T.A.R. Lombardia Milano Sez. II, Sent., 08-09-2011, n. 2192

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. Con un telegramma del 2 aprile 2010 il Comune di Pavia ha inibito ai sig.ri G.M.C. e C.M.C. la realizzazione delle opere di cui alla denuncia di inizio attività, presentata in data 20.1.2010, per il restauro di edifici facenti parte di un complesso monumentale di loro proprietà, denominato "ex chiesa della Mostiola e resti di torre romanica"; con il provvedimento dell’8 aprile 2010 il Comune ha esplicitato le motivazioni poste alla base della valutazione di illegittimità ed incompletezza della d.i.a. e con la nota prot. n. 837 del 10.5.2010 ha confermato i precedenti provvedimenti adottati.

2. Queste le ragioni poste dall’amministrazione a giustificazione dell’esercizio del potere inibitorio dell’attività edilizia:

– la serra bioclimatica non rientra nella definizione prevista dalla l. reg. Lombardia n. 39/2004 e pertanto si configura quale nuova costruzione, non consentita ai sensi degli artt. 12 e 24 delle n.t.a.;

– negli elaborati allegati alla relazione tecnica viene indicata la realizzazione di una centrale termica interrata non contemplata negli elaborati grafici progettuali allegati alla d.i.a.;

– la carenza del parere della soprintendenza per i beni archeologici;

– le opere di recupero abitativo dei resti della torre romanica e di un edificio ad essa attiguo comportano l’aumento della superficie lorda di pavimento e il configurarsi di un intervento di ampliamento e non di restauro e risanamento conservativo, come consentito dalle n.t.a.;

– la mancata indicazione negli elaborati progettuali allegati alla d.i.a. delle destinazioni d’uso degli immobili oggetto d’intervento e delle destinazioni funzionali dei singoli locali, necessaria ai fini della verifica del rispetto delle normative igienico – sanitarie.

3. Su sollecitazione di questo Tribunale che, con ordinanza n. 622/2010, ha sospeso l’efficacia dei provvedimenti impugnati ai fini di un motivato riesame, il Comune di Pavia ha adottato il provvedimento del 27 ottobre 2010, con il quale ha confermato l’inibizione dell’attività edilizia oggetto della d.i.a. in quanto:

– la serra bioclimatica si pone in contrasto con le previsioni della d.G.R. 20 luglio 2007, n. 5018; il progetto non chiarisce il funzionamento dell’unità trattamento aria, l’accumulo di calore della serra è penalizzato dalla presenza di pannelli fotovoltaici e solari, il calcolo di risparmio energetico non è dimostrato; la serra si pone in contrasto con le previsioni dello strumento urbanistico;

– il muro di progetto, alto 3 metri, viola l’art. 20, c. 2 del regolamento edilizio comunale;

– l’intervento edilizio non si configura quale restauro e risanamento conservativo poiché produce un’alterazione dello stato attuale in quanto prevede la creazione di un volume completamente chiuso a fronte dell’attuale apertura di un lato del portico, l’inserimento di ulteriori solai sia nella torre che nel portico, con contestuale raddoppio della superficie di base, e la creazione di diversi locali a seguito della distribuzione degli spazi interni;

– sussiste un contrasto tra le destinazioni dichiarate nel tempo e l’incertezza sull’uso dei locali rende difficoltosa la valutazione del rispetto delle norme igienicosanitarie.

4. Con il ricorso principale, i sig.ri G.M.C. e C.M.C. impugnano il telegramma inviato dal Comune di Pavia il 2.4.2010, il provvedimento dell’8 aprile 2010 e la nota prot. n. 837 del 10.5.2010, articolando le seguenti doglianze:

– quanto al telegramma ed alla nota dell’8.4.2010: violazione degli artt. 12 e 36 delle n.t.a. del p.r.g. e degli artt. 1 e 4, l. reg. Lombardia n. 39/2004; eccesso di potere per difetto di istruttoria e di motivazione, contraddittorietà manifesta;

– quanto alla nota del 10.5.2010: violazione degli artt. 2, 3 e 19, l. n. 241/1990; eccesso di potere per difetto di istruttoria e di motivazione; violazione del principio di buona amministrazione; contraddittorietà manifesta.

