Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 13-04-2011) 01-08-2011, n. 30416 Determinazione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con sentenza in data 1 febbraio 2010 il Tribunale di Trieste in composizione monocratica, su richiesta ex art. 444 c.p.p., ha applicato a S.M. la pena di mesi otto di reclusione ed Euro 70,00 di multa per il delitto di furto di un ciclomotore, aggravato dall’esposizione alla pubblica fede. A tanto è pervenuto riconoscendo l’applicabilità delle attenuanti generiche con giudizio di equivalenza all’aggravante contestata.

Ha proposto ricorso per cassazione il Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte d’Appello di Trieste, deducendo censure riconducibili a due motivi.

Col primo motivo il P.G. ricorrente denuncia carenza di motivazione in ordine all’applicazione delle attenuanti generiche, non bastando a giustificare il provvedimento l’assenza di precedenti penali dell’imputato, stante il divieto di cui all’art. 62 bis c.p., comma 3.

Col secondo motivo rileva l’errata determinazione della pena pecuniaria, la cui misura edittale andava tratta dall’art. 624 c.p., per effetto della neutralizzazione dell’aggravante di cui all’art. 625 c.p., comma 1, n. 7.

Il ricorso è solo in parte fondato e va accolto per quanto di ragione.

Ciò non è a dirsi del primo motivo, il quale s’indirizza a porre in discussione la statuizione assunta dal giudice di merito a ratifica di un accordo legittimamente intervenuto fra il pubblico ministero e l’imputato, entro lo schema procedimentale di cui all’art. 444 c.p.p.. In tale ambito l’impugnazione del Procuratore Generale si risolve in un recesso dall’accordo che non può essergli consentito, neppure in considerazione della sua posizione sovraordinata rispetto al Procuratore della Repubblica presso il Tribunale. Questa Corte Suprema, invero, ha già ripetutamente enunciato il principio – che va qui ribadito – secondo cui "l’accordo delle parti sulla pena non può essere oggetto di recesso, sicchè è inammissibile l’impugnazione del Procuratore Generale fondata su censure che si risolvono in un recesso dall’accordo, non potendosi riconoscere ad altro ufficio del pubblico ministero, nonostante la sovraordinazione gerarchica e la titolarità di un autonomo potere di impugnazione, un potere che non spetta alle parti" (Cass. 10 gennaio 2006 n. 3622;

Cass. 22 dicembre 2003 n. 20165/04; Cass. 5 febbraio 1999 n. 627).

Fondato è, invece, il secondo motivo, essendosi tradotto nell’applicazione di una pena illegale il trattamento sanzionatorio attuato con la sentenza impugnata.

Ed invero, una volta neutralizzata – attraverso il giudizio di comparazione fra circostanze – l’aggravante di cui all’art. 625 c.p., n. 7, ed esclusa la recidiva per la constatata inesistenza dei precedenti penali ipotizzati, la pena edittale irrogabile restava compresa fra il limite minimo e quello massimo fissati dall’art. 624 c.p.; conseguentemente la pena pecuniaria non doveva essere inferiore a quella di Euro 154,00 di multa, riducibile fino ad Euro 102,00 per la scelta del rito. La statuizione del giudice di merito, che in adesione all’accordo delle parti ha determinato la multa nella somma di Euro 70,00, è dunque contra ria alla legge.

L’illegalita della pena è un vizio che comporta la caducazione dell’accordo di "patteggiamento". Ne consegue l’annullamento della sentenza senza rinvio, con la trasmissione degli atti allo stesso Tribunale di Trieste; nell’instaurando nuovo giudizio le parti saranno restituite all’esercizio di tutte le facoltà loro spettanti ab origine, inclusa la possibilità di una nuova richiesta di applicazione della pena.

P.Q.M.

la Corte annulla la sentenza impugnata senza rinvio e dispone trasmettersi gli atti al Tribunale di Trieste per l’ulteriore corso.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *