T.A.R. Veneto Venezia Sez. II, Sent., 08-09-2011, n. 1369 Interesse a ricorrere Ricorso giurisdizionale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

A. La società H.P. opera nel settore turistico- alberghiero sfruttando le risorse naturali della zona di Montegrotto Terme e gestisce l’omonimo stabilimento termale ubicato nel centro storico di tale Comune, a ridosso di Piazza Roma.

B. Con variante parziale al P.R.G., adottata con deliberazione del Consiglio Comunale n.22 del 2004 e successivamente approvata con deliberazione della Giunta Regionale Veneto n. 903 del 2006, alla suddetta area, individuata quale ambito A/10, è stato assegnato un indice fondiario di 4,00 mc/mq, con un volume massimo ammissibile di 6.800 mc., previa demolizione dell’esistente.

C. Avverso la suddetta variante la società H.P. ha proposto il ricorso iscritto al n. 1484 del 2006, censurando la scelta dell’amministrazione comunale, in specie in considerazione delle conseguenze pregiudizievoli connesse all’incremento del carico urbanistico; tale ricorso è stato dichiarato perento con decreto n. 2714 del 2 novembre 2009.

D. La disciplina relativa all’area de qua è contenuta nell’art. 18 delle N.T.A. del P.R.G., il quale dispone, per quanto in questa sede rileva, che per la "zona contrassegnata con il n.10 è prescritto l’intervento con P. di R. in quale deve prevedere: una quinta edificata a sud di Piazza Roma e relativa sistemazione della piazza stessa e degli spazi pubblici antistanti la proprietà; il collegamento tra via Roma e via Castello, attraverso una bretella stradale da prevedere a sud dell’area; la cessione gratuita di mq. 100 per servizi di interesse comune" (all. 3, pag. 35 delle produzioni documentali di parte resistente nel giudizio introdotto con il ricorso iscritto al n. 1197 del 2009). A seguito delle modifiche approvate con la deliberazione del Consiglio comunale n. 30 del 2008, inoltre, l’indice fondiario precedentemente previsto è stato trasformato in indice territoriale, con la conseguenza che la densità della zona è stata valutata al lordo degli spazi destinati a fini pubblici (viabilità, verde, parcheggi, etc.).

E. Con deliberazione della Giunta comunale n. 23 del 19 febbraio 2009 è stato adottato il Piano di Recupero presentato dalla S. Spa, proprietaria di una parte dei terreni ricompresi nell’ambito A/10; il relativo progetto ha previsto la realizzazione, in luogo di un vecchio fabbricato di minori dimensioni, di un edificio polifunzionale, a destinazione residenziale e commerciale, in prossimità della struttura in proprietà dell’H.P. Spa.

F. Nello specifico, dalla suddetta deliberazione di adozione emerge che l’ambito di intervento del Piano di Recupero include sia aree di proprietà della S. Spa (67,40%) sia aree di proprietà comunale (32,60%), destinate a piazza pubblica, viabilità, parcheggi, marciapiedi.

G. Sul presupposto della rilevanza assunta, per effetto della trasformazione dell’indice fondiario in indice territoriale, da tali aree pubbliche ai fini della determinazione dell’indice edificatorio, il Piano ha previsto la cessione da parte dell’amministrazione, per un volume complessivo di 1913,02 mq., della cubatura riferita all’area in proprietà destinata a standard, mantenendo, tuttavia, tale destinazione. Oltre a ciò è stata anche prevista la cessione alla società attuatrice di un terreno di proprietà comunale di mq. 85,47 e della corrispondente cubatura, "al fine di ottenere un edificio organicamente funzionale, dando atto che la maggior parte di queste aree (mq. 62,82) rimarrà comunque per il piano terra gravata da servitù di uso pubblico (portico)".

Il corrispettivo per la suddetta cessione è stato quantificato in euro 338.653,30, dai quali l’amministrazione ha ritenuto di detrarre gli importi derivanti dall’esecuzione delle opere di urbanizzazione primaria e quelli afferenti gli oneri di urbanizzazione secondaria; il luogo del pagamento dei residui 200.000,00 euro stabiliti, inoltre, la S. Spa si è impegnata a realizzare un fabbricato da destinare a spogliatori sportivi da edificare in prossimità ed a servizio della nuova arcostruttura di Mezzavia.

Il Piano di Recupero, inoltre, ha previsto a carico della società attuatrice la realizzazione e cessione gratuita al Comune di un garage interrato con ricavo di sette posti auto, avente una superficie di mq. 277,30, utilizzati dal Comune per i propri fini istituzionali.

