T.A.R. Lazio Roma Sez. I, Sent., 07-09-2011, n. 7129

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con ricorso notificato il 21 settembre 2010 e depositato il 30 settembre 2010, A. S.p.A., con sede in Rozzano Milanofiori (Mi), in persona dell’avv. A.C., procuratore ad lites per atto del notaio Claudio Guidobono Cavalchino n. 63321/14103 rep. del 16 luglio 2009, ha impugnato il provvedimento e gli atti in epigrafe meglio indicati.

Giova premettere che:

– A. S.p.A. opera nel settore della grande distribuzione organizzata (GDO) di prodotti alimentari e beni di largo consumo (c.d. food e non food), con una rete di oltre cinquanta ipermercati in undici regioni italiane, e con ricavi -secondo il bilancio relativo al 2008- pari a circa 3 miliardi di euro ed utile di esercizio pari a oltre 4 milioni di euro;

– a seguito di varie segnalazioni da parte di consumatori e del corpo di polizia municipale di Roma, che evidenziavano l’indisponibilità, presso diversi ipermercati della rete A., di prodotti offerti in promozione nell’ambito di varie campagne reclamizzate attraverso volantini a diffusione sia locale che nazionale, e dopo una prima richiesta di informazioni di cui alla comunicazione n. 22883 di prot. del 20 marzo 2009, con nota 59910 di prot. del 21 ottobre 2009 veniva comunicato l’avvio del procedimento relativo alla ipotizzata violazione degli artt. 20, 21 comma 1 lettera b) e 23 lettera e) del d.lgs. 6 settembre 2005, n. 206;

– acquisite informazioni e memorie, e rettificato il termine di conclusione del procedimento con atto del 18 dicembre 2009, in relazione all’esigenza di acquisire il parere dell’Autorità per le garanzie nelle telecomunicazioni (poiché alcune campagne promozionali erano state reclamizzate anche attraverso il sito internet della A.), con successiva nota n. 15190 di prot. del 5 febbraio 2010 veniva comunicata l’attribuzione dell’onere della prova sull’esattezza dei dati di fatto connessi alla pratica commerciale, e con nota n. 16304 di prot. del 12 febbraio 2010 veniva altresì comunicata, per conseguenza, la proroga del termine del procedimento;

– acquisita ulteriore memoria della A., con nota n. 23443 di prot. del 24 marzo 2010 veniva comunicato il rigetto degli impegni proposti dalla società, come deliberata nell’adunanza del 18 marzo 2010, in relazione alla potenziale manifesta scorrettezza e gravità delle pratiche commerciali contestate:

– procedutosi all’audizione dei rappresentanti di A. S.p.A. in data 19 febbraio 2010, con nota n. 23481 di prot. del 24 marzo 2010 veniva comunicata la conclusione del procedimento;

– con il provvedimento n. 21106, assunto con deliberazione dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato nell’adunanza del 13 maggio 2010, comunicato il 3 giugno 2010, la pratica è stata dichiarata scorretta, ai sensi degli artt. 20, 21 comma 1 lettera b) e 23 lettera e) del d.lgs. 6 settembre 2005, n. 206, con irrogazione della sanzione amministrativa pecuniaria di Euro 110.000,00 (centodiecimila/00) e divieto di ulteriore diffusione.

A sostegno del ricorso sono state dedotte le seguenti censure:

1) Violazione e falsa applicazione dell’art. 7 del regolamento sulle procedure istruttorie delle pratiche commerciali scorrette. Violazione e falsa applicazione degli artt. 2 e 3 della legge n. 241/1990. Eccesso di potere per travisamento dei presupposti e sviamento. Invalidità derivata.

Il provvedimento conclusivo, recante l’irrogazione della sanzione, è stato comunicato il 3 giugno 2010, e quindi oltre il termine perentorio di centocinquanta giorni (comprensivo del termine per il parere dell’A.G.COM.) dalla comunicazione d’avvio del procedimento, che scadeva il 19 maggio 2010, non potendosi ritenere sufficiente la sua adozione il 13 maggio 2010 posto che trattasi di atto evidentemente recettizio.

La proroga del termine di conclusione del procedimento è a sua volta comunque illegittima, perché fondata su attribuzione di onere della prova che poteva e doveva intervenire ben prima in quanto relativa a fatti rappresentati dalla ricorrente sin dalla memoria difensiva del 30 novembre 2009, e addirittura prima dell’audizione della società.

2) In via subordinata: violazione e falsa applicazione degli artt. 20, 21 comma 1 lettera a) e 23 lettera e) del d.lgs. n. 206/2005. Eccesso di potere in tutte le sue figure sintomatiche.

Nel caso di specie è del tutto erronea la qualificazione come pratica commerciale di singoli, specifici e isolati episodi relativi all’indisponibilità di alcuni prodotti presso taluni punti vendita, come dimostra il volume delle iniziative promozionali (circa sessanta all’anno) relative a quasi ventimila diversi prodotti, l’esiguo numero delle segnalazioni ricevute, il numero limitatissimo di prodotti risultati indisponibili (appena sei).

Né può ritenersi corretta la riconduzione della pratica commerciale al novero di quelle vietate ex art. 23 lettera e), posto che non si versa in fattispecie di c.d. "bait advertising".

3) Violazione e falsa applicazione degli artt. 23 lettera e) e 27 del d.lgs. n. 206/2005, nonché dell’art. 8 del regolamento sulle procedure istruttorie delle pratiche commerciali scorrette. Eccesso di potere in tutte le sue figure sintomatiche in relazione alla classificazione delle pratiche come "manifestamente scorrette e gravi’. Contraddittorietà tra più parti del provvedimento.

Il rigetto degli impegni proposti dalla società ricorrente è a sua volta illegittimo perché fondato sull’errata qualificazione della pratica come "manifestamente grave e scorretta", non essendo essa inquadrabile nelle fattispecie nelle quali la Autorità è solita escludere l’accoglimento degli impegni, in quanto riconducibili nelle c.d. black list, connotate da grave inganno o pressione, relative a condizioni di debolezza del consumatore medio, idonee ad arrecare pregiudizio economico concreto o eventuale, dirette a un elevato numero di consumatori.

In particolare non si è in presenza di c.d. bait advertising, non essendo i prodotti in oggetto idonei di per se a attirare i consumatori presso i punti vendita (c.d. prodotti civetta) vuoi perché di non particolare pregio tecnologico, vuoi per la collocazione e il carattere della loro pubblicizzazione nei volantini promozionali; si ribadisce d’altro canto l’episodicità dei fatti, l’afferenza dell’offerta a consumatori medi avvertiti o avveduti, l’assicurazione della disponibilità di prodotti alternativi equivalenti.

4) Violazione e falsa applicazione dell’art. 18 del d.lgs. n. 206/2005, nonché del principio di parità di trattamento ex art. 3 Cost. Eccesso di potere in tutte le sue figure sintomatiche in relazione alla dichiarata inapplicabilità dei principi generali dell’ordinamento alla disciplina a tutela del consumatore, manifesta ingiustizia, ingiustificata disparità di trattamento.

Il provvedimento impugnato esige un grado teorico di diligenza tale da configurare una responsabilità di tipo oggettivo, non avendo considerato l’Autorità la non imputabilità ad A. della indisponibilità dei prodotti, dipesa da inadempienze dei fornitori o da fatti imprevedibili, ivi incluse circostanze burocratiche afferenti al transito in dogana di uno dei prodotti, ed anzi avendo sostenuto erroneamente l’inapplicabilità nell’ambito delle pratiche commerciali scorrette dei principi civilistici di correttezza e buona fede, peraltro espressamente contemplati dall’art. 93 del codice del consumo con riguardo alla vendita di pacchetti turistici (onde l’interpretazione accreditata dall’Autorità si risolverebbe in inammissibile disparità di trattamento).

In ogni caso si ribadisce che A. ha assicurato la disponibilità di prodotti equivalenti o di caratteristiche superiori a prezzi scontati, o se con caratteristiche inferiori a prezzi inferiori.

5) Violazione e falsa applicazione dell’art. 27 del d.lgs. n. 206/2005. Eccesso di potere in tutte le sue figure sintomatiche in relazione alla valutazione delle prove fornite dalla ricorrente, manifesta ingiustizia.

