Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo
1. Il Tribunale amministrativo regionale per la Calabria, sezione staccata di Reggio Calabria, con la sentenza n. 785 del 28 maggio 1999, nella resistenza dell’amministrazione provinciale di Reggio Calabria, definitivamente pronunciando sul ricorso proposto dal sig. R. D., dipendente a riposo dell’intimata amministrazione, per l’annullamento della nota prot. n. 022155 del 25 ottobre 1993 recante il rigetto dell’istanza volta ad ottenere il pagamento degli interessi legali e della rivalutazione monetaria sui crediti derivanti dall’applicazione del contratto integrativo regionale, del D.P.R. 191 del 1979 e n. 810 del 1980 e per la conseguente condanna della predetta amministrazione al pagamento delle relative somme, lo respingeva.
Secondo il tribunale, infatti, correttamente l’amministrazione provinciale aveva eccepito la prescrizione del credito ai sensi dell’art. 2948 c.c., per un verso, ininfluente, oltre che erroneo, essendo il richiamo alla sentenza della Corte Costituzionale 18 marzo 1986, n. 52, e all’asserita decorrenza solo da essa del termine prescrizionale, e, per altro verso, non essendo intervenuto alcun formale atto di riconoscimento di debito da parte dell’amministrazione in ordine alle somme rivendicate; ciò senza contare che non era stato fornito alcun elemento utile a supportare la dedotta censura di eccesso di potere per disparità di trattamento per aver l’amministrazione riconosciuto interessi legali e rivalutazione monetaria ad altri dipendenti che si trovavano nella stessa posizione del ricorrente, non vertendosi in fattispecie di esercizio di potere discrezionale.
2. L’interessato con atto di appello notificato il 21 gennaio 2000 ha chiesto la riforma della predetta sentenza, deducendone l’erroneità e l’ingiustizia.
In particolare l’appellante ha innanzitutto evidenziato che erroneamente le somme liquidate a titolo di differenze stipendiali nel 1981 erano state qualificate come sorte capitale e quelle ancora da pagare come interessi e rivalutazione, laddove invece, ai sensi dell’art. 1194 C.C., le somme già pagate dovevano essere imputate anzitutto ad interessi legali e rivalutazione monetaria, con la conseguenza che quelle ancora da pagare costituivano ancora un residuo capitale: a ciò conseguiva che, dovendo ritenersi applicabile nel caso di specie la prescrizione decennale, nessuna prescrizione si era verificata, anche in ragione della formale richiesta di pagamento inviata nel 1988; comunque, anche a voler ritenere che al caso di esame fosse applicabile la prescrizione quinquennale, era intervenuto uno specifico atto (prot. n. 1735 del 20 maggio 1993) ricognitivo del debito e interruttivo della prescrizione, di cui i primi giudici non avevano tenuto conto; infine, diversamente da quanto affermato dai primi giudici, sussisteva il denunciato eccesso di potere per disparità di trattamento, atteso che l’amministrazione provinciale aveva effettivamente riconosciuto ad altri dipendenti provinciali, puntualmente indicati, interessi legali e rivalutazione monetaria sulle somme corrisposte in ritardo, quantunque già prescritte, in virtù dell’estensione ad essi di altri giudicati (estensione inopinatamente ed ingiustificatamente non applicata nei suoi confronti).
Ha concluso pertanto per la condanna dell’amministrazione provinciale appellata al pagamento della somma di Lire 56.658.858, oltre interessi legali e rivalutazione monetaria fino al soddisfo.
L’amministrazione provinciale di Reggio Calabria ha resistito al gravame, deducendone l’inammissibilità e l’infondatezza.
3. Alla pubblica udienza del 17 maggio 2011, dopo la rituale discussione, la causa è stata trattenuta in decisione.
Motivi della decisione
4. L’appello è infondato.
Premesso che la questione controversa concerne la richiesta del sig. R. G. D., ex dipendente dell’amministrazione provinciale di Reggio Calabria, di ottenere il pagamento degli interessi legali e della rivalutazione monetaria sulle somme corrisposte per emolumenti arretrati in data 26 maggio e 16 dicembre 1981, la Sezione osserva quanto segue.
4.1. Occorre innanzitutto rilevare che la costante giurisprudenza delle Sezioni giurisdizionali di questo Consiglio (tra le più risalenti molte, Sez. VI, 13 agosto 1999, n. 1034; 31 marzo 1999, n. 371; IV, 26 settembre 2001, n. 5053; 17 dicembre 1998, n. 1811; 19 ottobre 1994, n. 813; tra le più recenti sez. IV, 10 luglio 2007, n. 3899; 16 marzo 2007, n. 1277; 3 febbraio 2006, n. 450) ha affermato che non solo gli interessi legali (per i quali v’è l’espressa previsione di cui al n. 4 del citato art. 2948 del codice civile), ma anche la rivalutazione monetaria del credito per ritardato pagamento della retribuzione è soggetta al termine breve (quinquennale) di prescrizione, di cui alla citata norma codicistica: ciò in considerazione del fatto che interessi legali e rivalutazione monetaria non costituiscono competenze accessorie fondate su autonome fonti dell’obbligazione, sottoposte all’ordinaria prescrizione decennale, ma operano all’interno del credito retributivo per mantenerlo costantemente adeguato nella sua funzione primaria di sostentamento del lavoratore (C.d.S., sez. IV, 25 marzo 1996, n. 364).
