Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 18-07-2011) 02-08-2011, n. 30579

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Propongono ricorso per cassazione avverso il decreto attinente alla applicazione di misure di prevenzione patrimoniale e personale emesso dalla Corte di appello di Torino in data 7 ottobre 2010:

D.G. e R.P. (conviventi): nei loro confronti il Tribunale aveva rilevato le pregresse condanne per furto, ricettazione e truffa (quanto alla donna) e furto e ricettazione (quanto all’uomo); aveva disposto la misura patrimoniale con riferimento a un camper, un terreno in (OMISSIS) (con restituzione invece di una villa e due dependance in (OMISSIS), da essi occupata anche se intestata alla figlia, beni pagati con denaro di provenienza lecita per un importo di 580 milioni di lire). La Corte, così respingendo l’appello del PM in ordine alle restituzioni, riteneva corretta la decisione del Tribunale.

Le allegazioni dei proposti circa la provenienza del denaro utilizzato per comperare il terreno (prestito effettuato da Ba.

G., madre della convivente del figlio) non sono state ritenute dimostrate anche in ragione del fatto che la Ba. non aveva dichiarato redditi nel periodo di interesse. Ugualmente condivise dalla Corte erano le conclusioni del Tribunale sulla mancanza di prova della lecita provenienza del denaro utilizzato per comperare il camper (prestito di tale P.).

Deducono:

che era stata versata in atti la prova documentale che la Ba. potesse avere la disponibilità della somma prestata a D. per comperare il terreno, somma ricavata dalla vendita della propria abitazione di (OMISSIS) oltre che dalla attività lavorativa e trasferita, prima che al D., alla nipote R.A. contro la quale nessun provvedimento era stato adottato.

Quanto al camper, la difesa contesta la decisione della Corte di disattendere la deposizione della P., agente immobiliare legata da rapporti di affari pregressi con i D..

Il PG ha chiesto il rigetto dei ricorsi. I ricorsi sono inammissibili.

La giurisprudenza di questa Corte è costante nell’affermare che nel procedimento di prevenzione il ricorso per cassazione è ammesso soltanto per violazione di legge, secondo il disposto dalla L. 27 dicembre 1956, n. 1423, art. 4, comma 10, richiamato dalla L. 31 maggio 1965, n. 575, art. 3 ter, comma 2; ne consegue che, in tema di sindacato sulla motivazione, è esclusa dal novero dei vizi deducibili in sede di legittimità l’ipotesi dell’illogicità manifesta di cui all’art. 606 c.p.p., lett. e), potendosi esclusivamente denunciare con il ricorso, poichè qualificabile come violazione dell’obbligo di provvedere con decreto motivato imposto al giudice d’appello dalla L. n. 1423 del 1956, predetto art. 4, comma 9, il caso di motivazione inesistente o meramente apparente (Sez. 6, Sentenza n. 15107 del 17/12/2003 Cc. (dep. 30/03/2004) Rv. 229305;

Massime precedenti Conformi: N. 5525 del 1997 Rv. 209129, N. 544 del 1999 Rv. 212946, N. 2181 del 1999 Rv. 213852, N. 703 del 2000 Rv.

215556, N. 28837 del 2002 Rv. 222754, N. 34021 del 2003 Rv. 226331).

Nel caso di specie le doglianze della difesa sono tutte volte a criticare le valutazioni operate dal giudice del merito e a evidenziare la opinabilità delle conclusioni cui è giunta la Corte circa la assenza di prove rassicuranti a proposito della provenienza lecita delle somme investite per l’acquisito dei beni sottoposti a misura di prevenzione patrimoniale.

Si tratta come è evidente della denuncia di un vizio di motivazione che non è consentito, in sede di legittimità, in materia di misure di prevenzione.

L.F., la figlia L.E. e la convivente del primo B.V..

Il Tribunale aveva evidenziato che tutti i nominati hanno precedenti:

il L., era stato condannato più volte per furto mentre le due donne erano state denunciate più volte. Essi non avevano alcuna attività lavorativa, ragione per la quale il Tribunale riteneva non giustificato il possesso di un camper del valore di 46 mila Euro, il terreno della B. su cui insiste una villa, inoltre i terreni, conti correnti e polizze di cui è intestatario il L. nonchè il terreno edificabile e due vetture di cui era intestataria la giovane E..

La Corte d’appello ha ribadito la esistenza di tre condanne per furto a carico di L. (l’ultima per fatto del 1999) ed ha riconosciuto in capo alle due donne la qualità di terzi nella procedura.

Ha affermato che i reati, per quanto non recenti, corrispondevano, cronologicamente, all’epoca di acquisizione dei beni.

Ad avviso della Corte le giustificazioni addotte dalla difesa per rendere ragione dei detti acquisti (regalie di una nonna, vincita al gratta e vinci, prestito di un cugino) non erano attendibili, tenuto conto del valore degli immobili (in particolare il complesso di (OMISSIS) costituito da cinque terreni con annessi fabbricati) e del bene mobile registrato, nonchè delle polizze.

Confermava sul punto il provvedimento impugnato dalle parti.

La Corte accoglieva poi l’appello del PM volto a ribaltare la pronuncia del Tribunale e a confiscare una ulteriore polizza di 110.000 Euro intestata a E. e una vettura Peugeot intestata a B.V..

Deducono:

1) La violazione dell’art. 15 preleggi nonchè della L. n. 55 del 1990, art. 14 che ha abrogato parzialmente la L. n 152 del 1975, art. 19.

Il citato art. 19 aveva esteso – con rinvio formale – la applicabilità delle misure di prevenzione patrimoniale previste per gli indiziati di appartenere ad associazioni mafiose, anche ai soggetti a pericolosità non qualificata previsti dalla L. n. 1423 del 1956, art. 1, nn. 1 e 2.

Tuttavia, con una novella del 1990 ( L. n. 55) il legislatore aveva ristretto la portata estensiva dell’art. 19, limitandola, all’art. 14, ai soggetti pericolosi che vivessero dei proventi di taluni reati particolarmente gravi, specificamente indicati.