L’Autorità ha escluso che la società ricorrente avesse assolto all’onere probatorio attribuitogli sull’erroneo rilievo che le dichiarazioni rese da dipendenti e responsabili dei punti vendita non siano ammissibili siccome rese da soggetti legati al professionista da contratto di lavoro, laddove secondo pacifica giurisprudenza il rapporto di lavoro dipendente non integra alcuna incapacità legale a testimoniare e in sede ispettiva gli stessi funzionari dell’Autorità possono acquisire informazioni e spiegazioni orali.

6) Violazione e falsa applicazione dell’art. 27 del d.lgs. n. 206/2005 e dell’art. 11 della legge n. 689/1981. Eccesso di potere in tutte le sue figure sintomatiche in relazione alla valutazione della gravità della pratica, della sua durata e delle condizioni economiche dell’operatore.

Nella commisurazione della sanzione non è stato considerato che la pratica commerciale atteneva ad appena sei prodotti, che alcune promozioni avevano carattere locale, che le singole iniziative promozionali erano limitate a pochi giorni, che in effetti l’utile conseguito è "assai risicato" rispetto al fatturato (pari allo 0,11%).

7) Violazione e falsa applicazione dell’art. 27 del d.lgs. n. 206/2005 e dell’art. 8 bis della legge n. 689/1981.

E’ stata considerata erroneamente l’esistenza di recidiva laddove la condotta sanzionata in precedenza non atteneva a violazione della stessa indole siccome relativa a pubblicità ingannevole per offerta di prodotti assicurativi.

Costituitasi in giudizio l’Autorità intimata, con memoria dell’Avvocatura generale dello Stato depositata il 16 marzo 2011 è stata dedotta l’infondatezza del ricorso in base ai rilievi di seguito sintetizzati:

a) il provvedimento è affatto tempestivo, dovendosi ricomprendere nel termine di conclusione del procedimento il termine di trenta giorni per il parere dell’A.G.COM., ed assumendo rilievo la data della sua adozione e non già della comunicazione, secondo pacifica giurisprudenza;

b) il rigetto degli impegni rispecchia valutazioni di ampia discrezionalità e nella specie è motivato dall’ampia diffusione delle campagne promozionali e dall’inidoneità degli impegni a incidere su condotte già perfezionatesi;

c) corretto è l’inquadramento delle condotte, relative a varie campagne promozionali, all’ambito delle pratiche scorrette in relazione all’indisponibilità di taluni prodotti sin dal primo giorno della promozione, dalla mancata attivazione di efficaci misure preventive e successive, alla prevedibilità delle cause di indisponibilità dei prodotti;

d) proporzionata è la sanzione, ragguagliata alla gravità delle violazioni, alla loro durata, alla condizione economica del professionista, all’esistenza di precedente sanzione per pratica commerciale scorretta.

Con memoria difensiva depositata il 25 marzo 2011, in replica alle deduzioni avverse, la società ricorrente ha ribadito e ulteriormente illustrato le censure dedotte in ricorso.

All’udienza pubblica del 6 aprile 2011 il ricorso è stato discusso e deciso.

Motivi della decisione

1.) Il ricorso in epigrafe è destituito di fondamento giuridico e deve essere rigettato.

1.1) Giova precisare, ad integrazione della narrativa in fatto, che l’Autorità garante della concorrenza e del mercato, nella deliberazione impugnata, ha fondato il riconoscimento della violazione degli artt. 20, 21 comma 1 lettera b) e 23 lettera e) del d.lgs. 6 settembre 2005, n. 206 sui rilievi di seguito riportati (paragrafi da 56 a 77 della deliberazione):

"56. La pratica commerciale oggetto di valutazione nell’ambito del presente procedimento consiste nel comportamento tenuto da A. in occasione delle iniziative promozionali dallo stesso effettuate, con particolare riferimento alle procedure e alle iniziative adottate per assicurare ai consumatori la disponibilità dei prodotti oggetto delle medesime promozioni".

"57. Il professionista, attraverso numerose campagne promozionali diffuse tramite volantini locali e nazionali riprodotti, nella quasi totalità dei casi, anche sul sito Internet www.auchan.it, invita all’acquisto di prodotti, food e non food, a prezzi vantaggiosi nell’ambito dei diversi periodi di validità delle promozioni. In relazione alle iniziative descritte al precedente punto II, lettere da A) a F), è risultata l’indisponibilità di una serie di prodotti presso alcuni e talvolta tutti i punti di vendita del professionista, segnalata già dal primo giorno di validità delle promozioni stesse".

"58. Le diverse cause che hanno originato l’accertata indisponibilità possono essere ricondotte a quattro distinte categorie:

1. Mancata richiesta di fornitura del prodotto da parte del direttore del PdV alla sede centrale: condotte di cui al punto II, lettere D) ed F).

2. Vendita in blocco dell’intero stock nei giorni antecedenti l’iniziativa promozionale: condotte di cui al punto II, lettere A) ed E);

3. Mancata o parziale evasione dell’ordinativo del professionista da parte dei fornitori di cui lo stesso si serve: condotte di cui al punto II, lettere B) ed E);

4. Problemi di natura burocratico – amministrativa: condotta di cui al punto II, lettera C)";

"59. Tali circostanze evidenziano una condotta che risulta contraria alla diligenza ragionevolmente esigibile da un importante professionista del settore della Grande Distribuzione Organizzata, ravvisabile nella incapacità di garantire la disponibilità di tutti i prodotti che vengono offerti in promozione".

"60. In base agli articoli 20, 21 e 23, lettera e), del Codice del Consumo il professionista, proprio in relazione alle campagne promozionali che lo stesso decide di effettuare, deve operare con un livello particolare di diligenza per assicurare ai consumatori tutti i prodotti offerti in quantità ragionevoli in rapporto all’entità della promozione effettuata e della domanda conseguentemente sollecitata, garantendo al consumatore la realizzazione delle proprie aspettative di acquisto dei prodotti offerti o di prodotti equivalenti alle condizioni reclamizzate. Ciò richiede non soltanto una particolare attenzione nella fase antecedente l’inizio delle promozioni commerciali, ma anche un monitoraggio costante della corretta esecuzione del processo durante e dopo la campagna promozionale, al fine di rispondere alle attese dei consumatori e di onorare il preciso contenuto delle offerte proposte al pubblico".

"61. In relazione, ad esempio, ad alcune delle condotte contestate, il professionista ha dichiarato che le proprie iniziative promozionali seguono procedure definite; in particolare, benché la Funzione Acquisti A. suggerisca, per ogni PdV, le quantità di ciascun bene in promozione di cui approvvigionarsi, questi godono di discrezionalità nella determinazione delle quantità e che, qualora il singolo PdV non provveda a specificare le proprie occorrenze, verrà rifornito automaticamente in base alle quantità suggerite dalla Funzione Acquisti".

"62. Tale assunto appare smentito dallo stesso professionista nel momento in cui afferma che, in tali circostanze, si sarebbero verificati problemi di ridistribuzione del prodotto poiché i direttori dei PdV interessati avrebbero omesso di effettuare le richieste di fornitura presso la sede centrale".

"63. Appare evidente, pertanto, che proprio tale modus operandi non sia idoneo a garantire, potenzialmente in relazione a tutte le iniziative promozionali attuate dal professionista e per tutti i prodotti interessati, la certezza della disponibilità dei beni in offerta richiesti dai consumatori, e ciò indipendentemente dal fatto che tali beni siano di particolare attrazione, come nel caso di quelli raffigurati in grande evidenza nella pagina di copertina dei dépliant, o semplicemente proposti, all’interno dei dépliant stessi, ad un prezzo conveniente rispetto a quello ordinariamente praticato. Ne consegue che non rilevano, sul punto, le argomentazioni del professionista volte ad evidenziare che i prodotti de quo non erano elementi qualificanti l’offerta, a fronte del loro inserimento in volantini che hanno avuto larghissima diffusione presso i consumatori".

"64. Analoghe considerazioni possono svolgersi relativamente ad ulteriori promozioni, per le quali l’indisponibilità dei prodotti, giustificata con l’esaurimento delle scorte prima dell’inizio della promozione, appare sintomatica di un’incapacità del professionista di prevedere le quantità necessarie per rispondere adeguatamente alla domanda sollecitata dalla promozione".

"65. Né può escludersi la responsabilità del professionista nei confronti dei consumatori qualora l’indisponibilità dei prodotti in offerta derivi da inadempienze dei fornitori. Infatti, in considerazione della natura e del settore di attività in cui esso opera, nel quale gli inadempimenti da parte dei fornitori rappresentano un rischio ragionevolmente prevedibile, occorre attendersi dal professionista, in occasione di iniziative promozionali simili a quelle oggetto di esame e che prevedono l’offerta di numerosissimi prodotti, una maggiore attenzione ed un controllo più severo delle corrispondenti procedure di acquisto al fine di non disattendere le aspettative dei consumatori alimentate dalla promessa pubblicitaria dell’operatore".

