Cass. pen., sez. I 31-01-2007 (18-01-2007), n. 3681 Affidamento in prova al servizio sociale – Compatibilità con l’applicazione di misure di prevenzione

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OSSERVA
1. Con Decreto del 7 febbraio 2006, la corte di appello di Firenze confermava il decreto col quale il 18 febbraio 2005 il tribunale di Livorno aveva applicata a D.F.M. la misura di prevenzione detta sorveglianza speciale di pubblica sicurezza con obbligo di soggiorno nel comune di residenza ((OMISSIS)), osservando che l’avvenuta estinzione della pena conseguente al buon esito dell’affidamento in prova al servizio sociale non era destinata ad incidere sulla misura di prevenzione applicatagli in quanto non faceva venir meno l’indubbia pericolosità sociale della prevenuta, che era gravata da precedenti penali e giudiziari sintomatici della sua particolare attività delinquenziale, da denunce anche recenti per fatti tipici di tale attività, dal tenore di vita che manteneva, dall’assenza di un lavoro lecito, dalla frequentazione assidua di persone pregiudicate, e dalla trasgressione dell’avviso orale di cui era stata destinataria in passato.
Ricorre per cassazione la D.F. per il tramite del suo difensore, il quale deduce, sotto il profilo della errata applicazione della legge, che l’esito dell’affidamento in prova al servizio sociale cui la donna era sottoposta si era concluso con l’estinzione della pena, sicchè sussisteva un’incompatibilità logico-giuridica tra l’applicazione di una misura di prevenzione che è fondata sulla pericolosità concreta e attuale del soggetto e l’affidamento in prova al servizio sociale, almeno quando sia in corso la misura alternativa alla detenzione (noi caso in esame, l’estinzione della pena era avvenuta in data successiva all’emissione del decreto di imposizione della misura di prevenzione, per cui solo dopo l’estinzione della pena poteva applicarsi alla ricorrente una qualsivoglia misura di prevenzione). La difesa deduce inoltre il vizio di motivazione del decreto impositivo della misura, che avrebbe desunto la pericolosità sociale della sua assistita solo da un’elencazione di pregiudizi penali, senza acquisire elementi utili a valutare la concretezza e l’attualità della pericolosità sociale attraverso altre informazioni.
2. Il ricorso non è fondato.
Va preliminarmente osservato che, nel procedimento di prevenzione, il ricorso per cassazione è ammesso solo per violazione di legge, secondo il disposto della L. 27 dicembre 1956, n. 1423, art. 4, comma 1 richiamato dalla L. 31 maggio 1965, n. 575, art. 3 ter, comma 2 per cui, in tema di sindacato sulla motivazione, è esclusa dal novero dei vizi deducibili in sede di legittimità l’ipotesi della illogicità manifesta ex art. 606 c.p.p., lett. e), potendosi denunciare con il ricorso esclusivamente il caso di motivazione inesistente o meramente apparente, qualificabile come violazione dell’obbligo di provvedere con decreto motivato imposto al giudice di appello dalla L., predetto art. 4, comma 9 (Cass., Sez. 1^, 8 marzo 2005, Gatto; Id., Sez. 1^, 1 dicembre 2004, Luceri; Id., Sez. 6^, 26 giugno 2002, Paggiarin, in Cass. pen. mass. ann., 2003, n. 713, p. 2441; Id., Sez. 5^, 28 marzo 2002, Ferrara, ivi, 2003, n. 207, p. 605).
Sul problema della compatibilità dell’applicazione delle misure di prevenzione personale con l’esecuzione della misura alternativa dell’affidamento in prova al servizio sociale si è registrata una varietà di orientamenti nella giurisprudenza di questa Corte.