Tra tali reati non rientrava ad esempio la rapina con la conseguenza che a coloro che vivevano abitualmente dei proventi di tale reato non era stata ritenuta applicabile la misura di prevenzione patrimoniale (così Cass. Sent. N. 6841 del 2008).

Nel caso del L. tale era la situazione, posto che all’atto del concretizzarsi della sua asserita pericolosità (anni ’90) si sostiene che vivesse del proventi di furti e falsi, reati non compresi fra quelli elencati dall’allora vigente art. 14 citato.

Il fatto poi che, con la ulteriore novella del 2008 ( D.L. n. 92) il legislatore abbia abrogato l’art. 14, non può essere interpretato come ragione di riviviscenza dell’originaria e generale disposizione della L. del 1975, art. 19, posto che, nel frattempo, ad opera della L. del 1990, art. 14 – norma incompatibile e derogatoria di quella generale, ex art. 15 preleggi – si era ormai perfezionata una parziale abrogazione della portata generale dell’art. 19 stesso.

La difesa è conscia dello stato della giurisprudenza di legittimità contrario a tale interpretazione, ma la ritiene non condivisibile proprio per l’operatività del principio di cui all’art. 15 disp. gen. che ha ormai prodotto irreversibilmente i suoi effetti.

2) La violazione dell’art. 11 preleggi, art. 2 c.p. e L. n. 689 del 1981, art. 1.

Alla stregua delle dette norme il precetto di carattere sanzionatorio quale deve intendersi quello che disciplina la confisca nei confronti dei proposti, non può retroagire e non è cioè applicabile a condotte che, al momento della loro commissione, dovevano ritenersi giuridicamente legittime. Tale effetto retroattivo si produrrebbe se ai proposti fosse applicata la norma della L. n. 152 del 1975, art. 19, ritenuta oggetto di riviviscenza per effetto della novella del 2008, posto che il comportamento degli stessi, ritenuto indice di pericolosità, è stato posto in essere anteriormente alla detta novella del 2008, così come antecedente a tale data è l’epoca di acquisizione dei beni sottoposti a confisca. E risalendo a tale periodo, ossia agli anni ’90, non v’è dubbio che si trattasse di un’epoca nella quale, per effetto della L. n. 55 del 1990, allora vigente art. 14, la misura patrimoniale in esame non era applicabile a chi vivesse dei proventi di reati di furto.

Ma la riforma del 2008 ha profondamente innovato il sistema delle misure di prevenzione, sganciandole dal requisito fino ad allora imprescindibile che era la dimostrazione della pericolosità del soggetto, tanto che la misura patrimoniale poteva essere applicata a condizione che lo fosse anche quella di prevenzione personale.

In tale senso si era espressa la Corte costituzionale nella sentenza n. 335 del 1996 ed anche la Cassazione con la giurisprudenza che richiedeva che la pericolosità del proposto dovesse sussistere al momento della applicazione delle dette misure (SS.UU. Simonelli del 1996) ed affermava la natura non sanzionatoria ma preventiva della prevenzione patrimoniale. Ad avviso del ricorrente la novella del 2008 ha trasformato la misura patrimoniale in misura a carattere afflittivo-sanzionatorio svincolandola dal requisito della attualità della pericolosità, infatti non essendo più necessaria la previa applicazione della misura di prevenzione personale. E tale connotazione della misura patrimoniale la rende soggetta al principio di irretroattività delle norme sanzionatorio ( art. 2 c.p. e L. n. 689 del 1981, art. 1).

Il difensore si fa carico anche della giurisprudenza che ha affermato la applicabilità alle misure di prevenzione del disposto dell’art. 200 c.p., comma 1 secondo cui vale per tutte la legge in vigore al momento della loro applicazione (sent. N. 13039 del 2005): si tratterebbe di un principio che si attaglia alla vecchia concezione della misura di prevenzione come a carattere preventivo e non sanzionatorio.

In subordine, ove la tesi non fosse accolta, la difesa chiede sollevarsi questione di legittimità costituzionale che muova dal concetto della confisca in esame come misura di sicurezza atipica (sent. N. 25558 del 2009).

Infatti, una volta svincolata la confisca dalla dimostrazione della pericolosità attuale del soggetto, la stessa non dovrebbe essere attratta nel novero delle misure di sicurezza.

Accedendo invece alla giurisprudenza che equipara la confisca di prevenzione alla misura di sicurezza di cui all’art. 240 c.p. (Cass. Sent. Libri del 2005) verrebbe a determinarsi una disparità di trattamento, in violazione dell’art. 3 Cost., tra il soggetto sottoposto a misura di prevenzione e quello sottoposto a procedimento penale.

In tale ultimo caso, infatti, a differenza che nel primo, il soggetto è sottoposto a confisca solo dopo l’accertamento della responsabilità penale e limitatamente al corpo del reato e alle cose ad esso pertinenti.

3) La mancanza totale di motivazione ( art. 125 c.p.p.) sulla relazione di disponibilità dei beni intestati a B. e alla figlia E., da parte del proposto L.F..

Si tratta dei beni confiscati dal Tribunale e di quelli confiscati dalla Corte su appello del PM ossia complessivamente cinque appezzamenti di terreno in Comune di (OMISSIS), un camper, una Peugeot, e due polizze assicurative per un valore totale di circa 267 mila Euro;

4) La violazione della L. n. 575 del 1965, art. 2 ter, comma 3 riguardo alla valutazione delle allegazioni difensive.