"66. Alla luce di quanto sin qui rappresentato, i comportamenti adottati da A. appaiono carenti dal punto di vista della diligenza professionale, sia per ciò che concerne i rapporti interni, sia per quanto riguarda quelli con i fornitori, essendosi questi rivelati assolutamente inidonei ad assicurare la disponibilità dei prodotti pubblicizzati in tutte le diverse iniziative promozionali, in un momento addirittura antecedente il loro inizio".

"67. Inoltre, se si considera il presumibile incremento della domanda di un prodotto reclamizzato a un prezzo vantaggioso per il consumatore, si deve rilevare che a tale sollecitazione il professionista non è stato in grado di rendere disponibile, nel periodo di validità dell’offerta, non soltanto un congruo quantitativo del bene oggetto di promozione, ma addirittura, come nelle promozioni osservate, finanche una sola unità del bene stesso".

"68. Sul punto, al fine di rispettare le disposizioni di cui agli articoli 20, 21 e 23, lettera e), del Codice del Consumo e di consentire piena soddisfazione della domanda dei consumatori che egli stesso, attraverso le proprie offerte, ha sollecitato, appaiono dirimenti i rimedi che il professionista è in grado di porre in essere, una volta accertata l’indisponibilità di un prodotto in corso di validità di una promozione".

"69. Se è vero, da un lato, che anche nelle ordinarie transazioni tra operatori commerciali è possibile incorrere in disservizi e/o inefficienze (ad es., mancate forniture), è altrettanto vero che, nei confronti dei consumatori, assumono rilevanza anche i rimedi, in termini di azioni e comportamenti, che successivamente vengono adottati dal professionista nei riguardi dei consumatori che, attratti dall’iniziativa promozionale, siano stati indotti a recarsi presso i suoi PdV".

"70. A. ha dichiarato che, laddove gli articoli oggetto di iniziative promozionali si rendano indisponibili in forza di circostanze non dipendenti dalla propria volontà, ciascun PdV offre la possibilità ai clienti di prenotare l’articolo in promozione o, in alternativa, un prodotto sostitutivo dalle pari o superiori prestazioni alle condizioni di vendita pubblicizzate e provvede ad informare la propria clientela attraverso cartelli di errata corrige. Tuttavia, a seguito della richiesta di fornire prove sull’esattezza materiale di tali dati di fatto, il professionista non è stato in grado di assolvere all’onere della prova".

"71. Infatti, avuto riguardo all’esposizione presso i punti vendita di cartelli informativi alla clientela, il professionista ha dichiarato che non esistono format prestabiliti per tale tipologia di comunicazioni e che ciascun PdV provvede alla realizzazione e all’affissione di comunicati ad hoc. Non conservando in un archivio tali cartelli, A. si è limitata a riportare la testimonianza dei dipendenti e le dichiarazioni dei responsabili del punto vendita che avrebbero provveduto alla loro realizzazione e affissione".

"72. È evidente che tali dichiarazioni non possono essere considerate sufficienti ai fini dell’assolvimento dell’onere della prova, in quanto rese da soggetti legati al professionista da un contratto di lavoro e, conseguentemente, privi di quell’elemento di terzietà richiesto in simili circostanze. In ogni caso, tali dichiarazioni non rivestono carattere generale, ma riguardano soltanto alcune delle promozioni contestate per alcuni PdV".

"73. Per ciò che concerne, invece, le misure adottate dal professionista al fine di garantire la successiva fornitura ai consumatori dei prodotti risultati indisponibili o di prodotti sostitutivi equivalenti, non si rinvengono, nella documentazione prodotta dal professionista, elementi idonei a comprovare l’effettiva esistenza di una prassi consolidata di A. relativa all’acquisizione delle prenotazioni della clientela e alla loro raccolta in quaderni e registri"

"74. In proposito, infatti, il professionista ha prodotto soltanto un modulo, denominato "assegno garanzia promozione", predisposto dal PdV di Monza che, si afferma, essere generalmente utilizzato presso tale esercizio per raccogliere le prenotazioni della clientela, nonché alcuni cartelli informativi e pagine Internet relativi al servizio di prenotazione effettuato in alcuni punti vendita A.".

"75. Anche in questo caso, non può attribuirsi valore di certificazione oggettiva o rilevanza probatoria a tale documentazione in quanto non idonea ad attestare un modus operandi generalizzato del professionista, né l’effettivo svolgimento del servizio di cui trattasi".

"76. Alla luce di quanto esposto, deve ritenersi che A. non è stato in grado di fornire la documentazione richiesta ai sensi dell’articolo 27, comma 5, del Codice del Consumo, nonché ai sensi dell’articolo 15 del Regolamento, né può considerarsi dimostrata l’effettiva assunzione delle iniziative che il professionista ha dichiarato di porre in essere al fine di fornire ai consumatori i prodotti risultati indisponibili anche in tempi successivi e alle medesime condizioni promozionali"

"77. Pertanto, la pratica commerciale adottata dal professionista è da ritenersi scorretta ai sensi degli articoli 20, 21, lettera b), e 23, lettera e), del Codice del Consumo, non riscontrandosi, nel caso di specie, avuto riguardo alla qualità del professionista, l’adozione del normale grado di diligenza, competenza ed attenzione che ragionevolmente ci si può attendere nell’espletamento di simili operazioni commerciali che si concretizzano nella proposizione di offerte particolarmente allettanti, tali da indurre i consumatori a recarsi presso i diversi punti di vendita con l’aspettativa di acquistare taluni dei prodotti pubblicizzati, salvo poi accertarne l’indisponibilità, così spingendoli a visionare le altre offerte di prodotti proposte dal professionista".

1.2) Nell’ordine logico giuridico il Tribunale deve esaminare anzitutto le censure afferenti alla dedotta tardività del provvedimento sanzionatorio (motivo sub 1, prima parte), alla sua invalidità derivata in funzione dell’illegittimità della proroga del termine di conclusione del procedimento (motivo sub 1, seconda parte) e dell’illegittimità del rigetto degli impegni proposti (motivo sub 3), al travisamento e carente motivazione in ordine alla individuazione, nel caso di specie, di una pratica commerciale scorretta (motivo sub 2), anche in relazione alla invocata inesistenza della violazione dei doveri di diligenza professionale in rapporto alle circostanze da cui è dipesa l’indisponibilità dei prodotti pubblicizzati, nonché alle iniziative comunque assunte per avvisare i consumatori e procurare prodotti equivalenti (motivo sub 4), all’assolvimento dell’onere probatorio in funzione dell’erroneità del rilievo concernente l’inammissibilità delle dichiarazioni rese da dipendenti e responsabili dei punti vendita societari (motivo sub 5), ed infine all’entità della sanzione irrogata (motivi sub 6 e 7).

1.2.1) La più radicale censura, di cui al motivo sub 1), prima parte, del ricorso, attiene al rilievo che il provvedimento sanzionatorio è stato notificato alla società soltanto il 3 giugno 2010, ossia dopo la scadenza del termine di centocinquanta giorni, anche comprendendovi quello di trenta giorni per il parere, richiesto ma non comunicato, dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, posto che l’atto deve considerarsi recettizio, onde nel termine esso dovrebbe essere non solo adottato bensì portato a conoscenza del destinatario.

L’art. 7 comma 1 del regolamento sulle procedure istruttorie in materia di pratiche commerciali scorrette, adottato con deliberazione dell’Autorità n. 17589 del 15 novembre 2007, ai sensi dell’art. 27 comma 11 del d.lgs. 6 settembre 2005, n. 206 (recante il "Codice del consumo") dispone, come noto, che:

"Il termine per la conclusione del procedimento è di centoventi giorni, decorrenti dalla data di protocollo della comunicazione di avvio e di centocinquanta giorni quando, ai sensi dell’art. 27, comma 6, del Codice del Consumo, si debba chiedere il parere all’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni".

Nel caso di specie, la comunicazione d’avvio del procedimento reca la data del 21 ottobre 2009, onde il termine, pari a centocinquanta giorni per l’esigenza di acquisire il parere dell’A.G.COM., scadeva il 20 marzo 2010, e, prima della scadenza, con deliberazione del 4 febbraio 2010, è stato prorogato di giorni sessanta, assumendo nuova scadenza al 19 maggio 2010, in relazione all’attribuzione in capo all’operatore professionale dell’onere della prova, oggetto della comunicazione n. 15190 di prot. del 5 febbraio 2010.

