevano tutti escluso che fosse intervenuto l’arrotamento della vittima con le ruote dell’auto investitrice; al contrario la sentenza impugnata aveva privilegiato quanto dichiarato dal consulente GOJ, secondo il quale almeno una ruota dell’auto aveva schiacciato il corpo della vittima, una volta che, per effetto dell’intenzionale suo zigzagare, fatto allo scopo di far cadere sull’asfalto il corpo della vittima, quest’ultima era caduta sull’asfalto; il che era stato valorizzato dai giudici di merito per rimarcare la volontarietà del suo comportamento.

Al punto f) ha lamentato che la sentenza impugnata non avesse accertato in modo certo a che velocità andasse l’auto investitrice, se cioè essa superasse o meno i 50 km orari; inoltre ha fatto presente che non poteva sostenersi avere egli volontariamente posto in essere una manovra di sbandamento unicamente finalizzata allo scaricamento di un essere umano vivo, percepito come tale, si da ritenere il suo comportamento caratterizzato dalla volontà di assumere il rischio dell’evento morte della vittima.

Al punto g) ha ulteriormente lamentato che non erano emersi dagli atti elementi certi per ritenere che fosse stato proprio lui alla guida dell’autovettura che aveva investito C.P.G., non essendo all’uopo sufficiente aver ritenuto che l’auto non avrebbe potuto essere stata condotta dalla D.B. e che il suo cellulare si fosse trovato nei pressi del luogo dell’investimento.

Col terzo motivo lamenta violazione di legge e difetto di motivazione, in quanto si sarebbe verificata nei suoi confronti una reformatio in peius, atteso che la Corte territoriale aveva determinato la pena base nei suoi confronti in anni 22 di reclusione, quantificando nel contempo in anni 4 di reclusione la incidenza delle attenuanti generiche a lui concesse dal primo giudice; ciò in quanto il giudice di primo grado non aveva indicato la pena base infintagli.

La pena base avrebbe dovuto al contrario essere determinata nei suoi confronti in misura pari al minimo edittale e cioè in anni 21 di reclusione, si che, computando la riduzione di pena per effetto delle concesse attenuanti generiche, la pena definitiva a lui applicata avrebbe dovuto essere pari ad anni 17 di reclusione.

Motivi della decisione

4. E’ infondato il primo motivo di ricorso proposto da B. A..

2. Con esso il ricorrente lamenta violazione del suo diritto di difesa, in quanto, nel corso dell’udienza preliminare, il G.U.P., rilevato un’incompatibilità del suo difensore di fiducia, all’epoca altresì difensore di D.B.A.M., la cui posizione era in conflitto con la sua, ha proceduto all’immediata nomina di un difensore di fiducia nei confronti del ricorrente, in tal modo portando a termine l’udienza preliminare.

3.Conformemente a quanto rappresentato dalla sentenza impugnata, nessuna violazione del diritto di difesa del ricorrente è ravvisarle nella specie. Si ritiene invero che, in tema di incompatibilità del difensore, qualora il giudice, una volta rilevata ex art. 106 cod. proc. pen., comma 2, detta incompatibilità, non provveda ad indicarla ed ad esporne i relativi motivi e neppure fissi un termine per rimuoverla, ma proceda direttamente alla sostituzione del difensore incompatibile con uno di ufficio, non può ritenersi violato l’art. 178 cod. proc. pen., comma 1, lett. c), qualora, nel caso concreto, il diritto di difesa dell’imputato non risulti aver subito alcun concreto pregiudizio.

Nella specie in esame invero l’imputato è stato assistito, senza soluzione di continuità, dapprima dal difensore di fiducia e successivamente da quello d’ufficio; e non è certo addebitabile all’ufficio giudiziario la circostanza che nè il difensore di fiducia, fin quando era nelle sue funzioni, nè il difensore d’ufficio subentrato non abbia formulato per l’imputato alcuna richiesta di riti alternativi; è poi pacifico che la nullità in esame appartenga al novero delle nullità a regime intermedio, di cui all’art. 181 cod. proc. pen., si che la stessa avrebbe dovuto essere immediatamente eccepita dalla parte interessata; e non risulta che quest’ultima, ovvero il difensore d’ufficio subentrato, abbia provveduto a formulare la relativa eccezione nel corso dell’udienza preliminare innanzi al G.I.P..