La Corte ha interpretato la norma come fonte di una inversione dell’onere della prova sul tema della legittima provenienza dei beni sequestrati: onere gravante sul proposto: una simile interpretazione normativa sarebbe però in contrasto con la più recente giurisprudenza che pone a carico dell’indiziato un semplice onere di allegazione. (Cass., n. 932 del 1998, Petruzzella). Anzi, prosegue la difesa, la Corte avrebbe posto a carico del proposto una probatio diabolica liquidando come inesistenti le attestazioni formulate per dimostrare, attraverso una vincita di gioco o il prestito di un parente, la provenienza lecita dei mezzi finanziari utilizzati per l’acquisto dei beni in sequestro. Anche le donazioni provenienti da una congiunta deceduta da tempo sono state negate sul presupposto di mancanza di documentazione che, peraltro, è impossibile da rintracciare;

5) La violazione della L. n. 1423 del 1956, art. 4, comma 10.

La Corte aveva omesso del tutto di provvedere sul motivo di appello col quale la difesa aveva sollecitato la restituzione dei beni intestati alla B., beni sequestrati dal Tribunale.

In data 1 luglio 2011 è stata depositata una memoria nella quale si illustra particolarmente il motivo sub 4).

Il PG ha chiesto il rigetto dei ricorsi.

Il ricorsi sono infondati e devono essere rigettati.

Quanto al primo motivo se ne deve rilevare la manifesta infondatezza alla luce della condivisibile giurisprudenza di legittimità già espressasi in maniera univoca in sensi opposto a quello auspicato dai ricorrenti.

Tale giurisprudenza, in particolare nella sentenza della Sez. 1, Sentenza n. 6000 del 04/02/2009 Rv. 243364, ric. Ausilio, P.M. Izzo G. (Conf.),ha posto molto bene in evidenza, quanto al motivo che rappresentava la nullità del decreto di confisca patrimoniale in conseguenza dell’avvenuta abrogazione della L. n. 55 del 1990, art. 14 ad opera del cosiddetto decreto sicurezza del luglio 2008, le seguenti argomentazioni che per la loro assoluta condivisibilità, qui si riportano e si fanno proprie.

"La L. 19 marzo 1990, n. 55, art. 14 aveva introdotto la previsione che le disposizioni della L. n. 575 del 1965, e quindi la possibilità della confisca prevista dagli artt. 2 bis e 2 ter, si applicassero anche ai soggetti indicati nella L. n. 1423 del 1956, art. 1, nn. 1 e 2 quando l’attività delittuosa da cui si riteneva derivassero i proventi fosse una di quelle previste dagli artt. 600, 601, 602, 629, 630, 644, 648 bis e 648 ter c.p. e contrabbando.

Secondo la giurisprudenza di merito e di legittimità, la L. n. 55 del 1990, art. 14 era speciale rispetto alla L. 22 maggio 1975, n. 152, art. 19, comma 1 che prevedeva invece che "le disposizioni di cui alla L. 31 maggio 1965, n. 575 si applicano anche alle persone indicate nella L. 27 dicembre 1956, n. 1423, art. 1, nn. 1 e 2".

L’art. 14, legge citata, si poneva in rapporto derogatorio, quale lex specialis posterior, sia per l’incipit della norma che così recitava "salvo che si tratti di procedimenti di prevenzione già pendenti alla data di entrata in vigore della presente legge", sia per la dichiarata volontà del legislatore desumibile dai lavori preparatori della L. n. 55 del 1990 (Sez. 1, 5 febbraio 2008 n. 6841, rv.

238635). L’art. 14 legge citata in sostanza aveva avuto lo scopo di restringere il margine di operatività delle misure di prevenzione patrimoniali allo scopo di migliorarne la funzionalità concentrando l’attività di indagine ai casi più gravi.

A conferma di tale impostazione soccorre la giurisprudenza di legittimità formatasi prima dell’entrata in vigore della L. n. 55 del 1990, che pacificamente riteneva di interpretare la disposizione di cui alla L. n. 152 del 1975, art. 19 nel senso della piena equiparazione, ai fini delle misure di prevenzione patrimoniali, tra soggetti pericolosi in quanto indiziati di appartenenza ad associazioni di tipo mafioso e soggetti pericolosi in quanto ritenuti abitualmente dediti ad attività delittuose da cui traggono i mezzi di vita ai sensi della L. n. 1423 del 1956 (Sez. 1, 11 dicembre 1989 n. 3253, rv. 183046; Sez. 1, 21 gennaio 1993 n. 226, rv. 193247; Sez. 1, 29 novembre 1993 n. 5166, rv. 196098).

Ricostruito in tal senso il quadro normativo di riferimento, deve procedersi all’esame degli effetti della L. 24 luglio 2008, n. 125, art. 11 ter che ha abrogato la L. n. 55 del 1990, art. 14. Deve in primo luogo osservarsi che tale abrogazione non ha prodotto alcun effetto sulla norma di riferimento generale di cui alla L. n. 152 del 1975, art 19, visto che tale norma è sempre rimasta in vigore nel suo testo originale e che la "restrizione" di efficacia individuata nella L. n. 55 del 1990, art. 14 è stata frutto di interpretazione giurisprudenziale e dottrinale. Ne consegue che il venir meno della norma speciale fa rivivere nella sua pienezza l’operatività della norma generale che non è mai stata modificata o abrogata, per cui priva di pregio è la tesi difensiva prospettata secondo cui una volta abrogato la L. n. 55 del 1990, art. 14, non sussiste più alcuno strumento legislativo che consenta di estendere a soggetti ritenuti affetti da "pericolosità generica" le misure previste per i soggetti portatori di "pericolosità qualificata". A parere del collegio non sussiste alcuna ragione per modificare l’interpretazione che la giurisprudenza di legittimità aveva già maturata sulla efficacia applicativa della L. n. 152 del 1975, art. 19, prima della entrata in vigore della norma speciale ora abrogata, nel senso che l’applicazione delle misure di prevenzione patrimoniali della L. n. 575 del 1965 riguardasse tutti i soggetti individuati dalla L. n. 1423 del 1956, art. 1, nn. 1 e 2.

