Cass. civ. Sez. II, Sent., 23-12-2011, n. 28665 Opposizione

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Svolgimento del processo

Su richiesta di V.P. titolare della omonima impresa edile, il Presidente del Tribunale di Torino emanava decreto ingiuntivo, con il quale condannava B.T.O. al pagamento di L. 337,940.000 per residuo dare in ordine ai lavori edilizi eseguiti su immobile sito in (OMISSIS).

Avverso tale decreto proponeva opposizione B.T.O., contestando l’entità del prezzo richiesto e l’autorizzazione delle opere extracapitolare.

Si costituiva l’opposto contestando la domanda.

Il Tribunale di Torino con sentenza n. 10197 del 2002, sulla base di una CTU, che aveva provveduto a conteggiare i lavori eseguiti, riconosceva dovuta da B.T.O., la differenza di Euro 34.501,90.

Avverso tale sentenza, interponeva appello, davanti alla Corte d’Appello di Torino, V.P., resisteva l’appellata.

La Corte d’appello di Torino, con sentenza n. 1772 del 2005, in parziale accoglimento dell’appello e in parziale riforma della sentenza di primo grado, condannava B.T.O. a pagare a V.P. l’IVA al 10% sulla somma residua dovuta di Euro 34.501,90. A sostegno di questa decisione la Corte d’appello di Torino osservava: a) che il primo motivo, con il quale V. contestava le risultanze della CTU e sollecitava una nuova consulenza, non era ammissibile perchè la parte appellante non svolgeva specifiche critiche a specifiche parti motivazionali della sentenza, considerato che si riportava integralmente ad atti difensivi che avevano preceduto l’emanazione della sentenza, b) che andava accolto il secondo motivo di appello con il quale l’appellante evidenziava che il Tribunale aveva omesso di liquidare l’IVA sull’importo riconosciuto dovuto a saldo, c) andava rigettato il terzo motivo di appello, con il quale V. contestava l’integrale compensazione delle spese del giudizio perchè quella compensazione era informata a corretti criteri di valutazione complessiva della controversia.

La cassazione della sentenza della Corte di Appello di Torino è stata chiesta da V.P. con ricorso affidato a tre motivi.

B.T.O. ha resistito con controricorso, illustrato con memoria.

Motivi della decisione

1.= Con il primo motivo, il ricorrente, V.P., titolare dell’omonima ditta, lamenta l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione sui punti decisivi della controversia ex art. 360 c.p.c., n. 5. Avrebbe errato la Corte di Appello di Torino, secondo il ricorrente, nell’aver dichiarato inammissibili il motivo di appello, con il quale l’appellante (odierno ricorrente) contestava le risultanze della CTU che era stata totalmente acquisita dal Tribunale nella motivazione della sentenza, per mancanza di specificità del motivo. Epperò, ritiene il ricorrente, "la critica alla sentenza di primo grado era stata eseguita, riportando tutta una serie di deduzioni e contestazioni nell’atto di appello, considerato che in quell’atto sono state elencate buona parte delle omissioni contraddizioni ed incongruenze effettuate dal CTU, mentre le restanti non sono state indicate ma espressamente richiamate e da considerarsi espressamente trascritte nell’atto di appello". D’altra parte – ritiene ancora il ricorrente – scrivere che il Tribunale ha accolto una CTU erronea e chiedere, alla Corte, la rinnovazione della CTU (non accolta in Tribunale) costituisce una specifica critica alla parte di motivazione della sentenza del Tribunale che ha ritenuta giusta la CTU espletata così violando il principio della corrispondenza tra chiesto e pronunciato.

1.1.= La censura è infondata e non merita di essere accolta perchè la Corte di Appello di Torino ha correttamente rilevato che il motivo di impugnazione proposto da V.P. mancava di specificazioni essenziali, atte a censurare la motivazione della decisione del Tribunale.

1.2.= Qualora l’atto di appello denunci l’erronea valutazione, da parte del giudice di primo grado, degli elementi probatori acquisiti o delle conclusioni del consulente tecnico d’ufficio, l’onere della specificità dei motivi, di cui all’art. 342 cod. proc. civ., deve ritenersi assolto, se il contenuto del gravame evidenzi, inequivocamente, il punto od i punti della sentenza impugnata, sui quali si chiede al giudice di secondo grado un riesame delle risultanze istruttorie per la formulazione di un suo autonomo giudizio. Ora, nell’ipotesi in esame l’atto di appello – così come riportato dallo stesso attuale ricorrente, mediante trascrizione nell’ambito del ricorso per cassazione – non contiene specifiche critiche a parti della motivazione della decisione di primo grado, impugnata, neppure indirettamente, considerato che vengono sic et simpliciter riportate le critiche alla CTU svolte in primo grado.

Epperò, è insufficiente riproporre nell’atto di appello, sia pure nella sua integralità, le critiche alla CTU già evidenziate in primo grado, considerato che le stesse sono state esaminate, valutate e rigettate, con adeguata motivazione, dal giudice di primo grado.

Piuttosto, era necessario svolgere adeguate critiche alla parte della motivazione con la quale il giudice di primo grado aveva ritenuto che la CTU "appariva correttamente eseguita, fondata su parametri ufficiali universalmente accettati (..): pertanto apparivano pretestuose le critiche sollevate da parte convenuta, inficiate da errori e ripetizioni di voci", nonchè alla parte di motivazione con la quale il giudice di primo grado chiariva le ragioni che lo inducevano ad accogliere nei suoi termini integrali la CTU espletata.

