Cons. Stato Sez. VI, Sent., 12-09-2011, n. 5109 Guardie particolari e istituti di vigilanza privata

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con sentenza n. 1557/05 del 3.10.2005 (che non risulta notificata) il Tribunale Amministrativo Regionale per l’EmiliaRomagna, Bologna, sez. I, respingeva il ricorso proposto dalla società C. – Servizi di Fiducia s.c.a.r.l., avverso il decreto del Prefetto di Ravenna n. prot. 1911/2003 del 17.11.2004, con cui veniva respinta un’istanza di applicazione di tariffe inferiori a quelle cosiddette "di legalità", per servizi di piantonamento fisso con prestazione continuativa contrattualizzata, nonché avverso la diffida prefettizia a praticare tariffe inferiori rispetto a quelle autorizzate (n. prot. 1911/2003/P.A. Area 1 in data 11.10.2004) e degli atti presupposti e conseguenti, con particolare riguardo a quelli inerenti la conferenza di servizi, convocata per la valutazione delle variazioni tariffarie di cui trattasi.

Nella citata sentenza si rilevava, in sintesi, l’inapplicabilità della normativa sul rilascio tacito di autorizzazioni come quella di cui trattasi, essendo prevista una "fascia" tariffaria, nell’ambito della quale l’assenso autorizzativo avrebbe avuto carattere vincolato (con conseguente applicabilità della normativa richiamata dal ricorrente), ma imponendosi per discostamenti da tale ambito – come richiesto nel caso di specie – un provvedimento formalmente emesso, a seguito di rinnovato apprezzamento tecnicodiscrezionale dell’Amministrazione.

Nella situazione in esame detto apprezzamento – una volta effettuato – avrebbe poi condotto l’Amministrazione stessa a valutazioni negative, circa la possibilità di applicare le tariffe proposte, senza perdite e senza corresponsione di retribuzioni inferiori a quelle dovute, in particolare dopo l’entrata in vigore del D.Lgs. 6.11.2001, n. 423, contenente riforma della contribuzione previdenziale ed assistenziale per i soci delle cooperative, in modo tale da equiparare sostanzialmente la contribuzione in questione a quella dei lavoratori dipendenti da impresa.

Solo per il 2004, in effetti, sarebbe rimasto un differenziale, fra le contribuzioni di cui sopra, pari a 0,57 euro all’ora, uguale all’importo della riduzione tariffaria richiesta da C.; tale circostanza, tuttavia, non era ritenuta sufficiente per l’accoglimento del ricorso in primo grado di giudizio, in considerazione del dato oggettivo e incontestato della insussistenza di tale differenziale già dal 2005, in rapporto ad una richiesta di autorizzazione senza limiti di durata, avanzata il 2.2.2004.

In sede di appello (n. 9517/06, notificato il 16.11.2006), la citata società C. sottolineava l’immediata riferibilità della propria richiesta di autorizzazione ad un appalto triennale per il periodo 2004 – 2006, per il quale la medesima aveva già ottenuto l’aggiudicazione in via provvisoria, con richiesta però della stazione appaltante di fornire documentazione, a pena di decadenza, della specifica approvazione della tariffa offerta da parte dell’Ufficio Territoriale del Governo di Ravenna.

Verificata, poi, l’approvazione da parte di detto Ufficio di una tariffa superiore, veniva dichiarata la decadenza dell’aggiudicazione, con indizione di una nuova procedura di gara, nella quale la stessa società otteneva nuovamente, in data 25.2.2004, l’aggiudicazione in via provvisoria, dopo avere presentato il 2.2.2004 denuncia di inizio attività ex art. 19 L. 7.8.1990, n. 241, con specificazione delle tariffe ridotte di cui – per motivate ragioni – era prevista l’applicazione.

Detta aggiudicazione era confermata in via definitiva – dopo nuova procedura contenziosa – a seguito di ordinanza cautelare del Consiglio di Stato n. 2525/04.

La vicenda autorizzativa, tuttavia, si concludeva con gli atti in precedenza ricordati, con i quali il Prefetto di Ravenna respingeva l’istanza di autorizzazione e diffidava la società richiedente dal praticare tariffe inferiori a quelle contenute nella fascia di oscillazione, prevista per le cosiddette tariffe di legalità.

