Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 15-04-2011) 01-08-2011, n. 30440

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con sentenza dell’11 novembre 2004, il Tribunale di Palermo condannava C.S. alla pena di anni sette e mesi sei di reclusione in quanto responsabile del reato continuato di concorso esterno nell’associazione di tipo mafioso "Cosa Nostra" (capo 2), riciclaggio (capo 7), ritenuta assorbita in tale contestazione quella di cui al capo 6 (ulteriore episodio di riciclaggio), e ricettazione (così qualificate le contestazioni di cui ai capi 8, 9 e 10).

A seguito di impugnazione dell’imputato, la Corte di appello di Palermo, con sentenza del 9 ottobre 2008, in parziale riforma della sentenza di primo grado, dichiarava non doversi procedere nei confronti del C. in ordine ai reati di cui ai capi 8, 9 e 10 perchè estinti per prescrizione, riducendo conseguentemente la pena ad anni sette di reclusione.

2. Osservavano i giudici di appello che le prove della responsabilità penale dell’imputato derivavano essenzialmente dalle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia G.C., A.F.P. e Ga.An., esponenti della Famiglia mafiosa della Noce, che avevano indicato il C. come uno degli imprenditori i quali, ora come prestanomi ora come soci di fatto, avevano stabilmente agevolato detta cosca mafiosa negli investimenti nel settore della edilizia privata; dichiarazioni non smentite, ma in qualche modo avvalorate, da quelle spontanee rese nel corso del giudizio di secondo grado dall’imputato.

3. Le condotte specificamente attribuite al C., indicative di un suo concorso esterno alla associazione mafiosa di cui al capo 2, comprendendo quelle relative alle fattispecie per le quali era stata in grado di appello dichiarata la prescrizione, consistevano: 1) nell’essersi intestato la quota occulta riferibile alla Famiglia della Noce ( G.- A.) nella società Camporeale Costruzioni s.r.l., che aveva realizzato tra il 1988 e il 1994 un grande edificio condominiale in (OMISSIS) (capi 6 e 7); 2) nell’avere fatto intestare alla moglie Ca.Ro. nel 1987-1988 la quota della metà della società Immobiliare Mediterranea effettivamente e occultamente appartenente a detta famiglia mafiosa, società che aveva acquistato, con denaro della mafia, un’area in (OMISSIS) per costruirvi un palazzo condominiale e che era stata ceduta ancor prima dell’inizio dei lavori all’imprenditore S.S. (IMGECO), anch’esso colluso con la mafia (reato di cui al capo 8, dichiarato poi prescritto); 3) nell’essersi intestato fittiziamente assieme alla moglie le quote della società Trans Promotion occultamente appartenente a detta famiglia mafiosa, costituita nel 1982 e proprietaria di un’area edificabile nella zona industriale di Palermo acquistata, con denaro dei G., e rivenduta all’impresa di N.G., socio occulto del boss mafioso C.G. (reato di cui al capo 9, dichiarato poi prescritto); 4) nell’essersi intestato fittiziamente assieme alla moglie la società Aedilia Costruzioni, costituita nel 1989, effettivamente e per intero appartenente ai G.- A. e che aveva costruito nel 1991-1992 una palazzina condominiale in (OMISSIS) (reato di cui al capo 10, dichiarato poi prescritto).

4. Rilevava la Corte di appello che non poteva essere accolta la tesi dell’imputato, che nelle sue lunghe dichiarazioni spontanee rese in appello aveva giustificato la sua condotta di subordinazione agli interessi mafiosi del clan della Famiglia della Noce come frutto di imposizioni e del timore per le gravi conseguenze per sè e per i suoi familiari che sarebbero derivate nel caso in cui egli non si fosse sottomesso. Tale tesi era smentita:

1) dalla notevole durata (circa tredici anni) del rapporto di affari con i G.;

2) dalla molteplicità e natura degli interessi coinvolti;

3) dai rapporti di fraterna amicizia intrattenuti, cementati dalla frequentazione delle famiglie e siglati dal ruolo di padrino di cresima del figlio G. assunto da G.C.;

