Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 21-06-2011) 01-08-2011, n. 30488

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con ordinanza del 26 agosto 2010 il Tribunale di Reggio Calabria ha rigettato l’istanza di riesame, proposta da Z.K. avverso il provvedimento del G.I.P. in sede in data 4 agosto 2010, con il quale era stata emessa nei suoi confronti la misura cautelare della custodia in carcere, siccome gravemente indiziato del delitto di cui al capo A) della rubrica (art. 416 bis c.p., commi 1, 2, 3, 4, 5 e 6; avere partecipato, assieme ad altre persone in numero superiore ai cento, ad un’associazione a delinquere di stampo mafioso, denominata ndrangheta, operante nel territorio della provincia di Reggio Calabria, oltre che di quello nazionale ed estero, costituita da molte decine di "locali" o "ndrine", intese come cellule criminose radicate su singoli territori, normalmente composte di circa 50 affiliati, a loro volta articolate in tre mandamenti, ovvero sub strutture di coordinamento, con competenza su specifiche aree, individuate come area ionica, area tirrenica ed area di Reggio città e con organo di vertice denominato "Provincia", associazione criminosa che si avvaleva della forza intimidatrice del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento e di omertà che ne derivava, allo scopo di commettere più delitti in materia di armi ed esplosivi, contro il patrimonio, contro la vita e l’incolumità individuale, nonchè in materia di stupefacenti; allo scopo inoltre di acquisire direttamente od indirettamente la gestione ed il controllo di attività economiche nel settore edilizio, nel movimento terra e nella ristorazione; di acquisire appalti pubblici e privati.

2. Il Tribunale, dopo un’articolata introduzione, nel corso della quale ha sottolineato la sussistenza e l’attuale operatività dell’associazione mafiosa anzidetta, alla quale il ricorrente è stato ritenuto appartenere, quale componente della c.d. società di Rosarno, forte di oltre 250 adepti, intesa come il gruppo egemone del mandamento tirrenico, con il ruolo di partecipe attivo; dopo aver parlato delle numerose sentenze ormai passate in giudicato che avevano accertato gli elementi anzidetti (operazione "Montalto";

processo dei "Sessanta"; processo "Primavera"; processo "Olimpia 1";

processo "Armonia"), ha passato in rassegna gli indizi emersi a carico del ricorrente, ritenendoli adeguati ed idonei, per numero e consistenza, a giustificare l’emissione nei suoi confronti dell’impugnata ordinanza custodiale.

Gli indizi valorizzati dal Tribunale sono consistiti:

– negli esiti di una conversazione ambientale, captata l’8 agosto 2009 all’interno dell’autovettura Opel fra il suo proprietario M.M., che ricopriva nel sodalizio il rilevante ruolo di "mastro di giornata" ed O.D., altro esponente di spicco del clan col ruolo di "capo crimine", nel corso della quale si era parlato delle problematiche dell’associazione, con particolare riferimento ai riti di affiliazione di nuovi adepti destinati a rafforzare la compagine associativa; ed il M. aveva appunto riferito che uno di tali nuovi adepti sarebbe stato portato da tale F.M., titolare di un autolavaggio, nella persona di suo nipote, da identificare nell’odierno indagato; – nell’esito dei servizi di appostamento svolti dai carabinieri l’11 agosto 2009 in contrada Serricella di Rosarno, all’interno di un terreno con annessi capannoni di proprietà del M., dove si era svolta una riunione intesa a formalizzare l’ingresso di nuovi adepti al clan;

una volta terminata la cerimonia, i carabinieri avevano fermato due dei partecipi a detta riunione, mentre si allontanavano a bordo di un’autovettura Golf, identificandoli in F.M. e nell’odierno indagato;

