Cass. civ., sez. V 24-11-2006, n. 24975 Obbligatorietà – Mancata o irrituale notificazione – Conseguenze – Invalidità derivata dell’avviso di mora

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

1. Fatto e Svolgimento del processo

1.1. Il 6 aprile 2000 è notificato alla signora A.M.T. un ricorso della S. S.p.a. per la cassazione della sentenza indicata in epigrafe, che ha accolto l’appello del contribuente contro la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Perugia n. 688/07/96, che aveva respinto il suo ricorso contro l’avviso di mora n. 6017917 in tema di Irpef 1989.

1. 2. l fatti di causa sono così riassunti dalla parte ricorrente:

a) l’11 marzo 1996 la concessionaria S. S.p.a. notifica alla signora A.M.T. l’avviso di mora n. 6017917, conseguente alla cartella esattoriale n. 6004808, irritualmente notificata e non pagata;

b) la contribuente impugna l’avviso di mora dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Perugia, eccependo l’irregolarità della notificazione della cartella di pagamento;

c) il ricorso è stato rigettato dal giudice di primo grado, sul rilievo che la mancata notifica della cartella esattoriale risulta sanata dalla successiva notifica dell’avviso di mora ex art. 30, comma 3, del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602;

d) l’appello della contribuente, invece, veniva accolto dalla Commissione tributaria regionale di Perugia, con la sentenza ora impugnata per cassazione.

1.3. La sentenza della Commissione tributaria regionale, oggetto del ricorso per cassazione, è così motivata:

a) è fondato il motivo di appello con il quale la contribuente, da un lato, denuncia la carenza di elementi documentali necessari per accertare in maniera oggettiva la materia del contendere e, dall’altro, deduce l’irrituale notificazione della cartella esattoriale, che ne determinerebbe l’invalidità non sanabile e non sanata per effetto della successiva rituale notifica dell’avviso di mora;

b) infatti, dall’art. 30, comma 3, del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, secondo cui "L’indennità di mora è dovuta, dopo il decorso di cinque giorni dalla notifica dell’avviso di mora quando l’esattore non abbia notificato la cartella di pagamento ovvero ?", si desume che la cartella di pagamento e l’avviso di mora sono atti autonomi, nel senso che, se la cartella non viene notificata, a tale omissione supplisce l’avviso di mora; sennonché, se la cartella di pagamento è stata notificata, ma irritualmente, così che l’anomala procedura non ha raggiunto lo scopo di portare a conoscenza dell’interessato l’atto notificando, la successiva notificazione dell’avviso di mora è preclusa dall’art. 30, comma 3, del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, e, comunque, sotto il profilo sostanziale, la successiva notificazione dell’avviso di mora non sana l’invalidità della notificazione della cartella di pagamento;

c) ne consegue che la notificazione dell’avviso di mora non può ritenersi effettuata in assenza della notificazione della cartella di pagamento, la quale, secondo le affermazioni dell’appellante non smentite dalla controparte, è stata consegnata all’organo notificatore, che, tuttavia, non ha rispettato le norme di procedura per le ipotesi in cui la consegna dell’atto non avvenga a mani proprie del suo destinatario;

d) erra la Commissione tributaria provinciale di Perugia quando afferma che la mancata notifica della cartella esattoriale risulta sanata dalla successiva notifica dell’avviso di mora. Tale assunto, infatti, non risulta avvalorato dall’art. 30, comma 3, del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, perché esso prevede che, al di là dell’obbligo del pagamento dell’indennità di mora, e affinché sia valida la pretesa tributaria, non vi deve essere stata notificazione della precedente cartella di pagamento, mentre nel caso di specie essa è stata irritualmente notificata, con la conseguenza che l’avviso di mora non supplisce all’irrituale notificazione della cartella, ma è un atto esecutivo di essa.

1.4. Il ricorso per cassazione della S. S.p.a. è sostenuto con un solo, articolato motivo di impugnazione e si conclude con la richiesta che sia cassata la sentenza impugnata, con ogni conseguente statuizione, anche in ordine alle spese processuali.