La Corte Costituzionale con la decisione n. 675 del 9 giugno 1988 aveva già affrontato la questione della legittimità della L. n. 152 del 1975, art. 19, comma 1, affermando che lo scopo di impedire l’eventuale ingresso nel mercato del denaro ricavato dall’esercizio di attività delittuose o di traffici illeciti, rende non irragionevole la scelta del legislatore di estendere le misure antimafia ad alcune delle categorie di persone socialmente pericolose, quali quelle individuate dalla L. n. 1523 del 1956, art. 1, nn. 1 e 2.

Deve infine osservarsi che l’interpretazione della rivitalizzazione della piena operatività della L. n. 152 del 1975, art. 19 comma 1, è confortata sia dalla ratio legis del cosiddetto decreto sicurezza che ha avuto lo scopo di rafforzare e non restringere la possibilità di utilizzo delle misure di prevenzione patrimoniali sia dall’introduzione di un doppio binario in materia di competenza a promuovere il procedimento di prevenzione.

Infatti la L. n. 125 del 2008, art. 10 ha introdotto la competenza a proporre le misure di prevenzione patrimoniali del Procuratore Nazionale Antimafia e del Procuratore distrettuale nei confronti di tutti i soggetti indiziati di appartenere ad associazioni di tipo mafioso o di uno dei reati previsti dall’art. 51 c.p.p., comma 3 bis, mentre l’art. 11 cit. legge ha introdotto l’analoga competenza a proporre l’adozione delle misure di prevenzione patrimoniali nei confronti dei soggetti di cui alla L. n. 1423 del 1956, art. 1, nn. 1 e 2, del Procuratore della Repubblica presso il tribunale nel cui circondario dimora la persona. Il legislatore del 2008 ha avuto quindi ben presente la fattispecie prevista dalla L. n. 152 del 1975, art. 19 ed ha voluto confermarla introducendo questa competenza proprio all’art. 19, comma 1".

Analogamente si è espressa, tra le molte, la Sez. 2 di questa Corte con sentenza n. 33597 del 14/05/2009 Cc. (dep. 01/09/2009) Rv.

245251, evidenziando che le misure di prevenzione patrimoniale del sequestro e della confisca sono applicabili, in ragione dell’abrogazione dell’art. 14 L. n. 55 del 1990 per effetto del D.L. n. 92 del 2008, conv. con modif. dalla L. n. 125 del 2008, anche ai soggetti dediti a traffici delittuosi o che vivano abitualmente, anche in parte, con i proventi di attività delittuose, quali che siano i delitti da cui scaturiscano i proventi, soggetti menzionati nella L. n. 1423 del 1956, art. 1, nn. 1 e 2. Conforme è Sez. 1, Sentenza n. 26751 del 26/05/2009 Cc. (dep. 01/07/2009 ) Rv. 244789.

Da ultimo infine anche le Sezioni unite di questa Corte hanno ribadito che il rinvio enunciato dalla L. n. 152 del 1975, art. 19, comma 1, (disposizioni a tutela dell’ordine pubblico) non ha carattere materiale o recettizio, ma è di ordine formale nel senso che, in difetto di una espressa esclusione o limitazione, deve ritenersi esteso a tutte le norme successivamente interpolate nell’atto-fonte, in sostituzione, modificazione o integrazione di quelle originarie; ne consegue che, accanto alle misure di prevenzione personali, pure quelle patrimoniali del sequestro e della confisca possono essere applicate nei confronti di soggetti ritenuti socialmente pericolosi perchè abitualmente dediti a traffici delittuosi, o perchè vivono abitualmente – anche solo in parte – con i proventi di attività delittuose, a prescindere dalla tipologia dei reati in riferimento (Sez. U, Sentenza n. 13426 del 25/03/2010 Cc. (dep. 09/04/2010) Rv. 246272).

Il secondo motivo è infondato.

La giurisprudenza di legittimità, anche quella successiva alla novella del 2008, osserva infatti che le misure di prevenzione, al pari delle misure di sicurezza, possono essere applicate anche quando siano previste da una legge successiva al sorgere della pericolosità sociale, in quanto le stesse non presuppongono uno specifico fatto di reato, ma riguardano uno stato di pericolosità attuale cui la legge intende porre rimedio. (Fattispecie relativa alle misure di prevenzione della sorveglianza speciale e del sequestro dei beni, in cui la S.C. ha ritenuto applicabile, nei confronti dei soggetti compresi nelle categorie di persone pericolose contemplate alla L. n. 1423 del 1956, art. 1, nn. 1 e 2, lo "ius superveniens" rappresentato dal disposto di cui alla L. 24 luglio 2008, n. 125, art. 11-ter) (Sez. 6, Sentenza n. 11006 del 20/01/2010 Cc. (dep. 22/03/2010 ) Rv.

246682). Analogamente v. Sez. 1, Sentenza n. 26751 del 26/05/2009 Cc. (dep. 01/07/2009) Rv. 244789.

Nella motivazione della analoga decisione della Sez. 2, Sentenza n. 33597 del 14/05/2009 Cc. (dep. 01/09/2009) Rv. 245251, citata anche dal Procuratore generale, si legge che la conclusione che qui si intende accogliere, circa la operatività nei confronti dei ricorrenti della novella del 2008 non "può essere contrastata dai principi di irretroattività della legge penale. La giurisprudenza è assolutamente costante nel ritenere che le misure di sicurezza sono regolate dalla legge in vigore al momento della loro applicazione, proprio perchè correlate per loro natura alla situazione di pericolosità del proposto, con la conseguenza che deve ritenersi possibile la suddetta applicazione per un fatto reato per il quale originariamente non era prevista la misura, in considerazione del fatto appunto, che il principio di irretroattività della legge penale riguarda le norme incriminatrici e non le misure di sicurezza (ex pluribus Cass. sez. 2A, 3 ottobre 1996, n. 3655, Sibilla, CED 207140; Cass. sez. 3A, 15 ottobre 2002, n. 40703, CED 222278; Cass. sez. 1A, 8 novembre 2007, n. 7116, Liboni, CED 239302)".