– nella conversazione ambientale registrata il 13 agosto 2009 all’interno dell’autovettura Opel, di cui sopra, nel corso della quale il proprietario M.M. aveva commentato con T.B., entrambi partecipi del rito di affiliazione dell’11 agosto precedente, di come fossero stati controllati dai carabinieri; ed il T. aveva riferito di essere stato anche lui fermato dai carabinieri quella sera e che in quel momento i carabinieri avevano già fermato per controllo l’auto sulla quale viaggiava F.M. in compagnia dell’odierno indagato;

– nella conversazione ambientale registrata il 14 agosto 2009, sempre a bordo dell’auto Opel, di cui sopra, nel corso della quale il M. aveva riferito che, nel corso della riunione dell’11 agosto 2009, non erano riusciti a completare le affiliazioni, previste in numero di sei, in quanto erano mancati tre dei soggetti da "battezzare"; il che provava come l’affiliazione del nipote di F. M., da identificare nell’odierno ricorrente, costituisse parte del patrimonio conoscitivo di M.M., fonte particolarmente qualificata per la posizione apicale da lui rivestita nell’ambito della società di Rosarno, anche perchè la riunione d’iniziazione anzidetta si era svolta in un fabbricato posto su di un terreno di sua proprietà. 3. Da tali elementi il Tribunale di Reggio Calabria ha desunto la sussistenza, a carico di Z.K., di gravi indizi riferiti al delitto contestatogli, essendo emersa la sua affiliazione alla consorteria criminosa di cui sopra ed avendo la giurisprudenza più volte ritenuto che bastava la mera affiliazione per ritenere un soggetto partecipe ad un’associazione mafiosa, in quanto, in tal modo, egli consapevolmente accresceva la potenziale capacità operativa e la temibilità del sodalizio.

4. Quanto alle esigenze cautelari, il Tribunale ha fatto riferimento alla presunzione posta dall’art. 275 c.p.p., comma 3, tenuto conto del delitto contestatogli; e la presunzione di pericolosità prevista da tale norma di legge poteva essere vinta solo attraverso l’acquisizione di elementi dai quali emergesse l’insussistenza, in concreto, di dette esigenze; il che nella specie non era avvenuto.

Era del resto ipotizzabile nella specie il pericolo di reiterazione della condotta partecipativa, nonostante la formale incensuratezza dell’indagato; il fatto che egli risiedesse in Piemonte e la circostanza che non erano stati accertati contatti con gli affiliati alla cosca mafiosa residenti in Piemonte; nè poteva avere alcuna rilevanza in senso contrario la circostanza che il Tribunale di Torino, nel riesaminare l’ordinanza cautelare emessa nei suoi confronti dal G.I.P. di Torino, aveva ritenuto insussistenti nei confronti dell’indagato esigenze cautelari, prima che il G.I.P. di Torino trasmettesse per competenza il fascicolo al G.I.P. di Reggio Calabria, non potendo tale decisione ritenersi idonea ad operare una preclusione endoprocessuale connesso al c.d. "giudicato cautelare", stante l’autonomia del provvedimento adottato dal giudice competente rispetto a quello adottato in precedenza da quello incompetente.

5. Avverso detto provvedimento del Tribunale del riesame di Reggio Calabria ha proposto ricorso per cassazione Z.K. per il tramite del suo difensore, che ha dedotto quattro motivi di ricorso.

Col primo motivo lamenta violazione di legge e motivazione manifestamente illogica in relazione alla ritenuta insussistenza di un giudicato cautelare, atteso che il Tribunale del riesame di Torino con ordinanza del 31 luglio 2010, dopo aver dichiarato l’incompetenza territoriale del G.I.P.. di Torino in favore del G.I.P. di Reggio Calabria, aveva annullato per mancanza di esigenze cautelari l’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal G.I.P. di Torino nei suoi confronti.

Tale provvedimento del Tribunale del riesame di Torino non era stato impugnato e, ciò nonostante, il P.M. di Reggio Calabria, aveva chiesto al G.I.P. in sede, ritenuto competente, l’emissione di una nuova misura cautelare ex art. 27 c.p.p. anche nei suoi confronti; ed il G.I.P. di Reggio Calabria aveva emesso nei suoi confronti l’ordinanza del 12 agosto 2010, impugnata nella presente sede.

