Cass. pen., sez. VI 19-02-2007 (13-02-2007), n. 6901 Mandato di arresto europeo – Consegna per l’estero- Doppia imputabilità – Reati in materia di tasse ed imposte – Richiesta proveniente dall’autorità giudiziaria tedesca.

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

FATTO E DIRITTO
1. A.R. ricorre per Cassazione contro la sentenza 11 gennaio 2007 della Corte di appello di Torino che aveva disposto la consegna del ricorrente alla Repubblica Federale di Germania a seguito di mandato di arresto europeo emesso l’11 ottobre 2006 dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Francoforte sul Meno in ordine ai reati di cui all’art. 370, comma 1, n. 2, del codice tributario tedesco, artt. 18 e 26, b e c, della legge tedesca sull’IVA, articolando i seguenti motivi:
a) violazione dell’art. 34 c.p.p., perchè uno dei componenti del Collegio che ha deliberato l’ordinanza impugnata ha rivestito il ruolo di giudice delegato per la convalida;
b) violazione della L. 22 aprile 2005, n. 69, art. 7, comma 1, e D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, art. 8, per la mancanza del requisito della doppia incriminabilità.
Secondo il ricorrente – che censura, sul punto, anche l’ordinanza di convalida dell’arresto adottata dal giudice delegato dal Presidente della Corte di appello – la previsione del D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, art. 8, che contempla l’emissione di fatture inesistenti o altri documenti per operazioni inesistenti, non corrisponde al fatto di reato descritto nel mandato di arresto europeo, che fa riferimento all’omessa presentazione delle dichiarazioni IVA semestrali o trimestrali (mal si comprende) per un lasso di tempo alquanto ristretto". c) violazione della L. n. 69 del 2005, art. 16, per essersi acquisite informazioni sui termini massimi di custodia preventiva nella legislazione tedesca dagli atti di altro procedimento;
d) violazione della L. n. 69 del 2005, art. 2, comma 1, lettera b, per essere stato il mandato di arresto europeo emesso non da un giudice terzo ma dal Pubblico Ministero;
e) violazione della L. n. 69 del 2005, art. 15, lettera e, per non prevedere l’ordinamento tedesco termini massimi di custodia preventiva.
Il ricorso deve essere rigettato.
2.1. Del tutto infondato è il primo motivo.
E’ pacifico, infatti, che l’incompatibilità del giudice per atti compiti nel procedimento è determinata da atti che comportano valutazione di indizi o prove inerenti alla responsabilità penale dell’imputato adottati in fasi precedenti a quelle delle quali in giudice è investito. Ora, la seriazione procedimentale che precede la deliberazione sulla consegna è tutta interna alla procedura che trova il suo epilogo nel provvedimento conclusivo, cosicchè ipotizzare l’incompatibilità del giudice delegato a disporre la convalida dell’arresto a fini di consegna costituisce una vera e propria contradictio in adiecto, svolgendosi i due momenti nell’ambito di una stessa fase. Senza contare i poteri valutativi assegnati alla Corte di appello, rigorosamente circoscritti all’accertamento dei presupposti per la consegna secondo quanto indicato nell’atto di base e che, dunque, non comportano una verifica che ecceda la sussistenza di cause ostative alla consegna.
2.2. Anche le censure concernenti la violazione del principio della doppia incriminabilità sono manifestamente infondate essendo stata addebitata al ricorrente l’omissione della denuncia dell’IVA in qualità di socio ed amministratore della ditta Metel, un’ipotesi esattamente corrispondente alla previsione del D.L. 10 marzo 2000, n. 74, art. 8 (recte. 4).
2.3. Le doglianze contro l’ordinanza di convalida dell’arresto, oltre che manifestamente infondate, sono inammissibili pure perchè dedotte in sede di impugnativa della delibazione che conclude la fase procedimentale.
2.3. Quanto alla censura concernente l’assenza nell’ordinamento dello Stato richiedente di termini massimi di custodia preventiva, dalla nota della Procura di Stato di Amburgo in data 28 dicembre 2000 risulta l’esistenza di un termine generale massimo di mesi sei, prorogabile dalla Corte di appello solo in caso di particolare difficoltà o entità delle indagini; per di più, in caso di sentenza di prima istanza che condanni a pena detentiva o a misura privativa della libertà personale, il termine è sospeso fino alla pronuncia della sentenza di appello. Ne consegue così una disciplina che, a parte i meccanismi di computo, rivela l’impossibilità di ritenere compromesso il regime di cui all’art. 303 c.p.p., secondo un modello costituzionalmente presidiato.
Il tutto secondo il principio di diritto di recente enunciato dalle Sezioni unite in base al quale "In materia di mandato di arresto europeo, con riguardo alla previsione della L. 22 aprile 2005, n. 69, art. 18, lettera e, che prevede un rifiuto di consegna "se la legislazione dello stato membro di emissione non prevede i limiti massimi della carcerazione preventiva", l’autorità giudiziaria italiana deve verificare, ai fini della consegna, se nella legislazione dello Stato membro di emissione sia espressamente fissato un termine di durata della custodia cautelare fino alla sentenza di condanna di primo grado, o, in mancanza, se un limite temporale implicito sia desumibile da altri meccanismi processuali che instaurino obbligatoriamente e con cadenze predeterminate, un controllo giurisdizionale funzionale alla legittima prosecuzione della custodia cautelare o, in alternativa, alla estinzione della stessa" (Sez. un., 30 gennaio 2007, Ramoci, proprio con riferimento all’ordinamento processuale tedesco).
2.4. Pure privo di fondamento è il motivo con cui si contesta alla Corte di appello di avere ricavato la disciplina dei termini massimi di carcerazione preventiva dagli atti di altro procedimento, pur avendo la stessa Corte attivato la procedura di cui alla L. n. 69 del 2005, art. 16, per conoscere la relativa disciplina vigente nella Repubblica Federale di Germania.
A parte il rilievo che la nota della Procura di Stato di Amburgo del 18 dicembre 2006 descrive minuziosamente la normativa in subiecta materia secondo un modello incontestabile da parte del ricorrente, occorre ricordare quell’indirizzo di questa Corte Suprema stando al quale la realtà istituzionale dell’Unione europea non è più assimilabile ad un ordinamento "straniero", cosicchè non solo la normativa comunitaria, ma anche il diritto interno degli Stati membri – almeno nella parte coinvolgente i diritti fondamentali (art. 6, n. 2, del vigente Trattato UE) nonchè nella parte in cui si intreccia con la funzione giurisdizionale italiana – vanno qualificati come disciplina normativa che il giudice italiano deve conoscere, in base al principio iura novit curia (Sez. 6^, 8 maggio 2006, Cusini).
2.5. Da disattendere, infine, è il motivo incentrato sulla violazione della L. n. 69 del 2005, art. 1, comma 3. 1. atto di base è stato, infatti, adottato dall’Amtsgericht (Pretura) di Francoforte sul Meno, mentre solo il provvedimento esecutivo risulta emesso dall’organo del Pubblico ministero, cosicchè il principio secondo cui il provvedimento impositivo della custodia deve essere sottoscritto da un giudice risulta puntualmente osservato.
3. Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
La Cancelleria provvedere agli adempimenti di cui alla L. n. 69 del 2006, art. 69, comma 5.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Manda alla Cancelleria di trasmettere copia del presente provvedimento, anche a mezzo telefax, al Ministro della giustizia.
Riserva la motivazione.

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