T.A.R. Campania Napoli Sez. VIII, Sent., 09-09-2011, n. 4371 Annullamento d’ufficio o revoca dell’atto amministrativo

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. Con ricorso iscritto al n. 1069/2010 l’ATI A. s.n.c. – C. s.r.l., premesso di essere risultata aggiudicataria della gara indetta dal Comune di Sant’Arpino per la esecuzione dei lavori di ampliamento del cimitero comunale e di aver impugnato innanzi a questo T.a.r. Campania il provvedimento dirigenziale n.1.del 21.02.2005 con cui il Comune di Sant’Arpino annullava in autotutela il provvedimento di aggiudicazione, esponeva che con sentenza n.8390 del 21.06.2005 veniva accolto il ricorso ed annullato il provvedimento impugnato.

Poiché nelle more del giudizio di autotutela, il Comune aggiudicava i lavori ad un’altra ditta. aggiungeva di aver inoltrato richiesta di risarcimento dei danni in sede di esecuzione della predetta sentenza di annullamento, e che il T.a.r. Campania adito, con sentenza n. 2194 del 15.03.2007, accoglieva la predetta domanda di risarcimento dei danni riconoscendo il mancato utile percepito entro il limite del 7% dell’importo a base di gara e non oltre il 70% dell’utile dichiarato. Il Comune interponeva appello avverso la predetta sentenza ed il Consiglio di Stato con sentenza n. 4276/2008 accoglieva l’appello essendo preclusa la esperibilità del rimedio risarcitorio in sede di ottemperanza.

Con il presente gravame parte ricorrente agisce nuovamente, nella predetta qualità di aggiudicataria estromessa, per ottenere la condanna del Comune di Sant’Arpino al risarcimento dei danni comprensivi delle spese di partecipazione alla gara e di costituzione in Ati a titolo di danno emergente e del mancato utile percepito quale lucro cessante, ovvero a quella maggiore o minor somma da accertare in corso di causa anche in via equitativa, il tutto oltre interessi, rivalutazione sino al soddisfo, con vittoria di spese legali ed accessori come per legge.

Costituitosi in giudizio, il Comune di Sant’Arpino eccepiva la insussistenza dell’elemento soggettivo della colpa dell’amministrazione, dal momento che l’annullamento dell’aggiudicazione da parte della stazione appaltante non era riconducibile alla violazione di una precisa disposizione del bando di gara ma ad una sua erronea interpretazione nel ritenere la necessità di produzione dei documenti in originale, sicchè la condotta dell’amministrazione non può aver violato le regole di imparzialità, correttezza e buona amministrazione. Deduceva inoltre che la ricorrente non avrebbe dato prova del nesso di causalità, né dell’esito comunque a lei favorevole del procedimento sulla base della disciplina applicabile; sulla quantificazione dei danni invocati, aggiungeva che era da escludere la risarcibilità dei danni costituiti dai costi sostenuti per partecipare alla gara. Concludeva quindi per il rigetto del ricorso con ogni conseguenza di legge.

Alla pubblica udienza del 13.07.2011 il ricorso veniva introitato per la decisione.

2. Il ricorso è parzialmente fondato e merita accoglimento entro i termini di seguito precisati.

Avuto riguardo agli atti di causa ed al comportamento osservato dal Comune nella vicenda oggetto di esame, ricorrono gli estremi per ritenere imputabili all”amministrazione i danni conseguiti alla illegittimità del provvedimento di annullamento dell’aggiudicazione dell’appalto relativo ai lavori di ampliamento del cimitero comunale di Sant’Arpino, entro i limiti che di seguito si vanno ad esporre.

2.1 Come esposto in fatto, parte ricorrente ha partecipato, risultando aggiudicataria, alla gara indetta dal Comune di Sant’Arpino per l’esecuzione dei lavori di ampliamento del cimitero comunale.

