Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 05-07-2011) 01-08-2011, n. 30454

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. Con sentenza in data 18.06.2010 la Corte d’assise d’appello di Genova, in parziale riforma della pronuncia di primo grado resa in esito a rito abbreviato, esclusa per entrambi gli imputati l’aggravante dei motivi futili, riduceva la pena nei confronti di B.G. ad anni 21 e mesi 10 di reclusione, ferma mantenendo la pena di anni 10 e mesi 8 di reclusione per B. L.. Ai due predetti imputati, il primo padre del secondo, era stato contestato il concorso nei reati: (a) di omicidio volontario in persona di P.T., attinto al collo da colpo di pistola materialmente sparato da B.G., (b) di tentato omicidio per aberratio ictus ai danni di C.S., colpito alla gamba da colpo indirizzato verso il P., (c) di porto illegale della pistola, nonchè (d) di violenza privata aggravata ai danni di Be.Ma. e F.D. che avevano cercato di ostacolare la fuga dei due imputati subito dopo il fatto di sangue.

Per tale ultimo reato, peraltro, B.L. veniva assolto già in primo grado.

La sentenza provvedeva anche in merito alle richieste risarcitorie delle costituite parti civili.

Nella ricostruzione del fatto come operata dai giudici del merito, in sintesi, l’antefatto era costituito, da un diverbio all’interno di un circolo (in sostanza una pizzeria) tra la vittima P. e B.G.; costui aveva allora telefonato, parlando in tedesco, al figlio L.. Quest’ultimo era allora arrivato sul luogo, ma i due – padre e figlio – si erano di nuovo allontanati;

quindi, tornati, si erano imbattuti nel P. e, rinnovata la discussione, B.G. aveva sparato due colpi all’indirizzo dell’antagonista, uno dei quali, mortale, l’aveva raggiunto al collo, mentre l’altro aveva mancato la vittima per raggiungere al polpaccio l’estraneo C., seduto in una panchina di quella piazza nella quale si verificava il fatto.

Tale essendo l’andamento storico degli eventi, assunto sulla base di un vasto materiale testimoniale sostanzialmente concorde nelle sue linee generali, ritenevano entrambi i giudici del merito che fosse pacifica la colpevolezza di B.G., in ordine a tutti i reati a lui ascritti, essendo egli l’autore materiale degli spari, peraltro ammessi sia pur in un asserito contesto difensivo, nonchè partecipe diretto del primo diverbio con la futura vittima. La commisurazione sanzionatoria, nei suoi confronti, veniva definita dalla Corte territoriale nei seguenti termini: pena base per il graviore delitto di omicidio volontario anni 21 di reclusione, pena aumentata della metà, ex art. 82 c.p., comma 2, e dunque di anni 10 e mesi 6, per il reato aberrante in danno del C., ed ulteriormente a titolo di continuazione per i reati sub c) e d) di anni 1 e mesi 3, così da raggiungersi anni 32 e mesi 9, pena questa abbattuta quindi di un terzo, per il rito abbreviato, così da definirsi la pena concreta e finale di anni 21 e mesi 10 di reclusione, oltre alle pene accessorie di legge.

Quanto a B.L., ritenevano i giudici del merito che egli avesse partecipato in modo determinante ai reati, portando al padre la pistola, evidentemente da costui richiesta con la telefonata in lingua tedesca, e che, comunque, avesse concorso con atteggiamento istigatore nei momenti immediatamente precedenti gli spari, inveendo contro la vittima e minacciandola. Allo stesso venivano riconosciute, per giovane età ed incensuratezza, attenuanti generiche prevalenti.

La Corte territoriale confermava quindi la pena come articolata in primo grado : pena base per i reati di omicidio e tentato omicidio (complessivamente considerati) anni 22 di reclusione, pena ridotta per le generiche ad anni 15, aumentata ad anni 16 a titolo di continuazione per il capo e), ridotta quindi di un terzo ex art. 442 c.p.p., così da definirsi la pena finale di anni 10 e mesi 8 di reclusione, più pene accessorie di legge.