H. Con ricorso iscritto al n. 1197 del 2009 la società H.P. ha impugnato la suddetta deliberazione di adozione del Piano di Recupero e, nei limiti dell’interesse, l’art. 18 delle N.T.A. del P.R.G., deducendone l’illegittimità per:

– violazione dell’art. 27 della l. n. 457 del 1978 e della circolare della Giunta Regionale n. 27 del 6 aprile 1979 ed eccesso di potere per difetto di presupposti, perplessità ed incongruità, in quanto l’area interessata dall’intervento non presenta condizioni di degrado del patrimonio edilizio esistente, non emergendo, peraltro, dagli elaborati grafici del P.R.G., alcuna specifica individuazione della stessa quale area degradata da riqualificare;

– violazione dell’art. 27 della l. n. 457 del 1978 ed eccesso di potere per sviamento, implicando il Piano adottato non già un recupero del patrimonio edilizio esistente bensì una radicale sostituzione del tessuto sia urbanistico che edilizio dell’area interessata, attraverso la realizzazione di un assetto che non presenta alcun collegamento con la situazione preesistente;

– eccesso di potere per illogicità e irragionevolezza e violazione del principio di buon andamento dell’azione amministrativa e dell’art. 7 delle N.T.A. giacché attraverso la cessione da parte dell’amministrazione della cubatura di aree destinate a parcheggi ed a viabilità nonché di un’area di 85,47 mq., è stato consentito lo sfruttamento da parte della società controinteressata di quasi tutta la volumetria complessiva prevista per l’ambito de quo, il tal modo precludendo il reperimento di aree destinate a standard, la cui monetizzazione – da correlare non già ad una impossibilità originaria, bensì alla realizzazione dell’intervento – ha costituito una scelta del tutto irragionevole e non giustificata, al pari della previsione dell’obbligo della ditta attuatrice di edificare un manufatto da destinare a spogliatoi sportivi da realizzare a servizio dell’arcostruttura di Mezzavia, in luogo del versamento della somma di euro 200.000,00.

I. Successivamente, con deliberazione del Consiglio Comunale n. 20 del 24 giugno 2009, sono state formulate le controdeduzioni alle osservazioni presentate, è stato confermato l’ambito territoriale di intervento ed il Piano di Recupero è stato definitivamente approvato.

L. La suddetta deliberazione è stata impugnata dalla società H.P. con il ricorso iscritto al n. 2124 del 2009, con il quale sono state dedotte le medesime censure proposte avverso la deliberazione di adozione del Piano. Oltre a tali censure sono stati, inoltre, dedotti i vizi di violazione degli artt. 822, 823, 824 e 829 c.c., dell’art. 3 del R.D. n. 2440 del 1923 e di eccesso di potere per difetto di presupposti, di motivazione e di istruttoria, essendosi l’amministrazione impegnata alla cessione in favore della società attuatrice del terreno di 85,47 mq. senza alcuna reale ed esaustiva esplicitazione circa il concreto interesse pubblico sotteso al preliminare trasferimento del bene al patrimonio disponibile ed alla conseguente cessione, prevista, peraltro, direttamente in favore della controinteressata senza l’espletamento della procedura di evidenza pubblica per la scelta del contraente, prescritta quale regola generale per l’alienazione del patrimonio immobiliare degli enti pubblici, giusto il disposto dell’art. 3 del R.D. n. 2440 del 1923.

M. Il Comune di Montegrotto Terme si è costituito in entrambi i giudizi per resistere ai gravami, concludendo per la reiezione dei ricorsi in quanto irricevibili, inammissibili e comunque infondati.

N. All’udienza del 1° giugno 2011 i difensori comparsi hanno ribadito le rispettive conclusioni, dopo di che le cause sono state trattenute per la decisione.

Motivi della decisione

1. In via preliminare il Collegio dispone la riunione dei ricorsi, stante la loro evidente connessione soggettiva e oggettiva.

2. Nell’ordine, vanno anzitutto esaminate le eccezioni preliminari sollevate dalla difesa dell’amministrazione resistente.

2.1 Quest’ultima, infatti, ha eccepito l’irricevibilità del primo dei ricorsi riuniti per tardività, in quanto la gravata deliberazione della Giunta Comunale n.23 del 19 febbraio 2009 è stata pubblicata nell’albo pretorio dal 3 al 13 marzo 2009 mentre la notificazione del ricorso è stata effettuata il successivo 16 maggio e, dunque, oltre il prescritto termine decadenziale.

L’eccezione è infondata.

La deliberazione di adozione del Piano di Recupero è stata pubblicata (come emerge dal referto di pubblicazione di cui all’all. 2 delle produzioni documentali dell’amministrazione resistente), il 3 marzo 2009 mediante affissione all’albo pretorio per quindici giorni consecutivi, conformemente alla previsione di cui all’art. 124 del d. lgs. n. 267 del 2000, sicché l’ultimo giorno di pubblicazione, rilevante ai fini della decorrenza del termine di decadenza, è scaduto il 17 marzo 2009 (cfr., ex multis, Cons. St., sez. IV, 26 aprile 2006, n. 2287).

Come correttamente rilevato dalla difesa di parte ricorrente, infatti, ai fini della decorrenza del termine di decadenza non assume alcuna rilevanza l’avviso di deposito presso gli uffici comunali (all. 2a delle produzioni documentali di parte resistente nel giudizio introdotto con il primo dei ricorsi riuniti) degli elaborati del Piano ai sensi dell’art. 20, comma III della l.r. n. 11 del 2004, essendo tale adempimento funzionale a consentire la formulazione delle osservazioni e, dunque, estraneo alle forme di pubblicità legale cui si riconnette la presunzione di conoscenza dell’atto impugnato.