Con ricorso innanzi al T.a.r Campania Napoli, iscritto al n. 3456/2005, impugnava la determinazione dirigenziale n. 1 del 21.2.2005, pubblicata in data 23.2.2005, mai notificata, con la quale il responsabile dell’Ufficio Urbanistica ed Edilizia Privata comunale, facendo ricorso al potere di autotutela, annullava la determina dirigenziale n. 45 del 16.11.2004 di aggiudicazione della gara in suo favore, e, contestualmente, rimetteva gli atti al seggio di gara per il riesame delle offerte con esclusione di quelle delle concorrenti che non avevano prodotto la certificazione INPS, INAIL e Cassa Edile in originale, così come previsto al punto 6 del disciplinare di gara. Con il medesimo ricorso agiva per la declaratoria del suo diritto ad ottenere l’aggiudicazione definitiva dell’appalto in questione, e, solo in via subordinata, per il risarcimento del danno ingiusto subito in dipendenza degli atti illegittimi adottati.

Il Ta.r. adito, con sentenza in forma semplificata n.8390/2005 adottata ai sensi dell’art. 9 della legge n. 205/2000 alla medesima camera di consiglio dell’8.06.2005 fissata per la discussione della istanza cautelare, accoglieva il ricorso e per l’effetto annullava il provvedimento di autotutela impugnato.

Dalla motivazione della predetta sentenza si ricava che l’atto di autotutela impugnato era stato motivato dall’amministrazione per la intervenuta presentazione di un ricorso, nelle more respinto, proposto avverso l’aggiudicazione da alcune ditte concorrenti che avevano sostenuto che l’A.t.i. vincitrice doveva essere esclusa per aver prodotto la certificazione INPS non in originale ma in copia conforme.

L’accoglimento del ricorso è stato motivato nella sentenza del T.a.r. per ragioni di illegittimità sostanziale dal momento che il Tribunale ha ritenuto fondato il vizio di manifesta erroneità del provvedimento impugnato, in quanto adottato sull’assunto secondo cui la certificazione INPS dovesse essere depositata soltanto in originale e non anche in copia conforme, assunto quest’ultimo espressamente smentito dalla sentenza n. 1118/2005 con cui lo stesso T.a.r. aveva respinto il ricorso proposto avverso la medesima aggiudicazione auto annullata dal Comune.

Osservava il T.a.r. nella medesima pronuncia, che la illegittimità dell’azione amministrativa era al più "aggravata dal manifestato intendimento di procedere alla rinnovazione delle operazioni di gara, escludendo tutte le imprese che avevano presentato le certificazioni INPS, INAIL e Cassa Edile in copia conforme e non anche in originale" ed aggiungeva altresì che "fondata appare anche la considerazione per cui l’avvenuta presentazione di un ricorso giurisdizionale in sé considerata – prescindendo quindi da un esame condiviso da parte dell’Amministrazione delle censure in questo proposte – non può ritenersi valida ragione per procedere all’annullamento in sede di autotutela degli atti gravati in sede contenziosa", specie considerando che il ricorso giurisdizionale era stato respinto. La domanda risarcitoria veniva in quella sede respinta dovendo a tal fine attendere le successive determinazioni dell’Amministrazione resistente di esecuzione della decisione di merito;

Nelle more, prima della definizione con la sentenza sopra richiamata del giudizio di impugnazione della delibera di autoannullamento dell’aggiudicazione in favore dell’Ati ricorrente, la stazione appaltante, con determina dirigenziale n. 11 del 5 maggio 2005, deliberava di non ammettere alla gara l’A.t.i. A.C. s.n.c. – C. s.r.l. e di aggiudicare i lavori di realizzazione dell’ampliamento del cimitero comunale alla ditta Ge.Co. s.r.l.. L’impugnazione proposta avverso questa ultima delibera dall’Ati ricorrente veniva dichiarata irricevibile per tardività con sentenza T.a.r. Napoli sez.I n. 4394/05.