Sul punto sono del tutto condivisibili le affermazioni del Procuratore Generale che rileva come la novella del 2008 ha dato copertura normativa al principio, già affermato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 335 del 1996, in base al quale lo scopo proprio della confisca va al di là della esigenza di prevenzione personale nei confronti del soggetto pericoloso, mirando a sottrarre definitivamente il bene di provenienza illecita al circuito criminale di origine, per inserirlo in un altro esente da condizionamenti appunto criminali: e a tale conclusione si perviene notando che la novella consente di ricorrere alla confisca indipendentemente dalla persistenza delle condizioni personali per la sua applicazione ma non recide il nesso confisca-pericolosità personale che va comunque accertato in via incidentale quale precondizione necessaria per la applicazione disgiunta della confisca di prevenzione. D’altra parte – e in tale senso va corretta la motivazione del provvedimento impugnato – tale nesso va inteso in senso non di necessaria coincidenza cronologica tra la accertata pericolosità e il momento della acquisizione del bene, come insegna la giurisprudenza prevalente secondo cui in materia di misure di prevenzione, sono sequestrabili e confiscabili anche i beni acquisiti dal proposto, direttamente o indirettamente, in epoca antecedente a quella cui si riferisce l’accertamento della pericolosità, quando essi risultino sproporzionati al reddito e non ne sia provata la legittima provenienza (Sez. 1, Sentenza n. 39798 del 20/10/2010 Cc. (dep. 11/11/2010) Rv. 249012; Massime precedenti Conformi: N. 35481 del 2006 Rv. 234902, N. 21717 del 2008 Rv. 240501, N. 47798 del 2008 Rv. 242515, N. 20906 del 2009 Rv. 244878, N. 25558 del 2009 Rv.

244150, N. 35175 del 2009 Rv. 245363, N. 35466 del 2009 Rv. 244827, N. 4702 del 2010 Rv. 246084).

In conclusione il perimetro di espletamento del contraddittorio resta quello, per l’accusa, di assolvere l’onere dimostrativo della disponibilità del bene, della sua sproporzione rispetto al reddito dichiarato o alla attività economica svolta o della sua provenienza da attività illecita; per la difesa del proposto e del terzo colpito da procedura ablativa, quello, susseguente, di giustificare la legittima provenienza del bene.

Manifestamente infondata, infine, al riguardo è la questione di legittimità costituzionale sollevata in riferimento alla asserita disparità di trattamento tra chi subisce la confisca come misura prevista dall’art. 240 c.p. e chi la subisce a titolo di misura di prevenzione per la assoluta autonomia dello statuto probatorio previsto nelle due procedure, fermo restando, come osserva il Procuratore Generale con osservazioni ancora una volta da richiamare, il massimo rigore garantistico che deve assistere il doveroso accertamento della pericolosità personale. Oltretutto, in ragione di tale rilievo da escludere la accoglibilità della diversa tesi prospettata nel motivo di ricorso in esame, basata sull’erroneo presupposto che la novella del 2008 abbia fatto cadere la necessità del detto accertamento sulla pericolosità.

Infondato è il terzo motivo che riguarda la posizione di L. E. e B.V..

Invero, le due ricorrenti, come si legge anche a pag. 19 del provvedimento impugnato, sono stati ritenuti dal giudice dell’appello terzi proprietari di beni che si assumono nella disponibilità diretta o indiretta del proposto, di cui sono figlia e convivente.

Al riguardo la giurisprudenza costante di questa Corte ha sottolineato, in tema di misure di prevenzione patrimoniale di beni intestati a terzi, come incomba all’accusa l’onere di dimostrare rigorosamente l’esistenza di situazioni che avallino concretamente l’ipotesi del carattere puramente formale di detta intestazione, funzionale alla esclusiva finalità di favorire il permanere del bene in questione nella effettiva ed autonoma disponibilità di fatto del proposto; disponibilità la cui sussistenza, caratterizzata da un comportamento "uti dominus" del medesimo proposto, in contrasto con l’apparente titolarità del terzo, dev’essere accertata con indagine rigorosa, intensa ed approfondita, avendo il giudice l’obbligo di spiegare le ragioni della ritenuta interposizione fittizia, sulla base non di sole circostanze sintomatiche di spessore indiziario, ma di elementi fattuali connotati dai requisiti della gravità, precisione e concordanza ed idonei, pertanto, a costituire prova indiretta dell’assunto che si tende a dimostrare (Sez. 1, Sentenza n. 43046 del 15/10/2003 Cc. (dep. 11/11/2003) Rv. 226610).

Tuttavia la giurisprudenza è costante anche nell’osservare che in tema di misure di prevenzione patrimoniale, la "disponibilità" dei beni – che costituisce il presupposto per la confisca in capo alla persona pericolosa di quelli di cui si sospetta la provenienza illecita – non deve necessariamente concretarsi in situazioni giuridiche formali, essendo sufficiente che il prevenuto possa di fatto utilizzarli, anche se formalmente appartenenti a terzi, come se ne fosse il vero proprietario; e nei confronti del coniuge, dei figli e dei conviventi siffatta disponibilità è presunta, senza necessità di specifici accertamenti, dal momento che la L. 31 maggio 1965, n. 575, art. 2 bis considera separatamente dette persone rispetto a tutte le altre, fisiche o giuridiche, della cui interposizione fittizia, invece, devono risultare gli elementi di prova. Sez. 2, Sentenza n. 4916 del 05/12/1996 Cc. (dep. 10/02/1997) Rv. 207118. Analogamente v. Sez. 1, Ordinanza n. 2960 del 07/12/2005 Cc. (dep. 25/01/2006) Rv. 233429 secondo cui in materia di misure di prevenzione patrimoniale, la L. n. 575 del 1965, art. 2-ter autorizza il sequestro e la confisca dei beni di cui la persona sottoposta a procedimento di prevenzione (di cui alla L. 27 dicembre 1956, n. 1423, art. 3) risulta poter disporre direttamente od indirettamente e fra questi rientrano per presunzione di legge, sia pure relativa, i beni del coniuge, dei figli e degli altri conviventi, soggetti nei cui confronti devono essere sempre disposte le indagini, ai sensi di quanto previsto dall’art. 2 bis, comma 3, della stessa legge; il legislatore presuppone, infatti, che l’indiziato di appartenere ad associazioni di tipo mafioso faccia in modo che i beni illecitamente ottenuti appaiano formalmente nella disponibilità giuridica delle persone di maggior fiducia, ossia i conviventi, sui quali grava pertanto l’onere di dimostrare l’esclusiva disponibilità del bene per sottrarlo alla confisca.

