Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 19-07-2011) 02-08-2011, n. 30561Violenza sessuale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con la sentenza impugnata la Corte di Appello di Messina ha confermato la dichiarazione di colpevolezza di S.F. in ordine al reato di cui agli artt. 81 cpv. e 609 quater c.p., comma 1, n. 2 e comma 5, art. 609 ter c.p., comma 2, a lui ascritto per avere, in tempi diversi, commesso atti sessuali sulla minore C.S., di circa tre anni, palpeggiandola nelle zone genitali, infilandole le dita nella vagina e nell’ano.

I fatti di cui alla contestazione, secondo l’ipotesi accusatoria, sono stati commessi dall’imputato presso la sua abitazione, allorchè la bambina vi veniva condotta dai genitori, con i quali intercorrevano rapporti amicali, perchè si trattenesse con le sue figlie.

La sentenza ha evidenziato il carattere occasionale e spontaneo delle circostanze nel corso delle quali era emersa la notizia di reato, avendo la bambina chiesto ad una compagna di gioco di toccarle "il fiorellino" e indicato in " F." l’autore di analoghi gesti di manipolazione sessuale.

Si rileva, poi, che nei giorni precedenti la denuncia la bambina aveva tenuto una condotta inusuale per la sua età, consistita in ripetuti toccamenti della zona genitale, compiendo il fatto non solo in presenza di parenti, ma altresì al cospetto di persone estranee al nucleo familiare, come il prof. C.F. dal quale era stata condotta dai genitori. Prima della presentazione della denuncia la bambina era stata altresì sottoposta a visita pediatrica e ginecologica tramite la quale era stata rilevata l’esistenza di lesioni, in particolare nella regione anale, sintomatiche di abuso sessuale.

Nel corso delle successive indagini venivano espletate ulteriori consulenze disposte dal P.M. e perizia da parte del G.I.P. che concordemente avevano evidenziato l’esistenza di un disturbo post traumatico cronico, riconducibile a condotte sessualmente abusanti.

In sintesi, la sentenza, nel rigettare i motivi di gravame dell’appellante, ha valorizzato le citate risultanze processuali per affermare con certezza che la bambina era stata vittima di ripetuti abusi sessuali, attribuendone la commissione all’imputato sulla base di quanto narrato dalla stessa minore.

Sul punto non è stato ritenuto idoneo a scardinare l’ipotesi accusatoria il fatto che in una circostanza la bambina abbia identificato la persona indicata come " F." con il padre D. ed in altra occasione con tale V.. La commissione di abusi sessuali da parte del S. inoltre è stata ritenuta cronologicamente compatibile con l’affermazione della ginecologa, secondo la quale le lesioni anali riscontrate risalivano a circa due giorni prima, mentre nei due giorni precedenti la predetta visita ginecologica la piccola S. non era stata presso l’abitazione dell’imputato, ma solo tre giorni prima della visita.

La Corte territoriale inoltre ha, invece, accolto l’appello del P.G., escludendo l’attenuante del fatto di minore gravita e, per l’effetto, ha rideterminato la pena infinta all’imputato nella misura precisata in epigrafe.

Avverso la sentenza hanno proposto ricorsi i difensori dell’imputato, che la denunciano per violazione di legge e vizi di motivazione.

Motivi della decisione

Con sei mezzi di annullamento nel ricorso presentato dall’Avv. Scordo si denuncia:

1) violazione dell’art. 192 c.p.p. e art. 609 quater c.p..

Si denuncia, in sintesi, l’omesso accertamento della capacità di testimoniare della bambina, vieppiù necessario in quanto la stessa in due circostanze aveva identificato l’autore degli abusi sessuali con persone diverse dall’imputato. In particolare davanti al prof. C. aveva identificato la persona indicata con il nome F. con D., precisando che si trattava di "papuccio", e dinanzi al M.llo dei C.C. F. con V., fidanzato della zia. In entrambi i casi la madre della bambina era prontamente intervenuta per contestare quanto dichiarato dalla figlia con conseguente inquinamento del risultato probatorio, tenuto conto della naturale suggestionabilità e suscettibilità di manipolazione della memoria dei bambini. Sul punto si deduce che la stessa dott.ssa P. ha dato atto della ingerenza della madre nella ricostruzione dei fatti da parte della piccola S..