5. Con motivi aggiunti i ricorrenti impugnano il provvedimento del 27.10.2010, con cui il Comune di Pavia ha confermato la determinazione precedentemente assunta, unitamente alla relazione tecnica redatta dal consulente in materia energetica del Comune di Pavia e alla comunicazione del 5.8.2010, recante avvio del procedimento di riesame dei provvedimenti impugnati.

Queste le censure dedotte:

– quanto alla serra bioclimatica: violazione del giudicato cautelare di cui all’ordinanza n. 622/2010; violazione degli artt. 1 e 4, l. reg. Lombardia n. 39/2004 e della d.g.r. n. 5018/2007; violazione degli artt. 12 e 36 bis delle n.t.a. e dell’art. 20 del r.e.c., eccesso di potere per mancanza dei presupposti di fatto e di diritto;

– quanto alla torre romanica ed all’edificio attiguo: violazione dell’art. 2, l. n. 241/1990; eccesso di potere per difetto di istruttoria e di motivazione, contraddittorietà manifesta; mancanza ed erroneità dei presupposti di fatto; violazione del giudicato cautelare di cui all’ordinanza n. 622/2010; sviamento;

– quanto alla mancata indicazione della destinazione dei vani all’interno della ex chiesa, della torre e dell’edificio attiguo: violazione del giudicato cautelare di cui all’ordinanza n. 622/2010; violazione dell’art. 2 delle n.t.a.; eccesso di potere per mancanza dei presupposti di fatto e di diritto, contraddittorietà e sviamento;

– quanto alla verifica di funzionalità della serra bioclimatica: violazione del d.lgs. n. 42/2004 e della d.g.r. n. 5018/2007; violazione della l. n. 241/1990, eccesso di potere per mancanza dei presupposti di fatto e di diritto; violazione degli artt. 1 e 4, l. reg. Lombardia n. 39/2004; violazione del giudicato cautelare di cui all’ordinanza n. 622/2010.

6. I ricorrenti chiedono, poi, la condanna dell’amministrazione al risarcimento dei danni subiti per il ritardo con cui ha ottemperato all’ordinanza cautelare n. 622/2010 ed ha concluso il procedimento di riesame, oltre al ristoro dei danni cagionati dalla illegittimità dei provvedimenti impugnati.

7. L’amministrazione comunale intimata si è costituita in giudizio contestando la fondatezza delle censure dedotte.

8. All’udienza pubblica del 19 maggio 2011 il ricorso è stato ritenuto per la decisione.

9. I ricorrenti lamentano l’illegittimità dei provvedimenti impugnati con il ricorso principale e con i motivi aggiunti – nella parte in cui contestano l’intervento di recupero della torre romanica e dell’edificio ad essa attiguo – in quanto, a loro avviso, non verrebbe realizzato alcun aumento della superficie lorda di pavimento ma unicamente opere finalizzate a ripristinare la situazione anticamente esistente e l’originaria presenza dei solai, delle finestre e delle chiusure sarebbe documentata dalle fotografie allegate al progetto; deducono, inoltre, la violazione dell’art. 2 della l. n. 241/1990, eccesso di potere per difetto di istruttoria e di motivazione, contraddittorietà manifesta; mancanza ed erroneità dei presupposti di fatto; violazione del giudicato cautelare di cui all’ordinanza n. 622/2010; sviamento.

I motivi, che possono essere trattati congiuntamente perché strettamente connessi sul piano logico e giuridico, sono infondati.

Gli elementi addotti dai ricorrenti non sono sufficienti a dimostrare l’originaria esistenza dei solai e la precedente chiusura del portico.