A sostegno delle proprie ragioni, l’appellante richiamava la circolare del Ministero dell’Interno n. 559/14514.10089.D del 15.11.1997, in cui è specificato come il rilascio dell’autorizzazione per l’esercizio di attività di vigilanza privata richieda autorizzazione espressa, mentre l’autorizzazione per semplici variazioni tariffarie sarebbe rientrata nella procedura di silenzioassenso, di cui al citato art. 19 della legge n. 241/1990.

I casi di esclusione dalla predetta procedura risultavano inoltre oggetto di disciplina regolamentare (DD.PP.RR. 9.5.1994, n. 411 e 31.7.1996, n. 468), senza che tra i casi previsti fossero contemplate le autorizzazioni, concernenti variazioni delle tariffe degli Istituti di vigilanza.

Il potere inibitorio dell’Amministrazione avrebbe quindi dovuto essere esercitato, nel caso di specie, entro il termine perentorio di cui al citato art. 19 L. n. 241/90: termine abbondantemente decorso alle date di emanazione degli atti impugnati (11.10.2004 e 17.11.2004).

La variazione tariffaria proposta da C., inoltre, sarebbe stata conforme alle norme vigenti, tese non ad introdurre un sindacato di congruità economicoaziendale sulle tariffe, ma ad assicurare il rispetto del trattamento economico del personale, in base ai contratti collettivi applicabili, nonché degli obblighi assicurativi e tributari.

Nella fattispecie avrebbe dovuto riconoscersi come il costo del lavoro, da sostenersi per la remunerazione di lavoratori inquadrati come guardie particolari giurate, fosse sempre inferiore – a parità di retribuzione oraria – per i soci di una cooperativa rispetto ai dipendenti di altra impresa, a seguito di sgravi di natura contributiva, con particolare riguardo a quanto previsto dall’art. 4 del D.P.R. 30.4.1970, n. 602, secondo cui – per i lavoratori soci di una cooperativa – i contributi per le varie forme di previdenza ed assistenza sociale sono dovuti su imponibili giornalieri e per periodi di occupazione mensile determinati con decreti del Ministro del Lavoro: decreti che avrebbero previsto livelli contributivi inferiori rispetto a quelli della generalità dei lavoratori, come sarebbe stato dimostrato dall’imponibile minimo previsto per il 2004.

La tariffa minima indicata nella denuncia di inizio attività, essendo inferiore di 0,57 euro rispetto alla soglia minima della tariffa di legalità, sarebbe risultata pertanto compatibile con il rispetto della normativa vigente in materia di lavoro subordinato.

In particolare, alla data di presentazione della denuncia di inizio attività e "per l’intero anno 2004" vi sarebbe stata "esatta coincidenza" tra il minore onere contributivo gravante su C. e la diminuzione della tariffa da quest’ultima proposta rispetto a quella di legalità.

Il D.Lgs. n. 423/2001, in quanto introduttivo di un aumento scaglionato nel tempo degli oneri contributivi, avrebbe lasciato sussistere la differenza di Euro. 0,57 euro/ora sul costo del lavoro per le società cooperative nel 2004 e di tale presupposto di fatto – sussistente alla data della presentazione della denuncia di inizio attività – l’Amministrazione avrebbe dovuto prendere atto, fermo restando che la società, attualmente appellante, avrebbe continuato nel tempo a rispettare la disciplina normativa e la contrattazione collettiva per la remunerazione dei lavoratori.

Sarebbe apparso comunque "ineludibile il diritto di C. di praticare per l’anno 2004 una tariffa pari a quella dichiarata….essendo costantemente operante il potere di revoca di precedenti provvedimenti in capo alla pubblica amministrazione, laddove si fosse verificato il venir meno dei presupposti che legittimavano una precedente determinazione": il provvedimento impugnato, non affrontando tali aspetti, avrebbe dovuto essere dichiarato illegittimo.

