Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 25-02-2011) 01-08-2011, n. 30446

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. La Corte di appello di Milano, in data 5.2,2010, riformando parzialmente la sentenza del Gup del tribunale di Milano del 29.1.2009, rideterminava la pena originariamente irrogata in mesi due di reclusione in Euro 300 di ammenda, relativa alla condanna di M.S. per il reato di cui agli artt. 81 cpv. e 660 c.p., commesso da (OMISSIS) in danno di N.A., del marito Mo.Al. e della suocera R.F., per avere inviato ai predetti missive e fotografie nonchè per avere effettuato numerose telefonate nelle quali affermava che la N. aveva avuto per anni una relazione extraconiugale.

2. La Corte territoriale dava atto che il procedimento iniziava a seguito di denuncia-querela presentata da N.A. e M. A. nel luglio 2005, integrata nel novembre 2005 e nel gennaio 2006, nella quale i predetti rappresentavano di aver ricevuto ripetutamente missive e fotografie (che producevano), nonchè telefonate, anche presso l’abitazione della madre del Mo., relative ad un rapporto intrattenuto e poi interrotto dalla N. con una persona conosciuta dal marito.

A seguito della richiesta di archiviazione avanzata dai pubblico ministero, per essere rimasti ignoti gli autori del fatto, veniva proposta opposizione ed il Gip disponeva nuove indagini, all’esito delle quali, su conforme richiesta del pubblico ministero, veniva emesso decreto penale di condanna nei confronti dell’imputato che presentava opposizione, chiedendo di essere giudicato con il rito abbreviato condizionato al suo esame ed all’espletamento di perizia grafica, ovvero all’acquisizione della consulenza grafica di parte.

Venivano, altresì, acquisiti un messaggio di posta elettronica prodotto dalla N., l’esito dell’accertamento effettuato in relazione all’indirizzo di posta elettronica dal quale era stato inviato il predetto messaggio, nonchè, i tabulati telefonici delle utenze cellulari in uso all’imputato.

Il Gip, ritenuta provata l’attribuibilità dei fatti al M., lo condannava, riconosciute le circostanze attenuanti generiche e con la riduzione del rito, alla pena di mesi due di reclusione con la sospensione condizionale della pena e la non menzione, nonchè, al risarcimento del danno e refusione delle spese in favore delle parti civili.

La Corte di appello, in primo luogo, respingeva la richiesta di declaratoria di nullità della sentenza di primo grado fondata sulla irrogazione di un pena diversa da quella prevista per la fattispecie in contestazione, rilevando che detta evenienza non da luogo ad alcuna nullità e che la pena illegale può essere modificata nel giudizio di impugnazione.

Quanto alla prova dell’attribuibilità dei fatti all’imputato, il giudice di seconde cure riteneva che, indipendentemente dalla valutazione dell’attendibilità della persona offesa, N.A., la responsabilità del M. emergeva dalla documentazione acquisita e dalle stesse circostanze ammesse dal predetto.

Infine, veniva ritenuta condivisibile la valutazione del giudice di primo grado in ordine alla esclusione dell’ipotesi – peraltro, non prospettata dal ricorrente – di una simulazione architettata dalla N..

3. Ha proposto ricorso per cassazione, tramite il difensore di fiducia, il M..

3.1. Con il primo motivo di ricorso deduce il vizio di motivazione, affetta da manifesta illogicità, in quanto la Corte territoriale per affermare la responsabilità dell’imputato ha diffusamente argomentato in relazione alle fotografie ed alle lettere scritte dalla N. che erano allegate alle lettere anonime ricevute dal marito della predetta in date successive (dicembre 2005 e gennaio 2006) a quella di cui alla contestazione formale (giugno-novembre 2005); pertanto l’invio di dette missive al Mo. non rientra nei fatti contestati all’imputato.

3.2. Con il secondo ed il quarto motivo si deduce la mera apparenza di motivazione laddove il giudice di secondo grado ha ritenuto decisiva ai fini della riferibilità dei fatti all’imputato la circostanza che nelle fotografie il M. è ritratto insieme alla N. e la valutazione fatta dai giudici sulla disponibilità delle lettere manoscritte dalla N., deducendone, in maniera assolutamente opinabile anche sotto il profilo logico, che dovesse escludersi che le fotografie e le lettere potessero essere nella disponibilità di altri. Inoltre, si deduce violazione di legge (ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b)) in relazione all’art. 192 c.p.p., avuto riguardo all’omesso vaglio di attendibilità delle dichiarazioni della persona offesa N.A., ripercorrendo sostanzialmente la questione posta con i motivi di appello.