4. E’ altresì infondato il secondo motivo di ricorso proposto dal ricorrente. Con esso il ricorrente lamenta l’insufficienza degli elementi di prova posti a fondamento della sua colpevolezza; lamenta in particolare che il fatto ascrittogli non sia stato qualificato come violazione dell’art. 589 cod. pen. (omicidio colposo).

Va al contrario ritenuto che la motivazione addotta dalla sentenza impugnata per ritenere il ricorrente penalmente responsabile del delitto ascrittogli è pienamente condivisibile ed incensurabile nella presente sede, siccome conforme ai canoni della logica e della non contraddizione.

E noto che il controllo sulla tenuta della motivazione in nessun caso può comportare una rivisitazione dell’iter ricostruttivo del fatto, attraverso una nuova valutazione delle emergenze processuali, finalizzata ad individuare percorsi logici alternativi e tali da inficiare il convincimento espresso dal giudice di merito. Il controllo di legittimità operato da questa Corte è finalizzato a verificare, qualora il ricorrente proponga una ricostruzione alternativa dei fatti, se le argomentazioni poste dal giudice di merito a fondamento della decisione conseguano ad un apprezzamento ragionevole e coerente del materiale probatorio sottoposto al suo esame; e nella specie in esame la motivazione adottata dalla Corte d’Assise d’Appello di Milano è da ritenere immune da vizi logici e giuridici (cfr., in termini, Cass., 2^ 23.5.07 n. 23419).

Costituiscono in particolare censure di fatto, come tali improponibili nella presente sede di legittimità, per di più formulate in modo del tutto generico ed aspecifico, quelle proposte sub a), sub b) e sub g), con le quali il ricorrente ha sostenuto che non fosse stato lui alla guida dell’autovettura investitrice; al contrario la sentenza impugnata ha indicato i validi e plurimi elementi, dai quali ha desunto che fosse stato proprio lui alla guida dell’auto investitrice, avendo ravvisato tali elementi nelle dichiarazioni rese dalla convivente D.B.A.M., peraltro confermate dallo stesso ricorrente; nelle intercettazioni ambientali in carcere, che avevano avuto ad oggetto i colloqui fra la sua convivente D.B. e suo padre, nonchè fra la D.B. ed esso ricorrente; nel fatto che la posizione del posto di guida dell’auto fosse assolutamente compatibile con la sua statura; nel fatto che il suo cellulare aveva agganciato, nell’ora in cui si era verificato il tragico incidente, proprio una cella di via (OMISSIS).

5. Sono altresì infondate le restanti censure, tutte intese ad escludere nel suo comportamento l’elemento psicologico del dolo eventuale, con conseguente richiesta di derubricare il delitto ascrittogli da omicidio volontario ex art. 575 cod. pen. ad omicidio colposo ex art. 589 cod. pen..

6. La giurisprudenza di questa Corte ha ravvisato l’elemento di discrimine fra la colpa cosciente e il dolo eventuale nel criterio dell’accettazione del rischio.

Sussiste pertanto il dolo eventuale quando chi agisce non ha il proposito di cagionare l’evento delittuoso, ma si rappresenta la probabilità ovvero anche la semplice possibilità che esso si verifichi e ne accetta il rischio; quando l’agente, ponendo in essere una condotta diretta ad altri scopi, si rappresenta la concreta possibilità del verificarsi di ulteriori conseguenze della propria condotta e, ciò nonostante, agisce accettando il rischio di cagionarle; quando l’agente ha la consapevolezza che l’evento, pur da lui non direttamente voluto, ha la probabilità di verificarsi in conseguenza della propria azione e ne accetta volontariamente il rischio.

In sostanza il dolo eventuale sussiste quando l’agente accetta il rischio che quell’evento si verifichi come risultato della sua condotta, e continua, di conseguenza, a tenere la condotta, anche a costo di determinarlo.