E, come osservato dalla dottrina, sul punto specifico la novella del 2008 si è limitata a recepire i principi già elaborati dalla giurisprudenza.

In punto di fatto, poi, è da notare che il motivo di ricorso si limita a rilevare una totale omissione di motivazione su materia che ben poteva ritenersi, invece, oggetto di presunzione semplice, per giunta asseverata da considerazioni logiche e plausibili circa la assenza di mezzi patrimoniali in capo alle ricorrenti, tali da giustificare in modo lecito la acquisizione dei beni mobili e immobili ad esse confiscati.

Il quarto motivo è inammissibile perchè, come osservato a proposito dei ricorsi analizzati per primi, deduce vizi di motivazione incompatibili con il regime delle impugnazioni previste contro la ordinanza del giudice dell’appello: il ricorso è infatti ammesso soltanto per violazione di legge che ricorre unicamente in presenza di motivazione apparente o radicalmente mancante.

Il quinto motivo è manifestamente infondato posto che la Corte ha statuito sulle richieste dei ricorrenti, non accolte, con la statuizione "conferma nel resto il provvedimento impugnato".

B.A..

Il Tribunale aveva rilevato che la donna era gravata da condanne per furto e ricettazione e che era risultata intestataria di un terreno, acquistato come inedificabile, sul quale, nel 2002 aveva costruito una villa prestigiosa. Tale costruzione, al pari dell’acquisto del terreno non avevano trovato spiegazione in fonti di danaro di provenienza lecita non essendo credibile la tesi del prestito avuto da una prozia: infatti di tale asserito passaggio di denaro non era stata trovata traccia documentale ed inoltre la causale non era stata indicata in maniera attendibile.

Per tale ragione il Tribunale confiscava il terreno e la villa oltre ai conti correnti costituiti da tre polizze e un deposito titoli.

Invece restituiva altri beni (due appezzamenti di terreno, una auto BMW, un camper, un conto corrente con saldo modesto, beni tutti ritenuti compatibili con la disponibilità della somma di 86 mila Euro provenienti dalla vendita di altro terreno e da una causa vinta).

La Corte di appello osservava che i reati per i quali la B. aveva riportato condanna erano due (truffa tentata del 1992 e ricettazione del 1998). Valutava però la posizione della proposta unitamente a quella di R.A., suo convivente.

Ed evidenziava al riguardo in numerosi precedenti penali e giudiziari del R. stesso in riferimento al quale confermava anche la applicazione della misura di prevenzione personale della sorveglianza speciale per anni tre.

Ribadiva poi la Corte la assenza di prova o di allegazioni credibili circa la provenienza dei detti beni da fonti patrimoniali lecite evidenziando che i redditi dichiarati dalla famiglia nel periodo in contestazione erano pari a zero, non avendo essi svolto alcuna attività lavorativa e risultando dunque i beni sproporzionati ai redditi dichiarati o alla attività svolta. Il tutto ad eccezione di due terreni siti in Mazzè dei quali ha disposto la restituzione alla B..

Deduce la difesa della B.A. (soggetto proposto nel procedimento di prevenzione).

1) Il totale vizio di motivazione riguardo alla pericolosità sociale della B.. La Corte d’appello aveva sostenuto che la pericolosità del proposto va oggi verificata, se non più con il criterio della "attualità", comunque in maniera rigorosa con riferimento all’epoca della acquisizione dei beni sottoposti a misura di prevenzione patrimoniale.

E tale accertamento deve contenere la descrizione dei comportamenti che costituiscono il presupposto del giudizio di pericolosità (così anche C. cost. n. 177 del 1980).

Nel caso della B., però, tale dimostrazione era mancata del tutto dovendosi considerare apparente la motivazione che valorizzava a tale fine solo due condanne per tentata truffa e ricettazione risalenti agli novanta. Invero il Giudice di primo grado aveva valorizzato anche altri elementi (denuncia per furto del 2005, denuncia per violazione della legge sulle armi del 2000, denuncia per tentato furto del 2008).

Tuttavia la difesa aveva contestato il giudizio di pericolosità basato sui detti elementi adducendo ulteriori risultanze che la Corte aveva ignorato: e cioè:

– che la denuncia per tentata truffa del 1992 era finita con condanna condizionalmente sospesa, ciò che impediva di valorizzarla ai fini della applicazione di misura di prevenzione;

– che la ricettazione del 1998 aveva comportato una condanna a pena mite, interamente condonata;

– che la denuncia del 1993 per furto aggravato aveva dato luogo ad un provvedimento di archiviazione;

– che la denuncia per violazione della legge sulle armi del 2000 non aveva portato neppure alla iscrizione nel registro degli indagati;

– che la denuncia per ricettazione del 1994 si era conclusa con sentenza di assoluzione per non avere commesso il fatto;

– che la denuncia per furto aggravato in concorso del 2005 aveva dato luogo a proscioglimento per mancanza di querela.

Tutte tali allegazioni, supportate dalle relative prove documentali, misconosciute dal Tribunale, erano state ignorate dal giudice dell’appello che aveva valorizzato esclusivamente le due condanne con sentenza definitiva.

Poteva in conclusi trovare applicazione nella specie l’orientamento della giurisprudenza di legittimità secondo cui il controllo di legittimità sui provvedimenti di del giudice di prevenzione la cui motivazione deve dare conto della corrispondenza tra la fattispecie concreta e quella astratta evocata nel caso specifico (sent. N. 17932 del 2010).

2) La violazione dell’art. 125 c.p.p. sulla confisca del camper marca Fiat tg (OMISSIS).

Con memoria depositata dinanzi al Tribunale, la difesa aveva evidenziato che il camper era stato acquistato nel 2007 con denari del R., convivente della proposta, legittimamente posseduti.

Il Tribunale aveva accolto tale tesi ma, al momento di disporre la restituzione aveva descritto il detto camper come "caravan Hobby", un bene cioè diverso da quello di cui era stata chiesta la restituzione.

Anche nell’appello tale errore era stato evidenziato con la conseguenza che era rimasto confiscato il camper tg (OMISSIS), atteso che la Corte sul punto nulla aveva argomentato.

3) La violazione della L. n. 575 del 1956, art. 2 bis, comma 6 bis e dell’art. 125 c.p.p.. La Corte d’appello, modificando un punto della motivazione esibita dal giudice di primo grado, aveva affermato che deve darsi prova della pericolosità del proposto, anche non attuale e che deve esservi coerenza temporale tra gli elementi di fatto posti a fondamento del giudizio di pericolosità e l’epoca di acquisizione della disponibilità del bene che si assume di origine illecita. In tal senso si è espressa che la Cassazione con sentenza della sez. 5, 18 luglio 2006, n. 24778.

Ma se ciò è vero la Corte non ha poi provveduto consequenzialmente poichè, quanto alla confisca del terreno con villa, la stessa Corte ha dato atto essersi trattato di lavori eseguiti nel 2002-2004 mentre i reati dai quali deriverebbe il giudizio di pericolosità sono stati commessi nel 1992 e 1998. Anche i precedenti di polizia non coincidono temporalmente con l’epoca di acquisizione del detto bene.

E il rilievo vale per tutti i beni confiscati, rispetto ai quali la Corte avrebbe dovuto compire l’accertamento cronologico che aveva illustrato, come necessario, nella premessa del suo provvedimento.

Il PG ha chiesto il rigetto del ricorso.

E’ stata depositata dalla difesa, il 1 luglio 2011, una memoria di replica.

Il ricorso è fondato nei limiti che si indicheranno.

Invero, occorre dare atto preliminarmente che, per dare una risposta completa al primo motivo di ricorso, sulla requisito della pericolosità riguardante la proposta B., si rende necessario valutare la posizione della medesima non autonomamente, come rappresentato dalla difesa, ma unitamente alla posizione del convivente, del pari proposto, R.A..

Infatti, la figura della B.A. presenta una duplice valenza, essendo la stessa sia proposta per l’applicazione di misura di prevenzione patrimoniale che convivente del proposto R. A., anche egli soggetto ad un giudizio sulla pericolosità a sostegno delle misure di prevenzione che lo riguardano. Ed è noto, come si è già evidenziato nell’analizzare la posizione di B. V., che la figura del "convivente" del proposto soggiace ad una presunzione di intestazione fittizia dei propri beni, rispetto al proposto, con la conseguenza che, una volta rappresentata e dimostrata la pericolosità di costui, al convivente, gravato dalla detta presunzione, incombe l’onere di vincere la presunzione stessa dimostrando la provenienza lecita del bene.

Vuole con ciò sostenersi che la posizione della B., quale proposta, non può essere valutata senza considerare, ai fini della dimostrazione del presupposto della pericolosità soggettiva, che essa è a sua volta convivente di altro proposto (il R.), con la conseguenza che ad essa deve applicarsi lo statuto probatorio proprio d qualsiasi convivente di proposto.

Si illustra dunque contestualmente, anche la posizione di R. A..

Tale soggetto, come evidenziato dal Tribunale, è gravato da numerosi precedenti per reati contro il patrimonio.

I giudici hanno poi proceduto ad una analisi dei beni sequestrati alla famiglia R. – B., sul presupposto, appunto, della valutazione contestuale della pericolosità dell’uomo anche con riferimento alla misura che ha colpito la sua convivente.

La Corte di appello ha ribadito il giudizio sulla attuale pericolosità del proposto, condannato anche nel 2008 e con una escalation dai reati di furto alle rapine, per le quali ha terminato di scontare la pena nel gennaio 2010.

Per tale ragione la Corte ha confermato nei suoi riguardi la misura di prevenzione personale.

Ha anche esibito una motivazione riguardante la assenza di prove sulla legittima provenienza dei beni sequestrati.

Deduce il R..

1) La violazione della L. n. 1423 del 1956, art. 3, comma 1 e art. 4, commi 1 e 2, posto che la misura di prevenzione personale è stata proposta nel 2009 mentre l’avviso orale del Questore era stato dato al R. nel 2003 e quindi ben oltre i tre anni previsti dalla legge.

2) La insufficienza della motivazione riguardo al requisito della attualità della sua pericolosità.

Tale giudizio deve essere rapportato al momento della decisione da parte del giudice dell’appello.

E la difesa, in tale prospettiva, aveva allegato la prova di lecita attività lavorativa intrapresa nel 2010 dal proposto.

La allegazione era stata liquidata con poche battute così come apparente era la motivazione sulla durata della misura.

Anche in relazione a tale ricorrente il PG presso questa Corte ha chiesto il rigetto del ricorso.

Ebbene, tornando ad esaminare il ricorso di B.A. è da osservare che la Corte d’appello ha fornito una motivazione sul requisito della pericolosità, motivazione che ha tenuto conto sia delle due condanne per reato contro il patrimonio riportate dalla proposta che della spiccata pericolosità del convivente della B., R.A., proposto anch’egli sia in riferimento alla misura di prevenzione personale che a quella di prevenzione patrimoniale caduta su beni formalmente intestati a B.A. ma ritenuti dalla Corte nella disponibilità e nel possesso della famiglia R. – B..