La tesi negativa è volta ad evidenziare una sorta di incompatibilità logico-giuridica tra le misure di prevenzione personale e la misura dell’affidamento in prova al servizio sociale, sotto il profilo dell’esistenza di una contraddizione in termini tra la dichiarazione di pericolosità sociale, concreta ed attuale da un lato e la fiducia sulla idoneità della misura alternativa a contribuire alla rieducazione del condannato e ad assicurare la prevenzione del pericolo di reiterazione nel reato dall’altro: con la conseguenza che, allorchè sia in corso la misura alternativa dell’affidamento in prova al servizio sociale, le valutazioni circa l’applicabilità della misura di prevenzione personale della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza nei confronti del medesimo soggetto debbono essere fatte dal giudice dopo la fine del trattamento, allo scopo di accertare la persistente attualità delle condizioni legittimanti l’applicabilità delle misure di prevenzione (Cass., Sez. 1^, 12 novembre 1999, n. 6213, Caliendo, in Cass, pen. mass. ann., 2001, n. 813, p. 1606; Id,., Sez. 1^, 8 aprile 1986, Messina, in CED Cass., n. 172537).
Secondo un diverso orientamento, invece, affidamento in prova al servizio sociale e misura di prevenzione della sorveglianza speciale dì pubblica sicurezza sarebbero pienamente compatibili, perchè l’affidamento in prova si fonda su un apprezzamento dei risultati dell’osservazione che legittima la presunzione che le prescrizioni imposte all’atto dell’affidamento siano sufficienti per la rieducazione del reo e per prevenire il pericolo che egli compia ulteriori reati, mentre la misura di prevenzione personale della sorveglianza speciale si fonda su una valutazione globale dell’intera personalità del soggetto, quale risulta da plurime manifestazioni della vita del proposto (Cass., Sez. 1^, 7 febbraio 1985, Loreto, in CED Cass., n. 167751).
Un terzo orientamento, più recente (Cass., Sez. 5^, 19 novembre 2003, n. 8119, Tusa, in Cass. pen. mass. ann., 2005, n. 1027, p. 2348), offre una sorta di soluzione intermedia. Partendo dalla compatibilita astratta tra il regime di affidamento in prova al servizio sociale e l’applicabilità della misura di prevenzione della sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno, afferma che essa non esime il giudice del procedimento di prevenzione, cui il preposto abbia fatto ricorso in sede di appello, dal dovere di valutare la possibilità in concreto della contemporanea esecuzione in danno dello stesso soggetto di misure limitative diverse, in quanto, ferma restando la plausibilità di un diverso giudizio di pericolosità Compiuto a fini diversi, è necessario che il giudice del processo di prevenzione, adito in sede di impugnazione, supporti con elementi concreti il giudizio sulla attuale pericolosità del preposto, con la conseguenza che egli deve adeguare la motivazione del provvedimento alla situazione concreta ed attuale, valutando a tal fine anche gli elementi sopravvenuti all’esecuzione della misura.
A questo terzo ed ultimo orientamento il Collegio ritiene di poter aderire, osservando che, come correttamente fa rilevare la corte territoriale nel decreto impugnato, l’estinzione della pena conseguente al buon esito del periodo di affidamento in prova non è di per se sintomatico del Venir meno della pericolosità sociale del soggetto ai fini dei giudizio di prevenzione, che si fonda su elementi diversi da quelli che legittimano l’ammissione all’applicazione delle misure alternative alla detenzione.
Nel caso in esame, il giudice della prevenzione ha indicato una serie di elementi che non si esauriscono nei precedenti penali della ricorrente, come insinua la difesa, ma appaiono sintomatici del permanere della sua pericolosità sociale, come l’assenza di un’attività lavorativa lecita e la frequentazione di persone pregiudicate, a conferma e riprova della incapacità o mancanza di volontà della donna di recidere i legami col passato e con le gravi problematiche legate alla sua tossicodipendenza.
Al rigetto del ricorso seguono le conseguenze di legge, meglio precisate nel dispositivo.
P.Q.M.
Visti gli artt. 606, 616 c.p.p., rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.

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