3. Tanto premesso, destituite di fondamento sono da ritenersi, ad avviso del Collegio, le obiezioni sollevate dall’amministrazione comunale circa la insussistenza dell’elemento soggettivo della colpa.

3.1 In proposito, il Collegio non ignora che, sin dall’arresto giurisprudenziale delineato da Cons. Stato, ad. plen., 3 dicembre 2008, n. 13, l’imputazione della responsabilità nei confronti della pubblica amministrazione è restata disancorata dal dato obiettivo dell’illegittimità dell’azione amministrativa, onde evitare una presunzione di colpa, ma è stato sempre subordinato all’accertamento in concreto della colpa, configurabile allorquando l’adozione dell’atto illegittimo sia avvenuta in violazione delle regole proprie dell’azione amministrativa, desumibili sia dai principi costituzionali in punto di imparzialità e buon andamento, sia dalle norme di legge ordinaria in punto di celerità, efficienza, efficacia e trasparenza, nonché dai principi generali dell’ordinamento in punto di ragionevolezza, proporzionalità e adeguatezza.

Tuttavia, sul punto, occorre prendere atto che la giurisprudenza europea è di recente pervenuta all’affermazione secondo cui la direttiva del Consiglio 21 dicembre 1989, 89/665/CEE, che coordina le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative relative all’applicazione delle procedure di ricorso in materia di aggiudicazione degli appalti pubblici di forniture e di lavori, come modificata dalla direttiva del Consiglio 18 giugno 1992, 92/50/CEE, deve essere interpretata nel senso che essa osta a una normativa nazionale, la quale subordini il diritto a ottenere un risarcimento a motivo di una violazione della disciplina sugli appalti pubblici da parte di un’amministrazione aggiudicatrice al carattere colpevole di tale violazione, anche nel caso in cui l’applicazione della normativa in questione sia incentrata su una presunzione di colpevolezza in capo all’amministrazione suddetta, nonché sull’impossibilità per quest’ultima di far valere la mancanza di proprie capacità individuali e, dunque, un difetto di imputabilità soggettiva della violazione lamentata. In questo senso, la Corte di Giustizia ha evidenziato, da un lato, come il tenore letterale degli artt. 1 n. 1, e 2 nn. 1, 5 e 6, nonché del sesto "considerando" della direttiva 89/665, non indichino in alcun modo che la violazione delle norme sugli appalti pubblici atta a far sorgere un diritto al risarcimento a favore del soggetto leso debba risultare connessa ad una colpa, comprovata o presunta, dell’amministrazione aggiudicatrice, oppure non ricadere sotto alcuna causa di esonero di responsabilità; e, dall’altro, come l’art. 2 n. 6, secondo comma, della direttiva 89/665 riconosca agli Stati membri la facoltà di prevedere che, dopo la conclusione del contratto successiva all’aggiudicazione dell’appalto, i poteri dell’organo responsabile delle procedure di ricorso siano limitati alla concessione di un risarcimento. In tale contesto, il rimedio risarcitorio può dunque costituire, ad avviso della Corte, un’alternativa procedurale compatibile con il principio di effettività, sotteso all’obiettivo di efficacia dei ricorsi perseguito dalla citata direttiva, alla sola condizione che la possibilità di riconoscere un risarcimento in caso di violazione delle norme sugli appalti pubblici non sia subordinata alla constatazione dell’esistenza di un comportamento colpevole tenuto dall’amministrazione aggiudicatrice (cfr. Corte di Giustizia CE, sez. III, 30 settembre 2010, n. 314).

La richiamata giurisprudenza comunitaria sembra produrre nel nostro ordinamento l’effetto, sia pure circoscritto al settore degli appalti pubblici, di svincolare la responsabilità dell’amministrazione dall’accertamento della colpa, quand’anche ricavata presuntivamente dalla illegittimità degli atti posti in essere dalla P.A..