1.3.= Pertanto la Corte torinese ha correttamente dichiarato inammissibile il motivo di appello di cui si dice per mancata specificità del motivo chiarendo che il principio della specificità non era stato rispettato dall’appellante proprio perchè si era limitato a riportarsi integralmente ad atti difensivi che avevano preceduto l’emanazione della sentenza di primo grado, invece, occorreva individuare nella motivazione offerta dal Tribunale i motivi di contrasto e svolgere adeguate contestazioni. D’altra parte, l’appello, nella configurazione datagli dal codice vigente dopo la novella n. 353 del 1990, non rappresenta un mezzo per passare l’esame della causa dal giudice di primo grado a quello del grado successivo, ma una "revisio" fondata sulla denunzia di specifici vizi di ingiustizia o nullità della sentenza impugnata.

2.= Con il secondo motivo il ricorrente lamenta omessa, insufficiente motivazione su di un punto decisivo della controversia ( art. 360 c.p.c., n. 5).

Avrebbe errato la Corte di appello di Torino secondo il ricorrente nell’aver disposto la compensazione integrale delle spese del Tribunale.

2.1.= La censura, ancor prima che inammissibile per difetto di genericità, è infondata e non può essere accolta perchè la Corte tornese ha riconfermato la compensazione delle spese disposta dal Tribunale con una motivazione logica, coerente ai principi del diritto in materia, considerato che ha ritenuto che nel giudizio di primo grado vi era stata una parziale soccombenza di entrambe le parti.

2.1.a).= Va qui osservato che nel procedimento per decreto ingiuntivo, la fase che si apre con la presentazione del ricorso e si chiude con la notifica del decreto non costituisce un processo autonomo rispetto a quello che si apre con l’opposizione, ma da luogo ad un unico giudizio, nel quale il regolamento delle spese processuali, che deve accompagnare la sentenza con cui è definito, va effettuato in base all’esito della lite: ne consegue che, ove la somma chiesta con il ricorso sia riconosciuta solo parzialmente dovuta, non contrasta con gli artt. 91 e 92 cod. proc. civ., la pronuncia di compensazione delle spese processuali, in quanto l’iniziativa processuale dell’opponente, pur rivelandosi necessaria alla sua difesa, non ha avuto un esito totalmente vittorioso, così come quella dell’opposto, che ha dovuto ricorrere al giudice per ottenere il pagamento della parte che gli è riconosciuta.

2.1.b).= Pertanto, la Corte di Appello ha correttamente riconfermato la compensazione delle spese giudiziali disposta dal Tribunale avendo accertato che vi era una parziale soccombenza del V. in quanto era stata ridotta la somma a lui riconosciuta con il decreto ingiuntivo, e l’opposizione della B.T. non era stata accolta integralmente.

3.= Con il terzo motivo il ricorrente lamenta la contraddittoria motivazione ex art. 360 c.p.c., n. 5, in punto di liquidazione delle spese del giudizio di secondo grado. Secondo il ricorrente, il Giudicante è partito da una premessa giusta per arrivare ad una conclusione errata. In particolare, specifica il ricorrente, nell’ipotesi concreta la Corte di merito ha giustamente affermato il principio di diritto per cui le spese del giudizio seguono la soccombenza ma ha disposto la parziale compensazione di 1/3 delle spese per l’accoglimento del motivo d’appello relativo all’IVA dimenticando di condannare la controparte ad un 1/3 delle spese. Ora scrive il ricorrente: "se le spese seguono la soccombenza, l’accoglimento totale di un motivo di appello deve conseguentemente portare alla condanna dell’appellato al pagamento delle spese in questo caso, almeno di 1/3 stante l’accoglimento di un motivo su tre.

Invece no La Corte ha solo ridotto di 1/3 le spese poste a carico dell’appellante". 3.1.= La censura non ha ragion d’essere e non può essere accolta perchè la Corte torinese ha esattamente disposto secondo quanto è indicato dal ricorrente. A ben vedere la Corte torinese nel disporre il regolamento delle spese giudiziali ha compensato un terzo per l’accoglimento di un motivo di appello (relativo all’IVA) Ciò significa che il soccombente non deve un terzo delle spese giudiziali perchè se le conferisse, dovrebbe, a sua volta riaverle perchè l’altra parte sarebbe tenuta a versare allo stesso il suo terzo.

Pertanto è logica e corretta l’affermazione della Corte torinese laddove afferma che "dichiarate compensate tra le parti un terzo delle spese del grado di appello ponendo il residuo (….) a carico di parte appellante" proprio perchè soccombente. Nè è pensabile ritenere che l’appellato dovrebbe pagare un terzo del totale delle spese giudiziali nella mani dell’appellante e l’appellante a sua volta dovrebbe pagare i due terzi nelle mani dell’appellato perchè si finirebbe con il ritenere che l’appellante sarebbe tenuto a pagare un terzo del totale delle spese e a sacrificare le ragioni della compensazione.

In definitiva, il ricorso va rigettato e il ricorrente, in ragione del principio di soccombenza ex art. 91 c.p.c., condannata al pagamento delle spese del presente giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di cassazione che liquida in Euro 6.000,00 oltre Euro 200,00 per esborsi e oltre spese generali e accessori come per legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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