Il provvedimento sanzionatorio è stato emanato nell’adunanza dell’Autorità del 13 maggio 2010, e quindi prima della scadenza del termine del procedimento come sopra indicata.

Posto che la conclusione del procedimento coincide con la emanazione del provvedimento finale, secondo la regola generale enunciata dall’art. 2 della legge 7 agosto 1990, n. 241, che in modo inequivoco la collega alla "adozione di un provvedimento espresso", non può assumere alcun rilievo invalidante la ovvia posteriorità, rispetto al termine di conclusione del procedimento, della comunicazione del provvedimento al destinatario, che attiene non già al perfezionamento della fattispecie provvedimentale sebbene soltanto alla sua attitudine a dispiegare la propria efficacia e ad essere portata a esecuzione anche indipendentemente ed eventualmente contro la volontà del destinatario, ossia al carattere della esecutorietà.

In tal senso, d’altro canto, è orientata in senso affatto costante la giurisprudenza amministrativa (cfr., per i provvedimenti sanzionatori dell’A.G.C.M., T.A.R. Lazio, Roma, Sez. I, 14 marzo 2011, n. 2274, nonché 16 settembre 2008, n. 8339, 21 luglio 2008, n. 7118 e 21 settembre 2006, n. 9090; vedi anche T.A.R. Lazio, Roma, Sez. III, 8 aprile 2010, n. 5873 in tema di termini per i provvedimenti sanzionatori dell’A.G.COM.; e più in generale vedi Cons. Stato, Sez. VI, 6 marzo 2001, n. 1254 e 25 febbraio 2003, n. 1054).

Alla stregua dei rilievi che precedono la più radicale censura dedotta dalla società ricorrente è destituita, quindi, di fondamento giuridico.

Non ha maggior pregio l’altro profilo d’invalidità derivata, dedotta -nel motivo sub 1) seconda parte del ricorso- dall’invocata illegittimità della proroga del termine di conclusione del procedimento, come disposta con la ricordata deliberazione dell’Autorità in data 4 febbraio 2010 (comunicata con la nota n. 15190 di prot. del 5 febbraio 2010).

L’art. 7 comma 3 del regolamento sulle procedure istruttorie in materia di pratiche commerciali scorrette stabilisce che:

"Con provvedimento motivato del Collegio, il termine può essere prorogato, fino ad un massimo di sessanta giorni, in presenza di particolari esigenze istruttorie, nonché in caso di estensione soggettiva od oggettiva del procedimento. Con le stesse modalità, il termine può essere altresì prorogato, fino ad un massimo di sessanta giorni, nel caso in cui il professionista presenti degli impegni".

Nel caso di specie, la deliberazione del 4 febbraio 2010 ha disposto la proroga "Considerato che sussistono particolari esigenze istruttorie, in considerazione della necessità di acquisire -attraverso l’attribuzione al professionista dell’onere della prova con riferimento a talune delle pratiche commerciali contestate ai sensi dell’art. 27, comma 5, Codice del Consumo, ulteriori elementi ai fini della valutazione delle fattispecie oggetto del procedimento"; e "Considerata, altresì, la necessità di garantire un completo contraddittorio avuto riguardo alle informazioni acquisite relative alle questioni connesse con l’oggetto dell’accertamento".

E’ del tutto evidente, quindi, che la proroga del termine di conclusione del procedimento è stata correlata all’esercizio dello specifico potere di cui all’art. 27 comma 5 del d.lgs. n. 206/2005, che come è noto, per quanto qui interessa, prevede che:

"L’Autorità può disporre che il professionista fornisca prove sull’esattezza dei dati di fatto connessi alla pratica commerciale se, tenuto conto dei diritti o degli interessi legittimi del professionista e di qualsiasi altra parte nel procedimento, tale esigenza risulti giustificata, date le circostanze del caso specifico. Se tale prova è omessa o viene ritenuta insufficiente, i dati di fatto sono considerati inesatti".

A sua volta l’art. 15 del regolamento sulle pratiche istruttorie in materia di pratiche commerciali scorrette dispone che:

"Qualora il responsabile del procedimento, ai sensi dell’articolo 27, comma 5, del Codice del Consumo, disponga che il professionista fornisca prove sull’esattezza dei dati di fatto connessi alla pratica commerciale, comunica tale incombente istruttorio alle parti, indicando gli elementi di prova richiesti, la motivazione della richiesta stessa e il termine per la produzione della prova".

In altri termini l’Autorità, preso atto e condivisa l’esigenza dell’attribuzione dell’onere della prova su circostanze di fatto inerenti alla pratica commerciale oggetto della comunicazione d’avvio del procedimento, anche e ovviamente sulla scorta dei rilievi svolti dalla società ricorrente, ha esercitato, in funzione di incontestate esigenze istruttorie. il potere di prorogare il termine di conclusione del procedimento.

Né la società ricorrente contesta, in se, la sussistenza di tali esigenze istruttorie o la ricorrenza dei presupposti per l’attribuzione dell’onere probatorio, che atteneva, giova rammentare (cfr. la nota del responsabile del procedimento 15190 di prot. del 5 febbraio 2010) sia all’esattezza delle circostanze di fatto, allegate dalla società ricorrente, a giustificazione della indisponibilità dei prodotti, sia alle informative ai consumatori in ordine all’indisponibilità dei prodotti presso i vari punti vendita interessati e alle iniziative assunte al fine di assicurare ai consumatori la disponibilità di quei prodotti alle stesse condizioni dell’offerta promozionale o di prodotti equivalenti alternativi a prezzi identici.

La società ricorrente lamenta, invece, soltanto che non si sia proceduto con maggiore tempestività, suggerendo che vi sia stato un ritardo tale da comportare una proroga che altrimenti non avrebbe potuto o dovuto essere disposta.

Sennonché, a prescindere dal rilievo che la presentazione di impegni avrebbe a sua volta potuto introdurre ulteriore proroga, potere del quale l’Autorità non ha ritenuto di avvalersi (ciò che dimostra come l’Autorità non abbia inteso "strumentalizzare" i termini del procedimento, altrimenti sarebbe stato logico e ben più agevole raccordare la proroga proprio alla presentazione degli impegni), non può sostenersi che tra la presentazione della memoria difensiva del 30 novembre 2009 e la deliberazione di proroga del 4 febbraio 2010 sia decorso uno spatium temporis eccessivo e ingiustificato, dovendo esso ricomprendere la valutazione della memoria, l’individuazione delle circostanze di fatto sulle quali occorreva richiedere gli elementi probatori e la specifica enucleazione di questi ultimi, la prospettazione all’Autorità dell’esigenza di procedere all’attribuzione dell’onere probatorio, la cui condivisione è posta a sostegno della proroga.

Né può assumere alcun rilievo giuridico, men che meno viziante, la circostanza che la comunicazione dell’attribuzione dell’onere della prova, di cui, si ripete, non è contestata l’esigenza, sia intervenuta prima dell’audizione della società e della presentazione degli impegni, posto che essa è affatto autonoma e indipendente dall’una e dagli altri sotto il profilo procedimentale.

L’audizione, come noto facoltativa e non obbligatoria, può intervenire in qualsiasi momento, prima della comunicazione di chiusura dell’istruttoria (cfr. art. 12 del regolamento sulle pratiche istruttorie in materia di pratiche commerciali scorrette), mentre gli impegni possono essere presentati "entro e non oltre trenta giorni dalla ricezione della comunicazione di avvio del procedimento" (ai sensi dell’art. 8 comma 1 dello stesso regolamento), ancorché tale termine sia stato ritenuto non perentorio ma sollecitatorio (cfr. T.A.R. Lazio, Roma, Sez. I, 19 novembre 2010, n. 33668).

D’altro canto la società avrebbe potuto richiedere un differimento dell’audizione (fissata e svoltasi il 19 febbraio 2010), come le era stato espressamente rappresentato nella nota n. 15190 di prot. del 5 febbraio 2010, nella quale si dava comunicazione che "…essa avrà luogo 19 febbraio 2010, alle ore 10.30…ovvero in data diversa da concordarsi con gli uffici", laddove non risulta che di tale facoltà riconosciutale abbia inteso avvalersi, essendosi l’audizione svolta senza riserve sul punto nella data fissata, come dal relativo verbale versato in atti dalla società ricorrente.

