Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 01-04-2011) 01-08-2011, n. 30396

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con sentenza 12.5.2010, la corte di assise di appello di Milano, in parziale riforma della sentenza.

17.7.07 della corte di assise della stessa sede, ha dichiarato non doversi procedere nei confronti di C.G., in ordine ai reati di detenzione e porto di armi comuni da sparo (una pistola semiautomatica Smith e Wesson cal. 7,65; una pistola a tamburo, cal.

32, senza matricola), perchè estinti per prescrizione; ha confermato la responsabilità del C. in ordine ai reati di detenzione e porto di una pistola mitragliatrice MP Brasilien 99 mm para, avente matricola (OMISSIS), e ha rideterminato la pena, riconosciute le attenuanti generiche, in un anno, 4mesi e 15 giorni di reclusione ed Euro 230 di multa.

La corte territoriale ha deciso quale giudice di rinvio a seguito dell’annullamento, con decisione 24.6.09 della prima sezione di questa corte, della sentenza 27.10.08 di altra sezione della corte di assise di appello di Milano.

La S.C. aveva rilevato che i giudici di merito si erano limitati a riaffermare la sussistenza del fatto, richiamandosi alle "incontroverse" modalità di recupero delle armi, senza rendersi conto che non era l’esistenza del reato ad essere posta in dubbio dal difensore dell’imputato (atteso che le armi erano state rinvenute nell’illegale detenzione del fratello F.) quanto piuttosto l’attribuibilità del fatto a C.G..

La riferibilità all’imputato delle armi non è stata trattata dalla corte di merito, nonostante le discordanze emerse fra le dichiarazioni del collaboratore di giustizia R.G. (che aveva affermato di avergli consegnato in custodia le armi) e i dati oggettivi della perquisizione e del loro sequestro; nonchè fra le affermazioni del maresciallo Ca. (di cui si fa cenno nella sentenza di primo grado) e il contenuto del processo verbale di arresto di C.F..

Il difensore dell’imputato ha presentato ricorso per violazione dell’art. 627, comma 3 e per la conseguente replica dei vizi di legittimità già rilevati dalla S.C. nella sentenza di annullamento, nonchè per illogicità della motivazione.

Secondo il ricorrente, la sentenza di annullamento aveva censurato la sentenza della corte di merito, in quanto non aveva dato il giusto rilievo alle circostanze risultanti dal verbale di arresto in flagranza del fratello F.: da tale verbale risultava che:

a) gli agenti di polizia giudiziaria indagavano su una lite, a cui aveva partecipato C.F. e nel corso della quale uno dei soggetti coinvolti era stato visto dai testimoni impugnare una pistola. b) Era stato proprio C.G. ad accompagnare gli operanti presso il domicilio, ad essi sconosciuto, del fratello F.. c) L’imputato si era poi impegnato – su richiesta dei carabinieri – a mediare affinchè F. consegnasse le armi eventualmente possedute, riuscendo infine a farsi indicare dal fratello il luogo in cui erano nascoste le armi medesime. d) Sulla base di tali indicazioni, lo stesso imputato, accompagnato dal maresciallo Ca., si era recato in una zona boschiva posta nelle immediate vicinanze di via (OMISSIS) ed era tornato con una borsa di plastica contenente le armi e le munizioni(p. 9 della sentenza impugnata).

Rilevava ancora la sentenza della corte di cassazione che il giudice di merito aveva "trascurato…di approfondire il tema della corrispondenza tra le armi rinvenute e sequestrate e quelle che R. aveva affermato di avere consegnato all’imputato". Secondo la S.C. le armi "ad un primo sommario raffronto apparivano diverse" Nella sentenza impugnata si legge che sebbene R. avesse fatto riferimento ad un "mini Uzi" e l’arma ritrovata fosse invece una "pistola mitragliatrice…MP Brasilien", doveva rilevarsi che il collaboratore non aveva voluto riferirsi ad un’arma di marca specifica, bensì a pistole mitragliatrici in genere, come appunto quella sequestrata. Questa osservazione potrebbe portare a una conclusione di compatibilità ma non di piena corrispondenza tra le due armi e quindi ad una conclusione di incertezza.

In ogni caso tra le cose sequestrate non vi sono un kalashnikov e un fucile a pompa, che, secondo il R., erano stati consegnati all’imputato.

Secondo il ricorrente, non è logico discettare su quello che era stato dedotto o meno nei primi motivi di appello. La sentenza impugnata ha rilevato che in essi era stato affermato che "la somiglianza tra l’arma ritrovata e quella oggetto delle propalazioni del R….non è sufficiente a fornire prova della responsabilità dell’imputato, essendo vene sicuramente molte altre dello stesso tipo". Dunque la somiglianza delle armi, affermata nella sentenza, è un motivo che il difensore non aveva neppure dedotto nell’atto di appello. Le uniche argomentazioni erano state sul rilievo di tale somiglianza, che era però accettata come pacifica dalla difesa. La censura era sulla tipologia delle armi ritrovate e sulla loro riferibilità a quelle indicate dal R.. La questione era stata rilevata dalla difesa, sia sotto il profilo della genericità della descrizione delle armi da parte del collaboratore, sia sotto il profilo della oggettiva diversità delle armi, posto che la non dimostrabile identità non esclude la rilevabile diversità.