2) Violazione di legge, vizi di motivazione e travisamento della prova.

Si denuncia il travisamento del dato probatorio costituito dalle dichiarazioni della dott.sa P., la quale aveva riferito che la lesione anale risaliva ad "un paio di giorni prima" della visita ginecologica eseguita il 25 maggio 2006 ed aveva precisato in altra circostanza "non prima di due giorni". Tale dato era stato confermato anche dalla pediatra che, avendo visitato la bambina la mattina del 24 maggio, aveva fatto risalire al giorno precedente l’epoca della lesione. Travisando i citati elementi di prova la sentenza ha, invece, collocato l’abuso sessuale alla data del 22 maggio, allorchè la bambina era stata condotta presso l’abitazione dell’imputato. Sul punto si osserva anche che secondo la dichiarazione della stessa M.G. in casa del S. vi era anche la moglie e le due figlie per cui i giudici di merito hanno dovuto ipotizzare, per rendere plausibile l’abuso sessuale, che la moglie dell’imputato fosse occupata a far fare i compiti alla maggiore delle figlie. Si fa anche rilevare, che la madre si sarebbe dovuta accorgere di qualcosa subito dopo il fatto, considerato che sia secondo la dott.sa P. che secondo la pediatra la bambina quando è stata visitata mostrava sofferenza e provava dolore.

3) Violazione di legge e vizi di motivazione.

Si censura come illogica la valorizzazione del ritrovamento di un CD, di carattere genericamente pornografico, per affermare la compatibilità dell’abuso con la personalità dell’imputato.

4) Violazione dell’art. 609 quater c.p. e vizi di motivazione.

Si deduce l’inesistenza di una diagnosi certa di abuso sessuale da parte della dott.sa P. e si denuncia per illogicità la valorizzazione da parte dei giudici di merito della valutazione diretta delle immagini fotografiche che riproducevano le lesioni vaginali.

5) violazione dell’art. 609 quater c.p., comma 4, e vizi di motivazione.

Si deduce che l’attenuante di cui alla disposizione citata è stata negata dai giudici di merito in considerazione della pluralità di episodi di abuso sessuale, di cui non sussiste alcuna prova.

6) vizi di motivazione in relazione all’art. 62 bis c.p..

Anche con tale mezzo di annullamento si denuncia la illogicità della motivazione del diniego delle attenuanti generiche in considerazione della pluralità delle condotte criminose in assenza di prove sul punto.

Con il ricorso dell’Avv. Aricò si denuncia:

1) Violazione dell’art. 195 c.p.p., comma 3, riguardo alla revoca dell’ordinanza con la quale era stata disposta l’escussione della minore.

Si deduce che il Tribunale ha revocato il mezzo di prova, già ammesso, a seguito delle risultanze dell’indagine peritale che, dopo aver accertato la capacità di testimoniare della bambina, aveva affermato la potenziale lesività dell’atto probatorio sull’equilibrio psicofisico della persona offesa. Sul punto si deduce che, contrariamente a quanto affermato nella sentenza di primo grado, la difesa dell’imputato non aveva affatto rinunziato all’esame della minore e la sentenza impugnata ha totalmente ignorato le deduzioni dell’appellante sul punto. In diritto si evidenzia, poi, la necessità di conciliare la tutela del diritto costituzionale all’integrità psicofisica della minore con il diritto dell’imputato, anche esso costituzionalmente garantito, di partecipare alla formazione della prova senza sacrificare quest’ultimo. Si osserva anche che i giudici di merito hanno valorizzato il carattere genuino e spontaneo delle dichiarazioni ed il linguaggio consono all’età adoperato dalla persona offesa senza tener che quelle espressioni sono entrate a far parte del compendio probatorio solo in via mediata.

2) violazione dell’art. 192 c.p.p. e art. 609 quater c.p..