3.2 Ora, nella fattispecie in esame, il rilievo della violazione delle regole di imparzialità e buon andamento, nonché di buona fede e correttezza qualificano il comportamento dell’amministrazione resistente in modo tale da concretarne la responsabilità per danno consequenziale all’annullamento di un provvedimento amministrativo illegittimo.

Ciò in quanto la decisione del Comune di Sant’Arpino di non ammettere alla gara l’A.t.i. A.C. s.n.c. – C. s.r.l. e di aggiudicare i lavori di realizzazione dell’ampliamento del cimitero comunale è stata adottata con determina dirigenziale n. 11 del 5 maggio 2005 ossia quando già era stata depositata e resa pubblica la sentenza n. 1118 del 16.02.2005 con cui il T.a.r. Campania respingeva il ricorso proposto da altra ditta concorrente avverso l’aggiudicazione della gara all’Ati ricorrente. L’amministrazione comunale è restata del tutto incurante del dictum giurisdizionale con cui il T.a.r. si pronunciava sulla legittimità dell’atto di annullamento dell’aggiudicazione alla ricorrente della gara in questione. La pronuncia di annullamento è intervenuta tempestivamente rispetto all’iter di prosecuzione della gara, dal momento che il T.a.r. Campania Napoli sez. I, in data 8.06.2005, alla camera di consiglio fissata per la discussione della domanda cautelare, ha emesso sentenza in forma semplificata di accoglimento, ritenendo il ricorso manifestamente fondato proprio sul punto della motivazione posta dalla p.a. a base dell’atto di autoannullamento. Il T.a.r. adito ha ravvisato una illegittimità evidente del provvedimento di autotutela adottato dal Comune che aveva illegittimamente ritenuto inidonea a soddisfare le prescrizioni del disciplinare di gara la certificazione Inps prodotta in copia conforme.

Il Comune intimato, con il suo comportamento, ha dimostrato di non tenere conto delle statuizioni di cui alle predette pronunce giurisdizionali, non essendosi costituito nei predetti giudizi, e non avendo dedotto in questa sede nemmeno di aver interposto appello avverso alcuna delle predette pronunce giurisdizionali, onde contrastarne gli effetti.

Si è innanzi chiarito che dalla motivazione della sentenza T.a.r. Napoli n.8390/2005 si ricava che già all’epoca era evidente il proposito del Comune di proseguire la gara, tenendo fermo il provvedimento adottato indipendentemente dall’esito del ricorso proposto dalla ricorrente risultata aggiudicataria. Ed infatti il Collegio rilevava in motivazione che l’illegittimità dell’azione amministrativa era al più "aggravata dal manifestato intendimento di procedere alla rinnovazione delle operazioni di gara, escludendo tutte le imprese che avevano presentato le certificazioni INPS, INAIL e Cassa Edile in copia conforme e non anche in originale".

Quindi, nonostante sin dall’8.06.2005 fosse stata depositata la sentenza con cui il Tar annullava l’atto di autotutela, il Comune, invece di ottemperare alla citata pronuncia di primo grado dotata di immediata efficacia esecutiva, si sottraeva agli effetti vincolanti della sentenza, e, nell’ottobre del 2005, procedeva alla consegna dei lavori al terzo risultato aggiudicatario nonostante fosse venuta meno l’efficacia dell’atto di annullamento della prima aggiudicazione in favore della parte ricorrente. Ciò ha determinato altresì l’impossibilità per il T.a.r., adito dalla ricorrente in sede di esecuzione della sentenza n. 8390/2005 resa tra le parti, di adottare i provvedimenti opportuni, proprio in virtù della intervenuta consegna dei lavori alla GE.CO. s.r.l. in via definitiva già dal 10 ottobre 2005. Sicchè con sentenza n.2194 del 15.03.2007 veniva accolta la domanda risarcitoria poi annullata dal Consiglio di Stato con decisione n.4276/2008, risultando inammissibile la pronuncia di risarcimento del danno in sede di ottemperanza.