A tale conclusione i giudici del merito pervenivano dopo avere escluso che B.G. fosse tornato in loco per altro motivo (incontrare una persona per la vendita di un’auto) e che la pistola l’avesse tenuta fin da prima della vicenda nella sua auto, ed altresì escluso le tesi difensive della legittima difesa reale o putativa, invocate per l’atteggiamento offensivo ed aggressivo tenuto dalla vittima, e dell’eccesso colposo in legittima difesa, ovvero della prò vocazione.

2. Avverso tale sentenza proponevano ricorso per cassazione entrambi i predetti imputati che motivavano l’impugnazione svolgendo, rispettivamente, le seguenti deduzioni:

2.1 – B.G.: a) errato mancato riconoscimento della legittima difesa almeno putativa e dell’attenuante della provocazione; gli imputati se ne stavano andando ed è stato il P. a rincorrerli ed a minacciare, esso ricorrente dunque ha agito solo per difesa; esisteva comunque la provocazione da ricollegare all’aggressione subita in precedenza ad opera del P.; b) errata qualificazione come tentato omicidio delle lesioni subite dal C., da ritenere in definitiva sorrette da colpa; mancata indicazione della ragione dell’aumento di pena come stabilito nella metà, misura massima edittale ex art. 82 c.p., comma 2; c) vizio di motivazione in ordine al diniego delle chieste generiche.

2.2 – B.L.; a) illogica motivazione in ordine all’avere ritenuto essere stata fornita l’arma da esso ricorrente, quando ben poteva la stessa essere già nell’auto del padre o essersela costui procurata durante la sua assenza tra le 22,10 e le 22,35; b) errata ricostruzione, contraria agli apporti testimoniali, secondo cui fu la vittima a girare le spalle, mente in realtà furono gli imputati a farlo, così dimostrando di voler andar via e concludere la discussione; c) mancata considerazione che il presunto passaggio della pistola dal padre al figlio, allorchè costoro si erano sfiorati, era solo una congettura del teste A. che non poteva essere assunta in decisione; anche la tesi del concorso per dolo eventuale era un’ipotesi non accettabile; d) errata qualificazione giuridica del ferimento del C. e mancata specificazione della pena per tale singolo fatto.

3. I ricorsi, parzialmente fondati nei termini di cui alla seguente motivazione, devono essere accolti per quanto di ragione.

3.1- Il ricorso di B.L..

Premesso che è del tutto pacifico che autore materiale (e protagonista primario di tutta la vicenda, dall’antefatto all’esito) è stato B.G., occorre ricordare come il concorso del figlio Luca sia stato ritenuto, da entrambi i giudici del merito, sotto un profilo materiale e sotto un aspetto morale. Il concorso materiale è stato riconosciuto nell’avere procurato al padre la pistola usata per sparare al P. (e ferire il C.), il concorso morale nella condotta istigatrice tenuta nell’ambito dell’ultima contrapposizione tra i soggetti coinvolti, negli attimi appena precedenti gli spari. Quanto al primo profilo (concorso materiale) il percorso decisionale è stato, in sintesi, il seguente:

– B.G. non aveva la pistola con sè fin da prima, nè la teneva in auto; – la telefonata in lingua tedesca al figlio non può essere interpretata che quale richiesta dell’arma; – è del tutto plausibile che L. l’abbia consegnata al padre quando i due si sono incrociati nella piazza, sfiorandosi. Quanto al concorso morale, lo stesso è stato ritenuto nelle invettive e minacce rivolte alla vittima che, in un contesto di palese contrapposizione, integravano supporto ed istigazione.

E’ del tutto evidente il vizio logico di tale motivazione che si annida in entrambi i profili assunti dalla Corte territoriale.

Per il più rilevante concorso materiale, i necessari rilievi critici – che in questa sede si impongono – iniziano dall’univoca interpretazione data alla telefonata (anzi alle brevi telefonate tra le 21, 53 e le 21,59) in lingua tedesca, sia per il significato da dare all’uso di tale idioma (più praticato da L., nato e vissuto in (OMISSIS)), sia per il contenuto – non noto – che, in via alternativa, ben poteva ricondursi alla mera comunicazione dell’avvenuto litigio nella pizzeria, ovvero anche alla richiesta al figlio di intervenire in suo aiuto, ma senza la specifica richiesta di procurare l’arma. Inoltre, è ben vero – come deduce il ricorrente – che dalla circostanza che padre e figlio si siano sfiorati nella piazza (al loro primo incontro), secondo l’impressione del teste A., non è indefettibile, ma solo illazione, dedurre che in quel momento Luca abbia consegnato la pistola al padre. Nè, se così fosse stato, poi si comprende perchè i due imputati si siano allontanati, separatamente, con le rispettive auto, anzichè dirigersi contro il P.. Infine, ed è considerazione centrale, la motivazione della Corte territoriale non da ragione della possibilità che B.G. si possa essere procurato la pistola, da solo, quando si è allontanato con la sua auto (si ripete : separatamente dal figlio) nella sua assenza dal luogo dei fatti nello spazio di tempo tra le 22,10 e le 22,35. Per superare il ragionevole dubbio, che può indurre diversa valutazione, ed anche per elevare a rango di prova elementi indiziari, occorre che si debbano escludere ipotesi alternative, aventi almeno pari plausibilità, costruibili in base alle concrete risultanze in atti.

Orbene, la motivazione della Corte genovese non da conto di tale plausibile ipotesi alternativa, fondando il concorso materiale di B.L., per avere fornito la pistola al padre, senza in definitiva affrontare – ed eventualmente escludere – che B. G. si possa essere procurato la pistola da solo, andando a prenderla nell’anzidetto periodo di suo allontanamento dal teatro dei fatti. Quanto al concorso morale, non minori sono i vizi logici che si devono individuare nella motivazione dell’impugnata sentenza. Il primo discende direttamente da quanto appena rilevato, posto che – ove non sia stato B.L. a fornire la pistola al padre – dovrebbe dimostrarsi che egli comunque sapesse che il padre ne era, in quel momento, in possesso, altrimenti ogni sua (eventuale) istigazione andrebbe – quam minus – inquadrata ex art. 116 c.p.. Di poi resta priva di adeguata ed accettabile motivazione la costruzione, sul punto, della Corte territoriale (secondo cui L. insulta e minaccia il P., nella prospettiva che costui reagisca, per legittimare il padre nella reazione annata) che in ciò intravede un’istigazione per dolo eventuale, anzichè diretta.

Si impone pertanto annullamento, per vizio di motivazione, su tali punti e quindi sui tre collegati reati (capi A, B e C) per cui questo imputato è stato condannato.. Restano assorbite le altre deduzioni, dovendosi comunque fare rimando, per ogni altra questione rilevante, a quanto sarà detto a proposito di B.G.. Il giudice di rinvio terrà conto di quanto qui rilevato e curerà di non ripetere passaggi motivazionali cassati da questa Corte.

3.2 – Il ricorso di B.G..

I motivi proposti da questo imputato, diversi da quanto attiene il reato aberrante e la conseguenza sanzionatoria, devono essere rigettati, siccome infondati.

A. – I motivi respinti. – E’ infondato il motivo di ricorso che censura il diniego della chiesta esimente della legittima difesa. Del tutto correttamente i giudici del merito, sullo specifico punto, hanno escluso tale scriminante sul rilievo che la vittima era palesemente disarmata e sulla manifesta sproporzione, rispetto alle eventuali esigenze difensive, della reazione armata da parte dell’imputato. L’azione del P. (proteso verso i B.) era poi il risultato della provocazione posta in essere da costoro, e la circostanza esclude di per sè la legittima difesa. Il tutto è conforme a consolidata e ben nota giurisprudenza di questa Corte, onde il giudizio deve essere convalidato. Anche il profilo putativo, parimenti dedotto quale motivo di ricorso, deve essere respinto, posto che nulla lasciava ragionevolmente intendere che il P. nascondesse un’arma o intendesse trascendere oltre la discussione pur animata ma, in quella fase, limitata allo scambio meramente verbale.