Si denuncia la illogicità della motivazione della sentenza per avere i giudici di merito giustificato la sovrapposizione da parte della bambina della figura dell’autore degli abusi con quella del padre con la particolare situazione di stress cui la persona offesa era sottoposta in quei giorni, senza tener conto del fatto che tale situazione di stress veniva incidere sull’intero contenuto dichiarativo reso dalla minore con riferimento alla attribuzione del fatto all’imputato. Nel prosieguo del motivo di gravame si denuncia l’inosservanza dei principi affermati dalla Carta di Noto in ordine alle cautele e modalità con le quali si deve procedere all’esame dei minori vittime di abusi sessuali per evidenziare la palese violazione di tali principi a proposito degli interventi della madre con veri e propri suggerimenti nei confronti della bambina durante il colloquio intercorso con il prof. C. e la carenza di motivazione della sentenza impugnata su tale punto che aveva formato oggetto di precise deduzioni nei motivi di gravame. Elementi di illogicità della sentenza si rilevano, poi, a proposito della già menzionata retrodatazione del giorno in cui la bambina avrebbe subito le lesioni rilevate in sede di visita ginecologica ed il carattere meramente presuntivo di dati fattuali, quali la presenza a casa dell’imputato il giorno 22 maggio, il fatto che la moglie sarebbe stata impegnata per aiutare una delle due bambine nello svolgimento dei compiti, la irrilevanza attribuita alla presenza dell’altra figlia dell’imputato alla commissione degli abusi sessuali.

I ricorsi non sono fondati.

Preliminarmente deve essere esaminata la questione processuale relativa alla applicabilità, nel caso in esame, della disposizione di cui all’art. 195 c.p.p., comma 3, nella parte in cui stabilisce la inutilizzabilità delle dichiarazioni relative a fatti di cui il testimone abbia avuto conoscenza da altre persone, allorchè sia stato richiesto e non sia stata disposto l’esame della persona della quale il teste de relato abbia riportato le dichiarazioni.

La stessa disposizione citata prevede, quale eccezione, l’ipotesi in cui L’esame della persona indicata dal teste di riferimento risulti impossibile per morte, infermità, irreperibilità. Con specifico riferimento all’ipotesi in cui persona offesa dal reato sia un minore è stato, poi, reiteratamente affermato da questa Corte che, qualora l’esame dibattimentale dello stesso, sia pure con le forme protette previste dall’art. 389 c.p.p., comma 5 bis, sia idonea ad arrecare danno al suo equilibrio psichico deve essere ravvisata una situazione corrispondente a quella della infermità impediente, prevista dall’art. 195 c.p.p., comma 3, che rende in ogni caso utilizzabili le dichiarazioni della persona offesa recepite dai testi del relato, (sez. 3, 11.6.2009 n. 30964, F., RV 244939; sez. 3, 14.6.2007 n. 35728, Battisti, RV 237500; sez. 3, 12.2.2004 n. 18058, Cerciello Parisi, RV 228618).

Orbene, il Tribunale con ordinanza emessa all’udienza del 3 aprile 2009, all’esito dell’esame del perito, dott.sa Pa.Ag., ha dato atto che "l’esame della minore potrebbe determinare un concreto alto rischio di lesione alla stessa e che in tali condizioni non possa ritenersi possibile disporre comunque l’accertamento essendo l’integrità fisica e psichica un bene costituzionalmente protetto…..".

All’esame del perito ha ovviamente partecipato il difensore dell’imputato, Avv. Scordo, che, senza rinunciare formalmente al teste, si è rimesso alla decisione del Tribunale per la valutazione della esperibilità del mezzo istruttorio.

Sicchè, nel caso in esame, è stata adeguatamente accertata dai giudici di merito l’esistenza di una delle condizioni previste dall’art. 195 c.p.p., comma 3, ultima parte, che rende utilizzabile le dichiarazioni de relato indipendentemente dal fatto che la difesa dell’imputato abbia chiesto e non sia stato disposto l’esame della persona alla quale si è fatto riferimento.

Per completezza di esame deve essere anche rilevato, in relazione alle esigenze di tutela dei diritti della difesa dell’imputato, che nel caso in esame le dichiarazioni della piccola C.S. hanno formato oggetto di registrazione con riferimento all’intervista eseguita dal Prof. C., che è stata esaminata dalle parti.