Innanzi al Tribunale del riesame di Reggio Calabria esso ricorrente aveva eccepito l’illegittimità della nuova misura cautelare per violazione del giudicato cautelare; il Tribunale aveva invece ritenuto che la sua decisione, emessa dopo la dichiarazione di incompetenza del gip di Torino, non potesse operare alcuna preclusione endoprocessuale connessa al cosiddetto giudicato cautelare formatosi nei suoi confronti.

Era al contrario da ritenere che, allorchè il G.I.P. di Reggio Calabria aveva emesso nuova misura custodia nei suoi confronti, quella precedente emessa dal G.I.P. di Torino incompetente era già stata annullata dal Tribunale del riesame di Torino; e poichè il provvedimento con il quale quest’ultimo aveva annullato la misura cautelare disposta a suo carico non era stato ma impugnato, doveva ritenersi sussistere la preclusione endoprocessuale, illegittimamente negata dal Tribunale di Reggio Calabria.

Col secondo motivo lamenta violazione di legge e carenza di motivazione circa la ritenuta utilizzabilità delle intercettazioni ambientali svolte a bordo dell’autovettura Opel Astra di proprietà di M.M., mancando un valido apparato argomentativo a sostegno del decreto autorizzativo emesso dal G.I.P. di Reggio Calabria il 1^ giugno 2009.

Il Tribunale aveva completamente omesso di trattare la questione, sebbene la stessa rivestisse un’importanza decisiva nei suoi confronti, costituendo dette intercettazioni ambientali l’unico compendio accusatorio nei suoi confronti.

La motivazione del provvedimento autorizzativo di intercettazioni telefoniche doveva investire sia la sussistenza dei gravi indizi della reato in vista del quale era stato disposto, sia l’indispensabilità dell’intercettazione ai fini della prosecuzione delle indagini; e, nella specie, la motivazione addotta aveva rimandato genericamente alle informative in atti, sì che era carente di quel minimo di specificità tale da consentire un minimo di controllo sull’iter motivazionale seguito dal giudice.

Col terzo motivo lamenta violazione di legge e motivazione carente ed illogica in ordine alla sussistenza di gravi indizi a suo carico, tali da farlo ritenere partecipe all’associazione criminosa di stampo mafioso, di cui sopra.

Nella conversazione ambientale dell’8 agosto 2009, il M. non aveva affatto parlato di esso ricorrente, e la deduzione che una delle persone da iniziare fosse stato esso ricorrente era stata tratta dal Tribunale dal fatto che egli era nipote di F.M. e che entrambi erano stati controllati la sera dell’11 agosto 2009 presso la località dove sarebbe avvenuta la sua iniziazione.

Invero non era chiaro che il " M. del lavaggio" fosse identificabile in F.M.; inoltre non erano chiare le ragioni che avevano condotto il Tribunale a ritenere effettivamente realizzata la sua iniziazione; il mero controllo di esso ricorrente con il F., avvenuto la sera dell’11 agosto 2009 nelle vicinanze della contrada Serricella, dove sarebbe avvenuta la riunione mafiosa, non poteva costituire riscontro dirimente, atteso che il controllo dell’autovettura sulla quale egli viaggiava assieme al F. era avvenuto alle 22,10 sulla via principale del Comune di Rosarno, e quindi circa 15 minuti dopo che la polizia giudiziaria aveva visto uscire dalla campagna di proprietà del M. alcune autovetture, fra le quali una Golf di colore scuro; pertanto l’auto sulla quale egli era stato fermato poteva ben essere arrivata su quella via da qualsiasi altra località e non necessariamente dalla contrada Serricella; nulla pertanto consentiva di escludere che l’autovettura su cui egli viaggiava fosse diversa da quella vista uscire dalla campagna del M.; nulla poteva far ritenere come effettivamente avvenuta l’affiliazione della persona portata da detto F., anche perchè nessun ruolo egli aveva mai svolto in seno alla consorteria mafiosa ipotizzata.

