T.A.R. Abruzzo L’Aquila Sez. I, Sent., 08-09-2011, n. 434 Stranieri

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Il ricorrente, cittadino albanese, premesso di aver fatto ingresso in Italia nel 1991 e, da allora, di risiedervi regolarmente, di aver sempre tratto i propri mezzi di sostentamento da attività lecite, di avere acquistato una casa dove abita con l’intera sua famiglia ed avere quindi perso ogni legame con lo Stato di origine, impugna il provvedimento con cui, sulla base di sentenze di condanna ritenute preclusive ex artt. 4, comma 3 e 5, comma 5, del D.Lgs. n. 286/1998, l’amministrazione gli ha negato il rinnovo del permesso di soggiorno per lavoro subordinato.

Chiedendone l’annullamento deduce il difetto di motivazione nonché violazione di legge, basandosi il provvedimento unicamente sulla situazione penale senza prendere in considerazione le sue condizioni personali e sociali, valutazione imposta dall’art. 9, commi 4 ed 11, introdotti dal d.lg. 3/2007, dovendosi egli considerare, essendo titolare da più di cinque anni di permesso di soggiorno in corso di validità, "a tutti gli effetti come soggiornante di lungo periodo a prescindere dal fatto che abbia o meno ottenuto il permesso di soggiorno CE’. Circostanze che peraltro non è stato messo nelle condizioni di rappresentare non essendogli stato comunicato il preavviso di cui all’art. 10bis l. 241/1990. La mancata considerazione del lungo periodo di permanenza in Italia renderebbe peraltro viziato il provvedimento per "eccesso di potere in ordine all’aspetto funzionale", traducendosi il medesimo in un sostanziale annullamento d’ufficio del permesso di soggiorno senza l’effettuazione di alcuna concreta valutazione delle situazioni a tal fine rilevanti.

Richiamata la giurisprudenza CEDU, deduce ulteriormente la violazione dell’art. 24 Cost. nonché degli artt. 6, 8 e 13della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, sul presupposto del mancato rispetto dei legami familiari che necessariamente deriverebbe dall’espulsione a cui il provvedimento prelude. Laddove la normativa in questione non consentisse il rispetto nella fattispecie di tali principi, si deduce la illegittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 2 e 117 Cost., dell’art. 5, 5° comma, d.lg. 286/1998 nella parte in cui non prevede che nel disporre il rifiuto del permesso di soggiorno l’amministrazione deve tener conto della durata del soggiorno nel territorio nazionale, dell’inserimento sociale, dei legami familiari, sociali e lavorativi dello straniero, come previsto dall’art. 9, 4° comma, del medesimo d.lg. e dall’art. 8 CEDU.

Costituitasi in giudizio l’amministrazione ha ribadito il carattere preclusivo delle condanne subite e la conseguente natura vincolata del provvedimento oggetto del giudizio.

2. Il collegio è dell’avviso che, salvo gli eccezionali casi in cui l’art. 5, 5° comma, d.lg. cit. impone una concreta valutazione in presenza della "sopravvenienza di nuovi elementi", in via generale la norma non lascia margini di discrezionalità, circa l’entità della pena, l’abitualità o la segnalata occasionalità della condotta sanzionata, nonché circa la valutazione della personalità complessiva dello straniero, rendendo vincolato il provvedimento negativo in presenza di condanne che la legge considera ostative all’ottenimento o al mantenimento del permesso di soggiorno (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 26 febbraio 2010, n. 1133).

Il che implica che il provvedimento impugnato è immune dai vizi sostanziali e procedimentali denunciati: non consentendo la norma alcuna valutazione discrezionale, il suo contenuto non avrebbe potuto essere di tenore diverso da quello in concreto assunto, con conseguente irrilevanza della dedotta violazione dell’art. 10bis l. 241/1990.

3. Sgomberato il campo dalle questioni di legittimità costituzionale della norma nella parte in cui prevede il suddetto automatismo, visto che analoghi rilievi sono stati già ritenuti infondati da Corte Cost. 148/2008 (dove è stato ritenuto che "la regolamentazione dell’ingresso e del soggiorno dello straniero nel territorio nazionale è collegata alla ponderazione di svariati interessi pubblici, quali, ad esempio, la sicurezza e la sanità pubblica, l’ordine pubblico, i vincoli di carattere internazionale e la politica nazionale in tema di immigrazione e tale ponderazione spetta in via primaria al legislatore ordinario, il quale possiede in materia un’ampia discrezionalità, limitata, sotto il profilo della conformità a Costituzione, soltanto dal vincolo che le sue scelte non risultino manifestamente irragionevoli": il che, nella specie, non è stato ritenuto sussistente), si tratta comunque di valutare la rilevanza delle esigenze di coesione familiare e della dedotta lunga permanenza del ricorrente nel territorio dello Stato. Tali aspetti sono stati presi in considerazione nella richiamata sentenza della Corte, che ha rilevato "che, con i decreti legislativi n. 3 e n. 5 dell’8 gennaio 2007 – rispettivamente, di attuazione delle direttive 2003/109/CE relativa allo status di cittadini di Paesi terzi soggiornanti di lungo periodo e 2003/86/CE relativa al ricongiungimento familiare – il legislatore ha dato rilievo, in via generale, a ragioni umanitarie e solidaristiche idonee a giustificare il superamento di cause ostative al rilascio o al rinnovo dei titoli autorizzativi dell’ingresso o della permanenza nel territorio nazionale da parte degli stranieri".