L’accertamento della colpevolezza dell’imputato inoltre è fondata anche sulle risultanze della visita ginecologica, cui fu sottoposta la bambina, oggetto di documentazione fotografica, e su quelle dell’esame dei consulenti delle parti e peritale sulla minore, anche finalizzata all’accertamento della sua capacità di testimoniare, che hanno evidenziato l’esistenza di un disturbo post traumatico cronico, riconducibile a condotte sessualmente abusanti.

Sicchè l’affermazione di colpevolezza non è esclusivamente fondata su dichiarazioni de relato in ordine alle quali la difesa dell’imputato non abbia potuto effettuare alcun controllo. Passando all’esame degli ulteriori motivi di ricorso, non sussistono la violazione di norme processuali ed i vizi di motivazione nella vantazione del materia probatorio denunciati dai difensori del ricorrente.

Le sentenze di merito hanno correttamente valorizzato, al fine di affermare la piena attendibilità delle dichiarazioni della persona offesa riportate dai testi di riferimento, la ricostruzione della genesi della notizia di reato, che sia secondo la giurisprudenza di questa Corte (sez. 3, 13.5.2010 n. 24248, O.J., RV 247285) che la stessa Carta di Noto – che peraltro non ha valore normativo (sez. 3, 10.4.2008 n. 20568, Gruden, RV 239879; sez. 3, 14.12.2007 n. 6464 del 2008, G., RV 239091) – assume rilevanza fondamentale per accertare la veridicità del dichiarato; la costante reiterazione delle dichiarazioni della bambina a soggetti diversi sia con riferimento alle modalità degli abusi sessuali subiti, sia alla attribuzione della condotta abusante a F., identificato dalla stessa minore come il padre di E. e C.; l’accertamento di una precoce sessualizzazione della bambina e del già rilevato disturbo post traumatico, riconducibile ad abuso sessuale; l’inequivoca esistenza di lesioni nella zona anale e vaginale riconducibili alla medesima causa.

E’ appena il caso di ricordare in punto di diritto a proposito dei vizi della motivazione della sentenza che, anche a seguito delle modificazioni apportate all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), dalla L. 20 febbraio 2006, n. 46, art. 8, comma 1, lett. b), rimane esclusa la possibilità che la verifica della correttezza e completezza della motivazione si tramuti in una nuova valutazione delle risultanze acquisite, da contrapporre a quella effettuata dal giudice di merito, sicchè il vizio di motivazione è ravvisabile solo nell’ipotesi in cui il giudice di merito abbia fondato il proprio convincimento su una prova che non esiste ovvero su risultanze probatorie incontestabilmente diverse da quelle reali (cfr. sez. 4, 10.10.2007 n. 35683, Servirei, RV 237652; sez. 1, 15.6.2007 n. 24667, Musimeci, RV 237207; sez. 5, 25.9.2007 n. 39048, Casavola ed altri, RV 238215).

Orbene, le sentenze di merito hanno esaminato tutte le deduzioni dei difensori dell’imputato a proposito degli elementi di dubbio ravvisati nella coerenza di quanto dichiarato dalla minore e circa la compatibilità fattuale degli episodi di abuso, disattendendone la fondatezza con motivazione esaustiva ed immune da vizi logici, che non può essere sottoposta ad ulteriore verifica in sede di legittimità mediante il raffronto con una possibile diversa valutazione delle risultanze probatorie prospettata dal ricorrente.

Anche sui punti della esclusione della diminuente del fatto di minore gravità, di cui all’art. 609 quater c.p., comma 4, e del diniego delle attenuanti generiche, infine, la sentenza di appello è esaustivamente motivata mediante il riferimento alla tenerissima età della persona offesa, alla reiterazione delle condotte (provata anche dalle lesioni riscontrate sulla bambina), all’approfittamento del rapporto fiduciario con i suoi genitori, alle conseguenze traumatiche derivate alla piccola S. dagli abusi subiti.

Entrambi i ricorsi, pertanto, devono essere rigettati, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali ed alla rifusione di quelle sostenute nel grado dalle parti civili, liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta i ricorsi e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonchè alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalle parti civili, alle quali liquida complessivamente la somma di Euro 3.000,00 oltre accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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