Cons. Stato Sez. V, Sent., 08-09-2011, n. 5034 Onere della prova

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Il Tribunale amministrativo regionale per la Liguria, sez. II, con la sentenza n. 1026 del 13 maggio 2009, definitivamente pronunciando sul ricorso proposto dalla società I. s.r.l. per il risarcimento del danno subito a causa del tardivo rilascio dell’autorizzazione regionale in variante al programma di coltivazione cava di ardesia di cui alla deliberazione della Giunta regionale della Liguria n. 706 del 27 giugno 2000, lo ha accolto, condannando in solido la Regione Liguria e il Comune di Triora al risarcimento del danno.

In particolare, il tribunale, ricostruita minuziosamente in punto di fatto l’intera vicenda, anche per quanto riguarda il substrato normativo (artt. 3 e 5 della legge regionale 10 aprile 1979, n. 12 "Norme sulla disciplina della coltivazione di cave e torbiere"; art. 2 della legge regionale 6 giugno 1991, n. 8, e art. 3 del regolamento 4 luglio 1994, n. 2, in tema di procedimento amministrativo), dato atto di una precedente controversia tra il Comune di Triora ed evidenziato che, a fronte della richiesta avanzata in data 9 luglio 1999, l’autorizzazione era stata rilasciata con delibera della giunta regionale n. 706 del 27 giugno 2000, comunicata il successivo 16 ottobre, ha ritenuto che effettivamente nel caso di specie vi era stato un ingiustificato ritardo, imputabile sia alla Regione Liguria che al Comune di Triora, ed pertanto li ha condannati solidalmente al risarcimento in favore della società ricorrente dei danni subiti, liquidati complessivamente in Euro. 215.877,00, oltre interessi legali e rivalutazione monetaria (a fronte di una richiesta, supportata da una perizia di parte, di oltre 6 milioni di euro, escludendo il riconoscimento delle spese legali e del lucro cessante per ordini non evasi, in quanto non provati, nonché da danno prospettico e perdita di avviamento).

2. La Regione Liguria, con atto di appello notificato il 6 aprile 2010, ha chiesto la riforma di tale sentenza alla stregua di un unico articolato motivo di gravame, rubricato "Violazione ed errata applicazione degli artt. 2043, 2236, 2697, 2727 e 2005 c.c. – Erroneità della sentenza – travisamento dei fatti – erroneità e/o difetto di motivazione. Contraddittorietà".

L’amministrazione regionale, in sintesi, ha negato l’esistenza del ritardo nel rilascio dell’autorizzazione, atteso che, diversamente da quanto superficialmente apprezzato dai primi giudici, il procedimento amministrativo avviato con la domanda del 30 giugno 1999 (assunta al protocollo del competente ufficio il 9 luglio 1999) si era in realtà concluso con un provvedimento implicito di rigetto a seguito della nota del 9 novembre 1999 prot. 3548 del Comune di Triora (secondo cui la società I. s.r.l. non era titolare di alcun provvedimento comunale di disponibilità degli appezzamenti di terreno oggetto della autorizzazione regionale) ed era stato riattivato con una nuova domanda in data 17 gennaio 2000, data rispetto alla quale l’intervenuto rilascio dell’autorizzazione era da considerarsi tempestivo, essendo stato sospeso il corso dei termini dalla richiesta di parere formulato dai competenti uffici all’Avvocatura e ciò senza contare che il termine previsto dalla normativa regionale per il rilascio dell’autorizzazione non poteva considerarsi neppure decorso a causa della pacifica incompletezza documentale della richiesta di autorizzazione.

In linea evidentemente subordinata l’appellante Regione Liguria, oltre a lamentare la carenza della sentenza, quanto all’effettiva individuazione del nesso di causalità tra il tardivo ritardo dell’autorizzazione ed i danni asseritamente subiti dalla società ricorrente, ha anche dedotto l’assenza di responsabilità per carenza dell’elemento soggetto (profilo sul quale i primi giudici avevano omesso il pur necessario approfondimento), lamentando infine l’erroneità sia della quantificazione del danno, sia del carattere solidale della condanna con il Comune di Triora.