Il Collegio evidenzia, peraltro, che ai fini del computo dei termini trova applicazione anche nel processo amministrativo l’art. 155 c.p.c. che, al primo comma, espressamente dispone che per il computo dei termini a giorni deve escludersi quello iniziale (Cons. St., sez. V, 4 marzo 2008, n. 824).

La notificazione è stata effettuata a mezzo del servizio postale ed il plico risulta essere stato consegnato alle poste per la spedizione in data 16 maggio 2009. È, pertanto, evidente che il termine di decadenza è stato rispettato secondo il consolidato orientamento per il quale gli effetti della notificazione a mezzo posta devono essere ricollegati – per quanto riguarda il notificante – al solo compimento delle formalità a lui direttamente imposte dalla legge e rientranti nella sua sfera di controllo e disponibilità. Ne consegue che, nel caso di notifica effettuata dall’avvocato a mezzo del servizio postale la notifica si deve considerare effettuata dal notificante al momento dell’affidamento del plico alle poste (cfr. Corte Cost., 26 novembre 2002, n. 477; Cass. Civ., S.U., 01 giugno 2010, n. 13338).

2.2 Anche l’eccezione di inammissibilità per carenza di interesse, sollevata dalla difesa dell’amministrazione comunale in relazione ad entrambi i ricorsi riuniti, è infondata e va disattesa.

Parte resistente sostiene, nello specifico, che dall’adozione e dalla successiva approvazione del Piano di Recupero non deriverebbe alcun pregiudizio alla società ricorrente, in quanto l’intervento urbanistico interessa un’area già edificata.

Sul punto, invero, l’orientamento giurisprudenziale non è univoco.

Secondo una prima tesi, il terzo ha titolo ad adire il giudice amministrativo, quando esista una situazione soggettiva ed aggettiva di stabile collegamento con la zona coinvolta da una costruzione che, se illegittimamente assentita, sia idonea ad arrecare pregiudizio ai valori urbanistici della zona medesima, onde la qualifica giuridica di proprietario di un bene immobile confinante deve di per sé ritenersi idonea a radicare la legittimazione e l’interesse al ricorso, non occorrendo altresì la verifica della concreta lesione di un qualsiasi altro interesse giuridicamente rilevante; detta legittimazione va riconosciuta ai proprietari frontisti anche quando la materia del contendere attiene ad un piano urbanistico attuativo in quanto suscettibile, ancor più del singolo permesso di costruire, di determinare quella rilevante e pregiudizievole alterazione del preesistente assetto urbanistico ed edilizio, che il ricorrente intende conservare (Cons. St., sez. IV, 29 luglio 2009, n. 4756; T.A.R. Campania Salerno, sez. II, 05 ottobre 2009, n. 5315).

Altro orientamento, condiviso dal Collegio, sostiene il principio in base al quale il criterio della vicinitas – sussistente nella fattispecie e, peraltro, non controverso – seppure idoneo a supportare la legittimazione al ricorso dei soggetti non proprietari di aree ricomprese nel perimetro del piano di recupero non esaurisce gli ulteriori profili dell’interesse concreto all’impugnazione, che costituisce l’altra fondamentale condizione dell’azione.

Anche nel processo amministrativo, infatti, l’interesse a ricorrere è caratterizzato dalla presenza dei requisiti che qualificano l’interesse ad agire di cui all’art.100 c.p.c., vale a dire dalla prospettazione di una lesione concreta ed attuale della sfera giuridica del ricorrente e dall’effettiva utilità che potrebbe derivare a quest’ultimo dall’annullamento dell’atto impugnato (cfr Cons. St., sez IV,12 dicembre 2005, n.39), sicché sarebbe del tutto inutile l’annullamento di un provvedimento richiesta dal ricorrente se questi non può trarre alcun vantaggio in relazione alla sua posizione legittimante (cfr. Cons. St., sez. IV, 11 aprile 2007, n.1684).

La verifica in ordine alla sussistenza dell’interesse a ricorrere implica necessariamente un’attenta valutazione delle specificità del caso concreto.

Nella fattispecie oggetto di giudizio la società ricorrente gestisce uno stabilimento termale ubicato a ridosso dell’ambito interessato dal Piano di recupero, alla cui attuazione vengono imputati significativi effetti pregiudizievoli, da individuare nel peggioramento della qualità della vita per l’aumento del traffico, l’inquinamento atmosferico ed acustico e, soprattutto, l’assenza di standard adeguati rispetto ad un intervento che presenta un considerevole peso insediativo, con inevitabili ed evidenti ripercussioni negative anche sotto il profilo turistico- ricettivo.

Il Collegio ritiene che, anche in base all’orientamento più rigoroso sopra richiamato, l’interesse a ricorrere deve, nella fattispecie, ritenersi sussistente.

L’interesse a ricorrere non può che essere valutato, infatti, tenendo conto delle peculiarità proprie della materia urbanistica, connotata, come noto, da un ampio margine di discrezionalità esercitabile da parte dell’amministrazione, con la conseguenza che l’utilità derivante dell’accoglimento del ricorso deve essere apprezzata anche sotto il profilo strumentale correlato all’eventuale ulteriore attività dell’amministrazione, dalla quale parte ricorrente potrebbe conseguire un risultato positivo.

