Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 11-07-2011) 01-08-2011, n. 30468 Associazione per delinquere Detenzione, spaccio, cessione, acquisto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Il 16 luglio 2008 il Tribunale di Palermo dichiarava C. A., C.G.V., D.M., P. F., G.A., P.P., colpevoli dei delitti previsti dagli D.P.R. n. 309 del 1990, artt. 74 e 73, loro rispettivamente ascritti e, riconosciuta nei confronti degli imputati A., C., G., P. l’ipotesi di cui all’art. 74, comma 6, in relazione al contestato delitto associativo e quella di cui all’art. 73, comma 5, con riferimento alle contestazioni D.P.R. n. 309 del 1990, ex art. 73 ravvisato nei confronti di tutti gli imputati il vincolo della continuazione e dichiarata l’ipotesi di cui all’art. 74. comma 6, prevalente sulla recidiva contestata a G. e P., condannava A.. C., G., P. alla pena di quattro anni di reclusione e quattromila Euro di multa, D. e F. a quella di dodici anni di reclusione (tenuto conto per F. della recidiva contestata).

2. Il 31 maggio 2010 la Corte d’appello di Palermo, in parziale riforma della decisione del Tribunale, appellata dagli imputati, assolveva, per non avere commesso il fatto, D., F., G. dal delitto di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73 (capo b) e, per l’effetto, rideterminava in undici anni di reclusione la pena inflitta a D. e F. e in tre anni e sei mesi di reclusione quella irrogata a G.. Confermava nel resto la decisione di primo grado.

3. I fatti oggetto del presente processo riguardano l’operatività di un’associazione per delinquere dedita a traffici di sostanze stupefacenti (cocaina), all’interno della quale D.e.F. si occupavano, anche con l’ausilio di M.M. (separatamente giudicato), degli approvvigionamenti di droga che importavano dall’estero e immettevano sul mercato con la collaborazione, fra gli altri, di C., G., M., G. e P. P.. I due fratelli P., a loro volta, si occupavano di rivendere la droga anche con la collaborazione di A., addetto per loro conto alle consegne dello stupefacente.

La responsabilità degli imputati in ordine ai delitti loro rispettivamente contestati veniva ravvisata dai giudici di merito sulla base del contenuto delle intercettazioni ritualmente disposte, suffragate dai servizi di osservazione e pedinamento svolti, delle deposizioni degli ufficiali di polizia giudiziaria C. e C., delle dichiarazioni del collaboratore di giustizia A. che indicava D. come uno dei più importanti trafficanti di cocaina sulla piazza di Palermo, già in società con F., delle sentenze irrevocabili di condanna pronunziate nei confronti di M. e Ma. in ordine al delitto di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, commesso il (OMISSIS), acquisite ai sensi dell’art. 238 bis c.p., dei sequestri di droga operati. A quest’ultimo proposito venivano in particolare richiamati:

1) l’arresto di M., avvenuto il 2 luglio 2004 nella flagrante detenzione di gr. 32 di cocaina all’esito di contatti telefonici con G. e D.; 2) l’arresto di M., il 7 luglio 2004, nella flagrante detenzione di kg. 3,3 di cocaina pura all’80%, trasportati in nave a Palermo da Napoli, città ove il giorno precedente si era recato D., prelevato all’aeroporto, al suo ritorno, da F..

4. Avverso la predetta sentenza hanno proposto ricorso per cassazione, tramite i rispettivi difensore di fiducia, gli imputati, i quali formulano le seguenti censure.

A., C., D., F. (f. 12 ricorso). P. P. deducono inosservanza ed erronea applicazione della legge penale, carenza, contraddittorietà, manifesta illogicità della motivazione con riferimento alla ritenuta sussistenza degli elementi costitutivi dei delitti contestati, nonchè violazione dei canoni di valutazione probatoria con riferimento agli elementi posti a base dell’affermazione di penale responsabilità, tenuto conto del linguaggio criptico usato nei colloqui e della loro non chiara decifrabilità, dell’assenza di dati obiettivi da cui inferire l’esistenza di un’organizzazione dedita a traffici di sostanze stupefacenti, non essendo al riguardo sufficiente la mera consumazione dei singoli reati fine, della mancanza di prova dell’affectio societatis e di un contributo consapevole e volontario, causalmente rilevante, fornito dagli imputati alla vita del sodalizio.

