Cass. pen., sez. I 31-01-2007 (16-01-2007), n. 3675 Ravvedimento del condannato – Nozione – Valutazione del giudice – Risarcimento del danno a favore della vittima – Sufficiente ad integrare il ravvedimento

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

OSSERVA
1. Con ordinanza del 24 maggio 2006, il tribunale di sorveglianza di Roma rigettava la domanda di liberazione condizionale avanzata da T.E., collaboratore di giustizia ammesso alla attenzione domiciliare dal 27 settembre 2004, sul rilievo che difettava la prova del "sicuro ravvedimento" richiesto dall’art. 176 c.p., con specifico riferimento all’interesse dimostrato per le vittime dei reati commessi e al fattivo intendimento di riparare le loro conseguenze dannose. Peraltro – concludevano i giudici – essendo stato ammesso alla detenzione domiciliare da un anno e nove mesi, anche sotto il profilo della necessaria gradualità dell’accesso ai benefici penitenziari, considerato il fine pena, la domanda appariva prematura.
Riporre per cassazione il Tedesco per il tramite del proprio difensore, deducendo, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) e e), che, contrariamente a quanto assumeva il tribunale, ricorrevano tutt i presupposti richiesti dalla normativa speciale sui collaboratori di giustizia per la concessione del beneficio (si procedeva per reati previsti dall’art. 51 c.p.p., comma 3 bis, il condannato aveva prestato ampia e rilevante collaborazione e aveva scontato un quarto della pena in esecuzione, aveva interrotto ogni collegamento con la criminalità organizzata, aveva redatto il verbale illustrativo dei contenuti della collaborazione nel termine prescritto, ecc), svolgendo inoltre regolare attività lavorativa ed usufruendo di numerosi permessi premio. La mancata riparazione del danno subito dalle vittime dei reati commessi non figurava tra i requisiti richiesti dalla L. n. 82 del 1991, art. 16 nonies, tanto più che sussisteva per i collaboratori di giustizia che debbono privarsi di tutti i loro beni una presunzione ex lege di stato di indigenza.
In prossimità dell’udienza camerale, il difensore del T. depositava nella cancelleria di questa Sezione una memoria, in cui ribadiva che la decisione del tribunale di sorveglianza non aveva colto la peculiarità della normativa speciale, peraltro ben evidenziata dalla giuriaprudenza di questa Corte, che esigeva l’osservanza del principio di gradualità, pienamente rispettato nella vicenda in esame (il condannato aveva ottenuto prima dei permessi premio e poi la detenzione domiciliare, sicchè poteva legittimamente aspirare ad ottenere l’ulteriore beneficio della liberazione condizionale).
2. Il ricorso è fondato.
Ed invero, dalla lettura della L. n. 82 del 1991, art. 16 nonies, commi 1 e 4, emerge che la liberazione condizionale (come anche la concessione dei permessi premio e l’ammissione alla misura della detenzione domiciliare) possono essere disposte per collaboratori di giustizia "avuto riguardo all’importanza della collaborazione e sempre che sussista il ravvedimento e non vi siano elementi tali da far ritenere la sussistenza di collegamenti con la criminalità organizzata o eversiva … anche in deroga alle vigenti disposizioni, ivi comprese quelle relative ai limiti di pena di cui all’art. 176 c.p..
Dal combinato disposto dei due commi richiamati risulta che presupposti per la concessione dei suddetti benefici penitenziari sono, come del resto ha indicato la stessa difesa del ricorrente: 1) che una persona sia stata condannata per un delitto commesso per finalità di terrorismo o di eversione dell’ordinamento costituzionale o per uno dei delitti di cui all’art. 51 c.p.p., comma 3 bis; 2) che vengano acquisiti la proposta o il parere dei procuratori generali presso le corti di appello interessati a norma dell’art. 11 della cit. Legge o del procuratore nazionale antimafia;
3) che la persona condannata abbia prestato, anche dopo la condanna, Una collaborazione importante; 4) che sussista il ravvedimento e non vi siano elementi tali da far ritenere la sussistenza di collegamenti con la criminalità organizzata o eversiva; 5) che la persona condannata abbia redatto entro il termine prescritto dall’art. 16 quater il verbale illustrativo dei contenuti della collaborazione; 6) che sia stata espiata almeno un quarto della pena inflitta ovvero, se si tratta di condannato all’ergastolo, che siano stati espiati almeno dieci anni di pena.
Nel caso in esame ricorrono tutti questi presupposti, compreso il criterio della gradualità, non consacrato dalla legge ma ragionevolmente suggerito dall’esperienza trattamentale, avendo il ricorrente prima ottenuto dei permessi premio e poi la detenzione domiciliare (cfr. Cass., Sez. 1^, 22 giugno 2006, n. 2204, Zanti).
A fronte di questa innegabile situazione di fatto il tribunale di sorveglianza romano, pur in presenza del parere favorevole della DDA, ha negato il beneficio della liberazione condizionale richiesto dal Tedesco, difettando, a suo avviso, il requisito del "sicuro ravvedimento" previsto dall’art. 176 c.p., avuto riguardo alla sua condotta complessiva, e, in particolare, alla mancata prova di un interesse dimostrato dal condannato per le vittime dei reati commessi e dell’intendimento di riparare le conseguenze dannose derivate dagli stessi.
Ora, è vero che tra gli elementi valutabili ai fini dell’acquisizione della prova del ravvedimento può essere anche considerato il grado di interesse e di concreta disponibilità del condannato a fornire alla vittima del reato ogni possibile assistenza, compatibile con il doveroso rispetto della personale riservatezza è delle autonome decisioni di questa, ma sembra evidente che il sicuro ravvedimento non può identificarsi tout court con il risarcimento del danno ad essa cagionato, ma postula una valutazione globale della condotta del soggetto, in modo da accertare se l’azione rieducativa, complessivamente svolta (realizzata, come è avvenuto nel caso in esame e riconosce la stessa ordinanza impugnata, anche in virtù della corretta gestione di tutti i benefici penitenziari finora fruiti) abbia prodotto il risultato del compiuto ravvedimento del reo (Cass., Sez. 1^, 6 novembre 1989, Malizia, in Giust. pen., 1990, 2^ 257). Tra i vari elementi di valutazione del sicuro ravvedimento del reo è del suo riscatto morale varino presi in considerazione infatti i rapporti con i familiari, il personale carcerarie e i compagni di detenzione, nonchè lo svolgimento di un’attività lavorativa o di studio. Il mancato interessamento nei riguardi della vittima non sembra di per se suscettibile di una limitazione preventiva. Ciò che occorre è una valutazione unitaria della personalità del condannato che consenta di verificare se c’è stata da parte del reo una revisione critica della sua vita anteatta e una reale aspirazione al suo riscatto morale. Di qui, ferma restando la discrezionalità del tribunale nella valutazione della ricorrenza dei presupposti per la concessione del beneficio, la necessità di un maggiore approfondimento della personalità del ricorrente.
L’ordinanza impugnata deve essere dunque annullata e gli atti rinviati al tribunale di sorveglianza di Roma per un nuovo e più approfondito esame.
P.Q.M.
Visti gli artt. 606, 623 c.p.p., annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al tribunale di sorveglianza di Roma.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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