E’ priva di qualsiasi fondamento giuridico la tesi dell’appellante secondo cui il termine di prescrizione avrebbe durata decennale, essendo sufficiente al riguardo ricordare che in tema di spettanze retributive al pubblico dipendente il termine di prescrizione decennale può trovare applicazione solo quando spetti all’amministrazione di riconoscere e determinare la sussistenza del diritto vantato, previo accertamento delle condizioni necessarie per la sua liquidazione, e non già allorché, come nel caso di specie, il credito (cui accede la richiesta di interessi legali e rivalutazione monetaria) derivi direttamente da disposizioni di legge o di contratti collettivi di lavoro (C.d.S., sez. VI, 10 maggio 2007, n. 2232).
4.2. Quanto poi alla decorrenza del termine di prescrizione non può condividersi la tesi dell’appellante, secondo cui esso sarebbe decorso solo dalla pubblicazione della sentenza della Corte Costituzionale n. 52 del 18 marzo 1986.
E’ appena il caso di rilevare infatti che quest’ultima non ha affatto reso esercitabile (da parte del pubblico dipendente) un diritto (agli interessi legali e alla rivalutazione monetaria) prima inesistente ovvero non tutelabile a causa di una disposizione dichiarata incostituzionale, essendosi per contro limitata a dichiarare infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 429, comma 3, c.p.c. sollevata con riferimento agli artt. 1, 3, 4, 34, 35, 36 e 97 della Costituzionale, asseritamente non applicabile ai crediti di lavoro pubblico: ciò in virtù del consolidato indirizzo giurisprudenziale secondo cui anche i crediti di lavoro dei dipendenti degli enti pubblici e dello Stato sono rivalutati automaticamente in caso di inadempimento o di ritardo nell’adempimento da parte della pubblica amministrazione.
4.3. Diversamente da quanto sostenuto dall’appellante, poi, non si rinviene alcun atto di effettivo riconoscimento da parte dell’amministrazione appellata del credito rivendicato, dovendosi sul punto ricordare che, come autorevolmente statuito dalla Adunanza Plenaria di questo Consiglio di Stato con la decisione 22 dicembre 2004, n. 13, in materia di prescrizione dei crediti pecuniari dei dipendenti della Pubblica Amministrazione, solo nel caso in cui l’atto interruttivo derivi da una iniziativa del lavoratore creditore esso può considerarsi esteso anche al credito relativo agli accessori, mentre l’eventuale riconoscimento del debito da parte della pubblica amministrazione debitrice non è, in genere, idoneo ad interrompere la prescrizione dei crediti vantati dal dipendente a titolo di accessori (interessi legali e rivalutazione monetaria); inoltre il pagamento della sola sorte capitale operato da una pubblica amministrazione creditrice ha solo un effetto estintivo del debito per il capitale, senza alcun significato univoco di riconoscimento del debito relativo agli accessori, salvo che all’atto del pagamento l’amministrazione espressamente indichi che si tratta di un pagamento parziale, in acconto o salvo conguaglio (circostanza che non risulta essersi verificata nel caso di specie).
4.4. Quanto alla questione dell’imputazione del pagamento, ai sensi dell’art. 1194 c.c., anche a voler prescindere dalla considerazione che si tratta di censura inammissibile in quanto proposta per la prima volta in appello e comunque inidonea a paralizzare l’eccezione di prescrizione quinquennale sollevata dall’amministrazione, deve rilevarsi che secondo un condivisibile indirizzo giurisprudenziale la domanda giudiziale tesa a conseguire il pagamento di interessi e rivalutazione monetaria sulla somma corrisposta (nel caso di specie si trattava di ratei di una prestazione assistenziale) corrisposta in ritardo è sintomatica della volontà del creditore di consentire ( art. 1194, primo comma c.c.) all’imputazione al capitale del pagamento a suo tempo spontaneamente eseguito dal debitore, con ciò escludendosi che il giudice debba provvedere a una diversa imputazione del pagamento stesso (Cass., sez. lav., 19 ottobre 2010, n. 21414)
4.5. Infine la Sezione è dell’avviso che sia da ritenersi corretta la pronuncia impugnata anche in relazione al rigetto della dedotta censura di eccesso di potere per disparità di trattamento, trattandosi di vizio peculiare dell’esercizio del potere discrezionale che non sussiste in materia di trattamento economico dei pubblici dipendenti.
Ciò senza contare che, per un verso, la pubblica amministrazione non ha neppure il potere di rinunciare alla prescrizione e che, per altro verso, è assolutamente generica ed inammissibile la richiesta di estensione di presunti giudicati, asseritamente intervenuti, ma di cui non vi è alcuna traccia o specifica menzione.
5. In conclusione l’appello deve essere respinto, potendosi nondimeno compensare tra le parti le spese del presente grado di giudizio in ragione della natura della controversia.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quinta, definitivamente pronunciando sull’appello proposto dal sig. R. G. D. avverso la sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Calabria, sezione staccata di Reggio Calabria, n. 85 del 28 maggio 1999, lo respinge, dichiarando interamente compensate tra le parti le spese del presente grado di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.