Sussiste invece la colpa cosciente, aggravata dalla previsione dell’evento, quando l’agente, pur rappresentandosi l’evento come possibile risultato della sua condotta, agisca tuttavia nella previsione e prospettazione che esso non si verifichi.

Nel primo caso cioè egli accetta il possibile evento prospettatosi a titolo di volizione; nel secondo caso invece egli non consente alla verificazione dell’evento medesimo (non-volizione).

In tale contesto l’accento viene dunque posto sul concetto di prevedibilità dell’evento; ed è stato pertanto chiarito che il dolo eventuale è ravvisabile quando l’evento medesimo si presenti come concretamente possibile, mentre si versa in ipotesi di colpa cosciente, con previsione dell’evento, quando la verificabilità dell’evento si inveri in una previsione meramente astratta e non concreta.

Focalizzandosi dunque l’attenzione sull’accettazione del rischio, occorre tuttavia sgombrare il campo da un possibile equivoco che potrebbe annidarsi nel mero ed anodino richiamo a tale espressione:

richiamando tutte le considerazioni sopra svolte, l’accettazione cioè non deve riguardare solo la situazione di pericolo posta in essere, ma deve estendersi anche alla possibilità che si realizzi in concreto l’evento non direttamente voluto e pur coscientemente prospettatosi. Posto che il dolo eventuale è pur sempre una forma di dolo e che l’art. 43 cod. pen., comma 1, richiede non soltanto la previsione dell’evento, ma anche la volontà di cagionarlo, la forma più tenue della volontà dolosa, oltre la quale si colloca la colpa cosciente, è costituita pertanto dalla consapevolezza dell’evento non direttamente voluto, dalla probabilità del suo verificarsi in conseguenza della propria azione nonchè dall’accettazione volontaristica di tale rischio, atteso che, in caso contrario, si avrebbe l’inaccettabile trasformazione di un reato di evento in reato di pericolo, con l’estrema ed improponibile conclusione che ogni qualvolta il conducente di un autoveicolo attraversi col rosso un’intersezione regolata da segnalazione semaforica o non si fermi ad un segnale di stop in un contesto stradale trafficato risponderebbe, solo per questo, degli eventi lesivi eventualmente cagionati sempre a titolo di dolo eventuale e non soltanto in virtù della violazione della regola cautelare e della conseguente situazione di pericolo scientemente posta in essere.

In dottrina è stato pertanto chiarito che, affinchè sussista il dolo eventuale, ciò che l’agente deve accettare è proprio l’evento morte; è quindi proprio il verificarsi della morte che deve essere stato accettato e messo in conto dall’agente, pur di non rinunciare all’azione, la quale, anche ai suoi occhi, deve quindi avere la seria probabilità di provocare l’evento morte. Occorre quindi verificare, per ritenere la sussistenza del dolo eventuale, che l’agente abbia accettato come possibile la verificazione dell’evento e cioè della morte della vittima, non essendo sufficiente che abbia accettato una situazione di pericolo genericamente sussistente; è cioè necessario qualcosa in più rispetto alla sola previsione dell’evento e cioè l’accettazione della concreta probabilità che questo evento, sebbene non direttamente voluto, abbia a realizzarsi, senza che, per questo, l’agente desista dalla sua condotta, che continua ad essere da lui perseguita, anche a costo di determinare l’evento medesimo. In sostanza l’accettazione del rischio non significa accettare solo quella situazione di pericolo nella quale si inserisce la condotta del soggetto e prospettarsi solo che l’evento possa verificarsi, atteso che ciò forma anche il presupposto della colpa cosciente;

significa invece accettare altresì la concreta probabilità che si verifichi l’evento non direttamente voluto. Il dolo eventuale presuppone cioè che il superamento del dubbio si risolva positivamente, serbando l’agente quella condotta anche a costo di cagionare l’evento, volitivamente accettandolo quindi nella sua prospettata verificazione; mentre, al contrario, la colpa cosciente si radica quanto l’agente, pur prospettandosi la possibilità o probabilità dell’evento, tuttavia confida che esso non si realizzi (cfr. Cass. Sez. 4, n. 11222 del 18/02/2010 dep. 24/03/2010, imp. Lucidi, Rv. 249492).

