Cons. Stato Sez. V, Sent., 12-09-2011, n. 5096 Ricorso per revocazione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con la decisione n. 4259 dell’8 settembre 2008 la Quinta Sezione del Consiglio di Stato ha respinto l’appello proposto dalla C.A.E.F. s.r.l. – "Cooperativa Autotrasporti E. F. scarl’ avverso la sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Puglia n. 3811 del 26 ottobre 2006, con la quale era stato dichiarato irricevibile il ricorso principale dalla stessa società proposto avverso la determinazione dirigenziale n. 2291 del 9 dicembre 2004 del Dirigente del Settore Servizi Pubblici del Comune di Barletta (di presa d’atto ed approvazione dei verbali della gara relativa all’affidamento dei servizi di trasporto pubblico locale del Comune di Barletta, nonché di aggiudicazione del servizio alla ditta P. S. e Figlio Autolinee s.r.l.) ed inammissibile il ricorso per motivi aggiunti avverso la nota dirigenziale in data 9 dicembre 2005, con la quale alla ricorrente cooperativa era stato comunicato che gli ulteriori controlli effettuati non avevano evidenziato motivi per adottare provvedimenti modificativi di quelli già assunti.

In particolare i giudici di appello, ritenuta corretta la declaratoria di irricevibilità del ricorso principale (in quanto fin dal 15 dicembre 2004 la ricorrente era a conoscenza dell’aggiudicazione del servizio alla ditta P. S. e Figlio Autolinee s.r.l., così che era tardiva la relativa impugnazione avvenuta con ricorso notificato il 19 febbraio 2005), confermavano anche la pronuncia di inammissibilità del ricorso per motivi aggiunti, sia pur con una motivazione diversa ed in particolare non già, come statuito dai primi giudici, perché l’atto con essi impugnato (anche a volerne ammettere la natura provvedimentale) atteneva ad una diversa vicenda (in particolare di natura urbanistica, affatto pertinente a quella oggetto della gara di appalto), quanto piuttosto perché essi riguardavano ulteriori vizi ulteriori dei medesimi atti già impugnati col ricorso principale (e non atti connessi con l’oggetto di quello), con la conseguenza che la sua irricevibilità ne determinava irrimediabilmente l’inammissibilità.

2. Con atto ritualmente e tempestivamente notificato la C.A.E.F. s.r.l. – "Cooperativa Autotrasporti E. F. – Società Cooperativa a r.l." ha chiesto la revocazione della ricordata decisione della Quinta Sezione del Consiglio di Stato, ai sensi dell’art. 395, n. 4, c.p.c., in relazione alla pronuncia di conferma dell’inammissibilità dei motivi aggiunti ed alla omessa pronuncia sulla domanda di risarcimento del danno proposta in primo grado.

Secondo la società ricorrente, innanzitutto diversamente da quanto ritenuto dai giudici di appello, i motivi aggiunti non concernevano vizi ulteriori dei medesimi atti già impugnati con il ricorso originario (così che all’irricevibilità del ricorso principale non poteva conseguire la loro inammissibilità), riguardavano invece un atto (la nota in data 9 dicembre 2005 del Dirigente del Settore Ambiente e Servizi Pubblici del Comune di Barletta) connesso con l’oggetto del ricorso principale: ciò integrava evidente gli estremi dell’errore di fatto sull’apprezzamento dell’atto impugnato e dei suoi rapporti con il ricorso principale.

Inoltre i giudici di appello, sempre ad avviso della ricorrente, avevano omesso di pronunciarsi sulla domanda di risarcimento del danno proposta sia con il ricorso principale, sia con i motivi aggiunti, anche tale omissione costituendo una "svista" e dunque un errore di fatto in ragione del noto indirizzo giurisprudenziale della Corte di Cassazione sulla questione della c.d. pregiudiziale amministrativa, che non può sussistere né nell’ipotesi di mancata impugnazione dell’atto che si ritiene illegittimo, né nel caso l’impugnazione proposta non sia stata esaminata nel merito per la declaratoria di irricevibilità o tardività del ricorso.

Quanto alla fase rescissoria, la ricorrente si è integralmente riportata alle argomentazioni, istanze e domande proposte con l’atto di appello.

3. Hanno resistito alla revocazione sia il Comune di Barletta che la società P. S. & Figlio Autolinee s.r.l., deducendone l’inammissibilità e l’infondatezza ed insistendo per il suo rigetto.

4. La trattazione della causa, già fissata per la trattazione all’udienza pubblica del 5 giugno 2009 è stata rinviata per la pendenza avverso la stessa decisione di un ricorso innanzi alla Corte Suprema di Cassazione per la denunciata lesione di ragioni attinenti alla giurisdizione.

Successivamente, con istanza depositata in data 18 marzo 2010, essendo nel frattempo intervenuta la decisione della Corte di Cassazione (SS.UU. 18 febbraio 2010, n. 3879), è stata chiesta la fissazione di una nuova udienza di trattazione del merito.

Le parti hanno illustrato con apposite memorie le proprie rispettive tesi difensive.

5. All’udienza pubblica del 21 giugno 2011, dopo la rituale discussione, la causa è stata trattenuta in decisione.

Motivi della decisione

6. Il ricorso per revocazione è inammissibile.

6.1. Con riguardo al primo motivo, con il quale, come già esposto in fatto, è stato sostenuto che i giudici di appello con un evidente errore di fatto avevano ritenuto che i motivi aggiunti proposti in primo grado riguardassero ulteriori vizi degli atti della serie negoziale investiti con il ricorso principale, laddove si trattava dell’impugnazione di un atto soltanto connesso con quello (così che la irricevibilità del primo non poteva riverberarsi in alcun modo sui secondi), la Sezione osserva che, secondo un consolidato indirizzo giurisprudenziale (ex plurimis, C.d.S., sez. VI, 9 febbraio 2009, n. 708; 17 dicembre 2008, n. 6279; C.d.S., sez. IV, 24 gennaio 201, n. 503, 23 settembre 2008, n. 4607; 16 settembre 2008, n. 4361; 20 luglio 2007, n. 4097; e meno recentemente, 25 agosto 2003, n. 4814; 25 luglio 2003, n. 4246; 21 giugno 2001, n. 3327; 15 luglio 1999 n. 1243; C.G.A., 29 dicembre 2000 n. 530) l’errore di fatto, idoneo a fondare la domanda di revocazione ai sensi dell’art. 81 n. 4 del R.D. 17 agosto 1907 n. 642 e dell’art. 395 n. 4 C.P.C., deve rispondere a tre distinti requisiti, consistenti: a) nel derivare da una pura e semplice errata od emessa percezione del contenuto meramente materiale degli atti del giudizio, la quale abbia indotto l’organo giudicante a decidere sulla base di un falso presupposto di fatto, facendo cioè ritenere esistente un fatto documentalmente escluso o inesistente un fatto documentalmente provato; b) nell’attenere ad un punto non controverso e sul quale la decisione non abbia espressamente motivato; c), infine, nell’essere stato un elemento decisivo della decisione da revocare, necessitando cioè un rapporto di causalità tra l’erronea supposizione e la pronuncia stessa.

L’errore di fatto revocatorio consiste quindi in un abbaglio dei sensi, per effetto del quale si determina un contrasto tra due diverse proiezioni dello stesso oggetto, l’una emergente dalla sentenza e l’altra risultante dagli atti e documenti di causa; esso può essere apprezzato solo quando risulti da atti o documenti ritualmente acquisiti agli atti del giudizio, con esclusione, quindi, delle produzioni inammissibili.

Sennonché, nel caso in esame, la questione relativa all’esatta individuazione dell’oggetto dei motivi aggiunti non solo ha costituito un punto della controversia su cui vi è stata apposita motivazione (tant’è che i giudici di appello non si sono limitati alla mera conferma della statuizione di inammissibilità di prime cure, avendola invece diversamente motivata), per quanto il presunto errore da cui sarebbe affetto la sentenza revocanda non attiene all’esistenza o meno di un "fatto" decisivo (cioè l’effettiva natura dell’ulteriore atto impugnato con i motivi aggiunti), bensì alla sua interpretazione ed al suo apprezzamento ai fini della decisione.