Tali situazioni non rilevano, dunque, nell’ambito dei procedimenti relativi al rinnovo del permesso di soggiorno, in cui opera l’automatismo che la Corte ha ritenuto conforme a Costituzione (cfr. T.A.R. Emilia Romagna, Bologna, sez. I, 1 settembre 2010, n. 7889), bensì nella loro sede propria, vale a dire nell’ambito dei procedimenti regolati dai citati d.lg. 3 e 5 del 2007 in cui le condanne non sono di per sé preclusive, dovendo le stesse essere considerate unicamente ai fini dell’accertamento della pericolosità. Spetta dunque al ricorrente avanzare le opportune istanze dirette ad ottenere il predetto permesso di soggiorno CE o il titolo per il mantenimento di legami con i propri familiari presenti sul territorio nazionale alla luce dei d.lg. 3 e 5 del 2007, i quali, offrendo gli adeguati contemperamenti al rigido automatismo che scaturisce dagli artt. 4 e 5 d.lg. 286/1998, rendono infondata la censura formulata in riferimento alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo.

D’altra parte, posto che il nuovo testo dell’art. 5, 5° comma, dispone che "nell’adottare il provvedimento di rifiuto del rilascio, di revoca o di diniego di rinnovo del permesso di soggiorno dello straniero che ha esercitato il diritto al ricongiungimento familiare ovvero del familiare ricongiunto, ai sensi dell’articolo 29, si tiene anche conto della natura e della effettività dei vincoli familiari dell’interessato e dell’esistenza di legami familiari e sociali con il suo Paese d’origine, nonché, per lo straniero già presente sul territorio nazionale, anche della durata del suo soggiorno nel medesimo territorio nazionale", va altresì considerato che "una interpretazione costituzionalmente orientata del precedente art. 5 non può non far rientrare fra i "nuovi elementi", valutabili ai fini del rilascio del permesso di cui trattasi, le stesse circostanze rilevanti in caso di ricongiungimento familiare (non potendosi operare un trattamento differenziato di identiche esigenze e situazioni personali, ove le stesse non siano conseguenti a ricongiungimento)", cosicché tali situazioni devono ritenersi prospettabili con specifica istanza di riesame (Cons. St., sez. VI, n. 1133 del 2010, cit.; cfr. sez. VI, 3 dicembre 2009, n. 7571: "in presenza dell’adduzione, da parte del richiedente il titolo di soggiorno, di ragioni inerenti al ricongiungimento familiare, deve escludersi che la disciplina normativa in questione possa trovare applicazione in via di automatismo, senza considerazione alcuna delle considerazioni all’uopo formulate dall’interessato").

Come infatti evidenziato dalla richiamata decisione CdS 1133/2010 (alla base dell’ordinanza cautelare 429/2010, con cui la domanda di sospensione dell’atto impugnato avanzata dal ricorrente è stata respinta), "mentre… per i soggiornanti di lungo periodo la legge prevede in ogni caso una valutazione discrezionale dell’Amministrazione, che deve tenere conto "anche" di eventuali condanne… per gli altri stranieri, richiedenti rilascio o rinnovo del permesso di soggiorno, il combinato disposto degli articoli 4, comma 3 e 5, comma 5 del D.Lgs. n. 286/98 postula un effetto preclusivo di determinate sentenze di condanna, che solo in via eccezionale – e, deve ritenersi, su specifica e documentata richiesta del soggetto interessato – possono richiedere una più approfondita valutazione, circa l’attuale assenza di pericolosità e la positiva integrazione nel tessuto sociale dello straniero interessato". Cosicché la condizione di soggiornante di lungo periodo, "nonché una documentata rappresentazione della situazione familiare e lavorativa dell’interessato (intero nucleo familiare stabilizzato in Italia e rapporto di lavoro in corso…) potrebbero giustificare un’istanza di riesame, ma non anche l’invalidazione di un provvedimento, che si configurava come atto dovuto in base ai presupposti di fatto e di diritto, che risultano valutati dall’Amministrazione alla data della relativa emanazione".

Salvo quanto sopra, il ricorso deve essere quindi rigettato.

Le spese di giudizio vanno peraltro compensate.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per l’Abruzzo, definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe, lo rigetta. Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *