Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 15-07-2011) 02-08-2011, n. 30554

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con la sentenza in epigrafe la corte d’appello di Palermo confermò la sentenza 6 ottobre 2009 del giudice del tribunale di Agrigento, che aveva dichiarato N.E. colpevole del reato di cui al D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, art. 51, comma 1, per avere senza autorizzazione gestito la raccolta di rifiuti, pericolosi e non, e lo aveva condannato alla pena di mesi 4 di arresto e di Euro 1.800,00 di ammenda.

L’imputato propone ricorso per cassazione deducendo:

1) violazione del D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, art. 51 e dell’art. 521 cod. proc. pen.. Osserva che non vi è alcuna prova che egli avesse compiuto attività di gestione dei rifiuti e che fosse proprietario del terreno in questione. Inoltre, con il capo di imputazione è stata contestata una attività di gestione dell’art. 51, ex comma 1, n. 3, e non una attività di raccolta, sicchè vi è mancanza di corrispondenza tra imputazione e sentenza.

2) violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, art. 51. Lamenta che nella specie si trattava comunque di rifiuti non pericolosi, perchè non vi era alcuna prova che i veicoli in questione contenessero ancora liquidi o componenti pericolose, come invece la corte d’appello ha ritenuto del tutto apoditticamente ed ipoteticamente.

Motivi della decisione

Va preliminarmente rilevato che, pur essendo stato il fatto accertato il 3 agosto 2006, i giudici del merito hanno fatto riferimento al reato di cui al D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, art. 51, comma 1, senza tenere presente che il D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, era già stato abrogato dal D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, art. 264, comma 1, lett. i). I riferimenti debbono quindi essere fatti alle ipotesi di reato previste dal detto D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, art. 256.

Ciò posto, il primo motivo è infondato. Il fatto che l’imputato avesse o meno la proprietà del fondo è irrilevante, essendo pacifico che ne aveva comunque la disponibilità. Altrettanto irrilevante è l’appartenenza degli automezzi che caricavano o scaricavano il materiale, essendo stata contestata all’imputato l’attività di raccolta e gestione dei rifiuti scaricati nel fondo.

Non vi è poi mancanza di correlazione tra accusa e sentenza perchè all’imputato è stato contestato di avere gestito "rifiuti senza averne titolo, avendo effettuato una attività di raccolta non autorizzata di rifiuti di varia natura … accumulati nel 1’appezzamento di terreno … nella sua materiale disponibilità", e la dichiarazione di responsabilità è intervenuta proprio in relazione a questa attività di gestione, consistente appunto nella raccolta e nel deposito dei rifiuti.

E’ invece fondato il secondo motivo. Il giudice del merito ha ritenuto che l’abusiva attività di raccolta avesse ad oggetto rifiuti sia non pericolosi sia pericolosi ed ha pertanto dichiarato l’imputato responsabile genericamente del reato di cui al D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, art. 51, comma 1, e quindi sia della ipotesi di cui alla lett. a) sia di quella di cui alla lett. b), anche se poi ha applicato la pena esclusivamente per il reato di cui al capo b). La corte d’appello ha infatti ritenuto che si trattasse di rifiuti pericolosi perchè, pur essendo stato accertato che le auto erano prive delle batterie, la stessa "presenza di veicoli in stato di abbandono implica la presenza, quanto meno, di oli di lubrificazione, di oli differenziali, di oli combustibili, di oli dei freni". Si tratta però di una motivazione apodittica ed apparente, nonchè contraria alle norme di legge, dal momento che essa presuppone che qualsiasi veicolo fuori uso sia, per ciò stesso, da qualificarsi rifiuto pericoloso.

Al contrario, deve ricordarsi che, secondo le disposizioni vigenti all’epoca del fatto, il D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, art. 184, dopo avere distinto tra rifiuti urbani e rifiuti speciali, comprendeva tra questi alla lett. i), comma 3 (lettera peraltro ora soppressa dal D.Lgs. 205 del 2010, art. 11) "i veicoli a motore, rimorchi e simili fuori uso e loro parti", mentre il comma 5 disponeva che "Sono pericolosi i rifiuti non domestici indicati espressamente come tali, con apposito asterisco, nell’elenco di cui all’Allegato D alla parte quarta del presente decreto, sulla base degli Allegati G, H e I alla medesima parte quarta" (l’attuale comma 5, come modificato dal D.Lgs. n. 205 del 2010, art. 11, dispone invece che "L’elenco dei rifiuti di cui all’allegato D alla parte quarta del presente decreto include i rifiuti pericolosi e tiene conto dell’origine e della composizione dei rifiuti e, ove necessario, dei valori limite di concentrazione delle sostanze pericolose. Esso è vincolante per quanto concerne la determinazione dei rifiuti da considerare pericolosi. L’inclusione di una sostanza o di un oggetto nell’elenco non significa che esso sia un rifiuto in tutti i casi, ferma restando la definizione di cui all’art. 183").

Ora l’allegato D alla parte quarta considera come rifiuti pericolosi sotto categoria 16.01.04 i veicoli fuori uso, mentre considera come rifiuti non pericolosi i veicoli fuori uso appartenenti a diversi modi di trasporto (categoria 16.01) ed i veicoli fuori uso, non contenenti liquidi nè altre componenti pericolose (categoria 16.01.06).

Ciò dimostra l’erroneità dell’assunto da cui è partita la corte d’appello perchè non tutti i veicoli fuori uso sono solo per questo pericolosi. Invero, affinchè un veicolo sia considerato pericoloso, è necessario non solo che esso sia fuori uso, ma anche che contenga liquidi o altre componenti pericolose, perchè altrimenti rientra nella categoria 16.01.06 e non è qualificato come pericoloso.

Nella specie dalle sentenza di merito risulta chiaramente che l’accusa (sulla quale incombeva il relativo onere) non ha fornito alcuna prova che i veicoli fuori uso in questione contenessero liquidi o altre componenti pericolose. La corte d’appello si è solo limitata a presumere apoditticamente che i veicoli contenessero oli, ma tale presunzione non solo non si fonda su alcun indizio o elemento di prova, ma è anche manifestamente illogica perchè nella specie la polizia aveva invece accertato che dai veicoli erano state tolte le batterie, ossia che i veicoli stessi erano stati bonificati, sicchè si sarebbe dovuto semmai presumere, in mancanza di prova contraria, che essi non contenessero liquidi o altre componenti pericolose.

In conclusione, in mancanza di prova che si trattasse di rifiuti pericolosi, deve ritenersi che l’attività illecita di raccolta e deposito svolta dall’imputato aveva ad oggetto rifiuti non pericoli.

Il fatto di cui la capo di imputazione va dunque qualificato come violazione del D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, art. 256, comma 1, lett. a). La sentenza impugnata deve pertanto essere annullata con rinvio ad altra sezione della corte d’appello di Palermo per la rideterminazione della pena. Nel resto il ricorso va rigettato.

E’ appena il caso di ricordare che, con la presente sentenza, passa in giudicato l’affermazione di responsabilità per il fatto così come sopra qualificato, sicchè non potranno avere più effetto eventuali sopravvenute cause di estinzione del reato.

P.Q.M.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE qualificato il fatto come violazione del D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, art. 256, comma 1, lett. a), annulla la sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della corte d’appello di Palermo per la determinazione della pena.

Rigetta il ricorso nel resto.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte Suprema di Cassazione, il 15 luglio 2011.

Depositato in Cancelleria il 2 agosto 2011

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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