Il Collegio evidenzia, altresì, che il bene della vita anelato dalla ricorrente non è né astratto né teorico, dovendosi individuare nella tutela della qualità della vita incisa dalla disponibilità di parcheggi e spazi a verde adeguati, dal contenimento dell’inquinamento acustico e da maggiori servizi, vieppiù significativi in un contesto, quale quello del centro storico del Comune di Motegrotto Terme, rinomato per le proprietà terapeutiche e curative delle acque termali del proprio sottosuolo, sito in prossimità dei Colli Euganei, nel quale la ricorrente gestisce la propria attività turistico- ricettiva con la diretta valorizzazione di tali risorse.

Non può revocarsi in dubbio, del resto, che, sebbene nella rappresentazione della lesione possano emergere apprezzamenti soggettivi legati alla sensibilità del singolo, la sussistenza di standard sufficienti è oggettivamente valutabile e rilevante; la ricorrente, infatti, non si limita a contestare, in sé, l’adozione e l’approvazione dello strumento urbanistico attuativo, ma la scelta operata dall’amministrazione che, attraverso l’impianto complessivo del Piano e, nello specifico, attraverso la cessione della cubatura di aree destinate a piazza, parcheggi e marciapiedi e di un terreno contiguo a quelli in proprietà della controinteressata, ha determinato, nonostante il significativo incremento del carico urbanistico, il mancato reperimento degli standard all’interno dell’area, ricorrendo del tutto irragionevolmente ed immotivatamente alla monetizzazione, in luogo della quale, peraltro, la società attuatrice si è impegnata a realizzare un fabbricato da destinare a spogliatori sportivi da edificare in tutt’altra area, in prossimità ed a servizio della nuova arcostruttura nella frazione di Mezzavia.

Tali circostanze vengono valutate sufficienti ai fini della sussistenza dell’interesse a ricorrere; una diversa opzione, infatti, determinerebbe la totale vanificazione della tutela avverso interventi urbanistici che, attraverso la riqualificazione di un’area, dispiegano un’incidenza che va oltre il perimetro oggetto del piano.

Occorre considerare, altresì, che l’interesse pubblico alla realizzazione del piano di recupero per soddisfare l’esigenza primaria di risanamento di una porzione circoscritta del territorio comunale deve correlarsi e confrontarsi con quello privato a non vedersi spropositatamente sacrificato da scelte opinabili, con la conseguente possibilità del giudice di verificare la sussistenza di quella correlazione conformemente ai principi di correttezza, ragionevolezza, proporzionalità e coerenza.

Ciò in specie considerando la consistenza dell’intervento urbanistico de quo che prevede l’integrale sfruttamento della volumetria massima prevista di 6.800 mc. (pag. 4, terzo capoverso della relazione tecnica illustrativa, all. 4 delle produzioni di parte ricorrente), con sensibile incidenza sugli standard (cfr. pag. 9 della prefata relazione tecnica illustrativa), all’interno del centro storico comunale connotato da una scarsa disponibilità di spazi pubblici e, in specie, di aree a verde; il Piano di Recupero approvato, infatti, lungi dal limitari alla conservazione del tessuto urbano costituito dagli edifici recuperabili, secondo l’accezione originaria di tale strumento attuativo, contempla un intervento complesso di sostituzione dell’esistente.

Alla stregua delle argomentazioni che precedono, dunque, l’eccezione va respinta, sussistendo, nella fattispecie, sia la legittimazione sia l’interesse a ricorrere.

2.3 La difesa dell’amministrazione comunale ha, infine, sollevato l’eccezione di improcedibilità per sopravvenuta carenza di interesse del primo dei ricorsi riuniti, per essere l’atto di adozione del Piano di Riqualificazione – impugnato con detto ricorso – confluito nell’atto di approvazione definitiva, gravato con il ricorso iscritto al n. 2124 del 2009.

L’eccezione è priva di sostanziale rilievo; ciò in quanto avverso la deliberazione di approvazione sono state dedotte le medesime censure proposte con il ricorso iscritto al n. 1197 del 2009 avverso la deliberazione di adozione, con la conseguenza che, l’eventuale accoglimento delle stesse, dispiegherebbe, comunque, la propria incidenza su ambedue gli atti.

2.4. Sempre in via preliminare, il Collegio rileva l’irricevibilità per tardività del ricorso iscritto al n. 1197 del 2009, nella parte in cui viene impugnato l’art. 18 delle N.T.A. del P.R.G. con il quale è stato prescritto, in relazione all’ambito A/10, l’intervento mediante Piano di Recupero; come affermato dal giudice d’appello, infatti, le disposizioni, quale quella in esame, volte a regolamentare l’uso del territorio negli aspetti urbanistici ed edilizi sono direttamente lesive in quanto, in via immediata, stabiliscono le potenzialità e le modalità edificatorie della porzione di territorio interessata, imponendosi, in relazione ad esse, l’onere di immediata impugnazione (Cons. St., sez. VI, 08 settembre 2009, n. 5258; Cons. St., sez. VI, sez. VI, 05 agosto 2005, n. 4159; T.A.R. Marche Ancona, sez. I, 03 giugno 2009, n. 458).