Infine, il ricorrente osserva che non è stata dichiarata l’estinzione del reato ex art. 697 c.p.(detenzione di munizioni, rinvenute il 31.5.2001) pur essendo ampiamente superato il termine di prescrizione.

Il ricorso merita accoglimento limitatamente al rilievo sulla prescrizione del reato sopra indicato. Per il resto, va rilevato che la corte di merito ha esaminato i punti su cui si sono dirette le censure della sentenza di annullamento emessa dalla S.C., con razionali argomentazioni fattuali del tutto sottratte al sindacato di questa corte.

Sull’attribuzione al C.G. della detenzione delle armi ricevute dal R. e poi portate nel luogo in cui sono state poi collocate, la corte territoriale ha ricostruito i dati storici che sono all’origine dell’affidamento, da parte del collaboratore R., delle armi all’imputato, di cui al capo di imputazione n. 25.

Questi dati sono:

a) gli stretti rapporti tra i due personaggi della medesima area criminosa, non caratterizzati da animosità e rancori, rilevanti ai fini del giudizio di attendibilità del collaboratore;

b) il ruolo marginale, ma rilevante ai fini del decidere, del C. nella rapina commessa il 17.12.1999 dal R. e da B., presso il distributore di benzina: gli autori del delitto si recarono con il basista a casa dell’imputato e lì divisero i 50 milioni di lire provento della rapina, in quattro parti di cui una fa data al C.. A quest’ultimo il R. lasciò le armi usate nella rapina, prelevandole 15-20 giorni dopo;

c) il collaboratore ha dichiarato che il B. gli aveva confidato che circa 20-30 giorni dopo aveva portato al C. altre armi, di cui non ha precisato i particolari. R. ha poi dichiarato di aver affidato un’altra arma che era da utilizzare "qualora c’erano lavori seri", così descritta: un fucile mitragliatore "molto corto, un po’ più grande di una pistola quadrata, con un caricatore comunque a 32 colpi, calibro 9….corto, nero, forma quadrata…Non so dire questa dimensione quanto può essere: 25 centimetri? 25 centimetri…con un caricatore di circa 15 centimetri…". d) Quanto al ruolo del C.G. nel recupero delle armi al momento della perquisizione effettuata dai carabinieri nell’abitazione del fratello F., la corte ha rilevato che quest’ultimo si era trovato, a fronte della pressante indagine della polizia giudiziaria, in una netta alternativa: porre in essere un comportamento positivo, di cui giovarsi ai fini della determinazione della pena o correre il rischio che le armi fossero comunque ritrovate grazie al fratello. Ha scelto il comportamento collaborativo, sia pure condizionato all’intervento diretto del fratello. e) Il ritrovamento delle armi è stato effettuato dal C. G. in un luogo – al di là della diversa denominazione "boschetto" o "zona boschiva – caratterizzato da alberi e cespugli e soprattutto in un tempo tanto breve da essere indicativo della sua conoscenza del luogo dell’occultamento;questo dato sulla conoscenza di questo luogo e sulla conseguente disponibilità delle armi, da parte del ricorrente, è puntualmente descritto dal giudice di merito che ne trae logica e insindacabile conclusione sulla sua responsabilità: dalle dichirazioni del maresciallo Ca. risulta che al C. bastarono pochi minuti per recuperarle e consegnarle.

Quanto all’argomento relativo all’identità o meno tra le armi consegnate al C. e quelle in contestazione, la corte ha correttamente premesso che il confronto deve riguardare l’unica arma descritta con precisione dal R. e ha poi ritenuto comunque che esse hanno medesime caratteristiche e che, al di là di incerti ricordi del maresciallo che ha materialmente proceduto al sequestro, risulta dal processo verbale che l’arma rivenuta è una pistola mitragliatrice di colore nero, calibro 9 mm, avente all’interno del caricatore 26 cartucce. Pertanto non vi è dubbio che vi sia piena corrispondenza tra le due armi e che tale elemento costituisce un riscontro positivo e decisivo delle dichiarazione del R..

Quanto alle altre due armi comuni da sparo, la corte ha ritenuto che siano quelle affidate dall’imputato dal B. e che i relativi reati sono estinti per prescrizione. Tale estinzione va formalmente dichiarata.

La sentenza impugnata va quindi annullata senza rinvio, limitatamente alla declaratoria di estinzione del reato di detenzione di munizioni di cui al capo 26. Il ricorso va invece rigettato per la detenzione e il porto della pistola mitragliatrice.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata senza rinvio limitatamente al reato di cui agli artt. 110 e 697 c.p., perchè estinto per prescrizione.

Rigetta il ricorso nel resto.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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