2. Diritto e Motivi della decisione

2.1. Il ricorso non può trovare accoglimento

2.2. Con l’unico, articolato motivo di impugnazione si denuncia la violazione e la falsa applicazione degli artt. 45,46 e 30 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, 156, 159 e 160 del codice di procedura civile, 19 del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, oltre all’inesistenza della motivazione o, comunque, la sua carenza, la sua insufficienza e la sua contraddittorietà su un punto decisivo della controversia.

2.3. Secondo la società ricorrente, nel procedimento di riscossione coattiva previsto dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, la cartella esattoriale e la sua notificazione al contribuente, pur costituendo un obbligo per l’esattore ex art. 25, svolgerebbe una funzione meramente estrinseca e di semplice notizia, tanto è vero che, per prassi consolidata, quanto assolutamente notoria, formatasi prima dell’entrata in vigore del D.Lgs. 26 febbraio 1999, n. 46, la maggior parte delle cartelle non sarebbe stata notificata, ma semplicemente recapitata al contribuente. Solo successivamente, con il D.Lgs. 26 febbraio 1999, n. 46, la cartella esattoriale avrebbe radicalmente mutato la propria natura giuridica, assorbendo in sé la funzione del soppresso avviso di mora, con la conseguenza che se ne è disposta la formale notificazione (artt. 11 e 12). Poiché, dunque, la cartella esattoriale costituirebbe un semplice adempimento di pubblicità del ruolo, sarebbe del tutto irrilevante ed estrinseco l’iter del procedimento coattivo. Invero, gli artt. 45 e 46 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, disporrebbero che l’esecuzione coattiva procede in virtù del ruolo, che rappresenterebbe il titolo esecutivo, nonché in virtù dell’avviso di mora, che riprodurrebbe integralmente i contenuti della cartella e che costituirebbe l’unica formalità preliminare cui sarebbe subordinata la procedibilità dell’azione espropriativa. Ne deriverebbe che l’omessa o irregolare notifica della cartella esattoriale non potrebbe invalidare il successivo e indipendente avviso di mora regolarmente notificato. Ciò sarebbe confermato anche dall’art. 30, comma 3, del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602.

Inoltre, la motivazione della sentenza sarebbe difettosa e contraddittoria, perché, senza specificare quale sia stata la causa dell’irregolarità della notificazione della cartella di pagamento, vi avrebbe collegato un effetto più grave – l’insanabilità da parte della notificazione dell’avviso di mora – di quello che è connesso dalla legge all’omessa notificazione della cartella di pagamento.

Infine, e in ogni caso, alla notificazione dell’avviso di mora si applicherebbe l’art. 156 del codice di procedura civile per il richiamo ad esso operato dall’art. 45 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, con la conseguenza che la sua notificazione avrebbe conseguito lo stesso effetto che avrebbe prodotto la notificazione della cartella di pagamento.

2.4. Il motivo è infondato per le ragioni che questa Corte ha già illustrato in Cass. n. 7649/2006, condivise dal Collegio, qui di seguito ripetute.

La normativa applicabile ai fatti di causa è quella vigente nel 1996, prima cioè che intervenissero le modificazioni introdotte dal D.Lgs. 26 febbraio 1999, n. 46, con efficacia, ex art. 39, dal 1° luglio 1999. Nel 1996 la riscossione era regolata dal testo originario del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, il cui art. 24 disciplinava la consegna dei ruoli all’esattoria e il cui art. 25 assumeva ad oggetto la cartella di pagamento, disponendone la notificazione obbligatoria e regolandone la struttura.

L’art. 26, poi, disciplinava minuziosamente la notificazione della cartella di pagamento. Infine, l’art. 30 si occupava dell’indennità di mora e il suo comma 3 prevedeva che essa "è dovuta dopo il decorso di cinque giorni dalla notificazione dell’avviso di mora quando l’esattore non abbia notificato la cartella di pagamento ?".