4. Di qui consegue, in maniera evidente, che la mancata aggiudicazione della gara in favore della ricorrente deve ritenersi imputabile in via esclusiva al comportamento colposo tenuto dall’amministrazione comunale. Quest’ultima, infatti, stante la tempestività della pronuncia n.8390 dell’8.06.2005 si era trovata nelle condizioni di emendare i vizi procedimentali in cui era incorsa con l’adozione di un illegittimo atto di auto annullamento dell’aggiudicazione. Tuttavia ha inteso perseverare nel dare attuazione al provvedimento di riaggiudicazione della gara adottato su presupposti illegittimi, senza tener conto della reviviscenza della prima aggiudicazione per effetto della intervenuta pronuncia di annullamento giurisdizionale.

Alla luce di quanto sopra risulta comprovato che la Ati ricorrente si era trovata nelle condizioni procedimentali di poter ottenere l’aggiudicazione dei lavori e che la mancata aggiudicazione in suo favore è imputabile in via esclusiva al comportamento del Comune, avendo la ricorrente azionato tutti i rimedi che l’ordinamento le riconosce per perseguire l’affidamento dei lavori.

5. Venendo, quindi, al piano del danno risarcibile in concreto, innanzitutto non spetta alla parte ricorrente il rimborso delle spese sostenute per la partecipazione alla gara, ivi incluse le spese per la costituzione in A.T.I. in quanto strumentali alla predisposizione dei requisiti di partecipazione, trattandosi di costi di impresa destinati a gravare sui concorrenti indipendentemente dall’esito della procedura (cfr., ex plurimis, Cons. Stato, sez. V, 15 febbraio 2010, n. 808). La giurisprudenza è costante nell’affermare che le spese di partecipazione alla gara non spettino nel caso di domanda di risarcimento danni per mancata aggiudicazione, dal momento che la società avrebbe, comunque, sostenuto tali spese anche in caso di aggiudicazione, in quanto la partecipazione ad una gara di appalto implica dei costi che, ordinariamente, restano a carico dei soggetti che abbiano inteso prenderne parte, sia in caso di aggiudicazione, sia in caso di mancata aggiudicazione. (T.A.R. Lazio Roma, sez. I, 23 marzo 2010, n. 4555; Cons. Stato, sez. VI, 9 giugno 2008, n. 2751). In tali ipotesi, la giurisprudenza ha altresì chiarito che il costo delle spese di partecipazione in termini economici costituisce il "prezzo" dell’acquisto di una opportunità di guadagno e, come tale, esso va considerato non alla stregua di un indennizzo, ma di un costo sopportato a fronte dello stesso svolgimento dell’attività imprenditoriale, non suscettibile di risarcimento o di indennizzo, atteso che esso, ove riconosciuto, farebbe conseguire all’impresa a un beneficio maggiore di quello che deriverebbe dall’aggiudicazione (Consiglio Stato, sez. VI, 21 maggio 2009, n. 3144; C.d.S. sez.V 15.02.2010 n.808).

Ciò posto, a titolo di danno emergente, identificabile nella perdita di chances connessa al depauperamento delle capacità tecniche ed economiche dell’impresa per effetto della mancata aggiudicazione della gara, può procedersi alla liquidazione del danno in via equitativa nella misura del 1,5% del prezzo offerto dalla ricorrente, considerata anche l’insufficiente allegazione e prova, da parte di quest’ultima, delle singole voci componenti il predetto danno (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 19 giugno 2006, n. 3601; sez. V, 6 dicembre 2006, n. 7194).