Anche le censure dedotte nella seconda parte del primo motivo devono essere quindi disattese, siccome infondate.

1.2.2) Nell’ordine logicogiuridico devono poi esaminarsi le censure dedotte con il motivo sub 3) del ricorso, esse pure incentrate sulla invalidità derivata del provvedimento sanzionatorio in funzione dell’invocata illegittimità del rigetto degli impegni formulati dalla società ricorrente, come deliberato dall’Autorità nell’adunanza del 18 marzo 2010, e comunicato con nota n. 23443 di prot. del 24 marzo 2010 "in quanto relativi a condotte commerciali "manifestamente scorrette e gravì per le quali l’articolo 27, comma 7, del Codice del Consumo, non può trovare applicazione", con rilievo che "sussiste, pertanto, nel caso di specie l’interesse dell’Autorità a procedere all’accertamento dell’eventuale infrazione".

Com’è noto l’istituto degli "impegni" è disciplinato dall’art. 27 comma 7 del d.lgs. 6 settembre 2005, n. 206, come sostituito -unitamente al complesso degli articoli da 18 a 27- dall’art. 1 del d.lgs. 2 agosto 2007, n. 146, (emanato in attuazione della Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 2005/29/CE dell’11 maggio 2005, relativa alle pratiche commerciali sleali tra imprese e consumatori nel mercato interno, di modifica della direttiva 84/450/CEE del Consiglio e le direttive 97/7/CE, 98/27/CE e 2002/65/CE del Parlamento europeo e del Consiglio e il regolamento (CE) n. 2006/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio).

Ai sensi dell’art. 27 comma 7 -che non trova specifico riscontro peraltro nelle disposizioni della direttiva comunitaria:

"Ad eccezione dei casi di manifesta scorrettezza e gravità della pratica commerciale, l’Autorità può ottenere dal professionista responsabile l’assunzione dell’impegno di porre fine all’infrazione, cessando la diffusione della stessa o modificandola in modo da eliminare i profili di illegittimità. L’Autorità può disporre la pubblicazione della dichiarazione dell’impegno in questione a cura e spese del professionista. In tali ipotesi, l’Autorità, valutata l’idoneità di tali impegni, può renderli obbligatori per il professionista e definire il procedimento senza procedere all’accertamento dell’infrazione".

L’istituto è per certi aspetti esemplato, nella sua struttura e nelle sue finalità, sugli "impegni" noti alla legislazione antitrust comunitaria, già disciplinati dall’art. 3 del Regolamento del Consiglio (CEE) n. 17/1962 del 6 febbraio1962 (di attuazione degli artt. 85 e 86 del Trattato istitutivo della Comunità europea, ora artt. 81 e 82 della versione consolidata integrata dal Trattato di Nizza del 26 febbraio 2001, pubblicato nella G.U.C.E. 24 dicembre 2002, n. C 325), e quindi dall’art. 9 del successivo Regolamento del Consiglio (CE) n. 1/2003 del 16 dicembre 2002 (in tal senso vedi anche T.A.R. Lazio, Roma, Sez. I, 8 aprile 2009, n. 3723).

La disciplina degli impegni di cui all’art. 27 comma 7 del d.lgs. n. 206/2005 è stata integrata con le disposizioni contenute nell’art. 8 del Regolamento sulle procedure istruttorie in materia di pratiche commerciali e scorrette, di cui al provvedimento n. 17589, assunto con deliberazione dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato del 15 novembre 2007, il quale a sua volta prevede testualmente che:

"Entro e non oltre trenta giorni dalla ricezione della comunicazione di avvio del procedimento, il professionista può presentare, in forma scritta, impegni tali da far venire meno i profili di illegittimità della pratica commerciale" (comma 1).

"L’Autorità valuta gli impegni e:

a) qualora li ritenga idonei, dispone con provvedimento la loro accettazione rendendoli obbligatori per il professionista, chiudendo il procedimento senza accertare l’infrazione;

b) qualora li ritenga parzialmente idonei, fissa un termine al professionista per un’eventuale integrazione degli impegni stessi;

c) nei casi di manifesta scorrettezza e gravità della pratica commerciale di cui all’articolo 27, comma 7, del Codice del Consumo o in caso di inidoneità degli impegni, delibera il rigetto degli stessi" (comma 2).

"Successivamente alla decisione di accettazione di impegni, il procedimento potrà essere riaperto d’ufficio, laddove:

a) il professionista non dia attuazione agli impegni assunti;

b) si modifichi la situazione di fatto rispetto ad uno o più elementi su cui si fonda la decisione;

c) la decisione di accettazione di impegni si fondi su informazioni trasmesse dalle parti che siano incomplete, inesatte o fuorvianti" (comma 3).

Orbene, dal coordinamento esegetico tra le disposizioni normativa e regolamentare è agevole desumere che la sfera delle pratiche commerciali scorrette alle quali risulta riferibile l’istituto degli impegni è limitata a fattispecie di maggiore tenuità e minore impatto socioeconomico, stante l’espressa esclusione per le ipotesi di pratiche "manifestamente scorrette e gravi", che in effetti individua una sorta di endiadi, essendo arduo immaginare che una pratica grave non sia anche "manifestamente", ossia "ictu oculi", scorretta, e che a sua volta una pratica di palese evidente scorrettezza non presenti, proprio in funzione della sua qualificata scorrettezza, profili di gravità.

Tale rilievo è confermato dalla circostanza che l’accettazione degli impegni da parte dell’Autorità implica la chiusura del procedimento istruttorio senza assunzione di alcun provvedimento, precludendo l’accertamento dell’infrazione, salva la sua riapertura nelle ipotesi ivi enumerate (violazione degli impegni assunti, modificazioni della situazione di fatto presupposta all’accettazione degli impegni, erronea e fuorviante rappresentazione degli elementi informativi comunicati e considerati ai fini dell’accettazione degli impegni).

In sostanza, il legislatore nazionale ha introdotto un meccanismo di "definizione semplificata" per le pratiche commerciali scorrette di minore entità (potrebbe dirsi con assonanza penalistica "bagatellari"), fondato sulla formulazione d’impegni da parte del professionista che risultino compiutamente idonei, secondo le circostanze e la discrezionale valutazione dell’Autorità, a determinare la cessazione della pratica, la eliminazione dei suoi effetti e/o comunque dei suoi profili d’illegittimità, secondo un meccanismo che richiama, in qualche modo, nei suoi presupposti, se non ovviamente nei suoi effetti, la desistenza volontaria ed ancor più il recesso attivo del delitto tentato e che invece, nella disciplina generale delle violazioni implicanti l’applicazione di sanzioni amministrative pecuniarie, incide soltanto sulla determinazione della misura della sanzione (ai sensi dell’art. 11 della legge 24 novembre 1981, n. 689, infatti, l’opera svolta dall’agente per l’eliminazione o attenuazione delle conseguenze della violazione assume rilievo, assieme alla gravità della violazione, alla personalità dell’autore e alle sue condizioni economiche,l ai fini della determinazione della sanzione amministrativa pecuniaria fissata dalla legge tra un limite minimo ed un limite massimo).

Ciò posto, deve anzitutto rammentarsi che la determinazione negativa sugli impegni formulati dall’operatore professionale non è atto provvedimentale immediatamente e autonomamente impugnabile, posto che esso si colloca nella fase del tutto preliminare, nella quale è stato soltanto comunicato l’avvio del procedimento e l’istruttoria è in corso, onde non è dato nemmeno di conoscere se il procedimento esiterà nell’adozione di un provvedimento sanzionatorio.

In una prospettiva più ampia, potrebbe addirittura a buona ragione dubitarsi, sotto il profilo dell’interesse a ricorrere, che le determinazioni negative sugli impegni siano comunque impugnabili, anche unitamente al provvedimento che dichiara la scorrettezza della pratica commerciale e irroga la sanzione pecuniaria amministrativa (per spunti in tal senso cfr. T.A.R. Lazio, Roma, Sez. I, 4 maggio 2009, n. 4490, che esclude che l’illegittimità del diniego di accettazione degli impegni refluisca ex se sul provvedimento finale irrogativo della sanzione), stante il carattere assorbente dell’eventuale annullamento del provvedimento sanzionatorio, sul quale alla fine si concentra l’interesse all’impugnazione.