Anche per tale aspetto è peraltro determinante l’evidente sproporzione nonchè la logica del contesto che vedeva l’imputato (ed il figlio) avere provocato la vittima con gli ultimi insulti. Per lo stesso motivo è infondato il ricorso laddove censura la mancata concessione dell’attenuante della provocazione, pur anche riferita al primo diverbio che – si sostiene – aveva visto il P. aggredire il B.. Corretta è, invero, la motivazione che rileva da un lato la frattura tra l’antefatto e la fase finale, dall’altro il clima di sfida, per contrapposizione reciproca, che, da solo, esclude l’attenuante in parola. Del resto la freddezza dimostrata nell’esecuzione di per sè esclude – osserva la Corte territoriale – la permanenza di uno stato d’ira. Si tratta di motivazione corretta che, anche sul punto, deve trovare convalida.

Non merita accoglimento neppure il motivo di ricorso che intende censurare il diniego delle chieste attenuanti generiche. Sul punto le sentenze di primo (v. ff. 51 – 52) e secondo grado (v. f. 15) esplicano ampia e corretta motivazione, con analoghi quanto pertinenti argomenti relativi ai parametri ex art. 133 c.p., a concreta giustificazione – logica e coerente – della discrezionalità che la legge riserva, nell’ambito della commisurazione sanzionatoria, al giudice del merito. La censura, che in definitiva chiede rivalutazione critica di tali elementi, non può pertanto avere ingresso in questa sede.

B. – I motivi accolti. – La sentenza deve esser invece annullata in ordine ai seguenti profili, oggetto di fondata denuncia da parte della difesa del predetto imputato. – E’, anzitutto, di immediata evidenza la violazione di legge in cui è incorsa la Corte territoriale nel calcolo della pena, pervenendo in cumulo materiale ad anni 32 e mesi 9 di reclusione e su tale pena operando la riduzione di un terzo ex art. 442 c.p.p., con ciò mancando di applicare il cumulo giuridico ex art. 78 c.p., comma 1, n. 1, che si impone prima della riduzione per il rito, come statuito da questa Corte di legittimità nella sua massima espressione nomofilattica (v.

Cass. Pen. Sez. Unite n. 45583 in data 25.10.2007, Rv. 237692, P.G. in proc. Volpe).

E’ poi fondato il motivo di ricorso che censura violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla misura della pena irrogata per il reato aberrante (il ferimento del C.) per il quale in ogni modo -al di là di altri profili- la motivazione esplicata dalla Corte territoriale (v. a f. 16) per applicare l’aumento ex art. 82 c.p., comma 2, nella misura massima prevista della metà si risolve in una mera clausola di stile ("attesa la gravità del fatto") assolutamente in sè non giustificativa (non argomentando neppure un minimo su tale ritenuta gravità, quanto al ferimento) del concreto uso, da parte del giudice del merito, della discrezionalità nella commisurazione sanzionatoria. In proposito occorre ricordare come sia giurisprudenza pacifica di questa Corte di legittimità secondo cui quanto più il giudice si distacca dal minimo edittale della pena, tanto più gli incombe obbligo di motivazione ampia e specifica, satisfattiva della completezza della concreta indagine effettuata in merito alla giusta pena, sui profili oggettivi e soggettivi, ex art. 133 c.p., nonchè esaminando puntualmente eventuali deduzioni difensive in proposito (essendo tutto ciò richiesto in minor misura in caso di pena applicata nei minimi ovvero in termini assai prossimi: cfr., ex pluribus, Cass. Pen. Sez. 6, n. 35346 in data 12.06.2008, Rv. 241189, Bonarrigo; ecc).

Sul tema specifico dell’aberratio plurilesiva, ex art. 82 c.p., comma 2, ritiene la Corte che – al di là del dibattito scientifico nel quale si contrappongono diverse impostazioni sui vari suoi problematici aspetti- non si possa prescindere dal dato di fondo secondo cui la disciplina di tale ipotesi (che prevede l’aumento della pena fino alla metà) risulta derogatoria, in melius – giacchè comunque consiste in un evento aggiuntivo generato dalla medesima azione- rispetto al concorso formale (che prevede l’aumento fino al triplo).- Ma nel concorso formale è normativamente previsto (all’art. 81 c.p., comma 3) che tale aumento non possa superare, comunque, il cumulo materiale dei vari reati commessi. Orbene, sarebbe davvero paradossale, e certo interpretazione non costituzionalmente orientata, ritenere che nell’ipotesi dell’aberratio plurilesiva, torma di commissione gratificata dal legislatore di meno severa considerazione, non valesse il limite dell’art. 81 c.p., comma 3. In definitiva l’aumento di pena per il reato meno grave non potrà comunque essere superiore a quanto edittalmente previsto ove tale fatto fosse considerato nella sua autonomia. In tal senso si impone, quad poenam con valutazione incidentale (e quindi senza disintegrare l’unità concettuale dell’aberratio), che si proceda alla qualificazione del fatto minore, su una piattaforma psicologica che non può prescindere dall’intenzionalità della complessiva azione, ma che nell’oggetti vita dell’evento sia riconducibile a coerente riconoscimento della realtà come in concreto incisa dall’azione stessa. In definitiva, il reato meno grave, in particolare il ferimento del soggetto non preso di mira, non potrà essere qualificato sempre ed automaticamente tentato omicidio, sol perchè evento accessorio ad un dolo di omicidio, dovendosi almeno indagare nel concreto (aspetto totalmente ignorato dalla Corte territoriale) se l’azione nei suoi confronti fosse oggettivamente idonea a provocare l’evento maggiore. Ove ciò non potesse essere affermato, in relazione alle concrete evenienze, ove dunque il reato meno grave – con l’anzidetta valutazione incidentale – non dovesse superare il limite concettuale delle lesioni volontarie (perchè sorrette da un atteggiamento psicologico iniziale unitario che non può degradare) sia pure aggravate, la pena concretamente in tal caso applicabile non deve superare il limite edittalmente previsto in via autonoma per tale fattispecie. Ed invero, conclusivamente, il sistema non può sopportare, senza perdere coerenza, che chi ferisca volontariamente alle gambe qualcuno, con arma, senza intenzione omicidiaria, quale fatto singolo, sia punito fino a quattro anni di reclusione (ex artt. 582 e 585 c.p.), e per lo stesso fatto, quale evento aggiuntivo in ipotesi di aberratio plurilesiva (da ritenere sempre istituto derogatorio di favore) possa essere punito fino a dodici anni (la metà del massimo per l’omicidio semplice). Nè la maggiore severità nel caso di aberratio plurilesiva – ove si desse interpretazione diversa da quella qui sostenuta – potrebbe essere giustificata da un quadro di maggiore pericolosità soggettiva, posto che il presupposto della norma è l’errore (o altra causa di sviamento), connotazione sempre designata da minore riprovazione rispetto alla piena intenzionalità.

Tanto si impone, dunque, in punto pena, a sostenere interpretazione che non ponga, altrimenti, corposi problemi di costituzionalità, e tanto a prescindere dagli interessanti aspetti teorici la cui soluzione, attesa la presente ratio decidendi, non è qui necessario affrontare.

In tal senso, ed in tali limiti, va quindi annullata l’impugnata sentenza per B.G..

Le svolte motivazioni in punto pena ed in merito al fatto in danno del C. dovranno essere tenute presenti anche per B.L. per quanto di ragione, ove in sede di rinvio si superi la questione della sua responsabilità.

Il giudice di rinvio si atterrà, ex art. 627 c.p.p., comma 3, alle questioni di diritto come decise da questa Corte.

Il rinvio va disposto in favore della Corte d’assise d’appello di Milano ai sensi dell’art. 623 disp. att. c.p.p., comma 1, lett. c), e art. 175 disp. att. c.p.p..

L’esito raggiunto in questa sede impone che B.G. sia condannato alla rifusione delle spese sostenute dalle parti civili in questo grado di giudizio, spese che – valutato l’impegno richiesto ed alla stregua delle vigenti tariffe forensi – si stima congruo determinare come da dispositivo.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata nei confronti di B.L. nonchè, limitatamente alla qualificazione del fatto di cui al capo B) ed al trattamento sanzionatorio, nei confronti di B. G. e rinvia per nuovo giudizio alla Corte d’assise d’appello di Milano. Rigetta nel resto il ricorso di B.G. che condanna alla rifusione delle spese sostenute in questo giudizio dalle parti civili P.F. e D.M. che liquida in complessivi Euro 4.200,00 (quattromiladuecento), onorari compresi, oltre accessori come per legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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