Non sarebbe stata, inoltre, la riduzione tariffaria proposta dall’appellante, ma la previsione di "tariffe di legalità" a creare i presupposti per una distorsione del mercato della concorrenza, impedendo a C. di applicare le strategie di prezzo ritenute più convenienti.

In base alle predette ragioni venivano, in sintesi, prospettati i seguenti motivi di gravame:

I) violazione o falsa applicazione di norme di diritto, con specifico riguardo all’art. 19 della legge n. 241/1990; violazione degli articoli 257 R.D. 6.5.1940, n. 635 e 135 del R.D. 18.6.1931, n. 773, nonché dei DD.PP.RR. 9.5.1994, n. 411 e 31.7.1996, n. 468, tenuto conto di indirizzi interpretativi espressi dal Consiglio di Stato in sede cautelare e dell’assenza di una precisa attribuzione di potere all’Autorità prefettizia per la fissazione di tariffe minime e massime (pur essendo prevista l’indicazione delle tariffe da praticare per il servizio nella domanda di autorizzazione e pur potendosi – in base al TULPS – "stabilire ulteriori prescrizioni nel pubblico interesse"); in nessun caso, comunque – in base alle circolari del Ministero dell’Interno del 15.11.1997, 28.9.1998 e 8.11.1999 – sarebbe stato spettante ai Prefetti un potere discrezionale di fissazione delle tariffe, risultando rimesso ai medesimi solo un "accertamento dei presupposti e dei requisiti di legge";

II) ancora violazione delle norme sopra indicate e dei principi comunitari in materia di libera concorrenza, non sussistendo alcun potere in capo all’Amministrazione di determinazione delle tariffe minime per la prestazione dei servizi di vigilanza (come affermato nelle pronunce del Consiglio di Stato, sez. IV, n. 4816/2005, sez. V, nn. 5674/2002 e 3065/2002, sez. VI, n. 2367/2002 e 5192/2006) e ponendosi un simile potere – ove riconosciuto sussistente – in contrasto con i principi fondamentali del Trattato CE, come affermato dalla Commissione delle Comunità Europee nell’ambito della procedura di infrazione, attivata nei confronti della Repubblica Italiana e conclusa con la considerazione, secondo cui il sistema di controllo amministrativo dei prezzi in vigore in Italia non sarebbe stato conforme all’art. 49 CE, potendo l’Autorità competente "raggiungere l’obiettivo perseguito attraverso mezzi meno restrittivi della libera prestazione di servizi, come, ad esempio, verifiche amministrative e ispezioni mirate, effettuate in cooperazione con le amministrazioni interessate";

III) ancora violazione delle norme in precedenza richiamate, nonché degli articoli 3 e 97 della Costituzione e del D.P.R. 30.4.1970, n. 602, non essendo stati considerati i minori oneri contributivi e previdenziali delle imprese cooperative e non risultando il contenuto del D.Lgs. n. 423/2001 ed i relativi effetti richiamati nei provvedimenti impugnati, a cui la difesa dell’Amministrazione avrebbe fornito una inammissibile integrazione postuma della motivazione.

Tenuto conto di quanto sopra esposto, risulta affidata alla valutazione del Collegio una triplice questione di legittimità:

a) applicabilità, o meno, dell’art. 19 della legge 7.8.1990, n. 241, nel testo vigente ratione temporis, per operare una modifica delle tariffe minime, applicabili dall’impresa di vigilanza appellante, in misura non conforme ad una "fascia di oscillazione" di dette tariffe, predisposta dall’Amministrazione;

b) sussistenza, o meno, del potere dell’Autorità amministrativa di porre vincoli all’attività delle imprese nel senso sopra indicato;

c) correttezza, o meno, della valutazione negativa, opposta dall’Amministrazione alla specifica riduzione tariffaria proposta da C..

A detti quesiti, in effetti, l’impianto argomentativo della sentenza appellata sembra avere fornito risposte condivisibili, sostanzialmente non incise dalle diffuse argomentazioni difensive dell’appellante.