D. lamenta, inoltre, violazione di legge e carenza della motivazione in merito alle argomentazioni sviluppate nell’atto di appello, con le quali si evidenziava che M., separatamente giudicato, esaminato a dibattimento nelle forme di cui all’art. 210 c.p.p., aveva negato di avere acquistato la droga dal ricorrente. Sul punto i giudici di merito non hanno in alcun modo spiegato le ragioni per le quali non hanno ritenuto attendibile una prova decisiva, direttamente escludente il coinvolgimento dell’imputato nell’episodio contestato al capo e).

Analogamente non hanno tenuto conto dei rilievi difensivi, volti a sottolineare la liceità dei rapporti esistenti tra D. e G., il mancato passaggio di droga tra D. e M. il 29 maggio 2007, giorno in cui la polizia giudiziaria aveva in corso un servizio di osservazione svolto dalla polizia giudiziaria il 29 maggio 2007, lo iato temporale intercorso tra il momento dell’incontro fra D. e M. e il successivo arresto di quest’ultimo, avvenuto a tre ore e mezzo di distanza dal momento in cui era stato visto con D., i riflessi dell’intervenuta assoluzione dell’imputato dal capo b) sulla configurabilità degli altri reati, in particolare su quello di cui all’art. 74, considerato anche che D., secondo la prospettazione accusatoria, si sarebbe reso responsabile di due sole violazioni del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73.

D. rileva, inoltre, la mancata risposta al rilievo difensivo, anch’esso contenuto nell’atto d’appello, circa l’omessa contestazione del ruolo di promotore e l’irrogazione della pena prevista per il mero partecipe, nonchè circa l’applicabilità delle ipotesi previste, rispettivamente, dal D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74, comma 6, e art. 73, comma 5. Osserva, in particolare, che la previsione di cui all’art. 74, comma 6, ha natura oggettiva e si comunica a tutti i ricorrenti.

F., a sua volta, denuncia mancanza e manifesta illogicità della motivazione in relazione al delitto di cui al capo e), alla luce dei rilievi formulati dalla difesa nell’atto di appello in ordine all’assenza di interesse di F. ad interloquire personalmente con M., al mancato riscontro della presenza di F. al porto di Palermo in occasione dell’arrivo di M., alla mancanza di reazioni telefoniche di F. e D. a seguito dell’arresto di M., alla natura lecita dei rapporti intercorrenti tra l’imputato e D., C. e F. lamentano, inoltre, a loro volta, violazione di legge e vizio della motivazione in relazione alla dosimetria della pena e all’omessa concessione delle circostanze attenuanti generiche, tenuto conto, per quanto riguarda, F. della facoltatività della recidiva.

Motivi della decisione

1. Il primo motivo di ricorso, prospettato da tutti i ricorrenti, con riferimento alla contestazione del reato associativo D.P.R. n. 309 del 1990, ex art. 74, è fondato.

1.1. Nella giurisprudenza di questa Corte è stato chiarito che l’elemento essenziale della fattispecie di reato prevista dal D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74, è costituito dall’accordo associativo che crea un vincolo stabile a causa della consapevolezza di ciascun associato di far parte del sodalizio e di partecipare, con contributo causale, alla realizzazione di un duraturo programma criminale. In tale prospettiva assumono rilievo secondario gli elementi organizzativi che si pongono a substrato dell’associazione, elementi la cui sussistenza è richiesta nella misura in cui dimostrano che l’accordo può dirsi seriamente contratto, nel senso cioè che l’assoluta mancanza di un supporto strumentale priva il delitto del requisito dell’offensività. Sotto un profilo ontologico ciò significa che è sufficiente un’organizzazione minima, affinchè il reato si perfezioni, e che la ricerca dei tratti organizzativi non è diretta a dimostrare l’esistenza degli elementi costitutivi del reato, ma a provare, attraverso dati sintomatici, l’esistenza di quell’accordo fra tre o più persone diretto a commettere più delitti D.P.R. n. 309 del 1990, ex art. 73, accordo in cui il reato associativo di per sè si concreta (Sez. 1^, 18 febbraio 2009, n. 10758; Sez. 6^, 25 settembre 1998, n. 10725). Per la configurabilità della fattispecie delittuosa in esame occorre, quindi, che sia operante un’organizzazione criminale, connotata dalla peculiare finalità del commercio di sostanze stupefacenti, alla cui base è identificabile un accordo destinato a costituire una struttura permanente in cui i singoli associati divengono – ciascuno nell’ambito dei compiti assunti o affidati – parti di un tutto finalizzato a commettere una serie indeterminata di delitti della stessa specie, preordinati alla cessione o al traffico di droga, con la particolarità che per la configurazione del reato associativo non è richiesta la presenza di una complessa ed articolata organizzazione dotata di notevoli disponibilità economiche, ma è sufficiente l’esistenza di strutture, sia pure rudimentali, deducibili dalla predisposizione di mezzi, per il perseguimento del fine comune, in modo da concretare un supporto stabile e duraturo alle singole deliberazioni criminose, col contributo dei singoli associati (Sez. 4^, 9 aprile 1996, n. 5083; Sez. 6^, 17 maggio 1995, n. 9320; Sez. 1^, 31 maggio 1995, n. 8291; Sez. 6^, 9 gennaio 1995, n. 2772).