Quest’ultimo ha spiegato appello incidentale, deducendo a sua volta l’erroneità della sentenza impugnata alla stregua di sette articolati motivi di censura, così rubricati: "I. Illegittimità della sentenza di primo grado. 1). Violazione dell’art. 25 del d.p.r. n. 3/1957. Violazione art. 10 l. 241/1990. Erronea motivazione"; "II. Insussistenza dell’elemento oggettivo della responsabilità. II.1) Con riguardo al preteso ritardo nell’emissione dell’autorizzazione regionale. Violazione ed errata applicazione degli artt. 5 della l.r. n. 12/1979, 2 della l.r. n. 8/1991, 2 e 10 del r.r. n. 2/1994, nonché del punto 15.2.59 della tabella allegata al r.r. n. 2/94. Violazione ed errata applicazione dell’art. 2043 c.c.. Travisamento dei fatti ed erroneità/difetto di motivazione."; "II.2. In particolare, con riguardo alla condotta del Comune di Triora: insussistenza della illiceità della condotta e dell’inadempimento contrattuale da parte del Comune di Triora. Violazione ed erronea applicazione degli artt. 1374 e 1375 c.c. Violazione ed erronea applicazione dell’art. 1218 c.c. Violazione dell’art. 2043 c.c. Erroneità e difetto di motivazione. Travisamento dei fatti. Contraddittorietà"; "III. Insussistenza dell’elemento soggettivo in capo al Comune di Triora. Violazione ed erronea applicazione degli artt. 1218 e 2043 c.c. Erroneità e difetto di motivazione. Travisamento dei fatti e contraddittorietà"; "IV.Insussistenza del nesso causale fra la condotta tenuta dal Comune, il ritardo nell’emissione dell’autorizzazione regionale e gli asseriti danni subiti da I.. Violazione ed erronea applicazione degli artt. 1218 e 2043 c.c. Erroneità e difetto di motivazione. Travisamento dei fatti. Contraddittorietà"; "Erroneità della sentenza nella parte in cui respinge l’eccezione di difetto di legittimazione passiva dedotta dal Comune di Triora. Violazione degli artt. 1218 e 2043 c.c. Erroneità e difetto di motivazione. Travisamento dei fatti. Contraddittorietà"; "VI. Erroneità nella individuazione e liquidazione dei danni a favore di I. compiuta dal TAR. Violazione ed errata applicazione degli artt. 2043, 1218, 1223, 1225, 2697, 2727 c.c. Erroneità della sentenza per travisamento dei fatti ed erroneità e/o difetto di motivazione" e "VII. Erroneità della sentenza nella parte in cui condanna solidalmente le due Amministrazioni al risarcimento dei danni. Violazione ed erronea applicazione dell’art. 2055 c.c. Erroneità e difetto di motivazione. Travisamento dei fatti. Contraddittorietà".

In sintesi l’amministrazione comunale di Triora ha ribadito l’eccezione, a suo avviso erroneamente respinta dai primi giudici, di inammissibilità del ricorso di primo grado, in quanto la società ricorrente non aveva fatto constare preventivamente il silenzio – rifiuto o inadempimento e per il resto ha negato sia la tardività nel rilascio dell’autorizzazione, sia l’addebitabilità di tale ritardo al proprio comportamento, contestando poi l’importo liquidato a titolo di risarcimento dei danni e il vincolo di solidarietà della condanna con la Regione Liguria.

Anche la società I. s.r.l., costituita in giudizio per resistere all’appello della Regione Liguria, ha spiegato appello incidentale, chiedendo la riforma della sentenza sul punto relativo alla quantificazione del risarcimento del danno, denunciando "Violazione e/o errata applicazione degli artt. 2043, 2697, 2727, 2704 C.C. e 112 c.p.c.; erroneità della sentenza; erroneità e/o difetto di motivazione; contraddittorietà; travisamento dei fatti", sia in relazione al lucro cessante, sia in relazione al lucro cessante prospettico, sia in relazione al danno emergente e chiedendo quanto al primo (lucro cessante) la somma di Euro. 545.641,00, quanto al secondo (lucro cessante prospettico) la somma di Euro. 4.702.137 e quanto al terzo (danno emergente) la somma di Euro. 6.393.611,00, il tutto anche previa consulenza tecnica per la esatta quantificazione dei danni.

3. Le parti hanno illustrato con apposite memorie le proprie rispettive tesi difensive.

Alla pubblica udienza del 19 aprile 2011, dopo la rituale discussione, la causa è stata trattenuta in decisione.

Motivi della decisione

4. La sostanziale identità delle censure sollevate con l’appello principale della Regione Liguria e con l’appello incidentale del Comune di Triora, quanto alla sussistenza del ritardo nel rilascio dell’autorizzazione, alla sussistenza del danno risarcibile e alla imputabilità alle stesse, anche a titolo solidale, rendono opportuna la trattazione congiunta dell’appello principale della Regione Liguria e dell’appello incidentale del Comune di Triora.

Esse sono infondate.

4.1. Occorre innanzitutto premettere che non è stata minimamente smentita, né tanto meno contestata, la ricostruzione del substrato normativo su cui si innesta la controversia in esame, così come delineato dai primi giudici, imperniato sulle leggi regionali 10 aprile 1979, n. 12 ("Norme sulla disciplina della coltivazione di cave e torbiere") e 6 giugno 1991, n. 8 ("Norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi"), oltre che sul regolamento regionale 4 luglio 1994, n. 2 ("Regolamento di attuazione dell’articolo 1 comma 3 della legge regionale 6 giugno 1991, n. 8 relativo alla disciplina particolareggiata dei singoli tipi di procedimento amministrativo con indicazione del termine finale per l’emissione dell’atto conclusivo".

In sintesi:

– ai sensi della legge regionale 10 aprile 1979, n. 12: 1) l’esercizio dell’attività di cava è subordinata all’autorizzazione preventiva della Regione (art. 3, comma 1) e la domanda di autorizzazione deve contenere (art.5), oltre alla generalità ed al domicilio dell’imprenditore ed in caso di società, la sua ragione sociale, l’indicazione della sede e del rappresentante legale, anche il titolo giuridico sul quale si fonda la disponibilità del giacimento, l’ubicazione della cava e l’indicazione della sostanza minerale oggetto di coltivazione, con l’indicazione dei sistemi di coltivazione, specificando altresì se detta coltivazione avviene a cielo aperto o in sotterraneo; 2) la domanda, corredata dei necessari allegati (a) planimetria della zona interessata dai lavori di coltivazione; b) programma dettagliato dei lavori di coltivazione e degli investimenti necessari per la realizzazione del complesso estrattivo; c) piano topografico dei lavori di coltivazione e delle opere di sistemazione del suolo ai fini della tutela ambientale, con l’indicazione dei tempi di attuazione, nonché il progetto degli eventuali impianti di trattamento, degli edifici, delle strade di servizio e delle altre opere e manufatti connessi all’attività estrattiva; d) relazione geomineraria della superficie interessata alla coltivazione, comprendente la carta geologica, geomorfologica ed idrogeologica, su base topografica a curva di livello, in scala non inferiore a 1:2000 e relative sezioni significative, oltre ad adeguate informazioni sulla consistenza del giacimento); 3) dell’avvenuta presentazione della domanda di autorizzazione deve essere data comunicazione (corredata della documentazione allegata indicata sub b) e c)) al Comune che, nel termine di quarantacinque giorni, trasmette le sue osservazioni;

– ai sensi della legge regionale 6 giugno 1991, n. 8 (in vigore all’epoca dei fatti): 1) i procedimenti amministrativi, in via generale, dovevano concludersi in un termine non superiore a novanta giorni, salvi i diversi termini eventualmente previsti nel regolamento in conformità a norme statali o comunitarie (art. 2, comma 1) ovvero nel termine massimo di 180 giorni, qualora il procedimento stesso fosse articolato in più fasi distinte (art. 2, comma 2); 2) i termini decorrevano dalla data di assunzione della domanda al protocollo della struttura, nel caso di procedimento ad iniziativa di parte (articolo 2, comma 5) e si intendevano sospesi (art. 2, comma 6), oltre che in pendenza dei termini assegnati ai soggetti intervenuti nel procedimento per presentare memorie scritte e documenti (lett. a), anche in pendenza dei pareri obbligatori degli organi consultivi dello Stato e di altre amministrazioni, in conformità a quanto previsto dall’art. 16 della L. 7 agosto 1990, n. 241 (lett. b), in dipendenza del termine per la formazione dell’eventuale silenzio assenso nei casi previsti dal successivo art. 16, comma 3 (lett. c), in pendenza dell’adozione e della trasmissione alla Regione di atti e provvedimenti di enti o di organi esterni, allorché tali atti o provvedimenti costituiscano fasi del procedimento amministrativo (lett. d) ed in pendenza dell’espressione dei pareri obbligatori degli organi consultivi regionali secondo quanto sarà stabilito nel o nei regolamenti di cui all’art. 1, comma 3 (lett. e);