Le travi presenti nel muro non paiono, difatti, avere una funzione portante, in quanto troppo distanziate fra loro e numericamente insufficienti per poter sorreggere un piano; né dalla documentazione fotografica prodotta in giudizio si evincono segni dell’esistenza in passato, accanto ad esse, di ulteriori travi (doc. n. 16 dei ricorrenti).

Parimenti, quanto all’edificio attiguo alla torre, non si riscontrano elementi che consentano di ritenere che la struttura ad arco attualmente presente fosse parte di un originario solaio: al contrario, come affermato dalla difesa dell’amministrazione comunale, essa appare singola ed isolata da qualsiasi altro elemento architettonico per cui non può desumersi una prosecuzione della stessa sino a formare, originariamente, un solaio.

Anche gli ulteriori elementi addotti – quali l’originaria esistenza di aperture perimetrali, successivamente murate, e la presenza di alcuni ganci nel muro – non sono, infine, sufficientemente univoci nel dimostrare la preesistenza di un solaio e l’originaria chiusura del portico e sono, quindi, inidonei a superare le risultanze catastali – poste dal Comune a base della propria determinazione – che evidenziano la presenza del solo piano terreno e l’apertura del portico.

In mancanza di prove certe dell’originaria esistenza delle superfici e dei volumi invocati dai ricorrenti, correttamente, quindi, l’amministrazione si è attenuta all’attuale stato di fatto dei fabbricati.

I provvedimenti impugnati sono, pertanto, esenti dai vizi lamentati: l’intervento edilizio in questione comporta, difatti, un incremento della superficie e della volumetria dei fabbricati e non è, quindi, qualificabile quale restauro e risanamento conservativo.

Ai sensi dell’art. 3, lett. c) D.P.R. n. 380/01, gli interventi di restauro e risanamento conservativo presuppongono, difatti, la conservazione di elementi, anche strutturali, degli edifici, che siano comunque preesistenti, ovvero l’inserimento di elementi nuovi, che abbiano tuttavia carattere accessorio (cfr. Cons. Stato, sez. V, 9 febbraio 2001, n. 577; T.a.r. Campania, Napoli, sez. IV, 23 dicembre 2010, n. 27997; T.a.r. Campania, Napoli, sez. IV, 28 novembre 2008, n. 20563; T.a.r. Lombardia, Milano, sez. II, 24 marzo 2005, n. 654).

Possono, invero, qualificarsi come interventi di restauro e risanamento conservativo solo quegli interventi sistematici i quali, pur con rinnovo di elementi costitutivi dell’edificio preesistente, ne conservano tipologia, forma e struttura. La finalità specifica degli interventi di risanamento e restauro – che è appunto quella di rinnovare l’edificio in modo sistematico e globale – va, difatti, perseguita nel rispetto dei suoi elementi essenziali dal punto di vista tipologico, formale e strutturale (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 16 giugno 2008, n. 2981).

Quanto al ritardo con cui l’amministrazione ha ottemperato alla pronuncia cautelare di questo Tribunale ed adottato il provvedimento di riesame, successivamente impugnato con i motivi aggiunti, esso non vizia la determinazione adottata: i termini per la conclusione del procedimento previsti dall’art. 2, l. n. 241/1990 sono, difatti, meramente ordinatori, non prevedendo la legge alcuna conseguenza, quanto alla legittimità del provvedimento adottato, in caso di loro mancato rispetto.

10. I ricorrenti contestano, poi, la ragione addotta dall’amministrazione a fondamento dell’esercizio del potere inibitorio legata alla mancanza del parere della soprintendenza per i beni archeologici, affermando che la soprintendenza, con provvedimento del 12.12.2009, avrebbe acconsentito all’effettuazione degli scavi nell’area indicata per la realizzazione della serra e che l’amministrazione comunale avrebbe dovuto, semmai, limitarsi a condizionare l’effettiva costruzione della serra all’esito positivo degli scavi.

