T.A.R. Piemonte Torino Sez. I, Sent., 09-09-2011, n. 955 Commissione giudicatrice

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Parte ricorrente ha impugnato gli atti in epigrafe deducendo i seguenti motivi di ricorso:

Violazione o falsa applicazione di legge con riferimento all’art. 7 della l. n. 241/1990. Omessa comunicazione di avvio del procedimento. Eccesso di potere per irragionevolezza ed illogicità manifesta. Lamenta parte ricorrente che l’amministrazione procedente abbia omesso di comunicare l’avvio del procedimento di verifica che ha portato a rilevare una incompatibilità tra il commissario prof. C. e il ricorrente V.; tanto ha precluso agli interessati la partecipazione procedimentale.

Violazione o falsa applicazione di legge con riferimento alla motivazione del provvedimento impugnato. Eccesso di potere per difetto e/o incompletezza di istruttoria. Illogicità manifesta. Contesta il ricorrente la sussistenza della situazione di incompatibilità, poiché il commissario C. e il ricorrente rivestono all’interno di una società la mera posizione di soci di capitale, con incarico di amministratori senza delega; in ogni caso, anche ritenendo la sussistenza della ragione di incompatibilità, l’amministrazione avrebbe dovuto informarne la commissione per le opportune valutazioni.

Violazione e falsa applicazione degli artt. 51 e 52 c.p.c.. Tassatività delle ipotesi di incompatibilità e divieto di applicazione analogica. La carica ricoperta dai due interessati non rientra tra quelle tassativamente indicate nei suddetti articoli.

Illegittimità del provvedimento impugnato per abnormità dello stesso. Mancata espressione di voto favorevole da parte del prof. C. nei confronti del ricorrente (prova di resistenza). La posizione del commissario contestato è risultata indifferente rispetto al ricorrente, non avendo il primo votato a suo favore.

Deve premettersi una breve ricostruzione in fatto, anche a fronte delle inesattezze esposte nelle censure di parte ricorrente.

Con il decreto rettorale impugnato è stata disposta la non approvazione e conseguente annullamento degli atti concorsuali della commissione giudicatrice del concorso per un posto da professore universitario di ruolo di prima fascia per il settore scientifico disciplinare ICAR/08 (Scienza delle costruzioni), procedendo quindi alla nomina di una nuova commissione. L’originaria commissione giudicatrice risultava composta, tra gli altri e quale membro designato, dal prof. C.. All’esito delle valutazioni svolte dalla commissione medesima hanno conseguito tre voti ciascuno i professori V. e M.D.S., risultando quindi idonei.

Trasmessi gli atti al Rettore per l’approvazione, quest’ultimo non ha approvato gli esiti della comparazione, rilevando una illegittimità della procedura poichè il concorrente V. e il Commissario C. sono risultati entrambe amministratori della società "A. Engineering s.r.l. siglabile A. s.r.l.". Ritenuta la circostanza tale da costituire ragione di incompatibilità, con connesso obbligo di astensione, il rettore ha quindi motivatamente invalidato la procedura.

Il ricorrente innanzitutto contesta in fatto (rispettivamente con il secondo e con il terzo motivo di ricorso) che i due interessati ricoprano il ruolo di amministratori, e quindi versino in situazione di incompatibilità per comunanza di interessi economici. La censura dedotta è infondata in fatto. Risulta dalla documentazione in atti (doc. 11 prodotto dallo stesso ricorrente contenente la visura camerale della A. e un verbale di assemblea ordinaria) che l’assemblea totalitaria ordinaria della s.r.l. in contestazione è composta dai componenti del consiglio di amministrazione (quattro soggetti, tra i quali sia il ricorrente che il prof. C.) e da un unico ulteriore socio (S.M.); la società, come si evince dalla visura camerale, ha ad oggetto la "fornitura di servizi di ingegneria e consulenza" (cioè opera nel settore professionale e di docenza di pertinenza del ricorrente e del commissario C.). Quanto al sistema di amministrazione il presidente del Consiglio di amministrazione (Z.Q.C.) ha tutti i poteri di ordinaria amministrazione relativi alla gestione della società "ad eccezione dell’assunzione e del licenziamento del personale dipendente, che insieme ai poteri di straordinaria amministrazione, rimangono di competenza del consiglio di amministrazione".