3. Il Collegio può, a questo punto, procedere all’esame del merito, congiuntamente analizzando, in primis, le tre censure comuni, come sopra rilevato, ai due ricorsi riuniti.

4. Con il primo motivo di ricorso è stata dedotta la violazione dell’art. 27 della l. n. 457 del 1978 e della circolare della Giunta Regionale n. 27 del 6 aprile 1979 nonché il vizio di eccesso di potere per difetto di presupposti, perplessità ed incongruità.

La difesa della ricorrente contesta, in particolare, la sussistenza dei presupposti necessari per l’attuazione di interventi di ristrutturazione edilizia ed urbanistica e, nello specifico, della condizione di degrado dell’area de qua, prescritta dall’art. 27 della l. n. 457 del 1978.

Parte ricorrente sostiene, inoltre, che, nella fattispecie, non solo il degrado dell’ambito non emerge dalle caratteristiche dello stato dei luoghi ma, anche sotto il profilo formale, manca l’individuazione e la qualificazione dell’area quale zona degradata, in violazione della prefata disposizione ed in contrasto anche con la circolare della Giunta Regionale sopra indicata; il riferimento alla necessità del Piano di Recupero contenuto nell’art. 18 delle N.T.A. del P.R.G. non sarebbe, infatti, dirimente, non trovando alcuna conferma negli elaborati grafici del P.R.G..

4.1 La censura va disattesa.

Il Collegio evidenzia, in primo luogo, che le potenzialità dei Piani di Recupero vanno oltre la riqualificazione del tessuto edilizio esistente e, attraverso tali strumenti attuativi, possono essere realizzate anche delle ristrutturazione urbanistiche.

4.2 Si sottolinea, inoltre, che, l’art. 5 delle N.T.A. del P.R.G. espressamente prevede che le "aree e zone in cui è possibile intervenire con P. di R. sono dichiarate aree degradate dal presente P.R.G., ai sensi dell’art. 27 della l. n. 457 del 1978", mentre l’art. 18 delle medesime N.T.A. dispone che per la "zona contrassegnata con il n.10 è prescritto l’intervento con P. di R. in quale deve prevedere: una quinta edificata a sud di Piazza Roma e relativa sistemazione della piazza stessa e degli spazi pubblici antistanti la proprietà; il collegamento tra via Roma e via Castello, attraverso una bretella stradale da prevedere a sud dell’area; la cessione gratuita di mq. 100 per servizi di interesse comune" (all. 3, pag. 35 delle produzioni documentali di parte resistente nel giudizio introdotto con il ricorso iscritto al n. 1197 del 2009).

Risulta, dunque, smentita per tabulas l’assenza sia della dichiarazione di degrado dell’area sia della subordinazione dell’edificazione all’approvazione di un Piano di Recupero.

4.3 Per consolidata giurisprudenza, condivisa dal Collegio, inoltre, qualora vi sia contrasto tra le indicazioni grafiche del P.R.G. e le prescrizioni normative, sono queste ultime a prevalere, in quanto in sede di interpretazione degli strumenti urbanistici, le risultanze grafiche possono solo chiarire e completare quanto è normativamente stabilito nel testo ma non possono sovrapporsi o negare quanto risulta da questo (cfr., ex multis, T.A.R. Puglia Bari, sez. III, 13 aprile 2011, n. 588).

4.4 La censura oltre che infondata per le argomentazioni sopra esposte si palesa irricevibile nella parte in cui, peraltro genericamente, è diretta a contestare l’assenza di una condizione di degrado dell’area, giacché tale censura avrebbe dovuto essere dedotta, con ricorso proposto entro i termini di decadenza, avverso la variante al P.R.G. che ha introdotto, per l’ambito A/10, la prescrizione di tale strumento urbanistico attuativo; come esposto nella narrativa in fatto, la ricorrente ha precedentemente proposto solo il ricorso iscritto al n. 1484 del 2006, con il quale è stata impugnata la variante parziale al P.R.G., adottata con deliberazione del Consiglio Comunale n.22 del 2004 e successivamente approvata con deliberazione della Giunta Regionale Veneto n. 903 del 2006, ricorso dichiarato perento con decreto n. 2714 del 2 novembre 2009.

5. Con il secondo motivo di ricorso è stata dedotta la violazione dell’art. 27 della l. n. 457 del 1978 e censurato il vizio eccesso di potere per sviamento, implicando il Piano adottato non già un recupero del patrimonio edilizio esistente bensì una radicale sostituzione del tessuto sia urbanistico che edilizio dell’area interessata, attraverso la realizzazione di un assetto che non presenta alcun collegamento con la situazione preesistente e, soprattutto, alcun rapporto di proporzionalità tra le preesistenze da riqualificare ed i nuovi volumi da edificare.

5.1 Il Collegio reputa opportune alcune considerazioni preliminari.

Il piano di recupero costituisce uno strumento urbanistico sostanzialmente attuativo delle scelte urbanistiche contenute nel piano regolatore generale, destinato al recupero del patrimonio edilizio esistente, senza, tuttavia, implicare incrementi volumetrici tali da determinare un aumento del carico insediativo, come risulta dall’orientamento consolidato della giurisprudenza amministrativa (T. A. R. Lombardia, Brescia, 9 dicembre 2002 n. 2216; T.A.R. Puglia, Bari, sez. II, 19 settembre 2002, n. 4016; T.A.R. Campania, Napoli, sez. II, 7 ottobre 1997, n. 2468; T.A.R. Lombardia Milano, sez. II, 24 febbraio 1992, n. 145).

