Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 19-07-2011) 02-08-2011, n. 30565 Violenza sessuale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. Provvedimento impugnato e motivi del ricorso – Con la sentenza impugnata, la Corte d’appello ha confermato la condanna inflitta agli odierni ricorrenti accusati di aver consumato vari abusi sessuali nei confronti di una donna che, per le minorate condizioni psichiche, non era in grado di determinarsi autonomamente. Per maggior comprensione dei motivi di ricorso di seguito riassunti, deve dirsi che i fatti si sono verificati in un contesto degradato di una città del sud ove la p.o. viveva in condizioni economiche disagiate insieme al marito.

Secondo l’accusa, sarebbe stato proprio il marito a sfruttare la induzione alla prostituzione della propria moglie ottenendo, in particolare da D.M. e R., la concessione in locazione dell’alloggio in cui andare a vivere in cambio delle prestazioni sessuali della donna.

Avverso tale decisione, gli imputati hanno proposto ricorso, tramite i rispettivi difensori deducendo:

D.M..

1) violazione di legge sotto il profilo del computo della prescrizione nonchè contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione.

Più precisamente, il ricorrente riepiloga le emergenze processuali relative ai plurimi parti subiti dalla p.o. ad opera di uomini diversi (dai quali sono nati sei figli, nessuno dei quali del marito della donna) e, basandosi sulle dichiarazioni delle assistenti sociali e della sorella della p.o. nonchè sulle stesse parole dell’imputato conclude nel senso che la confusione che caratterizza nel suo complesso la vicenda riverbera anche per quel che attiene al profilo del tempus commissi delicti da parte del D.M..

Considerato, poi, che da queste fonti si evince che per un certo tempo la p.o. abitò in un appartamento messo a disposizione sua e del marito da parte di D.M., che i rapporti che quest’ultimo avrebbe consumato sarebbero stati al massimo due o tre e la paternità della terza figlia sarebbe (per dichiarazioni della stessa vittima) da attribuire proprio al D.M., deve concludersi che le congiunzioni carnali di cui D.M. è chiamato a rispondere non possono che collocarsi nell’arco temporale compreso tra l’autunno 1998 ed il giugno 1999. Per l’effetto, si tratterebbe di reati prescritti dovendosi, in ogni caso, nell’incertezza decidere in favor rei.

L.R..

1) violazione della legge penale in quanto la Corte non ha tenuto conto che la normativa vigente prevede la possibilità anche per il soggetto affetto da infermità psichica di avere una propria vita sessuale. Inoltre, la p.o. nella specie non mostrava segni palesi del proprio deficit psichico il cui unico effetto era quello di renderla morbosamente dipendente dal marito che la costringeva a prostituirsi stabilmente con vari uomini per sopperire alle difficoltà alloggiative e di sopravvivenza della coppia.

Chi aveva incontri sessuali con lei, pertanto, non era in grado di percepire la sua minorazione. Inoltre, non è stata riferita alcuna violenza o pressione neanche psicologica dell’imputato nei confronti della donna o neppure del di lei marito per continuare a fruire dei servigi sessuali della donna in cambio della casa;

2) mancanza di motivazione avendo i giudici ignorato le obiezioni difensive a proposito circa l’assenza di pretese per i canoni di locazione da parte del L.R. ed invece la piena consensualità ai rapporti da parte della donna che addirittura proponeva luoghi diversi di incontri.

I ricorrenti concludono invocando l’annullamento della sentenza impugnata.

2. Motivi della decisione – Entrambi i ricorsi sono manifestamente infondati e, come tali, inammissibili.

Per quanto attiene a D.M., si osserva che il suo tentativo di ricostruzione dei fatti per individuare una data il più possibile certa del reato è il risultato di un apprezzamento fattuale del tutto opinabile difficilmente operabile in questa sede di legittimità. In ogni caso, si tratta di sforzo inane perchè, anche volendo accedere in toto alla tesi difensiva, dovendosi tener conto anche delle sospensioni del corso della prescrizione (dal 13.11.06 al 15.1.07 e dal 22.11.10 all’8.3.11), anche l’episodio più vecchio (che il difensore colloca nell’autunno 1998) si prescrive ad agosto 2011.

Le obiezioni del L.R. tentano di riproporre un tema difensivo sviluppato anche dinanzi alla Corte circa i "facili costumi" della donna. In realtà i giudici hanno ritenuto sulla base della consulenza, che la donna malgrado il deficit psichico era in grado di percepire la realtà e riferirla in modo credibile e, soprattutto, hanno ricordato che ella ha dichiarato che D.M. e L.R. "si congiungevano con lei dietro la ripetuta minaccia di toglierle l’alloggio ove abitava con l’intero ed invero numeroso nucleo familiare composto oltre che dal marito dai sei figli". La Corte sottolinea anche il riscontro che, a tali affermazioni, proviene dalla testimonianza della sorella della vittima la quale ultima, anzi, ha soggiunto che, in una occasione di incontro con D.M. a casa della sorella, questi "proponeva anche a lei rapporti sessuali in ragione della concessione in gratuito comodato dell’abitazione" (1.10).

Non solo, quindi, non si registra alcun difetto (o ancor meno) mancanza di motivazione, ma, anzi, la decisione è logica e coerente nel concludere che gli imputati hanno abusato della condizioni di inferiorità della donna ed, "in particolare di quello stato di minorata difesa derivante da una sindrome di dipendenza che la donna pativa nei confronti dei soggetti che alla stessa si proponevano quali titolari di pretese fondate su rapporti personali e patrimoniali" (f. 9).

Puntuale è anche la replica della Corte alla obiezione difensiva circa la non riconoscibilità del deficit psichico della donna, sia, perchè tutte le altre persone che hanno riferito di averla avvicinata (es. assistenti sociali e teste L.) hanno detto che esso appariva evidente, perchè ella "agiva come una marionetta trattandosi di soggetto indifeso e non in grado di resistere a sollecitazioni" (f. 5); del resto – sottolineano i giudici di merito – gli stessi imputati "nel corso dei rispettivi esami finivano per ammettere che la parte offesa fosse soggetto affetto da insufficienza mentale e non in grado di rifiutare rapporti con alcuno le si proponesse" (f. 11).

Non è, quindi, pertinente il richiamo fatto dalla difesa di D. M. alla circostanza che l’attuale normativa prevede la possibilità anche per i disabili fisici o psichici di avere una propria vita sessuale perchè ciò vale nella misura in cui essi possano determinarsi autonomamente e non vi sia, invece, un approfittamento da parte del "partner" che induca la persona minorata agli atti sessuali abusando delle sue condizioni particolari (esattamente come – si è visto – risulta aver fatto, nella specie, il D.M.).

Alla presente declaratoria segue, per legge, la condanna di ciascuno dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali ed al versamento alla Cassa delle Ammende della somma di 1000 Euro.

P.Q.M.

Visti gli artt. 615 e ss. c.p.p.;

dichiara inammissibili i ricorsi e condanna ciascuno dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali ed al versamento alla Cassa delle Ammende della somma di 1000 Euro.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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