7. La sentenza impugnata ha fatto corretto applicazione dei principi giurisprudenziali sopra enunciati, avendo rilevato come il comportamento del ricorrente, a partire dal momento in cui ha investito il pedone C.P.G., è stato caratterizzato dal dolo eventuale, in quanto egli: – ha certamente percepito, tenuto conto della particolare conformazione della Mercedes classe A, la presenza della persona da lui investita sul cofano anteriore dell’auto di cui era alla guida;

-ha, ciò nonostante, mantenuto una velocità, correttamente quantificata dai giudici di merito fra i 70 e gli 80 km. orari e quindi da qualificare particolarmente pericolosa, se rapportata alle condizioni spazio-temporali in cui è maturato l’evento;

-ha iniziato ad effettuare manovre di cambio repentino di direzione, non determinate da stato confusionale, come sostenuto dal ricorrente in sua difesa, in quanto l’auto ha poi proseguito diritto, una volta caduta la vittima sull’asfalto, ma finalizzate allo scopo di scrollare dall’auto il corpo del pedone da lui investito, con conseguente lucida predeterminazione, da parte sua, che la manovra da lui posta in essere fosse pienamente idonea a procurare anche il decesso della vittima, tenuto conto dell’elevata velocità tenuta nell’eseguire le manovre di cui sopra;

– è volontariamente passato con almeno una delle ruote dell’auto sul malcapitato da lui investito, una volta che il medesimo, non riuscendo più a stare aggrappato al cofano anteriore dell’auto, è caduto sulla strada; ed al riguardo la Corte territoriale ha correttamente motivato circa la preferenza accordata a quanto riferito sul punto dal consulente tecnico escusso in udienza, rispetto a quanto desumibile dalle dichiarazioni rese dai testi escussi, nessuno dei quali ha notato essere l’auto del ricorrente passata sopra il corpo della vittima, giustificando tale mancata percezione con le particolari limitate angolature in cui ciascuno dei testi aveva potuto assistere alla scena e con l’essere stato ciascuno di essi impegnato a prestare attenzione ad altri dettagli della scena, peraltro svoltasi innanzi ai loro occhi in un arco di pochi secondi.

I giudici di merito hanno quindi condivisibilmente messo in rilievo come la morte della vittima è stato un evento non solo previsto, ma altresì accettato dal ricorrente come evento in concreto verificabile ed accadibile, quale conseguenza ed effetto del suo sciagurato comportamento.

6. E’ infondato il terzo motivo di ricorso proposto dal B..

Non si è verificata nella specie alcuna reformatio in peius in danno del ricorrente. La sentenza impugnata ha unicamente ovviato ad un’evidente carenza della sentenza di primo grado, consistita sia nella mancata indicazione della pena base da infliggere al ricorrente, sia nella mancata indicazione della riduzione di pena per le concesse attenuanti generiche; ed a ciò la sentenza impugnata ha legittimamente ovviato, ritenendo di fissare la pena base in anni 22 di reclusione ed in anni 4 di reclusione la riduzione di pena per le concesse attenuanti generiche, secondo una valutazione pienamente condivisibile, in quanto rispettosa ad un tempo della pena in concreto inflitta al prevenuto dal primo giudice e dell’intenzione manifestata da tale ultimo giudice di non voler procedere ad una riduzione di pena per le attenuanti generiche nella massima estensione consentita dalla legge.

E’ quindi del tutto ipotetica e non suffragata da alcun elemento fattuale la tesi sostenuta dal ricorrente, secondo cui la volontà del primo giudice sarebbe stata nel senso di determinare nei suoi confronti la pena base in anni 21 di reclusione, pari cioè al minimo edittale previsto per l’omicidio volontario dall’art. 575 cod. pen..

7. Il ricorso proposto da B.A. va pertanto respinto, con sua condanna al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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