3.3. Il ricorrente denuncia con il terzo motivo la violazione di legge in ordine alla modifica della pena irrogata, avendo la Corte effettuato una correzione di errore materiale non consentita.

3.4. Con l’ultimo motivo di ricorso si denuncia l’erronea applicazione della legge in relazione all’art. 533 c.p.p., comma 1, avendo la Corte territoriale affermato la riferibilità dei fatti in contestazione all’imputato in violazione della regola di giudizio "al di là di ogni ragionevole dubbio".

Motivi della decisione

1. Il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato atteso che, all’evidenza, la Corte territoriale non ha ritenuto la configurabilità del reato contestato con riferimento alle fotografie ed alle lettere scritte dalla N. ed allegate alle lettere anonime ricevute dal marito della stessa in date successive (dicembre 2005 e gennaio 2006) a quella di cui alla contestazione, bensì, ha desunto la prova della responsabilità dell’imputato da elementi tratti da atti acquisiti al procedimento ed utilizzabili ai fini della decisione atteso che, per quanto si rileva dalla sentenza impugnata, le lettere e le fotografie erano state acquisite agli atti del procedimento già in fase di indagini e poi nel giudizio abbreviato chiesto dall’imputato in sede di opposizione al decreto penale di condanna. Del resto, come è stato in più occasioni affermato, il reato di cui all’art. 660 c.p., non è configurabile nelle ipotesi di comunicazione a mezzo epistolare (Sez. 3, n. 28680, 26/03/2004, Modena, rv. 229464; Sez. 1, n. 24510, 17/06/2010, D’Alessandro, rv. 247558).

2. Manifestamente infondati sono, altresì, il secondo ed il quarto motivo di ricorso con i quali si formulano censure, in parte anche generiche, in ordine alla valutazione dell’attendibilità delle dichiarazioni della N. ed alle argomentazioni poste a fondamento della motivazione sulla prova dell’attribuibilità delle condotte all’imputato.

Premesso che la Corte afferma che la prova della responsabilità dell’imputato risulta acquisita indipendentemente dalle dichiarazioni rese dalla N., va, altresì, sottolineato che nella motivazione si da atto – richiamando anche le argomentazioni sul punto del giudice di primo grado – delle regioni che ad avviso della Corte rendono comprensibile il ritardo con il quale la N. aveva riferito il nome dell’imputato, circostanza sulla quale si appunta la contestazione del ricorrente nel quarto motivo di ricorso.

Va, quindi, ricordato che il sindacato del giudice di legittimità sul discorso giustificativo del provvedimento impugnato deve mirare a verificare che la motivazione della pronuncia: a) sia "effettiva" e non meramente apparente, cioè realmente idonea a rappresentare le ragioni che il giudicante ha posto a base della decisione adottata;

b) non sia "manifestamente illogica", in quanto risulti sorretta, nei suoi punti essenziali, da argomentazioni non viziate da evidenti errori nell’applicazione delle regole della logica; c) non sia internamente "contraddittoria", ovvero sia esente da insormontabili incongruenze tra le sue diverse parti o da inconciliabilità logiche tra le affermazioni in essa contenute; d) non risulti logicamente "incompatibile" con "altri atti del processo" (indicati in termini specifici ed esaustivi dal ricorrente nei motivi del suo ricorso per cassazione) in termini tali da risultarne vanificata o radicalmente inficiata sotto il profilo logico. Al giudice di legittimità resta, invece, preclusa – in sede di controllo sulla motivazione – la pura e semplice rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti (preferiti a quelli adottati dal giudice del merito perchè ritenuti maggiormente e plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa).