– ai sensi del regolamento regionale 4 luglio 1994, n. 2: 1) in caso di domanda irregolare o incompleta, il responsabile del procedimento doveva darne comunicazione all’istante entro il termine di dieci giorni, indicando le cause della irregolarità o della incompletezza, assegnandogli un termine perentorio entro cui regolarizzare o completare la domanda (art. 2, comma 5), con la conseguenza che in questi casi il termine del procedimento decorreva dal ricevimento al protocollo del Servizio della domanda regolarizzata o completata; 2) era previsto (art. 10, rubricato "Parere facoltativo del Consiglio di Stato e dell’Avvocatura dello Stato") che il procedimento fosse sospeso per un periodo massimo di novanta giorni, salvo quanto previsto dall’art. 18, comma 4, della legge regionale 6 giugno 1991, n. 8, allorquando l’amministrazione avesse ritenuto di richiedere il parere in via facoltativa al Consiglio di Stato o all’Avvocatura dello Stato (previa comunicazione agli interessati da parte del responsabile del procedimento, comma 1) e che l’acquisizione in via facoltativa di pareri e di valutazioni tecniche di organi, amministrazioni o enti, al di fuori del caso di cui al precedente comma, non aveva effetto sull’osservanza del termine finale del procedimento (comma 2); 3) il punto 12.5.59 della tabella allegata al procedimento in questione doveva essere concluso nel termine massimo di 210 giorni, 90 più 120 giorni per l’esame del gruppo di lavoro.

4.2. Ciò premesso, non può ragionevolmente dubitarsi che il provvedimento autorizzativo richiesto dalla Società I. s.r.l. con la domanda in data 30 giugno 1999, assunta al protocollo dei competenti uffici regionali il 9 luglio 1999, adottato con delibera di giunta regionale n. 706 del 27 giugno e comunicato solo il successivo 18 ottobre 2000, è stato emesso tardivamente in violazione cioè del termine di 90 giorni, discendente direttamente dalla corretta applicazione della legge regionale 6 giugno 1991, n. 8 (art. 2) e del relativo regolamento di attuazione 4 luglio 1994, n. 2 (artt. 2 e 10 e punto 12.5.59 della tabella allegata).

E’ sufficiente rilevare al riguardo che:

– non trova applicazione al caso di specie la previsione del termine di 210 giorni per la conclusione del procedimento, atteso che il maggior termine di 120 giorni, pur contemplato dal ricordato regolamento regionale, presuppone l’istituzione del Gruppo di lavoro, di cui non è stata fornita da parte dell’amministrazione regionale alcuna prova;

– la richiesta di parere legale inoltrata dall’amministrazione regionale agli uffici dell’avvocatura non è idonea a determinare la sospensione dei termini di conclusione del procedimento, in quanto proprio l’articolo 10 del regolamento regionale, come rilevato, prevede la sospensione solo per il caso richiesta di parere all’Avvocatura dello Stato o al Consiglio di Stato (comma 1), aggiungendo che la richiesta di altri pareri non incide sull’osservanza dei termini di conclusione del procedimento: sul punto è appena il caso di rilevare che la evidente natura speciale della previsione in questione non ne consente l’applicazione analogica, ciò determinando un inammissibile ed ingiustificato vulnus al diritto del cittadino (e nel caso di specie dell’impresa) alla certezza dei tempi dell’attività della pubblica amministrazione (ciò senza contare che anche ad ammettere l’applicabilità della sospensione di novanta giorni del procedimento per la richiesta di parere all’avvocatura, il termine complessivo di 180 giorni per conclusione del procedimento sarebbe stato superato);

– nessuna interruzione dei termini può ricollegarsi all’attività istruttoria posta in essere dall’amministrazione regionale, sia perché, con riguardo alle richieste avanzate al Comune di Triora, è la stessa legge 10 aprile 1979, n. 12, a stabilire che al comune interessato debba essere trasmessa la domanda di autorizzazione per consentire all’ente locale stesso di formulare le proprie osservazioni (peraltro nel termine di 45 giorni, che non incide sul complessivo termine di 90 giorni per la conclusione del procedimento), sia perché non è stato mai provato che la domanda di autorizzazione presentata dalla società I. s.r.l. fosse irregolare o incompleta, circostanza che, ai sensi dell’articolo 2, comma 5, del regolamento regionale, imponeva al responsabile del procedimento di darne immediatamente comunicazione all’istante entro il termine di dieci giorni, indicando le cause della irregolarità o della incompletezza e assegnandogli un termine perentorio entro cui regolarizzare o completare la domanda (evenienza ed adempimenti di cui non vi è alcuna traccia); del resto a tutto voler concedere, secondo la stessa ammissione della appellata società, il procedimento ed i relativi termini possono avere subito una sospensione solo dal 25 ottobre 2009 (data di richiesta dell’amministrazione regionale di chiarimenti sulla disponibilità dei terreni) al 2 novembre 1999 (data in cui i chiarimenti sono stati resi).

Neppure può trovare favorevole considerazione la diversa ricostruzione della fattispecie operata dall’amministrazione regionale, secondo cui il procedimento avviato con la domanda di autorizzazione del 30 giugno 1999 si sarebbe concluso con un provvedimento implicito di rigetto, tant’è che la società I. s.r.l., consapevole di ciò, aveva avviato un nuovo procedimento con la nuova domanda del 17 gennaio 2000.

Anche a voler prescindere dalla considerazione che la tesi così prospettata si pone in insanabile contrasto con il principio, stabilito dalla legge 7 agosto 1990, n. 241, e ribadito dall’articolo 3, comma 1, della legge regionale 6 giugno 1991, n.8, secondo cui ogni procedimento deve concludersi con l’adozione di un provvedimento espresso, deve rilevarsi che con la nota in data 17 gennaio 2000 la società richiedente l’autorizzazione, lungi dall’attivare un nuovo procedimento o dal riattivare quello di cui alla istanza del 30 giugno 1999, ha prodotto documentazione, a suo avviso idonea a superare le presunte difficoltà interpretative della disponibilità dei fondi, in relazione ai quali era stata richiesta l’autorizzazione e sussistevano dubbi per l’atteggiamento tenuto dall’amministrazione comunale di Triora.

Deve aggiungersi che il fatto che l’autorizzazione regionale sia intervenuta, come si è avuto modo di rilevare, allorquando il termine per la conclusione del procedimento, fissato direttamente dalla legge regionale e al cui rispetto l’amministrazione regionale non poteva sottrarsi (non essendo stato peraltro neppure provata la sussistenza di fatti o circostanze obiettive che potevano giustificare il superamento del termini stessi), esclude la necessità, ai fini della stessa ammissibilità della proposta domanda di risarcimento del danno da ritardo, della previa diffida per far constare l’eventuale rifiuto o inadempimento, quest’ultimo essendo evidentemente connesso in modo diretto, immediato ed automatico alla scadenza del termine per provvedere, legislativamente fissato.

4.3. Sia la Regione Liguria che il Comune di Triora hanno poi contestato decisamente di poter essere considerati responsabili del preteso ritardo, ricollegabile esclusivamente alla definizione della questione relativa alla disponibilità dei terreni, su cui doveva essere svolta l’attività di cava, da parte della società istante.

Sennonchè al riguardo è sufficiente osservare che, come del resto emerge dalla documentazione versata in atti, ed in particolare dalla nota prot. 1963 dell’11 maggio 2000 del Settore Avvocatura della Regione Liguria, diretta al Dipartimento Economia e Lavoro, nonché al dirigente dell’Ufficio Attività Estrattive, la questione relativa alla controversia tra il Comune di Triora e alcune ditte esercenti attività di cava non solo era ben nota all’amministrazione regionale ma anzi era stata già risolta, con la precedente nota prot. 1297/97 del 21 maggio 1997, condividendo la tesi, sostenuta dallo stessa Struttura Attività Estrattive dell’amministrazione regionale, della disponibilità delle aree interessate da parte delle imprese richiedenti l’autorizzazione regionale; la predetta nota dell’11 maggio 2000 precisa che non si era verificata alcuna modifica della situazione di fatto preesistente.

Nessun ragionevole dubbio poteva esservi sulla effettiva disponibilità dei terreni interessati all’attività di cava da parte della ricorrente società I. s.r.l., tanto più che, come pure emerge dalla lettura degli atti di causa, la mancanza del titolo formale attestante la disponibilità dei predetti terreni era da ascrivere al comportamento, quanto meno contraddittorio ed ingiustificatamente ostruzionistico, dello stesso Comune di Triora, che non aveva dato seguito agli impegni assunti nell’atto di conciliazione sottoscritto il 21 dicembre 1994.

Sulla scorta di tali pacifiche circostanze di fatto correttamente il Tribunale ha ritenuto che il ritardato rilascio dell’autorizzazione fosse imputabile, solidalmente, al comportamento tenuto da entrambe le amministrazioni intimate, essendo d’altra parte rimaste prive di qualsiasi adeguata contestazione le puntuali considerazioni che hanno fondato tale convincimento.

4.4. Sia la Regione Liguria che il Comune di Triora hanno poi sostenuto che la loro responsabilità risarcitoria non poteva fondarsi sull’accertato mero ritardo nel rilascio del provvedimento autorizzatorio, dovendo essere provata la sussistenza dell’elemento soggettivo (del dolo o della colpa), non provato e comunque non sussistente.

La tesi non può trovare accoglimento.

Ricordato che la fattispecie risarcitoria oggetto di controversia attiene al c.d. danno da ritardo, la Sezione osserva che il principio della certezza dei tempi dell’attività amministrativa, assicurata attraverso la individuazione da parte dello stesso legislatore regionale dei tempi massimi di conclusione dei procedimenti amministrativi, costituisce concreta attuazione dei principi di imparzialità e buon andamento, oltre che di legalità, predicati dall’articolo 97 della Costituzione: viene in tal modo non solo giustamente limitata la discrezionalità della pubblica amministrazione (ricondotta in limiti temporali ritenuti ragionevoli secondo l’apprezzamento, nel caso che ci occupa, dello stesso legislatore regionale), ma viene soprattutto garantita la libertà di intrapresa del cittadino e delle imprese, assicurando loro la preventiva conoscenza del termine massimo in cui l’amministrazione è tenuta a determinarsi in relazione ad una loro istanza (sotto tale profilo il principio di certezza dei tempi dell’attività amministrativa è corollario dei principi di economicità, efficienza ed efficacia dell’azione amministrativa, ponendosi sullo stesso piano degli altri strumenti di semplificazione dell’azione amministrativa).

In tale prospettiva non può negarsi che la violazione del termine di conclusione di un procedimento, legislativamente fissato, costituisce di per sé un danno per il cittadino e per l’impresa, restando così assorbita la questione dell’elemento soggettivo della responsabilità salvo l’onere dell’amministrazione, anch’essa pacificamente tenuta al rispetto di quei termini, di provare la sussistenza di situazioni eccezionali, quali la difficoltà obiettiva della normativa regolante il caso specifico, i contrasti dottrinari e giurisprudenziali, eventuali altri fatti obiettivi ed non addebitabili: nel caso di specie il mancato adempimento di tale onere probatorio da parte delle amministrazioni rende infondata ogni questione in ordine alla imputabilità soggettiva della responsabilità, a titolo di colpa (come peraltro può agevolmente ricavarsi anche dalle considerazioni svolte nel paragrafo 4.3.).

Diversa invece è la questione della effettiva prova della consistenza del danno subito a causa della violazione del termine di conclusione del procedimento, che attiene alla quantificazione del danno stesso e per il quale si rinvia alle osservazioni di cui al paragrafo seguente.

E’ appena il caso di aggiungere che alla stregua delle osservazioni svolte anche l’eccezione di difetto di legittimazione passiva sollevata dal Comune di Triora è del tutto priva di fondamento giuridico.

5. Comodità espositiva ed esigenze sistematiche giustificano la trattazione congiunta dell’appello principale della Regione Liguria e del Comune di Triora, nonché di quello incidentale proposto dalla società I. s.r.l., nella parte in cui è stata, con argomentazioni evidentemente contrapposte, contestata la correttezza della quantificazione del danno subito dalla società I. s.r.l.