E riguardo al proposto ha citato le tre condanne per furto riportate dall’uomo nel 1996,1998, 2008, le due condanne per truffa tentata riportate nel 1999 e nel 2006, la condanna per ricettazione del 1999 nonchè quella per rapina tentata del 2008; inoltre ha ricordato le più occasioni di arresto dei due, e la ordinanza di custodia cautelare che ha raggiunto il R. nel 2004 in relazione ad un processo per associazione per delinquere finalizzata alle truffe, alle rapine e ai furti di autovetture nonchè in abitazioni.

In presenza di tale motivazione è del tutto pretestuosa la denuncia di un vizio di motivazione nella forma radicale richiesta per la integrazione della violazione di legge (ex art. 125 c.p.), solo motivo validamente deducibile con ricorso in materia di misure di prevenzione.

Si rimanda al riguardo alle considerazioni sopra esposte in tema di limiti del ricorso nella materia in esame, aggiungendo che le carenze denunciate dalla difesa riguardano comunque elementi (precedenti di polizia della B.) cha la motivazione del provvedimento impugnato ha dimostrato di non considerare affatto ai fini della adozione del provvedimento poi impugnato.

La doglianza cade cioè su un difetto di motivazione privo di rilevanza e di conseguenze.

Il secondo motivo di ricorso della B. appare fondato.

La Corte di appello ha dato atto, a pag. 6 del provvedimento impugnato, che la proposta aveva segnalato, nell’appello, come il Tribunale avesse accertato la lecita provenienza del camper Fiat ma poi avesse ordinato la restituzione di un bene descritto come Caravan Hobby, un bene cioè diverso da quello di cui si era richiesto il dissequestro.

Sul punto effettivamente non risulta data alcuna risposta da parte della Corte di merito che pure ha dato atto della decisione del Tribunale di restituire il camper Hobby perchè risultato di lecita provenienza.

In particolare, risulta che il Tribunale aveva premesso la intestazione, in capo alla B., tra l’altro, di un autoveicolo speciale camper marca Fiat tg (OMISSIS), comperato nel 2007, e di un caravan Hobby tg (OMISSIS).

A pag. 7 del decreto, ancora il Tribunale aveva dato atto della esistenza di fonti patrimoniali lecite in relazione al "camper acquistato dalla B. nel settembre 2007", ma aveva poi disposto la confisca del camper marca Fiat e la restituzione del caravan Hobby.

Tale discrepanza tra la motivazione e il dispositivo era stato portato all’attenzione della Corte di appello a pag. 11, ultimo capoverso.

La Corte, pur dando atto dei fatti in premessa, non ha provveduto con la conseguenza che deve rilevarsi una totale omissione di motivazione in ordine ad un motivo di appello ritualmente proposto e sul punto la Corte territoriale deve essere chiamata a replicare con puntualità.

Invece infondato è il terzo motivo di ricorso della B..

Si è citata sopra l’orientamento giurisprudenziale cui questa Corte ritiene di aderire in tema di rapporto cronologico tra elementi a sostegno della valutazione di pericolosità e momento di acquisizione dei beni.

Occorre cioè ribadire l’indirizzo in questione, basato sul fatto che il legislatore ha creato un vincolo di pertinenzialità solo tra i beni – non importa quando acquisiti – di cui non sia provata la legittima provenienza e soggetti portatori di pericolosità sociale.

Afferma tale giurisprudenza, richiamata anche da una parte della dottrina, che "sono la sproporzione reddituale, la disponibilità e l’origine perversa dei beni piuttosto che il dato temporale della acquisizione, i presupposti della confisca".

Si tratta di un approdo ermeneutico già raggiunto dalla Cassazione, anche a Sezioni unite, nella materia della confisca ex art. 12 sexies, materia strutturata dal legislatore come quella della misura di prevenzione patrimoniale in esame.

Infine inammissibile è il ricorso del R.A..

Invero il primo motivo è manifestamente infondato alla luce della univoca giurisprudenza di questa Corte dalla quale non vi è motivo di discostarsi. Essa, come il difensore ha mostrato di ben sapere, ha affermato che "in tema di applicazione delle misure di prevenzione, l’avviso orale del Questore è previsto solo per la categoria di cui alla L. n. 1423 del 1956, n. 3, art. 1, e non invece per le categorie di cui ai nn. 1 e 2 dello stesso articolo; e ciò in virtù della L. 22 maggio 1975, n. 152, art. 19 che ha esteso alle persone indicate nei citati numeri le 2 le disposizioni di cui alla L. n. 575 del 1965, Rv. 215218. L’orientamento è costante come ricavabile da Sez. 1, Sentenza n. 254 del 21/11/2007 Cc. (dep. 07/01/2008); Rv. 238770 N. 4585 del 1995; Rv. 202509, N. 2051 del 1996; Rv. 206141, N. 84 del 1999 Rv. 213080.

Il secondo motivo si fonda sulla denuncia di una pretesa insufficienza o inadeguatezza della motivazione che, come anticipato in premessa, si infrange contro la precettiva previsione di ammissibilità di ricorso, in materia di misure di prevenzione, solo per violazione di legge.

E la violazione di legge, con riferimento alla motivazione, si configura soltanto quando la motivazione è apparente o graficamente mancante.

Nella specie non può dirsi apparente una argomentazione che, non solo è stata rappresentata dalla Corte ma che la difesa semplicemente non condivide ritenendola opinabile.

P.Q.M.

Annulla il provvedimento impugnato nei confronti di B.A. limitatamente alla confisca del camper Fiat tg (OMISSIS), con rinvio alla Corte di appello di Torino per nuovo esame. Rigetta nel resto il ricorso di B.A.. Dichiara inammissibili i ricorsi di D.G., R.P. e R.A. e condanna ciascuno dei detti ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento ed a versare alla cassa delle ammende la somma di Euro mille.

Rigetta i ricorsi di L.F., L.E. e B.V. che condanna, ciascuno, al pagamento delle spese del procedimento.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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