La società si presenta quindi di minime dimensioni, operante in settore strettamente connesso alle attività professionali dei componenti il consiglio di amministrazione, inclusi il ricorrente e il commissario C.; questi ultimi hanno potere di amministrazione straordinaria. In questo contesto pare evidente la stabile comunanza di interessi economici che integra la contestata ipotesi di incompatibilità. Né evidentemente rileva la circostanza che l’assemblea ordinaria della società A. abbia deliberato, come documentato dal ricorrente, che i componenti il CDA diversi dal presidente non percepiscano per la carica emolumenti; la comunanza di interessi economici non consiste infatti nella percezione di un emolumento quale consigliere di amministrazione ma proprio nella partecipazione, con poteri decisionali, ad una comune attività di impresa in forma societaria.

Tutta la giurisprudenza, che costantemente ribadisce che la mera collaborazione occasionale o scientifica nell’ambito del mondo accademico non integrano ragioni di incompatibilità al fine delle procedure concorsuali, puntualizza tuttavia che tanto vale "a meno che la collaborazione non sia in realtà espressione dell’esistenza di una più solida e stabile comunanza di interessi economici" (C.G.A., 21 settembre 2010, n. 1222; C. Stato sez. IV 8.5.2001, n. 2589). La sussistenza di una società per svolgere in comune l’attività professionale con poteri di amministrazione integra certamente una solida comunanza di interessi economici.

Le doglianze sostanziali, quindi, paiono infondate, avendo correttamente il Rettore ravvisato una circostanza idonea ad inquinare la terzietà e indifferenza di giudizio, che deve strutturalmente caratterizzare i commissari di concorso, rilievo chiaramente esplicitato nell’atto impugnato. Né rileva, in simili ipotesi, la circostanza di come concretamente abbia votato il commissario incompatibile, essendo pacifico che la sua posizione non "terza" sia di per sé elemento idoneo ad inficiare i lavori della commissione.

Sotto il profilo formale il ricorrente lamenta che, in ogni caso, egli avrebbe dovuto essere destinatario di una comunicazione di avvio del procedimento ai sensi dell’art. 7 della l. n. 241 del 1990 (primo motivo di ricorso). Recita l’art. 5 co. 1 del d.p.r. 117 del 23.3.2000: "il Rettore con proprio decreto, accerta, entro trenta giorni dalla consegna, la regolarità degli atti e dichiara i nominativi dei vincitori o degli idonei. Il decreto è comunicato a tutti i candidati ed è trasmesso, unitamente agli atti, alla facoltà che ha richiesto il bando per i successivi adempimenti…". Il provvedimento rettorale impugnato si presenta quindi come segmento di un’unica procedura di complessiva valutazione comparativa dei candidati e non costituisce autonomo procedimento. Trattandosi di segmento endoprocedimentale l’attivazione dei previsti poteri di controllo di regolarità da parte del Rettore non necessitava di alcuna comunicazione di avvio del procedimento. Inoltre è pacifico in giurisprudenza che trattasi di controllo di regolarità formale e sostanziale, sicché correttamente il Rettore ha rilevato un vizio sostanziale di composizione della commissione tale da inficiarne la validità di giudizio. Così comportandosi il Rettore ha fatto corretto uso dei propri ed autonomi poteri di verifica di regolarità della procedura, che, sino al termine del procedimento stesso, ivi inclusa la fase di controllo, prescindono da una istanza di ricusazione eventualmente presentata da un concorrente. La sussistenza di un termine di decadenza in capo al concorrente interessato per far valere ragioni di incompatibilità non preclude infatti la persistenza dell’autonomo potere di controllo del rettore, da esercitarsi nell’apposita fase procedimentale a ciò deputata.

Il ricorso deve essere respinto.

Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate a favore dell’amministrazione; restano compensate con l’interveniente ad opponendum.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte (Sezione Prima)

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto,

respinge il ricorso;

condanna parte ricorrente a rifondere all’amministrazione resistente le spese di lite complessivamente liquidate in Euro 3000,00 oltre IVA e CPA; le spese restano compensate nei confronti dell’interveniente ad opponendum.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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