Tale strumento ha, dunque, per oggetto la ridefinizione del tessuto urbanistico di un’area ed è caratterizzato dalla specialità dei fini del recupero del patrimonio edilizio ed urbanistico degradato per mantenere e meglio utilizzare il patrimonio stesso mediante una globalità di interventi edilizi organici integrati con il tessuto urbanistico esistente, nonché con lo sviluppo programmato, attraverso gli strumenti urbanistici generali.

Negli ultimi decenni gli interventi organici di recupero finalizzati al perseguimento di obiettivi di ristrutturazione urbanistica hanno assunto una crescente rilevanza; i piani di recupero, infatti, consentono il perseguimento sia di finalità di recupero del patrimonio edilizio esistente in misura più complessa degli interventi di manutenzione ordinaria e di ristrutturazione edilizia, sia finalità di recupero urbanistico, potendo, nello specifico, prevedere interventi rivolti a sostituire l’esistente tessuto urbanisticoedilizio con altro diverso, anche con la modificazione del disegno dei lotti, degli isolati e della rete stradale (Cons. St., sez. IV, 29 luglio 2009, n. 4756).

5.2 Da quanto sopra esposto discende, dunque, che, pur dovendosi riconoscere ampie potenzialità alle possibilità di intervento attraverso Piani di Recupero nella ridefinizione del tessuto urbanistico, residuano, comunque, i limiti derivanti dalla connotazione tipica di tale strumento attuativo, connessi alla conservazione e riutilizzazione del patrimonio edilizio esistente, con conseguente esclusione dell’ammissibilità di interventi che possano comportare incrementi volumetrici – specie ove manchi un rapporto di proporzionalità tra le preesistenze da riqualificare ed i nuovi volumi da edificare – per i quali risulta evidentemente più appropriato il ricorso a varianti al piano regolatore generale ovvero a piani particolareggiati speciali dotati del potere di modifica dello strumento urbanistico generale.

5.3 Ciò chiarito sotto il profilo generale e di principio, occorre esaminare le peculiarità della fattispecie che ne occupa.

Il Piano di Recupero in esame, infatti, direttamente attua le previsioni contenute nel P.R.G.; quest’ultimo, infatti, ha, come sopra evidenziato, non solo prescritto la necessità, per l’ambito in argomento, di un intervento da effettuare attraverso tale piano ma ha specificamente previsto ulteriori elementi, tra i quali l’altezza massima dell’edificio polifunzionale, le distanze da osservare e, soprattutto, ai fini che il questa sede rilevano, la volumetria massima ammissibile di 6.800 mc.. A seguito delle modifiche approvate con la deliberazione del Consiglio comunale n. 30 del 2008, inoltre, l’indice fondiario precedentemente previsto è stato trasformato in indice territoriale.

5.4 Le scelte pianificatorie sono state operate, dunque, dall’amministrazione comunale con le varianti parziali nel tempo approvate e, rispetto a tali scelte, il Piano di Recupero, nei profili contestati dalla ricorrente, non presenta alcuna difformità; tale circostanza, peraltro, non ha reso necessaria l’approvazione del piano in esame attraverso la procedura semplificata di variante urbanistica prevista dalla normativa regionale e ciò proprio in quanto le determinazioni riferite alla quinta da edificare, compresi i parametri volumetrici da rispettare, sono state definite a livello di strumento urbanistico generale.

Ciò si desume, in specie, dalle previsioni contenute nell’art. 18 delle N.T.A. del P.R.G.; non solo, infatti, nella parte in cui viene determinato il volume massimo assentibile, previa demolizione dell’esistente si rinvia alle note che recano prescrizioni specifiche riferite esclusivamente al piano di recupero ma viene anche espressamente specificato che "per la zona 10 indice territoriale 4,00mc/mq con nuovo volume massimo assentibile di mc. 6.800, previa demolizione dell’esistente (vedi note)" (cfr. all. 3, pag. 35 delle produzioni documentali di parte resistente nel giudizio introdotto con il ricorso iscritto al n. 1197 del 2009).

5.5 Il Collegio, dunque, non può che rilevarne l’irricevibilità per tardività della censura in quanto avrebbe dovuto essere dedotta, entro i termini di decadenza, avverso le deliberazioni di approvazione delle varianti con le quali tali scelte pianificatorie sono state operate, rispetto alle quali, si ribadisce, il piano di recupero non ha assunto, in relazione ai profili censurati, alcuna valenza innovativa.