In ogni caso, è del tutto evidente, e pacifico nella giurisprudenza amministrativa, che le determinazioni in ordine agli impegni individuano una sfera di valutazioni di ampia discrezionalità in ordine alla "…idoneità e proporzionalità delle misure correttive proposte, nonché della sussistenza di un rilevante interesse pubblico all’accertamento dell’infrazione medesima, previa verifica dell’opportunità stessa di preferire la procedura negoziata" (cfr. tra le tante T.A.R. Lazio, Sez. I, 2 agosto 2010, n. 29511 e 13 luglio 2010, n. 24991).

Orbene, nel caso di specie, l’Autorità ha posto a fondamento del rigetto degli impegni una valutazione non illogica né irrazionale in ordine alla "manifesta scorrettezza e gravità" della pratica commerciale, connessa alla sua riconducibilità al novero delle pratiche commerciali "in ogni caso ingannevoli" di cui all’art. 23 lettera e) del d.lgs. n. 206/2005, espressamente richiamato sin dalla comunicazione d’avvio del procedimento, ossia ad una delle fattispecie che formano appunto la c.d. black list di cui all’allegato 1 (punto 5) della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 2005/29/CE dell’11 maggio 2005, relativa alle pratiche commerciali sleali tra imprese e consumatori nel mercato interno, ed in particolare a quella costituita appunto dalla pratica di "invitare all’acquisto di prodotti ad un determinato prezzo senza rivelare l’esistenza di ragionevoli motivi che il professionista può avere per ritenere che non sarà in grado di fornire o di far fornire da un altro professionista quei prodotti o prodotti equivalenti a quel prezzo entro un periodo e in quantità ragionevoli in rapporto al prodotto, all’entità della pubblicità fatta dal prodotto e al prezzo offerti (bait advertising ovvero pubblicità propagandistica)", il cui tenore testuale, salvo il riferimento al bait advertising, è riprodotto proprio nell’art. 23 lettera e).

Le pur suggestive argomentazioni dei difensori della società ricorrente, tese a sminuire la portata della condotta contestata, non possono valere, in alcun modo, a revocare in dubbio che la pratica commerciale, consistente nell’offerta di prodotti reclamizzati nell’ambito di varie campagne promozionali, nazionali e/o locali, la cui disponibilità non è stata assicurata addirittura sin dal primo giorno della vendita promozionale, siano comunque oggettivamente sussumibili nella fattispecie prevista e vietata dalla disposizione nazionale, di recepimento della normativa comunitaria.

In tal senso non può apprezzarsi né il richiamo alla circostanza che si trattasse solo di alcuni prodotti tra molti reclamizzati nei volantini pubblicitari, e non peraltro di "prodotti civetta" o "adescanti", e nemmeno di prodotti di particolare "qualità tecnologica", né al numero più o meno ridotto delle segnalazioni.

Quanto al primo aspetto, -condivisi i rilievi della deliberazione impugnata che, in relazione all’oggettiva indisponibilità dei prodotti reclamizzati o di prodotti analoghi a prezzi equivalenti, rileva l’irrilevanza del "fatto che tali beni siano di particolare attrazione"- deve osservarsi che nel caso di iniziative promozionali comprendenti un complesso di prodotti eterogenei, food e/o non food, deve aversi riguardo, per valutare la "attrattività" dell’offerta, alla "sezione" del volantino pubblicitario specificamente relativa ai prodotti tipologicamente assimilabili.

E così, nel volantino relativo alla campagna "La forza della convenienza" dal 23 al 30 ottobre 2008, per il punto vendita di Fano, il personal computer "Olidata", offerto al prezzo di Euro 149,00 è l’unico prodotto specifico di tal genere offerto (cfr. pag. 8); nell’analogo volantino della campagna "La forza della convenienza" dal 3 al 12 novembre 2008, per il punto vendita di Cinisello, il cellulare "Samsung" GSM SGH Z400 Tre, offerto al prezzo di Euro 39,00 compare assieme solo ad altro cellulare "Nokia" del costo ben superiore di Euro 269,00 (cfr. ultima pagina); nel volantino nazionale relativo alla campagna "La forza della convenienza" dal 6 al 15 novembre 2008, il richiamato cellulare "Samsung" compare effettivamente assieme ad altri dieci cellulari (non può considerarsi certamente il telefono "Brondi" Vintage, che non è un cellulare, ma una riproduzione in stile di un telefono tradizionale domestico a disco selettore), e la sua "attrattività", connotata dal prezzo di Euro 39,90, va riferita al ristretto contesto di cellulari comparabili per prezzo analogo o inferiore (in effetti solo due cellulari, offerti a Euro 27,90 e 29,90, ma con funzionalità e caratteristiche chiaramente inferiori) dovendosi considerare che il prezzo di Euro 39,90 era comprensivo anche di "Usim3 con Euro 3,00 di traffico", e che esso era l’unico prodotto tra tutti quelli pubblicizzati, a prezzi inferiori o anche superiori, comprensivo anche di un certo importo di traffico telefonico (cfr. pag. 30); nel volantino nazionale "Idee regalo" relativo alla campagna promozionale sino al 24 dicembre 2008, lo "spremiagrumi manuale in acciaio", offerto al prezzo di Euro 14,90, era l’unico articolo di tale tipo (cfr. pag. 8); nel volantino nazionale "20° compleanno Saldi", relativo alla promozione dall’8 al 19 luglio 2009, il personal computer portatile "Asus" EEEPC 904HA, offerto al prezzo di Euro 224,91, compare con altri due personal computer di caratteristiche ben diverse e di prezzo sensibilmente superiore, pari a Euro 386,10 Euro 449,91 (cfr. pag. 18); nel volantino nazionale relativo alla campagna promozionale dal 23 marzo al 1° aprile 2009, la "Vodafone" key, per il collegamento a internet, offerta a Euro 100,00, "con 100 euro di traffico dati incluso" è l’unico articolo di tale tipo reclamizzato (cfr. pag. 16); infine, nel volantino nazionale relativo alla campagna promozionale dal 27 agosto al 19 settembre 2009, il cellulare "Samsung" SGH 1560 Vodafone figura assieme ad altri sei telefoni cellulari, uno solo dei quali però ("Samsung" GSM SGH2210) è offerto allo stesso prezzo di Euro 99,90, tenendo conto però che solo il primo modello reca caratteristiche peculiari evidenziate in modo particolare (slot micro SD, GPS integrato, HSDPA 3,6 Mbps, Fotocamera 3 Mpx), volte chiaramente a porne in luce la particolare attrattività.

In tale contesto, poi, deve riconoscersi che prodotti connotati da una particolare "attrattività" di prezzo abbiano di per se attitudine a incidere sulle decisioni commerciali del consumatore medio, che non può identificarsi in quello specificamente orientato a prodotti tecnologici di particolare pregio e prestazioni, generalmente più indifferente alla "leva" del prezzo, bensì in un consumatore attento a contemperare la ricerca di prodotti di marca di consumo più o meno largo e il loro costo.

Quanto al secondo profilo, nessun rilievo può assumere di per se la circostanza che le segnalazioni siano state più o meno poche -e peraltro nella comunicazione d’avvio del procedimento indicate invece come "numerose", posto che comunque le campagne promozionali hanno certamente raggiunto un numero elevato di consumatori, non tutti ovviamente interessati agli specifici prodotti risultati indisponibili, e tra questi ultimi soltanto la parte dei "delusi" consapevoli dell’esistenza di forme di segnalazione e tutela, secondo esperienza una ristretta minoranza, sono soliti attivarsi.

In conclusione, quindi, anche le censure dedotte nel motivo di ricorso sub 3) risultano destituite di fondamento giuridico.

1.2.3) I rilievi testè svolti denotano altresì l’infondatezza delle doglianze svolte nel motivo di ricorso sub 2), col quale si lamenta l’erronea qualificazione come pratica commerciale di quelli che, secondo la società ricorrente, sarebbero "solo" singoli, specifici e isolati episodi relativi all’indisponibilità di alcuni prodotti presso taluni punti vendita, in rapporto al volume delle iniziative promozionali (circa sessanta all’anno) relative a quasi ventimila diversi prodotti, all’esiguo numero delle segnalazioni ricevute, al numero limitatissimo di prodotti risultati indisponibili (appena sei).