Col quarto motivo lamenta violazione di legge e motivazione insufficiente e manifestamente illogica circa la sussistenza delle esigenze cautelari tali da legittimare l’applicazione della misura inframuraria nei suoi confronti, in quanto il Tribunale di Reggio Calabria aveva sovvertito le conclusioni cui era giunto il Tribunale di Torino ed aveva interpretato l’art. 275 c.p.p., comma 3 nel senso di ritenere come presunzione assoluta quella che era invece una mera presunzione relativa, suscettibile di prova contraria; ed il provvedimento impugnato aveva omesso di considerare che, a fronte della presunta affiliazione dell’agosto del 2009, non era stato registrato alcun minimo suo contatto con altri coindagati, il che poteva rilevare in termini soggettivi, alla stessa stregua di tutti gli altri elementi da lui allegati, quali il fatto di essere studente universitario incensurato e privo di pendenze, residente in Piemonte, località posta a notevole distanza dal luogo in cui il clan mafioso ipotizzato sarebbe stato operante, nonchè il fatto che egli apparteneva ad un contesto familiare del tutto esente da implicazioni illecite.

Motivi della decisione

1. E’ infondato il primo motivo di ricorso proposto da Z. K..

2. Con esso il ricorrente lamenta che, nei suoi confronti, sia avvenuta una violazione del principio del c.d. "giudicato cautelare", in quanto il Tribunale del riesame di Torino aveva annullato nei suoi confronti, per i medesimi fatti, una precedente ordinanza di custodia in carcere per mancanza di esigenze cautelari, dopo aver dichiarato l’incompetenza territoriale del G.I.P. di Torino, per essere stato competente il G.I.P del Tribunale di Reggio Calabria.

La giurisprudenza di legittimità ritiene invero che al giudice del riesame spettino, anche ai fini della valutazione della competenza, gli stessi poteri del giudice disponente; ciò non significa tuttavia che tali poteri si estendano anche all’annullamento della misura da parte del giudice del riesame, che contestualmente ritenga l’incompetenza del giudice che l’ha emessa.

E’ vero che il giudice, nel dichiararsi incompetente, può, ai sensi dell’art. 291 c.p.p., comma 2, adottare la misura cautelare richiesta, ove ne ravvisi i presupposti e laddove ne ritenga l’urgenza; ma la previsione di un potere del genere non comporta l’attribuzione al giudice del riesame del potere opposto e cioè quello di escludere, unitamente alla competenza del giudice disponente, altresì la sussistenza dei presupposti per l’adozione della misura.

E’ pertanto da ritenere che il giudice del riesame, una volta dichiarata l’incompetenza del giudice disponente, non ha il potere di annullare la misura, poichè tale opzione renderebbe inapplicabile l’art. 27 c.p.p. ed esproprierebbe in realtà del suo potere il giudice ritenuto competente (cfr. Cass. Sez. 6^ n. 8971 del 17/01/2007 dep. 01/03/2007 imp. Ingroso, Rv. 235920).

3. Da quanto sopra consegue l’infondatezza della censura proposta dal ricorrente, atteso che nessuna violazione del c.d. "giudicato cautelare" può ritenersi essere avvenuto nella specie nei confronti del ricorrente, spettando solo ed unicamente al Tribunale del riesame competente l’esame dell’ordinanza custodiale emessa dal G.I.P. competente ed essendo da ritenere, viceversa, non condivisibile il provvedimento adottato dal Tribunale del riesame di Torino, il quale, come sopra esposto, una volta dichiarata l’incompetenza del G.I.P. di Torino, che aveva emesso nei confronti del Z. l’ordinanza di custodia in carcere, si era altresì pronunciato in ordine alla sussistenza delle esigenze cautelari.