6. Con il terzo motivo di ricorso è stato censurato il vizio di eccesso di potere per illogicità e irragionevolezza nonché lamentata la violazione del principio di buon andamento dell’azione amministrativa e dell’art. 7 delle N.T.A. giacché, attraverso la cessione da parte dell’amministrazione della cubatura di aree destinate a parcheggi ed a viabilità nonché di un’area di 85,47 mq., è stato consentito lo sfruttamento da parte della società controinteressata di quasi tutta la volumetria complessiva prevista per l’ambito de quo, il tal modo precludendo il reperimento di aree destinate a standard, la cui monetizzazione – da correlare non già ad una impossibilità originaria, bensì alla realizzazione dell’intervento – ha costituito una scelta del tutto irragionevole e non giustificata, al pari della previsione dell’obbligo della ditta attuatrice di edificare un manufatto da destinare a spogliatoi sportivi da realizzare a servizio dell’arcostruttura di Mezzavia in luogo del versamento della somma di euro 200.000,00.

6.1 Il Collegio, in conformità con il costante orientamento giurisprudenziale in materia, evidenzia che la pianificazione urbanistica, nel perseguire l’ordinato assetto complessivo del territorio, coinvolge una pluralità di interessi, rispetto ai quali la disciplina di settore non pone alcuna gradazione né fissa criteri selettivi e, pertanto, le scelte effettuate dall’amministrazione nell’adozione dello strumento urbanistico costituiscono apprezzamento di merito, connotato da ampia discrezionalità e, quindi sottratto al sindacato di legittimità, salvo che non siano inficiate da errori di fatto o da illogicità, risultino irragionevoli ovvero incoerenti con l’impostazione di fondo dell’intervento pianificatorio o incompatibili con le caratteristiche oggettive del territorio (cfr., Cons. St., sez. IV, 5 marzo 2010, n. 1275).

6.2 Nella fattispecie, il Collegio ritiene che, dall’analisi della documentazione versata in atti e da un’attenta valutazione delle caratteristiche dell’intervento e dei contenuti del piano, emerga una palese irragionevolezza delle determinazioni assunte con le deliberazioni gravate.

6.3 Come esposto nella narrativa in fatto, il piano prevede un intervento complesso che consente alla società controinteressata lo sfruttamento della volumetria massima prevista di 6.800 mc. (pag. 4, terzo capoverso della relazione tecnica illustrativa, all. 4 delle produzioni di parte ricorrente nel giudizio introdotto con il ricorso iscritto al n. 1197 del 2009), con sensibile incidenza sugli standard (cfr. pag. 9 della prefata relazione tecnica illustrativa), all’interno del centro storico comunale, connotato da una scarsa disponibilità di spazi pubblici e, in specie, di aree a verde.

La rilevanza in termini di carico urbanistico dell’intervento è resa, peraltro, evidente dalla circostanza che il relativo progetto prevede la realizzazione, in luogo di un vecchio fabbricato di minori dimensioni – e, segnatamente di un immobile avente una volumetria di 2800 mc.(pag. 4 degli atti di costituzione in giudizio dell’amministrazione comunale) – di un edificio polifunzionale, a destinazione residenziale e commerciale.

Il raggiungimento della suddetta volumetria massima prevista, tuttavia, è stato possibile attraverso la cessione da parte dell”amministrazione comunale non solo della cubatura riferita all’area in proprietà destinata a standard ma anche di un terreno di proprietà comunale di mq. 85,47.

Tale cessione, dunque, se ha consentito alla controinteressata di sfruttare tutta la volumetria assentibile ha, per altro verso, determinato la radicale impossibilità di reperimento di aree da desitnare a standard, in quanto, sebbene quelle di proprietà pubblica oggetto della cessione della cubatura continuano a mantenere l’originaria destinazione (piazza, parcheggi, marciapiede, ecc), risulta di palmare evidenza che l’incremento del carico urbanistico avrebbe richiesto un adeguato incremento anche degli standard.

6.4 Dalla documentazione versata in atti non emerge alcun elemento idoneo a supportare la ragionevolezza della scelta operata, né argomenti utili sono stati forniti dalla difesa dell’amministrazione comunale.

Vuotamente retorico e privo di contenuti sostanziali si palesa il richiamo all’interesse pubblico contenuto nelle deliberazioni di adozione e approvazione del piano, in specie considerando il fondamentale rilievo rivestito dagli standard e la significativa consistenza, anche sotto il profilo economico, dell’intervento.

6.5 Vero è che il piano di recupero prevede la realizzazione e cessione gratuita all’amministrazione di un parcheggio interrato con il ricavo di sette posti auto che verranno utilizzati dal Comune per il ricovero dei propri mezzi "che in tal modo risultano protetti dalle intemperie e da eventuali atti di vandalismo" oltre che "di più agevole utilizzo", data la vicinanza alla sede Municipale e che, in luogo del versamento di 200.000,00, dovuti per la cessione della cubatura, la società attuatrice si è impegnata a realizzare un fabbricato da destinare a spogliatori sportivi da edificare in prossimità ed a servizio della nuova arcostruttura di Mezzavia.

6.6 Nessun elemento viene, tuttavia, addotto per giustificare la ragionevolezza della scelta di sacrificare la disponibilità di aree da destinare standard e, in specie, a verde ed a parcheggi, in relazione al peso insediativo dell’intervento, risultando, peraltro, del tutto insufficiente il riferimento, in relazione alla cessione del terreno in proprietà comunale di mq. 85,47, alla realizzazione di "un edificio organicamente funzionale".