E’evidente, infatti, che per poter contestare la sussistenza di una pratica commerciale occorre che si tratti effettivamente di "…comportamento sporadico e isolato adottato dal professionista nei confronti del consumatore" (T.A.R. Lazio, Roma, Sez. 1, 19 novembre 2010, n. 33668), laddove, nel caso di specie, si tratta di una pluralità di campagne promozionali, dislocate in arco di tempo ampio (dall’ottobre 2008 al settembre 2009), concernenti diversi prodotti (due cellulari, di caratteristiche e prezzi diversi, due personal computer portatili, essi pure di caratteristiche e prezzi diversi, una key per collegamento a internet, uno spremiagrumi), risultati indisponibili in una pluralità di punti di vendita in varie regioni italiane (Lombardia, Marche, Lazio (Roma), Sardegna), a nulla potendo rilevare il numero complessivo delle iniziative promozionali attivate dall’operatore nel corso dell’anno o il numero dei prodotti offerti in promozione, né potendosi dedurre alcunché dal numero più o meno ristretto delle segnalazioni, posto che la pratica commerciale scorretta si qualifica in funzione dell’oggettività della condotta (l’offerta di prodotti ad un dato prezzo senza render noti al consumatore i motivi di eventuale indisponibilità o della disponibilità di alternativa offerta di prodotti analoghi a prezzo equivalenti), laddove semmai la quantità di prodotti reclamizzati risultati indisponibili potrebbe assumere rilevanza soltanto ai fini della commisurazione della sanzione.

1.2.4) La società ricorrente, col motivo sub 4), contesta che la deliberazione gravata abbia assunto a parametro un "grado" di diligenza professionale astratto e avulso dalla realtà, tale da configurare "…una inammissibile responsabilità oggettiva del professionista", avendo addebitato a condotte negligenti circostanza del tutto indipendenti ed estranee (inadempienze dei fornitori e fatti burocratici attinenti al trattenimento negli uffici doganali della partita di prodotto relativa allo "spremiagrumi"), da riguardare secondo i canoni civilistici di correttezza e buona fede quali ipotesi di impossibilità sopravvenuta e incolpevole della prestazione promessa, la cui applicabilità sarebbe stata viceversa negata dall’Autorità, pur se certamente riconosciuti dal codice del consumo e segnatamente dall’art. 93 (sia pure con riferimento alla vendita dei "pacchetti turistici").

Osserva il Tribunale che in nessuna parte della deliberazione impugnata è dato rilevare che l’Autorità garante della concorrenza e del mercato abbia inteso negare l’applicazione dei principi generali relativi alla responsabilità civile nei rapporti precontrattuale (o contrattuali) e alle sue cause di esclusione.

La nota 21, richiamata dalla ricorrente a dimostrazione del suo erroneo assunto, si limita infatti a osservare che:

"Sul punto, rileva anche il fatto che, in alcuni casi, i rapporti del professionista con primari fornitori quali, ad esempio, (omissis), vengono mediati da grossisti i quali, per espressa ammissione della Parte, in quanto intermediari, non sempre effettuano riassortimenti tempestivi in corso di promozione, ponendo ancor di più a rischio la corretta attuazione delle operazioni commerciali."

Essa va raccordata al rilievo, contenuto nel paragrafo 65, secondo il quale:

"Né può escludersi la responsabilità del professionista nei confronti dei consumatori qualora l’indisponibilità dei prodotti in offerta derivi da inadempienze dei fornitori. Infatti, in considerazione della natura e del settore di attività in cui esso opera, nel quale gli inadempimenti da parte dei fornitori rappresentano un rischio ragionevolmente prevedibile (21), occorre attendersi dal professionista, in occasione di iniziative promozionali simili a quelle oggetto di esame e che prevedono l’offerta di numerosissimi prodotti, una maggiore attenzione ed un controllo più severo delle corrispondenti procedure di acquisto al fine di non disattendere le aspettative dei consumatori alimentate dalla promessa pubblicitaria dell’operatore".

L’Autorità si è limitata a rilevare che l’indisponibilità del prodotto per fatto dei fornitori è evenienza non soltanto possibile ma addirittura, a certe condizioni, affatto probabile, e quindi non rientra in una sfera di eventi che il professionista non sia in grado di mettere in conto e rispetto ai quali non possa assumere idonee iniziative volte a scongiurarlo o, almeno, ad attenuarne la portata.

Ciò non significa richiedere un "grado" di diligenza professionale inesigibile, sebbene correlare, come doveroso, la valutazione della diligenza professionale in concreto dispiegata all’organizzazione e all’esperienza dell’operatore -nel caso di specie un autentico "leader" della grande distribuzione organizzata di prodotti food e no food- che, nel momento in cui sollecita, con molteplici iniziative promozionali, la domanda del mercato deve predisporre, nella fase di approvvigionamento e in quella successiva di estensione temporale della campagna promozionale, tutti i possibili rimedi per assicurare la disponibilità dei prodotti reclamizzati in quantità ragionevoli o, almeno, di prodotti analoghi a prezzi equivalenti.

D’altro canto proprio la proposta di impegni dimostra che la società ricorrente aveva ben presenti le "criticità" della propria organizzazione commerciale, sia con riferimento al raccordo esterno con i fornitori e a quello interno tra direzione acquisti, vendite, marketing e logistica e i responsabili dei vari punti di vendita, sia in relazione all’esigenza di più tempestiva informazione ai consumatori dell’indisponibilità di singoli prodotti e alle possibilità di alternativa offerta di prodotti equivalenti (cfr. processo verbale dell’audizione svoltasi il 19 febbraio 2010).

Il ragionamento conserva validità anche qualora il riferimento debba intendersi alla successiva nota 22, da raccordare al paragrafo n. 66, nel quale l’Autorità ha rilevato che:

"Alla luce di quanto sin qui rappresentato, i comportamenti adottati da A. appaiono carenti dal punto di vista della diligenza professionale, sia per ciò che concerne i rapporti interni, sia per quanto riguarda quelli con i fornitori (22), essendosi questi rivelati assolutamente inidonei ad assicurare la disponibilità dei prodotti pubblicizzati in tutte le diverse iniziative promozionali, in un momento addirittura antecedente il loro inizio".

Infatti la nota 22 si limita a osservare che:

"In proposito, non possono essere condivise le argomentazioni proposte da A. in merito alla rilevanza del comportamento adottato dai fornitori di cui la parte si avvale (cfr. punto n. 49 del presente provvedimento). In primo luogo, occorre notare che lo stesso professionista limita dette argomentazioni alla sola ipotesi del ritardo nella consegna, escludendo dal suo ragionamento la diversa ipotesi della mancata fornitura che, di fatto, ha determinato le indisponibilità di prodotti per tutto il periodo delle iniziative promozionali. Ad ogni modo, valga altresì considerare che non merita accoglimento neppure la diretta trasposizione dei principi civilistici di correttezza e buona fede suggerita dalla difesa di A. in quanto, esentare il professionista da ogni forma di responsabilità anche qualora il disservizio "possa, in linea di principio, essere connesso a cause interne alla sfera di influenza e organizzazione aziendale dello stesso debitore" costituirebbe una innegabile forzatura della ratio su cui poggia il Codice del Consumo, passibile di vanificare l’esigenza di tutela del soggetto debole di cui si permea l’intera disciplina giusconsumeristica e che contribuisce a distinguerla dalle altre materie civilistiche".

L’Autorità ha evidentemente voluto indicare che la disciplina a protezione del consumatore esige il massimo grado di diligenza che può essere concretamente dispiegata dal professionista in relazione alla natura e al tipo dell’offerta promozionale, senza che possano invocarsi in senso generico inadempimenti parziali o totali dei fornitori, almeno sino a che non sia dimostrato che il professionista ha assunto tutte le misure per eliderne le conseguenze, procurandosi altrimenti i prodotti o prodotti similari a prezzo equivalente.

Peraltro nemmeno l’esaurimento del prodotto connesso alla vendita "in blocco" di tutto il quantitativo disponibile (verificatosi per il personal computer "Olidata") "…il giorno prima dell’inizio della promozione" -come ammesso dalla società ricorrente- può ritenersi integrare evenienza imprevedibile ed estranea alla sfera organizzativa della società ricorrente, poiché il responsabile del punto vendita interessato (Fano) avrebbe potuto e dovuto limitare la consegna solo ad alcune unità, in modo da assicurarne comunque una certa disponibilità al momento dell’inizio della promozione, attivandosi nel contempo per acquisire ulteriori scorte.

Nemmeno il "blocco" in dogana della partita di spremiagrumi, di produzione cinese, può ritenersi evento imprevedibile, trattandosi di evenienza del tutto prevedibile in relazione al tipo di prodotto e alla sua utilizzazione diretta a contatto con alimenti.