4. E’ altresì infondato il secondo motivo di ricorso proposto dal ricorrente.

Con esso è stato lamentata l’omessa motivazione del provvedimento impugnato in ordine ad una specifica censura da lui formulata al Tribunale del riesame, concernente l’insufficienza della motivazione addotta dal G.I.P. nell’autorizzare le intercettazioni ambientali all’interno dell’autovettura Opel Astra di proprietà di M. M..

5. E’ noto che la giurisprudenza di legittimità ritiene che, in materia di intercettazioni telefoniche ed ambientali disposte nell’ambito di procedimenti giudiziari relativi a delitti di criminalità organizzata, qual’è quello in esame, la motivazione del decreto autorizzativo del G.I.P. in ordine al presupposto dei sufficienti indizi di reato, di cui al D.L. 13 maggio 1991, n. 152, art. 13, convertito nella L. 12 luglio 1991, n. 203, che contiene una deroga rispetto a quanto disposto dall’art. 267 c.p.p., deve contenere la sintetica enunciazione degli elementi essenziali d’indagine, in modo da consentire alle parti ed al giudice del riesame di valutare la ritualità del provvedimento impugnato; e tale motivazione ben può legittimamente recepire, previo adeguato vaglio critico, le risultanze delle informative redatte dalla polizia giudiziaria (Cass. Sez. 6^, n. 1625 del 06/12/2002 dep. 15/01/2003, imp. Moxhaku, Rv. 223283).

Sotto tale aspetto appare pienamente condivisibile il provvedimento del G.I.P. di Reggio Calabria in data 1 giugno 2009, allegato in copia dal ricorrente al suo ricorso ed autonomamente valutabile da questa Corte.

Con esso il P.M. è stato autorizzato a disporre le intercettazioni ambientali anzidette, atteso che, in esso, il G.I.P. risulta aver fatto adeguato riferimento alle indagini di p.g. in corso, ritenendole meritevoli di approfondimento mediante l’intercettazione ambientale autorizzata.

Trattandosi poi di indagini relative ad un delitto di criminalità organizzata, ben può inoltre ritenersi, dall’esame del contesto complessivo del provvedimento impugnato, che il Tribunale del riesame di Reggio Calabria abbia implicitamente ritenuto la piena utilizzabilità del provvedimento autorizzativo anzidetto, avendo fondato su di esso l’intero contesto motivazionale, sulla cui base l’istanza di riesame proposta dal ricorrente è stata respinta, sì da potersi fondatamente ritenere che il Tribunale abbia ritenuto la piena conformità alla legge del decreto autorizzativo in esame.

6. E’ altresì infondato il terzo motivo di ricorso proposto da Z.K..

7. Con esso il ricorrente censura l’ordinanza emessa dal Tribunale del riesame di Reggio Calabria, in quanto non sarebbero emersi a suo carico validi indizi per ritenerlo partecipe di un’associazione criminosa di stampo mafioso, così come ipotizzato nei suoi confronti.

Le censure proposte dal ricorrente innanzi a questa Corte, non sono proponibili nella presente sede di legittimità, concernendo esse il merito.

Questa Corte invero, in considerazione della giurisdizione di legittimità svolta, può solo verificare se il giudice di merito abbia dato adeguato conto delle ragioni, che l’hanno indotto ad affermare la gravità del quadro indiziario emerso a carico del ricorrente, si da ritenere adeguata la misura cautelare oggetto dell’impugnazione.

Pertanto il criterio valutativo è quello indicato dall’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), avendo esso ad oggetto la motivazione dell’atto impugnato, onde accertare che essa, oltre a sussistere in sè, non sia nè manifestamente illogica, nè contraddittoria (cfr., in termini, Cass. SS. UU. 22.3.2000 n. 11; Cass. 4^, 8.6.07 n. 22500).