In particolare, dall’art. 26, comma 1, del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, si desume che l’operazione di conoscenza cui doveva essere sottoposta la cartella di pagamento era la notificazione, perché se ne disponeva la trasmissione, a cura del concessionario, con il vincolo di procurarsi la prova della ricezione da parte del contribuente o attraverso la relazione di notificazione del messo notificatore dell’esattoria o dell’ufficio esattoriale o dell’ufficiale giudiziario o, se si incaricava della notificazione l’ufficiale postale, attraverso lo strumento della raccomandata con avviso di ricevimento. In sostanza, era onere del concessionario di procurarsi la prova che il contribuente era stato messo nella situazione giuridica oggettiva di conoscibilità della cartella di pagamento, con la conseguenza, sotto il profilo negativo, che la mancata notificazione era da equiparare all’irrituale notificazione, perché tanto l’una quanto l’altra erano improduttive di conoscibilità.

Di fronte ad una previsione normativa così chiara e così precisa, è palesemente infondata la tesi della società ricorrente, secondo cui sarebbe prassi consolidata e notoria che la cartella sia semplicemente "recapitata", cioè che la cartella sia sottoposta all’operazione di conoscenza della mera comunicazione. Infatti, a parte la considerazione che è già di per sé sufficiente rilevare che tale tesi contrasta con l’art. 26, commi 1 e 3, del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, pretendere che una consuetudine, peraltro di dubbia formazione, abbia la forza di abrogare una norma scritta di rango primario urta contro l’inammissibilità della consuetudo contra legem, prevista dall’art. 8, comma 1, delle disposizioni sulla legge generale premesse al vigente codice civile (R.D. 16 marzo 1942, n. 262).

D’altra parte, i comandi normativi hanno, per loro natura, una forza giuridica tale da assicurarne la vigenza indipendentemente dalla dimensione quantitativa che sia, di fatto, assunta dai comportamenti devianti di alcuni soggetti dell’ordinamento giuridico, con la conseguenza che – in base al noto brocardo secondo cui due torti non fanno una ragione – nessuno può avanzare una pretesa che sia basata su precedenti violazioni della legge, neanche se tali violazioni siano numerose e diffuse. In sostanza, non può trovare alcun accoglimento la constatazione che "così fan tutti".

Ammesso, poi, che davvero esistesse una prassi secondo cui l’operazione di conoscenza avente per oggetto la cartella di pagamento sia stata degradata dalla notificazione, imposta dalla norma, alla mera comunicazione, adottata da alcuni dei suoi destinatari, essa poteva trovare agevole ed autonoma giustificazione sia nell’acquiescenza alla devianza che fosse realizzata da colui che trasmetteva la cartella, sia nell’intensità dell’interpretazione della norma tributaria sostanziale da parte del contribuente, il quale fosse convinto di dover, comunque, per dovere civico, adempiere l’obbligazione tributaria. Ma se quest’ultimo faceva valere il diritto di essere posto correttamente, cioè nei tempi e nei modi previsti da legge, in condizione di conoscibilità dell’atto di imposizione tributaria, sia al fine che fosse garantito il suo diritto di difesa, sia al fine che fosse reso certo il termine entro il quale doveva essere effettuato il pagamento, la sua pretesa trovava solida base nell’art. 26, commi 1 e 3, del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602.

Questa conclusione è confermata dalla disciplina temporale della notificazione della cartella di pagamento. Invero, in base all’art. 25, comma 1, del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, gli esattori dovevano notificare al contribuente la cartella di pagamento non oltre il giorno cinque del mese di scadenza della prima rata successiva alla consegna dei ruoli. In tale articolo non solo si ribadiva che l’operazione di conoscenza della cartella di pagamento era la notificazione, e non la mera comunicazione, ma si fissava anche un termine, la cui natura perentoria è stata più volte affermata da questa Corte. Così, da ultimo, con la sentenza 7 gennaio 2004, n. 10, si è affermato che al riconoscimento della natura perentoria del termine ex art. 25, comma 1, del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, "conducono la formulazione letterale e il tenore logico delle espressioni usate dal legislatore? da cui è dato evincere in modo non equivoco l’obbligo per l’esattore di notificare la cartella di pagamento entro il termine fissato". Nello stesso senso in precedenza si era pronunciata questa Corte con la sentenza 30 luglio 2002, n. 11127.

In ogni caso, la necessità che la notificazione della cartella di pagamento precedesse l’avviso di mora si giustificava anche con l’esigenza di tutelare l’interesse del contribuente ad avere a disposizione tutto il tempo consentito dalla legge per effettuare il pagamento. Tale periodo non poteva essere ridotto dall’esattore a suo piacimento. E ben vero che l’art. 30, comma 3, del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, prevedeva che in tal caso il contribuente non fosse tenuto a pagare l’indennità di mora, ma in tale ipotesi l’omessa notificazione della cartella di pagamento era sanata solo dall’acquiescenza del contribuente che fosse disposto a pagare nonostante fosse stato privato del maggior tempo cui avrebbe avuto diritto per procacciarsi il danaro. Il peso di questa argomentazione, operante nei confronti di tutti i contribuenti, era accresciuto, per la gravità delle sue possibili conseguenze, per l’ipotesi in cui il contribuente fosse un imprenditore, per il quale l’arbitraria riduzione, che fosse operata dal concessionario, del tempo utile per effettuare il pagamento poteva determinare una crisi di liquidità e poteva provocarne l’insolvenza e, quindi l’esposizione al fallimento.

In senso contrario non vale invocare le norme processuali sull’impugnabilità degli atti presupposti non notificati, consentita dall’art. 16 del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, e successivamente dall’art. 19 del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546. Siffatto orientamento interpretativo è stato, invero, seguito da alcune pronunce di questa stessa Sezione, ritenendosi che l’omessa notificazione di un atto preliminare all’avviso di mora non determinerebbe l’invalidità dell’avviso, perché contro di esso, proprio in base alle due disposizioni normative citate, la mancata notificazione di atti autonomamente impugnabili, adottati precedentemente all’atto notificato, ne consente l’impugnazione unitamente quest’ultimo (Corte di cassazione 22 novembre 2002, n. 16464).

In senso contrario si osserva, in primo luogo, che la risoluzione del problema in base alle sole norme processuali presuppone che, in via generale e preliminare, si risolva in maniera radicale il delicato problema interpretativo che si pone ogni volta che il regime di un determinato istituto giuridico debba tener conto della connessione tra le norme sostanziali e le norme processuali che lo assumono ad oggetto. Al riguardo, si ritiene preferibile muovere dal principio che assumano una posizione di preminenza le norme sostanziali e che in sede di interpretazione sistematica e di analisi funzionale delle norme si debbano, poi, tenere nel debito conto, al fine di assicurare la coerenza dei dettati normativi, anche le norme processuali.

Per la risoluzione del problema dell’impugnabilità dell’avviso di mora non si ha motivo di derogare a tale criterio ermeneutico generale. Infatti, se si tiene conto dell’orientamento assunto dalle Sezioni Unite civili di questa Corte con la sentenza 25 maggio 2005, n. 10958, secondo cui "nel caso in cui non sia stato notificato un atto presupposto, c’è la possibilità di far valere anche questioni di merito relative al rapporto tributario", e se si tiene conto del vincolo ad interpretare le norme primarie in senso conforme alla Costituzione, con particolare riguardo, nella questione in esame, ai suoi artt. 3,24 e 113, dall’art. 19 del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, si deve trarre la norma secondo la quale l’impugnazione congiunta di atti presupposti di imposizione tributaria e di atti ad essi conseguenti è un potere del contribuente attinente a una situazione giuridica soggettiva statica di vantaggio della specie della facoltà o del diritto potestativo.

Il contribuente, esercitando pienamente la sua autonomia, può, sulla base della citata disposizione, valutare se abbia interesse ad aprire la discussione giurisdizionale anche sul merito della pretesa tributaria.

L’art. 19, commi 2 e 3, del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, è, dunque, una norma stabilita a favore del contribuente, che gli consente – è la stessa disposizione di legge a usare il verbo "consentire" – di impugnare, solo se lo vuole, tutti gli atti presupposti non notificati o tutti quegli atti che avrebbero dovuto essergli notificati perché autonomamente impugnabili. A conferma di questa interpretazione si consideri che, ove si accogliesse la tesi della società ricorrente, l’ufficio potrebbe procedere sempre all’adozione di atti conseguenti – per esempio, come nella specie, avvisi di mora – senza notificare gli atti presupposti – nella specie, la cartella di pagamento -, o notificandoli irritualmente, perché il contribuente sarebbe vincolato alla loro impugnazione congiunta. ÿ evidente che una tesi siffatta, configurando il potere del contribuente ex art. 19, commi 2 e 3, del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, come una situazione giuridica soggettiva dinamica strumentale rispetto a una situazione giuridica soggettiva statica passiva di onere, anziché come strumentale rispetto a una situazione giuridica soggettiva statica attiva di facoltà o di diritto potestativo, stravolgerebbe l’intero impianto del procedimento di formazione degli atti di imposizione tributaria e vanificherebbe ogni garanzia del diritto di difesa riconosciuto dagli artt. 24 e 113 della Costituzione.

In questo senso le norme processuali relative all’impugnazione degli atti conseguenti sono integrative, ma cedenti rispetto alle norme sostanziali che regolano gli stessi atti e i loro atti presupposti. Il carattere integrativo dell’art. 19 del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, deriva dal fatto che esso, a parte le ipotesi, già evidenziate, di riconoscimento al contribuente di una facoltà di impugnare anche gli atti presupposti non notificati, contiene una clausola di salvaguardia a favore del contribuente per tutte le ipotesi in cui gli atti presupposti debbano essere notificati senz’altro a determinati soggetti, ai quali, in ragione della particolare struttura del rapporto giuridico tributario, può aggiungersi, come destinatario di un atto conseguente di imposizione tributaria, anche un soggetto diverso. ÿ quel che si verifica, per esempio, per il coobbligato solidale, al quale si notifica solo l’avviso di mora (Corte di Cassazione 3 aprile 2003, n. 5179).

Le considerazioni sinora esposte conducono a non riconoscere la fondatezza del motivo di impugnazione. Il principio di diritto che si è individuato e che si oppone all’accoglimento della censura della società ricorrente può essere, dunque, così sinteticamente formulato: la mancata o l’irrituale notificazione della cartella di pagamento determina l’invalidità derivata dell’avviso di mora, in occasione della cui impugnazione è, tuttavia, facoltà del contribuente impugnare, ex art. 19 del D.Lgs. 31dicembre 1992, n. 546, anche la cartella di pagamento non notificata o irritualmente notificata.

Ora, la sentenza impugnata, pur pronunciandosi correttamente, nel dispositivo, a favore del contribuente ha applicato, nella motivazione, un principio parzialmente diverso da quello poc’anzi affermato; infatti, essa ha limitato l’invalidità dell’avviso di mora all’ipotesi di notificazione irrituale della cartella di pagamento, escludendo, invece, che l’omissione di notificazione sia parimenti causa di invalidità. Ne consegue che la motivazione della sentenza deve essere corretta, ex art. 384, comma 2, del codice di procedura civile, nel senso che l’avviso di mora è invalido sia nell’ipotesi di omessa notificazione della cartella di pagamento sia nell’ipotesi della sua irrituale notificazione.

2.5. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato. Il diverso esito dei giudizi di primo e di secondo grado e la natura delle questioni di diritto proposta con il ricorso per cassazione inducono a compensare le spese relative al giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese.

[stampa sentenza]

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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