Il motivo è infondato.

Con il provvedimento del 12.12.2009, la soprintendenza per i beni archeologici non ha rilasciato parere favorevole alla realizzazione dei lavori ma si è limitata a disporre un’indagine archeologica preventiva nelle zone in cui il progetto prevede la realizzazione di scavi e si è riservata di esprimere il proprio parere sulla base delle risultanze di tale indagine (v. doc. 7 dei ricorrenti).

Poiché, ai sensi dell’art. 146, d.lgs. n. 42/2004, l’autorizzazione paesaggistica costituisce atto autonomo e presupposto rispetto ai titoli legittimanti l’intervento urbanisticoedilizio e l’art. 22, c. 6, d.P.R. n. 380/2001, subordina la realizzazione degli interventi oggetto di denuncia di inizio attività che riguardino immobili sottoposti a tutela storicoartistica o paesaggisticaambientale al preventivo rilascio del parere o dell’autorizzazione richiesti dalle relative previsioni normative, legittimamente l’amministrazione ha rilevato l’assenza di una condizione cui la legge fa dipendere il perfezionarsi del titolo abilitativo (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 05 aprile 2007, n. 1550; T.a.r. Campania Napoli, sez. VI, 03 dicembre 2010, n. 26787; 10 gennaio 2011, n. 35).

11. Quanto alla contestata violazione dell’art. 20, c. 2 del regolamento edilizio comunale, i ricorrenti deducono che la realizzazione del muro sarebbe necessaria al fine di delimitare la proprietà e che nelle aree ad impianto storico del Comune di Pavia le delimitazioni a muro cieco costituirebbero la regola. I ricorrenti affermano inoltre che la necessità di allocare la serra in adiacenza al muro di confine avrebbe comportato la realizzazione di un muro con le dimensioni minime (e cioè avente un altezza pari a 3 m.) occorrenti per la serra, di cui costituisce parte integrante, con la conseguente prevalenza della normativa regionale che regola le serre e l’inapplicabilità del limite dimensionale prescritto dall’art. 20 del r.e.c.

Il motivo è infondato.

A prescindere dalla mancata prova della assenza di possibili alternative alla realizzazione della serra a ridosso del muro di confine, il Collegio non condivide la lettura della legge regionale prospettata dai ricorrenti.

La legge regionale n. 39/2004 – le cui disposizioni prevalgono sui regolamenti e sulle altre norme comunali – dispone che le serre bioclimatiche, laddove abbiano determinati requisiti, sono considerate volumi tecnici e non sono, quindi, computabili ai fini volumetrici: la legge consente perciò una deroga alla normativa urbanistica comunale solamente per quanto riguarda la qualificazione quale volume tecnico delle serre ma non una deroga generalizzata alle previsioni dettate dallo strumento urbanistico per regolare aspetti differenti da quello volumetrico.

La norma del regolamento edilizio comunale, che disciplina le dimensioni dei muri di confine, consentendo la realizzazione di recinzioni a giorno, con uno zoccolo di altezza massima di ml 1,25 e sovrastante cancellata in materiale metallico avente altezza non superiore a ml. 1,75, trova, dunque, applicazione nel caso di specie.

Né è certamente consentito ai ricorrenti sottrarsi alla previsione del regolamento edilizio comunale invocando la necessità di delimitare la proprietà (essendo la norma finalizzata, per l’appunto, a disciplinare la realizzazione di muri di confine) o l’esistenza nelle aree ad impianto storico del Comune di Pavia di delimitazioni a muro cieco (circostanza di per sé priva di rilievo, stante anche la mancata impugnazione della norma del r.e.c.; parimenti, l’eventuale rilascio da parte del Comune di titoli abilitativi che abbiano consentito la realizzazione di muri di confine in contrasto con quanto disposto dalla norma del r.e.c. non inficerebbe la legittimità dei provvedimenti impugnati in questa sede).