5.1. I primi giudici, a fronte di una richiesta risarcitoria di Euro, 6.393,611,00 (per lucro cessante anno 2000, Euro. 761.518,00; lucro cessante prospettico, Euro. 4.702.137,00; danno emergente per spese legali sostenute Euro. 29.956,00 e danno emergente per perdita di avviamento,Euro. 900.000), dall’esame dei documenti esibiti ed in particolare della nota integrativa al bilancio della società I. s.r.l. dell’anno 2000, hanno evidenziato che "…l’aumento dell’estrazione di materiale (nell’anno 2000 rispetto al 1999), l’acquisto di materiale ardesiaco per l’anno 2000, l’invarianza del fatturato per l’anno 2000 (Euro. 1.966.463,00, rispetto al 1999 Euro. 1.990.168,00) ed il successivo azzeramento degli acquisti di ardesia nell’anno successivo sono elementi che inducono a ritenere che il ritardo di cui si discute abbiano causalmente determinato l’acquisto di ardesia da parte della ricorrente. Poiché tuttavia il fatturato è rimasto invariato ma i ricavi sono diminuiti costituisce logica conseguenza ritenere che il danno subito per il ritardo in questione sia costituito dalle maggiori spese sostenute per l’acquisto di ardesia", spese quantificate in Euro. 215.877,00, pari alla differenza tra la somma pagata per l’acquisto di ardesia nell’anno 2000 (Euro. 225.143,00) e quella pagata nell’anno 2001 (Euro. 9.266,00).

A fronte di tale rigoroso, ragionevole e condivisibile ragionamento, la tesi prospettata delle amministrazioni appellanti, secondo cui a partire dal 2001 non vi sarebbe stato alcun avvio dell’estrazione a pieno regime del filone grosso della Cava Canevaiole, rimasta addirittura intonsa fino al 2005, è del tutto inconferente, avendo riguardo ad un profilo del tutto diverso da quello obiettivo considerato dai primi giudici e comunque non utile a dimostrare l’infondatezza dei costi sostenuti per l’acquisto altrove dell’ardesia che non era stata possibile "cavare" a causa del ritardato rilascio dell’autorizzazione e della non ottimale qualità dell’ardesia prodotta dalla cava (deduzione operata dai primi giudici in modo convincente e non adeguatamente confutata); così come irrilevante, ai fini in questione, è la deduzione, peraltro generica (riferita infatti a "molte fatture", senza ulteriore specificazioni), secondo cui l’acquisto riguarderebbe non già materiale grezzo (c.d. "a bocca di cava"), bensì manufatti di ardesia già definiti (lastre da biliardo), giacchè non è minimamente dubitabile che tali acquisti sono la conseguenza diretta ed immediata del tardivo rilascio dell’autorizzazione e della impossibilità della società I. s.r.l. di utilizzare il materiale di cava (il che rende irrilevante anche l’ulteriore argomentazione spesa dalle parti pubbliche secondo cui il danno liquidato era eccessivo, non avendo tenuto conto dei costi di lavorazione che la società avrebbe risparmiato con l’acquisto dei predetti manufatti di ardesia; così come ugualmente priva di qualsiasi supporto probatorio, frutto pertanto di una mera critica.

Pertanto l’appello principale della Regione Liguria e quello incidentale del Comune di Triora devono essere respinti.

5.2. Deve tuttavia rilevarsi che le conclusioni cui sono pervenuti i primi giudici in ordine alla quantificazione del risarcimento danno subito dall’Italardesia s.r.l. (e sulla prova dello stesso) non meritano censura neppure alla luce del gravame incidentale spiegato proprio dalla stessa I. s.r.l.

Quanto al profilo del lucro cessante, con particolare riferimento agli ordini inevasi, su cui l’appellante incidentale insiste quale prova del danno subito, i primi giudici hanno del tutto correttamente osservato che essi non sono utilizzabili in quanto privi di data certa.

Tale circostanza non è stata negata dalla società I. s.r.l., che tuttavia obietta la non contestazione delle amministrazioni pubbliche, tanto più che la legge non imporrebbe particolari formalità di conservazione delle comunicazioni commerciali: la tesi, ancorchè suggestiva, non può trovare accoglimento, atteso che una circostanza dedotta da una parte può ritenersi pacifica, solo se essa sia esplicitamente ammessa dalla controparte o se questa, pur non contestandola in modo specifico, abbia improntato la difesa su circostanze o argomentazioni incompatibili col suo disconoscimento, sicché quando la mancata espressa contestazione della circostanza si fonda sull’assunto della non pertinenza del fatto dedotto al giudizio in corso, l’attore non è esonerato dall’onere di provare il fatto stesso (Cass., civ., sez. III, 24 novembre 2010, n. 23816); d’altra parte, se è vero che l’art. 2214 C.C. impone all’imprenditore un obbligo di regolare conservazione delle comunicazioni commerciali, senza la necessità di autenticazione e/o registrazione, è anche vero che i libri contabili e le altre scritture contabili dell’impresa soggette a registrazione fanno prova contro l’imprenditore e possono fare prova, se regolarmente tenuti, nei rapporti tra imprenditori inerenti all’esercizio dell’impresa ( art. 2710 C.C.): correttamente pertanto i primi giudici hanno ritenuto che i documenti in questione non potesse essere utilizzati come prova dell’asserito danno subito.