La giurisprudenza di questa Corte ha, inoltre, precisato che la prova del vincolo permanente, nascente dall’accordo associativo, può essere data anche per mezzo dell’accertamento di facta concludentia, quali i contatti continui tra gli spacciatori, i frequenti viaggi per il rifornimento della droga, le basi logistiche, le forme di copertura e i beni necessari per le operazioni delittuose, le forme organizzative, sia di tipo gerarchico che mediante divisione dei compiti tra gli associati, la commissione di reati rientranti nel programma criminoso e le loro specifiche modalità esecutive (Sez. 1^, 22 dicembre 2009, n. 4967; Sez. 6^, 13 dicembre 2000, n. 10781;

Sez. 6^, 21 gennaio 1997, n. 3277; Sez. 6^, 12 maggio 1995, n. 9320).

1.2. La sentenza impugnata, pure a fronte delle specifiche doglianze difensive in ordine all’assenza degli elementi costitutivi di un’associazione per delinquere finalizzata a traffici di droga, ha omesso di fornire una compiuta motivazione circa le emergenze processuali che consentivano di ritenere integrata, sia sotto il profilo oggettivo che sotto quello soggettivo, la fattispecie prevista dal D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74, soffermandosi esclusivamente su alcuni specifici episodi rilevanti D.P.R. n. 309 del 1990, ex art. 73, da cui, peraltro, non può essere di per sè desunta, sulla base di automatiche e immotivate inferenze probatorie, la sussistenza di un’organizzazione dedita a traffici di droga.

La lacuna motivazionale in relazione agli elementi costitutivi propri della fattispecie associativa è ancora più evidente ove posta in correlazione logica con l’intervenuta assoluzione di D., F., G. dal delitto D.P.R. n. 309 del 1990, ex art. 73, contestato al capo b), e delle considerazioni, intrinsecamente contraddittorie, svolte ai ff. 11, 12, 19, 21, 23 della sentenza impugnata.

Sotto tutti questi profili, pertanto, s’impone l’annullamento della sentenza impugnata e il rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte d’appello di Palermo.

2. Non fondate, invece, sono le censure, variamente prospettate dai ricorrenti, in relazione ai delitti di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, per i quali è intervenuta, in appello, la conferma dell’affermazione di penale responsabilità. 2.1. Alla luce della nuova formulazione dell’art. 606 c.p.p.,, lett. e), novellato dalla L. 20 febbraio 2006, n. 46, art. 8, il sindacato del giudice di legittimità sul discorso giustificativo del provvedimento impugnato deve essere volto a verificare che la motivazione della pronunzia; a) sia "effettiva" e non meramente apparente, ossia realmente idonea a rappresentare le ragioni che il giudicante ha posto a base della decisione adottata; b) non sia "manifestamente illogica", in quanto risulti sorretta, nei suoi punti essenziali, da argomentazioni non viziate da evidenti errori nell’applicazione delle regole della logica; c) non sia internamente contraddittoria, ovvero sia esente da insormontabili incongruenze tra le sue diverse parti o da inconciliabilità logiche tra le affermazioni in essa contenute;

d) non risulti logicamente "incompatibile" con "altri atti del processo" (indicati in termini specifici ed esaustivi dal ricorrente nei motivi posti a sostegno del ricorso per cassazione) in termini tali da risultarne vanificata o radicalmente inficiata sotto il profilo logico (Cass., Sez. 6^, 15 marzo 2006, n. 10951). Non è, dunque, sufficiente che gli atti del processo invocati dal ricorrente siano semplicemente "contrastanti" con particolari accertamenti e vantazioni del giudicante o con la sua ricostruzione complessiva e finale dei fatti e delle responsabilità nè che siano astrattamente idonei a fornire una ricostruzione più persuasiva di quella fatta propria dal giudicante. Ogni giudizio, infatti, implica l’analisi di un complesso di elementi di segno non univoco e l’individuazione, nel loro ambito, di quei dati che – per essere obiettivamente più significativi, coerenti tra loro e convergenti verso un’unica spiegazione – sono in grado di superare obiezioni e dati di segno contrario, di fondare il convincimento del giudice e di consentirne la rappresentazione, in termini chiari e comprensibili, ad un pubblico composto da lettori razionali del provvedimento.