Ritiene la Corte che la motivazione sul punto è esente da vizi, sotto il profilo della completezza e della logicità, atteso che la prova dell’attribuibilità dei fatti all’Imputato è stata tratta da plurimi elementi. Innanzitutto dal dato certo ed incontestato che il M. e la N. avevano avuto una relazione tra il 1999 ed il 2002 e che le foto inviate alla N. ed ai suoi familiari raffiguravano la predetta insieme all’imputato. Dal fatto che doveva escludersi che le fotografie potessero essere entrate in possesso di altri e che quand’anche ciò fosse accaduto, nessuno dei due avrebbe avuto interesse a tacere detta circostanza. Sotto tale profilo del tutto illogica doveva ritenersi la tesi dell’imputato secondo la quale la N. voleva coprire qualcun altro con il quale magari aveva una relazione. Così come sarebbe assolutamente irragionevole che una terza persona avesse inviato le fotografie preoccupandosi di cancellare il volto del M..

Esenti da vizi logici devono ritenersi le vantazioni della Corte territoriale secondo cui la riferibllità dei fatti all’imputato non poteva ritenersi contraddetta nè dalla irrilevante circostanza che le e-mail inviate datavano ottobre e novembre 2003, quando la relazione tra i due era finita, essendosi protratti i rapporti tra i predetti anche se in forma diversa, nè dall’esito negativo della consulenza grafologica effettuata su una scritta di poche lettere in stampatello vergata su una busta indirizzata alla N. e, quindi, con un grado di attendibilità estremamente ridotto.

Nessuna censura può muoversi, altresì, alla valutazione della Corte di merito in ordine alla ritardata indicazione da parte della N. del nome della persona con la quale aveva avuto la relazione: la N. aveva comunque fatto esplicito riferimento ad una persona con la quale aveva avuto un burrascosa relazione;

comprensibile la ritrosia a fare il nome dell’imputato trattandosi di in carabiniere; e tenuto conto della circostanza che la N. aveva presentato le querele insieme al marito.

3. Insussistente deve ritenersi la lamentata violazione di legge in ordine alla modifica della pena irrogata.

Il giudice dell’appello può, anzi deve, modificare la pena illegale irrogata in primo grado con l’unico limite fissato dall’art. 597 c.p.p., comma 3, del divieto di reformatio in peius in mancanza dell’appello del Pubblico Ministero.

Sulla base di tale principio questa Corte ha affermato che il giudice dell’appello, anche in mancanza di uno specifico motivo di gravame, ha il dovere in forza del principio costituzionale di legalità della sanzione, di modificare la sentenza che abbia inflitto una pena illegale per eccesso in ordine alla sua quantità (Sez. 1, n, 8405, 21/01/2009, Porreca, rv. 242973). Anche tale motivo di ricorso, quindi, deve essere dichiarato inammissibile.

4. Assolutamente generica è la doglianza formulata con l’ultimo motivo di ricorso avuto riguardo alla violazione del principio di cui all’art. 533 c.p.p., comma 1.

Il giudice deve ritenere intervenuto l’accertamento di responsabilità dell’imputato "al di là di ogni ragionevole dubbio", che ne legittima ai sensi dell’art. 533 c.p.p., comma 1, la condanna, quando il dato probatorio acquisito lascia fuori soltanto eventualità remote, pur astrattamente formulabili e prospettabili come possibili "in rerum natura", ma la cui effettiva realizzazione, nella fattispecie concreta, risulti priva del benchè minimo riscontro nelle emergenze processuali, ponendosi al di fuori dell’ordine naturale delle cose e della normale razionalità umana (Sez. 1. n. 31456, 21/05/2008, Franzoni, rv. 240763).

Come si è evidenziato, nella specie la Corte di merito ha esplicitato in maniera compiuta l’esclusione di ipotesi alternative alla luce degli elementi acquisiti. Di contro, il ricorrente si limitato ad un generica ed apodittica denuncia della regola di giudizio invocata.

5. L’inammissibilità del ricorso per le ragioni sin qui indicate preclude la declaratoria di estinzione del reato per intervenuta prescrizione, atteso che al momento della pronuncia della sentenza di secondo grado, tenuto conto del periodo di sospensione della prescrizione dal 27.9.2007 al 29.11.2007, non era decorso il termine di prescrizione.

6. Alla declaratoria di inammissibilità segue per legge, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento della somma ritenuta congrua di Euro 1.000,00 (mille) in favore della cassa delle ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di mille Euro alla cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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