Gli uffici doganali, come rilevato dalla società ricorrente, hanno richiesto, infatti, l’esibizione della c.d. "food declaration", di dichiarazione relativa alla presenza di olii negli ingranaggi e all’indicazione dei materiali di composizione del prodotto, ossia di documentazione specificamente attinente al profilo della sicurezza del prodotto, della cui necessità un operatore professionale leader nel campo della grande distribuzione organizzata anche food non può non essere pienamente edotto, dovendosi quindi preoccupare di curarne la tempestiva acquisizione dal produttore e/o fornitore.

Da ultimo, non risulta nemmeno inverata, con riferimento ai prodotti indicati in ricorso, l’assicurazione ai consumatori della disponibilità di prodotti analoghi a prezzi equivalenti: non per i cellulari Samsung SGH 720is e Nokia n2760, che la società ricorrente sostiene essere stati offerti in alternativa al cellulare Samsung SGH Z400 TRE "…ad un prezzo scontato", che però non risulta essere lo stesso prezzo del prodotto risultato indisponibile; e nemmeno per il personal computer Asus 1005HA (per il punto vendita di Santa Gilla), che non risulta dimostrato essere stato offerto a prezzo equivalente all’indisponibile all’Asus PC904, o Acer Aspire One 110L di prestazioni dichiaratamente "inferiori", cui ovviamente corrisponde un inferiore prezzo di vendita, o per il Netbook Aspire One DI50, offerto a "un prezzo promozionale", ma non equivalente a quello del prodotto indisponibile.

1.2.5) Infondate sono anche le censure dedotte con il motivo di ricorso sub 5), in ordine ai rilievi concernenti la inidoneità di dichiarazioni rese da dipendenti e responsabili dei punti vendita a dimostrare l’adozione di misure tese a avvertire i consumatori dell’indisponibilità dei prodotti offerti in promozione e della possibilità di acquisizione di prodotti analoghi a prezzi equivalenti.

Al riguardo deve rilevarsi che l’Autorità ha rilevato l’obiettiva circostanza (paragrafo 71) che "…avuto riguardo all’esposizione presso i punti vendita di cartelli informativi alla clientela, il professionista ha dichiarato che non esistono format prestabiliti per tale tipologia di comunicazioni e che ciascun PdV provvede alla realizzazione e all’affissione di comunicati ad hoc. Non conservando in un archivio tali cartelli, A. si è limitata a riportare la testimonianza dei dipendenti e le dichiarazioni dei responsabili del punto vendita che avrebbero provveduto alla loro realizzazione e affissione"; ed ha osservato come "tali dichiarazioni non possono essere considerate sufficienti ai fini dell’assolvimento dell’onere della prova, in quanto rese da soggetti legati al professionista da un contratto di lavoro e, conseguentemente, privi di quell’elemento di terzietà richiesto in simili circostanze. In ogni caso, tali dichiarazioni non rivestono carattere generale, ma riguardano soltanto alcune delle promozioni contestate per alcuni PdV".

In altri termini l’Autorità ha ritenuto che semplici dichiarazioni di soggetti legati da rapporto di lavoro con il professionista non siano ex se sufficienti a assolvere l’onere probatorio attribuito, evidenziando che, comunque, nel caso di specie le dichiarazioni non "coprivano" nemmeno tutti gli episodi di indisponibilità del prodotto concernenti le vendite promozionali in esame.

Tale conclusione non contrasta con i poteri istruttori di cui all’art. 14 del regolamento sulle procedure istruttorie in materia di pratiche commerciali scorrette, adottato con deliberazione dell’Autorità n. 17589 del 15 novembre 2007, che riconosce ai funzionari dell’Autorità incaricati di svolgere ispezioni di "richiedere informazioni e spiegazioni orali" nell’ambito di acquisizioni di natura documentale, e quindi a illustrazione e chiarimento degli elementi documentali acquisiti, in un ambito di poteri "inquirenti" di natura pubblicistica.

Ben diversa è l’ipotesi nella quale il professionista pretenda di affidare esclusivamente a dichiarazioni dei propri dipendenti e sottoposti l’assolvimento di un onere probatorio impostole dall’Autorità, senza che possano assumere rilevanza, come è evidente nell’ambito di un procedimento amministrativo, improponibili analogie con le previsioni di natura processuale in ordine all’assunzione di "prove testimoniali" in senso stretto e proprio, anche in funzione delle garanzie con cui le medesime sono raccolte, dinanzi al giudice e in contraddittorio tra le parti, e alle sanzioni, anche penali, che presiedono la violazione del giuramento e l’eventuale contenuto non veridico della testimonianza.

1.2.67) Non possono condividersi nemmeno le censure relative alla misura della sanzione pecuniaria irrogata, come estrinsecate nei motivi sub 6) e 7) del ricorso.

Osserva il Tribunale che le valutazioni dell’Autorità in ordine all’effettiva consistenza e gravità della condotta commissiva sanzionata e alla personalità dell’autore della violazione appaiono esattamente argomentate, ragionevoli, immuni da vizi logici.

Com’è noto, ai sensi dell’art. 27 comma 9 del d.lgs. n. 206/2005, l’Autorità, con il provvedimento che vieta la pratica commerciale scorretta, applica una sanzione pecuniaria da Euro 5.000,00 a Euro 500.000,00, "…tenuto conto della gravità e della durata della violazione".

In effetti il richiamo, di cui al successivo comma 13, alle disposizioni di cui al capo I sezione I della legge 24 novembre 1981, n. 689 (oltre che agli artt. 26, 27, 28 e 29 della stessa legge), implica l’obbligatorio riferimento, nella commisurazione della sanzione amministrativa pecuniaria, all’art. 11 della legge n. 689/1981, a tenore del quale: "Nella determinazione della sanzione amministrativa pecuniaria fissata dalla legge tra un limite minimo e un limite massimo e nell’applicazione delle sanzioni accessorie facoltative, si ha riguardo alla gravità della violazione, all’opera svolta dall’agente per l’eliminazione o l’attenuazione delle conseguenze della violazione, nonché alla personalità dello stesso e alle sue condizioni economiche.

Orbene, nel caso di specie l’Autorità si è riferita, sotto il profilo oggettivo, alla gravità della violazione, in funzione:

– dell’incontestabile rilievo della "…importanza dell’operatore commerciale e della sua dimensione economica, trattandosi di uno dei principali soggetti operanti con una rete distributiva di primario rilievo nel settore della GDO";

– dei suoi effetti "…in ragione della capacità di penetrazione dei messaggi, che risulta particolarmente elevata, tenuto conto dell’ampia diffusione dei volantini (di cui sono state complessivamente distribuite, in occasione delle diverse promozioni locali e nazionali, alcuni milioni di copie), nonché della loro riproduzione, per la quasi totalità delle iniziative commerciali, anche sul sito Internet della società e suscettibili, pertanto, di aver raggiunto un elevato numero di consumatori"

– della durata della violazione "…dall’ottobre 2008 all’aprile 2010, mese a partire dal quale il professionista ha dato atto di aver implementato nuove procedure di gestione delle promozioni commerciali".

Sotto il profilo soggettivo, poi, l’Autorità ha rettamente considerato "…le misure assunte dal professionista nel mese di aprile 2010 e, specificamente, le modalità operative, codificate per l’occasione in un memorandum, per migliorare, nel caso di prodotti oggetto di promozione, i processi di acquisto e di offerta", tanto da aver diminuito la sanzione pecuniaria base da Euro 130.000,00 a Euro 100.000,00.

L’ulteriore aumento a Euro 110.000,00 (ossia di appena Euro 10.000,00) trova piena giustificazione nel rilievo che la società ricorrente era stata già destinataria di altro provvedimento sanzionatorio per pratiche commerciali scorrette, laddove il riferimento dell’art. 8 bis della legge 24 novembre 1981, n. 689 alla reiterazione in presenza di violazioni "della stessa indole" non può escludere affatto l’assimilazione tra una pratica commerciale scorretta sub specie di "pubblicità ingannevole" in senso generico ex art. 22 e altra afferente alla particolare species di cui all’art. 23 del d.lgs. n. 206/2005.

2.) In conclusione, il ricorso in epigrafe deve essere rigettato siccome infondato.

3.) Il regolamento delle spese processuali, liquidate come da dispositivo, segue la soccombenza.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio – Sede di Roma – Sezione I rigetta il ricorso in epigrafe n. 8270 del 2010 e condanna la società A. S.p.A., in persona del legale rappresentante protempore, alla rifusione, in favore dell’Avvocatura generale dello Stato, antistataria ex lege, delle spese ed onorari del giudizio, liquidati in complessivi Euro 1.500,00 (millecinquecento/00).

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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