E’, invece, necessario che gli atti del processo richiamati dal ricorrente per sostenere l’esistenza di un vizio della motivazione siano autonomamente dotati di una forza esplicativa o dimostrativa tale che la loro rappresentazione sia in grado di disarticolare l’intero ragionamento svolto dal giudicante e determini al suo interno radicali incompatibilità, così da vanificare o da rendere manifestamente incongrua o contraddittoria la motivazione (Cass., Sez. 6^, 15 marzo 2006, n. 10951).

Il giudice di legittimità è, pertanto, chiamato a svolgere un controllo sulla persistenza o meno di una motivazione effettiva, non manifestamente illogica e internamente coerente, a seguito delle deduzioni del ricorrente concernenti "atti del processo". Tale controllo, per sua natura, è destinato a tradursi – anche a fronte di una pluralità di deduzioni connesse a diversi "atti del processo" e di una correlata pluralità di motivi di ricorso – in una valutazione, di carattere necessariamente unitario e globale, sulla reale "esistenza" della motivazione e sulla permanenza della "resistenza" logica del ragionamento del giudice. Al giudice di legittimità resta, infatti, preclusa, in sede di controllo sulla motivazione, la pura e semplice rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, preferiti a quelli adottati dal giudice di merito, perchè ritenuti maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa. Queste operazioni trasformerebbero, infatti, la corte nell’ennesimo giudice del fatto e le impedirebbero di svolgere la peculiare funzione assegnatale dal legislatore di organo deputato a controllare che la motivazione dei provvedimenti adottati dai giudici di merito (a cui le parti non prestino autonomamente acquiescenza) rispetti sempre uno standard di intrinseca razionalità e di capacità di rappresentare e spiegare l’iter logico seguito dal giudice per giungere alla decisione.

2.2. Esaminata in quest’ottica la motivazione della sentenza impugnata si sottrae alle censure che le sono state mosse, perchè il provvedimento impugnato, con motivazione esente da evidenti incongruenze o da interne contraddizioni, ha evidenziato, con riferimento all’addebito D.P.R. n. 309 del 1990, ex art. 73, ritenuto per ciascuno dei ricorrenti, gli specifici elementi probatori (contenuto delle intercettazioni ritualmente disposte, sequestri di sostanze stupefacenti, deposizioni degli ufficiali di polizia giudiziaria, esito dei servizi di osservazione e pedinamento svolti in costanza delle attività di captazione dei colloqui, dichiarazioni del collaboratore di giustizia A., contenuto delle sentenze irrevocabili di condanna pronunciate nei confronti di M. e M., arrestati nella flagrante detenzione di droga a seguito di operazioni di polizia mirate a suffragare i servizi di intercettazione) che consentono di fondare il giudizio di responsabilità oltre ogni ragionevole dubbio.

In relazione a questi capi della sentenza, pertanto, i ricorsi devono essere rigettati.

3. L’accoglimento dei ricorsi limitatamente al reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74, assorbe e rende superfluo l’esame delle restanti doglianze formulate dai ricorrenti in tema di trattamento sanzionatorio conseguente anche al ruolo riconosciuto a ciascuno dei ricorrenti (cfr. in particolare la posizione di D., per il quale la pena base per il più grave delitto di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74 è stata fissata dai giudici d’appello in dieci anni di reclusione) e di omesso riconoscimento dell’ipotesi di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74, comma 6, ipotesi che, secondo quanto risulta dalla motivazione della sentenza di primo grado (cfr. in particolare f. 68), è stata riconosciuta nei confronti di tutti gli imputati, ma che, in base al dispositivo della decisione del Tribunale di Palermo, è stata ritenuta nei confronti dei soli A., C., G. e P.P..

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata limitatamente al reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74 e rinvia per nuovo giudizio al riguardo ad altra sezione della Corte d’appello di Palermo. Rigetta nel resto i ricorsi.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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