12. Attesa la legittimità delle ragioni poste dall’amministrazione a giustificazione dell’esercizio del potere inibitorio sin qui esaminate, l’eventuale fondatezza dei motivi di ricorso proposti avverso le altre ragioni addotte nei provvedimenti impugnati, non porterebbe comunque all’annullamento dell’atto.

In presenza di un provvedimento sostenuto da più motivi, ciascuno autonomamente idoneo a darne giustificazione, la giurisprudenza è, difatti, concorde nel ritenere sufficiente che sia verificata la legittimità di uno di essi, per escludere che l’atto possa essere annullato in sede giurisdizionale (Cons. Stato, sez. V, 29 maggio 2006, n. 3259).

13. Né può portare all’annullamento degli atti impugnati quanto dedotto con l’ultimo motivo del ricorso principale, e cioè che l’amministrazione, con la nota del 10.5.2010, si sarebbe limitata a confermare la correttezza della propria precedente decisione di inibire l’attività edilizia e non avrebbe preso in considerazione l’istanza di riesame presentata dai ricorrenti, in violazione degli artt. 2, 3 e 9, l. n. 241/1990.

In realtà l’amministrazione, nell’esercitare il potere inibitorio, aveva già adeguatamente motivato in ordine alle ragioni per le quali non riteneva assentibile l’intervento edilizio: legittimamente, quindi, si è limitata a richiamare le proprie precedenti determinazioni.

Inoltre, per il principio della non doverosità dell’esercizio del potere di autotutela, la mera presentazione di un’istanza di riesame e di ulteriori elementi istruttori non obbliga l’amministrazione a rivedere i propri provvedimenti inibitori.

In ogni caso, il riesame effettuato dall’amministrazione a seguito dell’ordinanza cautelare di questo Tribunale n. 622/2010 ha soddisfatto le esigenze motivazionali e istruttorie invocate dai ricorrenti anche con riferimento alle integrazioni da essi presentate.

Non può, poi, ritenersi che l’amministrazione, anziché esercitare il potere inibitorio, avrebbe dovuto limitarsi a sospendere l’attività edilizia per approfondire l’istruttoria.

L’art. 23, d.P.R. n. 380/2001, prevede, difatti, che la p.a., laddove riscontri l’assenza di una o più delle condizioni stabilite, debba notificare all’interessato l’ordine motivato di non effettuare il previsto intervento: il procedimento deve concludersi entro il termine perentorio previsto dalla legge e non è consentito alla p.a. limitarsi a sospendere l’attività edilizia.

Infine, non grava in capo alla p.a. un onere di pronunciarsi sulle osservazioni eventualmente presentate dall’istante né di attendere integrazioni documentali, in quanto incompatibile con il termine perentorio entro il quale deve provvedere, non essendo fra l’altro previste parentesi procedimentali suscettibili di determinare la sospensione del termine stesso.

14. L’infondatezza della domanda di annullamento dell’atto impugnato comporta anche il rigetto dell’istanza di risarcimento dei danni patrimoniali, costituiti dal mancato completamento delle opere, e dei danni morali cagionati dalla mancata autorizzazione dei lavori.

15. Anche la domanda volta ad ottenere il risarcimento del danno per il ritardo con cui l’amministrazione ha dato esecuzione all’ordinanza di questo Tar n. 622/2010 ed ha concluso il procedimento di riesame va respinta: la voce di danno di cui è chiesto il ristoro – pari al reddito o al godimento che l’immobile potrebbe produrre se ultimato – non è risarcibile, poiché presuppone la spettanza del bene della vita, che, come si è visto, non sussiste.

16. Per le ragioni esposte il ricorso è, dunque, infondato e va, pertanto, respinto.

17. Le spese di giudizio, in ragione della evidente complessità della fattispecie, possono, peraltro, essere integralmente compensate fra le parti.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione Seconda)

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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