L’inesatta valutazione degli atti e, più in generale, delle risultanze processuali o anche un’anomalia nel procedimento logico di interpretazione del materiale probatorio non integra tuttavia gli estremi dell’errore di fatto, costituendo invece un errore di giudizio, tanto più che, com’è noto, la revocazione non può trasformarsi in un ulteriore grado di giudizio su di una controversia (C.d.S., sez. V, 11 agosto 2010, n.5630; sez. IV, 2 novembre 2009).

Di qui l’inammissibilità del motivo in esame.

6.2. Con il secondo mezzo di revocazione la ricorrente ha sostenuto che i giudici di appello avrebbero omesso di pronunciarsi sulla domanda risarcitoria, non potendo considerarsi esentato il giudice amministrato dall’obbligo di una pronuncia sul punto in ragione della c.d. pregiudizialità amministrativa, irrilevante essendo al riguardo la pronuncia di irricevibilità e di inammissibilità del ricorso e dei motivi aggiunti per il mancato annullamento degli atti impugnati.

Al riguardo la Sezione osserva, che indipendentemente da ogni questione in ordine alla c.d. pregiudiziale amministrativa (questione che attiene al merito del giudizio e quindi alla eventuale fase rescissoria), deve essere escluso che nel caso in esame sussista il dedotto vizio di omessa pronuncia, idoneo a supportare la domanda di revocazione.

Infatti la giurisprudenza ha ammesso che l’omessa pronuncia possa costituire un errore di fatto revocatorio (Cons. Stato, Sez. IV, 26 aprile 2006 n. 2282; 26 luglio 2004 n. 5292; 4 febbraio 2004 n. 388 e Cass. civ, Sez. II, 9 settembre 2003 n. 13147; sez. I, 20 dicembre 2002 n. 18152), solo allorquando dalla lettura della sentenza risulti evidente che in nessun modo il giudice abbia preso in esame la censura medesima (C.d.S., sez. V, 19 marzo 2007, n. 1300)..

Nel caso di specie, dalla lettura della sentenza di primo grado (pag. 2) emerge espressamente che i giudici avevano rilevato la presenza delle domande risarcitorie, spiegate sia con il ricorso principale che con i motivi aggiunti, dandone atto nelle richieste formulate dalla parte ricorrente; ad analoga conclusione deve giungersi anche con riferimento alla sentenza di appello (revocanda), laddove, alla pagina 4, si legge testualmente: "L’appellante ha quindi espressamente riproposto le censure avanzate in primo grado e che non erano state esaminate dal TAR in quanto considerate assorbite".

Alla luce di tali rilievi deve negarsi che, come sostenuto dalla ricorrente, si sia in presenza di una omessa pronuncia, laddove deve ammettersi che sia i primi giudici che quelli di appello hanno ritenuto implicitamente inammissibile la domanda risarcitoria per effetto della irricevibilità del ricorso principale e dell’inammissibilità dei motivi di appello, circostanza che eventualmente può solo integrare gli estremi dell’errore di diritto.

Del resto recentemente la Sezione, con la sentenza n. 6502 dell’8 settembre 2010, ha rilevato, richiamando anche specifici precedenti che "…quando la sentenza dà espressamente atto della presenza e della disponibilità per l’esame del giudicante degli atti defensionali con i quali il ricorrente ha proposto la domanda, né vi è alcun indizio che tale esame non sia avvenuto, anche se la valutazione negativa dell’eccezione non è stata esternata, si tratta, semmai, di una carenza o di difetto di motivazione, non di errore di fatto (cfr. Cons. St., sez. IV, 25.3.2005, n. 1302)".

7. Alla stregua di tali osservazioni il ricorso per revocazione deve essere dichiarato inammissibile.

La peculiarità della fattispecie giustifica la compensazione delle spese di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quinta, definitivamente pronunciando sul ricorso proposto dalla C.A.E.F. s.r.l. – Cooperativa Autotrasporti E. F. scarl’ per la revocazione della sentenza della Quinta Sezione del Consiglio di Stato n. 4259 dell’8 settembre 2008, lo dichiara inammissibile.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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