4) dall’assoluta assenza di reazioni alla pretesa condizione di soggezione per un così lungo arco temporale;

5) dall’attivismo manifestato dall’imputato nell’opera di convincimento della vedova di S.T. a trasferire le quote della società Camporeale;

6) dall’uso del nome della propria moglie, Ca.Ro., per occultare tale trasferimento;

7) dal comportamento processuale dell’imputato, che, per larga parte della prima fase processuale, aveva negato qualunque rapporto con i G., pur dopo che la famiglia della Noce, a far data dal giugno 1993, era stata decapitata a seguito della iniziativa della magistratura, e, ancor più, dopo che, a partire dal 1996, G. C. e A.F.P. avevano iniziato la loro condotta di collaborazione; e che, successivamente, non aveva fatto che adeguare la sue dichiarazioni alla evoluzione delle risultanze processuali;

8) dal fatto che l’imputato, come rivelato dai collaboratori G. C. e A.F.P., dopo avere dichiarato al p.m. di essere stato vittima di imposizioni mafiose, aveva fatto sapere a G.R. che tale condotta era l’espediente per salvare dalla confisca il palazzo in via di completamento del cantiere della Camporeale, compresa la quota occulta dei G..

Ad avviso della Corte di appello, da tali elementi di fatto era ricavabile la prova che il C., al pari di altri imprenditori collusi coinvolti in altri procedimenti, aveva, costantemente, lungamente e in svariate iniziative, di fatto associato i Ganci nelle sue attività edilizie, facendo loro conseguire il conseguente profitto e accrescendo il loro potere nel territorio; il tutto in assenza di elementi obbiettivi idonei a far ritenere che tale condotta fosse stata indotta da costrizioni da parte della famiglia mafiosa.

5. Ricorre per cassazione l’imputato con due distinti atti, a firma l’uno dell’avv. Enzo Fragalà, l’altro dell’avv. Raffaele Bonsignore.

6. Con il primo atto, l’avv. Fragalà deduce due motivi.

6.1. Con il primo motivo, denuncia, sotto molteplici aspetti, la violazione di legge e il vizio di motivazione in punto di valutazione delle prove circa la responsabilità penale, anche sotto il profilo della sussistenza dell’elemento soggettivo, osservando:

a) era incongruo con le risultanze processuali il giudizio di attendibilità dei collaboratori di giustizia, che avevano rilasciato dichiarazioni, in primo luogo non genuine, stante il loro comune periodo di detenzione nella Casa circondariale dell’Aquila, e le evidenti ragioni di ostilità nei confronti del C., che aveva coraggiosamente denunciato le continue intimidazioni e minacce subite ad opera della Famiglia della Noce, riscontrate obiettivamente dalla consulenza tecnica che aveva evidenziato che i prezzi corrisposti all’imputato per le opere svolte dalle ditte da lui incaricate erano di gran lunga inferiori a quelli correnti del mercato; e in secondo luogo contraddittorie, e progressivamente allineate sulla base della lettura degli atti processuali, e comunque smentite sulla scorta di vari obiettivi dati processuali;

b) non erano state adeguatamente valorizzate le dichiarazioni dell’imputato, che trovavano riscontro in dati obiettivi, quali la documentazione attestante la lecita provenienza delle somme utilizzate dall’imputato per la realizzazione dell’immobile di (OMISSIS), confortate da fonti testimoniali e da consulenze tecniche;

c) non si era considerato che nessuna convenienza era derivata al C. dal preteso rapporto societario con la famiglia mafiosa, posto che l’imputato aveva impiegato capitali di lecita provenienza, aveva subito la imposizione di prezzi superiori a quelli correnti del mercato dalle ditte fornitrici, aveva incontrato numerosi ostacoli burocratici nella realizzazione dell’immobile, ed aveva subito la spoliazione di un terzo della società ad opera degli affiliati alla famiglia Ganci.

6.2. Con il secondo motivo, denuncia la violazione di legge e il vizio di motivazione in punto di entità della pena e di diniego delle attenuanti generiche, essendosi trascurato illegittimamente sia il dato derivante dalla incensuratezza dell’imputato sia quello della sua positiva condotta processuale.