Deve aggiungersi, poi, che la stessa I. s.r.l. non ha neppure negato l’esistenza proprio nell’anno 2000 di una effettiva maggiore concorrenza che, come rilevato dai primi giudici, ha ragionevolmente determinato il calo dei ricavi non ricollegabile in modo automatico, diretto ed immediato al ritardo nel rilascio dell’autorizzazione, tanto più che vi era stato un aumento della quantità di ardesia scavata, che la posizione di mercato era stata mantenuta con l’acquisto di notevole quantità di ardesia e che dallo stesso bilancio della società emergeva la sostanziale invarianza del fatturato dell’anno 2000 rispetto a quello del 1999 (circostanze tutte non smentite dalla società): sono pertanto irrilevanti, oltre che prive di prova, le deduzioni circa la asserita scarsa qualità dell’ardesia scavata che avrebbe imposto maggiori costi per la produzione di lastre per biliardi, reperite altrove (tanto più che tale danno è stato sostanzialmente riconosciuto dai primi giudici).

Ugualmente privo di supporto probatorio è la tesi del danno subito a causa del maggior costo del lavoro (per raggiungere la materia prima occorrente in zone disagiate e per l’effettuazione di nuovi assunzioni) e dell’approvvigionamento altrove del materiale necessario a soddisfare le richieste dei clienti: in realtà, ad avviso della Sezione, si tratta di una voce di danno che è stata già riconosciuta, avendo i primi giudici già tenuto conto dei costi subiti per l’acquisto altrove dell’ardesia già lavorata, ciò non senza contare che è del tutto irragionevole – e si ripete non provata – la circostanza di aver proceduto a nuove assunzioni benché non si avesse certezza del rilascio dell’autorizzazione ed in un momento di grande concorrenza internazionale.

Le considerazioni svolte rendono infondate anche le critiche mosse alla sentenza in relazione all’asserito mancato riconoscimento del danno prospettico, tanto più che non vi è alcuna ragionevole certezza che le dimissioni dell’agente americano siano da ricollegarsi esclusivamente al ritardato rilascio dell’autorizzazione e non piuttosto alla situazione di maggiore concorrenza realizzatasi sul mercato internazionale, ciò tanto più se si tiene conto che, come evidenziato dai primi giudici e non contestato dalla società appellante, tra il 1999 ed il 2000 vi era stata una sostanziale invarianza del fatturato.

Ciò esclude poi che vi possa essere stato un danno all’immagine e tanto più un danno derivante dalla perdita di avviamento.

Quanto alla richiesta di riconoscimento a titolo di risarcimento del danno delle spese sopportate dalla società appellante, così come risultanti dalle copie delle fatture del difensore, la Sezione rileva che si tratta di spese per attività difensiva varia ed eterogenea, risalente anche al 1993, non specificamente relativa alla stessa società I. ed in ogni caso non direttamente ricollegabile al ritardato rilascio dell’autorizzazione cui pertiene la domanda risarcitoria introdotta in primo grado.

6. In conclusione alla stregua delle considerazioni svolte devono essere respinti sia l’appello principale proposto dalla Regione Liguria, sia gli appelli incidentali spiegati dal Comune di Triora e dalla società I. s.r.l., con conseguente conferma della impugnata sentenza.

In ragione della reciproca soccombenza possono compensarsi le spese del presente grado di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quinta, definitivamente pronunciando sull’appello principale della Regione Liguria e sugli appelli incidentali spiegati dal Comune di Triora e dalla società I. s.r.l. avverso la sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Liguria, sez. II, n. 1026 del 13 maggio 2009, li respinge.

Dichiara interamente compensate tra le parti le spese del presente grado di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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