6.7 Del pari illogica risulta, in assenza del benché minimo elemento utile a ravvisare un fondamento razionale, la scelta di prevedere l’impegno della controinteressata a realizzare un edificio da destinare a spogliatori sportivi nella frazione di Mezzavia e, cioè, in area del tutto avulsa da quella interessata dall’intervento.

6.8 Le scelte operate dall’amministrazione si palesano, dunque, del tutto irragionevoli e contrarie ai generali principi ai quali l’attività pianificatoria ed edilizia deve conformarsi, tra i quali quello secondo cui l’edificazione deve essere associata alle necessarie opere di urbanizzazione; ciò soprattutto considerando le caratteristiche dell’ambito interessato dall’intervento e, cioè, del centro storico di un Comune a notevole vocazione turistica.

Si osserva, inoltre, che il ricorso alla cessione della cubatura, in specie ove, come nella fattispecie, tale cubatura sia relativa ad aree in proprietà comunale destinate a standard, deve comunque rispondere ad una esigenza di migliore razionalizzazione dello sfruttamento edilizio e non può essere utilizzata quale strumento esclusivamente funzionale incremento della possibilità di realizzazione di volumi edilizi

6.8 Le determinazioni assunte non risultano, peraltro, conformi alla disciplina comunale.

Le norme tecniche di attuazione, infatti, dopo aver previsto, all’art. 6, che "la composizione urbanistica deve essere razionalmente concepita ed armonicamente inserita nell’ambiente e in caso di preesistenze di valore storico, architettonico, ambientale queste dovranno essere opportunamente riqualificate", nel successivo art. 7, consentono la monetizzazione solo nel caso in cui non siano reperibili aree da destinare a standard.

Il ricorso alla monetizzazione, nella fattispecie, come correttamente rilevato dalla difesa della ricorrente, non è derivato da una mancanza originaria delle aree da destinare a standard ma è scaturito dall’assetto complessivo definito attraverso l’intervento, in relazione al quale manca ogni elemento o criterio idoneo ad fornire un fondamento ragionevole alle scelte operate.

6.9 Il Collegio evidenzia, inoltre, che la stretta relazione esistente tra spazi destinati ad insediamenti residenziali e spazi pubblici o riservati alle attività collettive, a verde pubblico ed a parcheggio e la rilevanza della necessità di assicurare l’adeguatezza degli standard non è solo comprovata dalle varie disposizioni che richiamano l’istituto – si pensi, ad esempio, alle previsioni (art. 8 della l. n. 47 del 1985, abrogato dall’articolo 136 del D.P.R. n. 380 del 2001 e sostituito dall’articolo 32 dello stesso D.P.R.) che definiscono variazione essenziale dell’esecuzione di opere edilizie il mutamento di destinazione d’uso che implica variazione degli standard definiti dal decreto ministeriale 2 aprile 1968 ed all’art. 25 del medesimo testo normativo, ai sensi del quale le Regioni devono prevedere procedure semplificate per l’approvazione di varianti degli strumenti urbanistici finalizzati all’adeguamento degli standard urbanistici posti da disposizioni statali o regionali – ma anche dalla tendenza, emergente dalla prassi, di molti Comuni ad estendere i rapporti minimi definiti dal legislatore a favore delle pubbliche destinazioni delle aree.

6.10 La necessità di assicurare l’equilibrio generale degli insediamenti costituisce, del resto, elemento indispensabile per la vivibilità degli abitanti, come peraltro ribadito, sia pure ad altri fini, dalla stessa Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato (sentenza n. 7 del 24 maggio 2007, con la quale, nell’affrontare la tematica della reiterazione dei vincoli espropriativi, è stato affermato che "quando sono reiterati "in bloccò i vincoli decaduti già riguardanti una pluralità di aree, la sussistenza di un attuale specifico interesse pubblico risulta dalla perdurante constatata insufficienza delle aree destinate a standard").

6.11 Dalla documentazione versata in atti, inoltre, non emerge che sia stata adeguatamente esaminata, ai fini della necessità e della attualità della scelta urbanistica, la effettiva situazione dei luoghi, caratterizzata, per come evidenziato da parte ricorrente e non smentito dall’amministrazione, dalla scarsa disponibilità di spazi pubblici, quali aree a verde e a parcheggi.

7. In conclusione, i ricorsi vanno in parte dichiarati irricevibili e per la restante parte accolti, con assorbimento delle restanti censure, e, per l’effetto, vanno annullate le deliberazioni impugnate.

8. Le spese di lite, compensate per un terzo in considerazione della parziale irricevibilità dei ricorsi, seguono per il restante la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto (Sezione Seconda) definitivamente pronunciando sui ricorsi in epigrafe, previa riunione, li dichiara in parte irricevibili e per la restante parte li accoglie e, per l’effetto, annulla le deliberazioni impugnate.

Compensa per un terzo le spese di lite tra le parti e condanna il Comune di Montegrotto Terme alla refusione del residuo in favore della società ricorrente, che liquida complessivamente in euro 4.000,00 per diritti, onorari e spese generali, oltre i.v.a. e c.p.a. ed alla rifusione del contributo unificato, come per legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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