7. Con il secondo atto, l’avv. Bonsignore deduce tre motivi.

7.1. Con il primo motivo, denuncia, sotto vari aspetti, la violazione di legge e il vizio di motivazione in punto di affermazione della responsabilità penale in ordine al reato di cui al capo 7, osservando:

a) i collaboratori di giustizia hanno riferito de relato dalla stessa fonte diretta, G.R., il quale peraltro, sentito nel corso del giudizio di appello, aveva smentito i dichiaranti, negando di avere avuto rapporti di affari con il C.;

b) tali dichiarazioni non potevano dirsi reciprocamente riscontrate, proprio in quanto provenienti de relato da una medesima fonte;

c) erano state violate le disposizioni della legge in tema di valutazione delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, perchè non era stata valutata l’autonomia, la genuinità e la indipendenza delle dichiarazioni, considerato che i collaboratori avevano avuto ampio modo di colloquiare fra loro durante il comune periodo di detenzione carceraria;

d) non si era adeguatamente valorizzata la mancata convergenza e anzi la divergenza tra dette dichiarazioni, derivante da plurimi aspetti;

e) non si era tenuto conto delle deduzioni difensive puntualmente indicate nell’atto di appello, quali quelle che si richiamavano alle dichiarazioni di N.A., che aveva riferito delle condizioni di assoggettamento alla volontà di G.R. dell’imputato o ai dati contabili e bancari relativi alla società Camporeale Costruzioni.

7.2. Con il secondo motivo, denuncia la violazione di legge e il vizio di motivazione in punto di affermazione della responsabilità penale in ordine al reato di cui al capo 2, osservando che non erano stati osservati i principi affermati dalla giurisprudenza di legittimità in tema di configurabilità del concorso esterno in associazione mafiosa, in particolare non essendo stato accertato che la condotta dell’imputato avesse contribuito alla conservazione o al rafforzamento del sodalizio nè, sotto il profilo soggettivo, che l’imputato avesse una simile intenzione.

7.3. Con il terzo motivo, denuncia la violazione di legge e il vizio di motivazione in punto di diniego delle attenuanti generiche, osservando che la sentenza di appello si è limitata a riportarsi per relationem a quella di primo grado senza rispondere alle censure dedotte con l’atto di impugnazione, che facevano leva sulla omessa considerazione della incensuratezza dell’imputato e sulle sue condizioni di vita individuale, familiare e sociale.

8. Successivamente è stata depositata memoria difensiva dai difensori avvocati Raffaele Bonsignore e Salvino Mondello, con la quale si riassumono gli argomenti a sostegno dei motivi di ricorso in particolare sottolineandosi che, come documentalmente provato, la società Camporeale Costruzioni, costituita sin dal 1981 tra l’imputato e Sa.Ba., non aveva successivamente ricevuto alcun apporto patrimoniale dalla famiglia Ganci per l’acquisto della quota di un terzo; nè aveva ricevuto alcun contributo economico dai Ganci per lo svolgimento dell’attività imprenditoriale finalizzata alla costruzione di un palazzo in (OMISSIS), immobile che era stato realizzato esclusivamente attraverso un credito bancario sulla base di fideiussioni rilasciate da Ca.Ro., moglie del C. e figlia del facoltoso costruttore C.N., senza alcun apporto di capitali di origine illecita o sospetta. Inoltre era stato accertato che i prezzi corrisposti alla società per le forniture e i lavori concessi in subappalto erano di gran lunga superiori a quelli correnti del mercato e che il cantiere aveva più volte subito rilevanti asporti di materiale. Tali circostanze obiettive, ignorate o svalutate dai giudici di appello, che ha anche illogicamente non dato la giusta rilevanza alle dichiarazioni del collaboratore N. A., circa la natura "forziva" della società tra il C. e il G., escludevano di per sè la configurabilità di una qualsiasi condotta di reimpiego o riciclaggio di risorse provenienti da attività criminose. Infine si puntualizza che per la vicenda della Aedilia Costruzioni (capo 10), a conferma dell’assunto difensivo, secondo cui il palazzetto di via (OMISSIS) era stato costruito esclusivamente con capitali derivanti alla società tra il C. e la moglie dal rilascio di un mutuo ipotecario, la Corte di appello di Palermo, sezione misure di prevenzione, aveva con decreto in data 15 febbraio 2011 ordinato la restituzione ai suddetti coniugi delle relative quote sulla base dell’espresso riconoscimento della liceità della provenienza delle risorse finanziarie; fatto inconciliabile con la ipotesi di una collusione del C. con ambienti mafiosi posta a fondamento della sentenza impugnata.