5.1 Quanto all’utile ritraibile dall’esecuzione dell’appalto, come noto, a partire dal 2008 la giurisprudenza del Consiglio di Stato si è orientata nel senso che la quantificazione forfettaria nella misura del 10% dell’importo offerto non sia accoglibile, comportando un indebito arricchimento della impresa ricorrente. Infatti, l’utile che le imprese traggono dall’aggiudicazione dell’appalto è mediamente di molto inferiore a tale percentuale. Il criterio del dieci per cento è stato desunto da alcune disposizioni in tema di lavori pubblici, che riguardano però altri istituti, come l’indennizzo dell’appaltatore nel caso di recesso dell’amministrazione committente o la determinazione del prezzo a base d’asta. Tale riferimento, pur evocato come criterio residuale in una logica equitativa, conduce di regola al risultato che il risarcimento dei danni è per l’imprenditore ben più favorevole dell’impiego del capitale.

Pertanto, ritiene il Collegio che, avuto riguardo alla media dell’utile ordinariamente percepito dalle imprese aggiudicatarie, occorra ridurre la percentuale predetta in via equitativa del 50%, per risultare così pari al 5% dell’importo offerto in gara (cfr. Cons. Stato, sez. V, 24 ottobre 2002, n. 5860; sez. IV, 11 ottobre 2006, n. 6059; 31 ottobre 2006, n. 6456; sez. VI, 9 novembre 2006, n. 6608; 9 marzo 2007, n. 1114; sez. IV, 7 settembre 2007, n. 4722; sez. V, 14 aprile 2008, n. 1666; sez. VI, 9 giugno 2008, n. 2751; TAR Emilia Romagna, Parma, sez. I, 6 febbraio 2008, n. 90; TAR Campania, Salerno, sez. I, 14 febbraio 2008, n. 203; TAR Lazio, Latina, sez. I, 10 aprile 2008, n. 355; TAR Campania, Napoli, sez. I, 3 luglio 2008, n. 6820; TAR Sardegna, sez. I, 12 agosto 2008, n. 1721).

5.2 In conclusione, la domanda di risarcimento per equivalente monetario avanzata dalla Ati ricorrente deve essere accolta nella misura del complessivo importo di euro 79.371,92(settantanovemilatrecentosettantuno/92) pari alla somma dell’importo di euro 61.055,33 (sessantunomilacinquantacinque/33), corrispondente al 5% del prezzo offerto in gara di euro 1.221.106,62 (unmilioneduecentoventunomilacentosei/62), e dell’importo di euro 18.316,59 (diciottomilatrecentosedici/59), pari all’1,5% della stessa offerta.

Sulla somma calcolata in base a quanto innanzi compete, invero, la rivalutazione monetaria secondo gli indici Istat, trattandosi di debito di valore, con decorrenza dalla stipula del contratto con la ditta aggiudicataria, da cui in concreto è iniziato a scaturire il pregiudizio di cui si è detto, e fino alla data di deposito della presente decisione (momento in cui il debito di valore si trasforma in debito di valuta per effetto della liquidazione giudiziale). Sulla somma così rivalutata non devono aggiungersi gli interessi nella misura legale con pari termini iniziale e finale, poiché altrimenti si produrrebbe l’effetto di far conseguire al creditore una ingiusta locupletazione del danno ossia più di quanto lo stesso avrebbe ottenuto nel caso di assegnazione dell’appalto (cfr. Cons. Stato sez.V 30.07.2008 n.3806; Cons. Giust. Reg. Sicilia, 22 aprile 2005 n. 276, nonché Cons. St., Sez. IV, 28 aprile 2006 n. 2408, richiamata dall’appellante, e da ultimo 22 marzo 2007 n. 1377). Vanno invece corrisposti gli interessi nella misura legale solo a decorrere dalla data di deposito della presente decisione fino all’effettivo soddisfo.

Le spese processuali seguono la soccombenza e vanno liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, condanna il Comune di Sant’Arpino al risarcimento per equivalente del danno cagionato alla parte ricorrente, nei sensi di cui in motivazione.

Condanna il Comune medesimo al pagamento delle spese processuali, nella misura di euro 750,00 (settrecentocinquanta/00) in favore della parte ricorrente.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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