8. Il provvedimento emesso dal Tribunale del riesame di Reggio Calabria, impugnato nella presente sede, siccome adottato allo stato degli atti, ha al contrario correttamente apprezzato la consistenza degli indizi fino a quel momento emersi a carico del ricorrente e, con motivazione incensurabile nella presente sede, siccome esente da illogicità e contraddizioni, ha ritenuto detti indizi idonei a fondare l’imputazione a carico del ricorrente di partecipazione ad un’associazione criminale di stampo mafioso, denominata ndrangheta, operante nel territorio della provincia di Reggio Calabria, oltre che di quello nazionale ed estero, costituita da molte decine di "locali" o "ndrine", articolate in tre mandamenti, con competenza su specifiche aree (area ionica, area tirrenica ed area di città) e con organo di vertice denominato "Provincia".

I gravi indizi, ravvisati dal Tribunale di Reggio Calabria a carico del ricorrente sono consistiti:

– negli esiti di una conversazione ambientale, captata l’8 agosto 2009 all’interno dell’autovettura Opel fra il suo proprietario M.M., che ricopriva nel sodalizio mafioso il ruolo apicale di "mastro di giornata" ed O.D., altro esponente di spicco del clan col ruolo di "capo crimine", nel corso della quale si era parlato delle problematiche dell’associazione, con particolare riferimento ai riti di affiliazione di nuovi adepti, destinati a rafforzare la compagine associativa; ed il M. aveva appunto riferito che uno di tali nuovi adepti sarebbe stato portato da tale F.M., titolare di un autolavaggio, nella persona di suo nipote, identificato appunto nell’odierno indagato;

– negli esiti dei servizi di appostamento svolti dai carabinieri l’11 agosto 2009 in contrada Serricella di Rosarno, all’interno di un terreno con fabbricati di proprietà del M., dove si era svolta una riunione intesa a formalizzare l’ingresso di nuovi adepti al clan criminoso; una volta terminata la cerimonia, i carabinieri avevano fermato due dei partecipi a detta riunione, mentre si allontanavano a bordo di un’autovettura Golf, identificandoli in F.M. e nell’odierno indagato;

– nella conversazione ambientale del successivo 13 agosto 2009 all’interno dell’autovettura Opel, di cui sopra, nel corso della quale il proprietario M.M. aveva commentato con T.B., entrambi partecipi del rito di affiliazione dell’11 agosto precedente, di come fossero stati controllati dai carabinieri; ed il T. aveva riferito di essere stato anche lui identificato dai carabinieri quella sera e che in quel momento i carabinieri avevano già fermato per controllo l’auto sulla quale viaggiava F.M. in compagnia dell’odierno indagato;

– nella conversazione ambientale del successivo 14 agosto 2009, sempre a bordo dell’auto Opel, di cui sopra, nel corso della quale il M. aveva riferito che, nel corso della riunione dell’11 agosto 2009, non erano riusciti a completare le affiliazioni, previste in numero di sei, in quanto erano mancati tre dei soggetti da "battezzare"; il che provava come l’affiliazione del nipote di F. M., da identificare nell’odierno ricorrente, costituisse parte del patrimonio conoscitivo di M.M., fonte particolarmente qualificata, tenuto conto della posizione apicale da lui rivestita nell’ambito della società di Rosarno, anche perchè la riunione d’iniziazione anzidetta si era svolta in un fabbricato posto su di un terreno di sua proprietà.

Congrua ed adeguata è pertanto la motivazione, con la quale il Tribunale di Reggio Calabria ha ritenuto il quadro indiziario emerso a carico del ricorrente così grave da far luogo alla misura cautelare impugnata, essendo compito di questa Corte solo verificare che gli elementi di fatto valorizzati dal giudice di merito abbiano la valenza indiziaria dal medesimo ritenuta; il che nella specie può dirsi avvenuto (cfr., in termini, Cass. 6^, 26.4.06 n. 22256).