Motivi della decisione

1. I motivi di ricorso in punto di affermazione della responsabilità penale, nei quali restano assorbite le ulteriori censure, appaiono fondati.

2. E’ stato prodotto dalla difesa il decreto in data 15 febbraio 2011 della Corte di appello di Palermo, sezione misure di prevenzione, con il quale è stato ordinata la restituzione al C. e alla moglie di questo delle quote della Aedilia Costruzioni (vicenda toccata dal capo 10), accogliendosi l’assunto difensivo, secondo cui il palazzetto di via (OMISSIS) era stato realizzato con risorse finanziarie lecite; fatto che si assume contrastante con la ipotesi di una collusione del C. con ambienti mafiosi, su cui si basa la sentenza impugnata.

Tale pronuncia, non attestata come irrevocabile e successiva alla sentenza della Corte di appello di Palermo, per il suo oggetto e per il suo valore giuridico, non può dirsi in alcun modo decisiva ai fini della valutazione dei fatti considerati nel presente procedimento penale; ma essa certamente offre spunti di riflessione che, unitamente alle altre deduzioni difensive, sono potenzialmente idonei a incrinare la consistenza degli elementi di prova posti a fondamento della sentenza impugnata, la quale proprio sulla vicenda della Aedilia Costruzioni basa una parte rilevante delle considerazioni circa la fondatezza della ipotesi accusatola, incentrata sull’assunto della collusione del C. con la cosca dei Ganci.

3. A prescindere da quanto sopra, va osservato che la Corte di appello, dopo avere riconosciuto che per la Aedilia Costruzioni, essendo l’imputato "rimasto fermo nelle sue posizioni", occorreva "valutare la sussistenza del fatto storico" e se "cioè anche in questo caso … l’imputato abbia fatto da prestanome del G. e se ciò abbia fatto per sua scelta" (p. 15), successivamente, con un salto logico-probatorio, si limita ad rilevare che ciò "che non si spiega è la pervicacia nella negazione di un ruolo di prestanome nella vicenda Aedilia, quando militano in tal senso le convergenti e mai smentite dichiarazioni dei tre collaboratori di giustizia, che conoscono per filo e per segno la storia di quella società e la speculazione edilizia dei sei appartamenti di via (OMISSIS)" (p. 21).

Con ciò non risolvendo attraverso un chiaro percorso logico l’antinomia tra i dati obiettivi acquisiti al processo circa le risorse finanziarie utilizzate per la realizzazione di quella iniziativa edilizia e le divergenti indicazioni provenienti esclusivamente dalle dichiarazioni dei collaboratori, ma dando semplicemente per scontata la veridicità di queste.

4. Considerata la non concludente persuasività delle argomentazioni svolte sul punto dalla sentenza impugnata, sembra dunque al Collegio che si imponga un annullamento con rinvio della stessa, dovendo altra sezione della Corte di appello di Palermo, riconsiderare la validità degli approdi cui è pervenuta la sentenza impugnata circa la connotazione di collusione con ambienti mafiosi, anzichè di risultato di coartazioni morali, che qualificherebbe le varie iniziative imprenditoriali riferibili all’imputato, avendo del resto, la stessa sentenza riconosciuto (p. 17) che la difficoltà di operare un simile discrimine "nasce dal fatto che l’analisi differenziale tra le due situazioni non attiene alla sola condotta (…) ma all’elemento intenzionale, dovendosi per l’imprenditore che ha prestato qualche servizio alla mafia escludere che il suo agire non sia stato frutto di incoercibile costrizione".

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Palermo.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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