9. Le argomentazioni, svolte dal ricorrente per inficiarne la consistenza degli indizi sopra elencati sono meramente assertive e generiche ed inidonee ad incrinare la coerente ed attendibile loro valutazione proposta dai giudici di merito.

Con esse il ricorrente ha in realtà proposto una diversa chiave di lettura degli elementi indiziari, sopra descritti, valorizzati dal Tribunale del riesame, in tal modo ponendo in essere un’operazione che, essendo riferita al merito, è inibita nella presente sede di legittimità, nella quale, come sopra detto, è dato unicamente vagliare la consistenza del tessuto motivazionale del provvedimento impugnato sotto i profili della logica e della non contraddizione.

In particolare il ricorrente ha escluso che l’auto fermata dai carabinieri, sulla quale si trovava in compagnia di F.M. provenisse proprio dalla riunione intervenuta per formalizzare l’ingresso di nuovi adepti nel clan malavitoso di cui sopra e che egli avesse preso parte a detta riunione; tuttavia l’intercettazione ambientale dell’8 agosto 2009 e quelle dei successivi 13 e 14 agosto 2009 costituivano una significativa conferma di tale sua partecipazione alla riunione anzidetta; inoltre il provvedimento impugnato ha fatto corretta applicazione della giurisprudenza di questa Corte, alla stregua della quale la forza indiziante delle propalazioni fatte da un soggetto è direttamente proporzionale alla sua caratura criminale; e, nella specie, le intercettazioni ambientali di conferma provenivano da un soggetto, quale il M., il quale, siccome collocato in posizione apicale nell’ambito del clan malavitoso di appartenenza, era da ritenere in possesso di informazioni, che costituivano patrimonio conoscitivo comune acquisito dall’intera organizzazione criminosa, concernenti esse fatti di interesse comune (cfr., ex multis, Cass. Sez. 1^ n. 1554 del 13/03/2009 dep. 10/04/2009 imp. Lo Russo, Rv.243986).

10. E’ infondato altresì il quarto motivo di ricorso proposto da Z.K..

L’ordinanza impugnata ha invero adeguatamente motivato anche in ordine alla sussistenza di esigenze cautelari, ritenute idonee a giustificare la misura cautelare inframuraria adottata.

Il Tribunale del riesame, oltre a far riferimento alla gravità dei fatti contestati, ha rilevato che l’art. 275 c.p.p., dettato in tema di criteri di scelta delle misure cautelari da applicare, così come modificato, al comma 3, dall’art. 2 del D.L. 23 febbraio 2009, n. 11, convertito con modificazioni nella L. 23 aprile 2009, n. 38, comprende anche il reato contestato all’odierno ricorrente fra quelli per i quali sussiste la presunzione di adeguatezza della misura cautelare inframuraria, presunzione superabile solo se il ricorrente provi la completa insussistenza di esigenze cautelari nei suoi confronti; il che la ricorrente non ha certamente fatto, non potendo essere utilizzato in tal senso lo stato d’incensuratezza del ricorrente, nè il fatto che il medesimo vivesse in una regione (il Piemonte) distante varie centinaia di chilometri dalla provincia di Reggio Calabria, avendo al riguardo l’ordinanza impugnata correttamente rilevato come la compagine criminosa di stampo mafioso, al quale il ricorrente si era affiliato, aveva importanti collegamenti operativi anche nella regione Piemonte.

Il criterio fissato dal legislatore è dunque riferito alla completa inesistenza di esigenze cautelari, in tal modo non consentendo all’interprete di graduare diversamente la misura cautelare da irrogare, qualora pure ritenesse le esigenze cautelari in qualche modo ridotte o diminuite.

11. Il ricorso proposto da Z.K. va pertanto respinto, con sua condanna, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., al pagamento delle spese processuali.

12. Dovrà provvedersi all’adempimento di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Si provveda a norma dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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