Per quanto riguarda infatti, in primo luogo, la segnalazione di inizio attività, è la stessa norma di legge, richiamata al precedente punto a) – indipendentemente da atti regolamentari successivi, inerenti specifiche ipotesi derogatorie – a porre condizioni che limitano l’applicabilità della stessa ad "ogni atto di autorizzazione, licenza, concessione non costitutiva, permesso o nulla osta comunque denominato….il cui rilascio dipenda esclusivamente dall’accertamento di requisiti e presupposti richiesti dalla legge o da atti amministrativi a contenuto generale….".

In presenza, pertanto, di limiti tariffari predeterminati dall’Amministrazione, la norma in questione non può che risultare applicabile solo per variazioni comprese in tali limiti, da ritenersi coperti da presunzione di congruità; in caso di distacco dalla "fascia di oscillazione tariffaria" predisposta in via generale, invece, appare corretta la ritenuta necessità di una valutazione tecnico/discrezionale apposita (nella fattispecie effettuata previa convocazione di una conferenza di servizi), non avendo più, in tale ipotesi, l’autorizzazione richiesta carattere vincolato: carattere che costituisce, nei termini sopra riportati, presupposto per l’avvio dell’attività, sostanzialmente a seguito di autocertificazione circa il possesso di requisiti tassativamente previsti.

Il Collegio non ritiene, d’altra parte, che nel fissare le cosiddette "tariffe di legalità" l’Amministrazione abbia travalicato le norme attributive del potere, in ordine al rilascio delle autorizzazioni di cui trattasi, né che sia stata violata, anche nell’ottica comunitaria, la libertà di iniziativa economica dell’impresa.

Fermo restando infatti che né la giurisprudenza (di cui la stessa parte appellante segnala indirizzi di opposto segno), né le pronunce emesse in sede comunitaria, con riferimento all’art. 49 del Trattato CE, possono fornire indirizzi univoci, in rapporto a casistiche concrete che richiedono di volta in volta specifica valutazione, il principiobase cui si ispira la formazione delle cosiddette "fasce di legalità" non può che ritenersi corretto, in presenza di disposizioni legislative che – a partire dall’art. 257 R.D. 6.5.1940, n. 635 – riferiscono l’atto autorizzativo anche alle tariffe, che l’impresa di vigilanza si impegna ad applicare (sulle tariffe quale parametro tecnico di valutazione, da parte dell’Autorità prefettizia, cfr. Cons. St., sez. V, 21.4.2006, n. 2266).

La natura dell’atto autorizzativo – connesso ai limiti che, nell’interesse pubblico ed in conformità al dettato costituzionale, possono imporsi in rapporto alla libertà di iniziativa economica – implica dunque che l’Autorità amministrativa preposta stabilisca criteri (la cui natura oggettiva e predeterminata non può che essere garanzia di imparzialità) tali da assicurare la funzionalità dell’impresa, sulla base di ragionevoli margini di guadagno e senza alcuna penalizzazione dei livelli salariali minimi, previsti dalla contrattazione collettiva.

Nella situazione in esame, i criteri in questione risultano osservati dall’Amministrazione, peraltro senza alcuna preclusione per scostamenti della "fascia tariffaria" predeterminata, purché adeguatamente motivati dall’impresa richiedente e con necessità di autorizzazione esplicita, per la già ricordata inapplicabilità, in caso di scostamento dai parametri prescritti, dell’art. 19 L. n. 241/90.

Il primo ordine di censure di censure, proposto dall’impresa appellante, non può dunque che essere respinto.

Resta da stabilire se, nella specifica vicenda sottoposta a giudizio, il diniego dell’Amministrazione possa ritenersi giustificato e adeguatamente motivato, nei termini consentiti in sede di riscontro di legittimità sugli atti discrezionali.

Il Collegio ritiene che, nell’ottica sopra indicata, i provvedimenti impugnati risultino emessi correttamente, nonché sulla base di motivazioni, idonee di per sé a giustificare il diniego, pur essendo stato quest’ultimo oggetto di ulteriore spiegazione in sede processuale.

La stessa società appellante riconosce, infatti, di avere proposto una riduzione tariffaria, esattamente corrispondente ai minori oneri previdenziali e assicurativi, previsti per il personale operante nell’ambito di cooperative limitatamente all’anno 2004. Anche a prescindere dalla formale citazione di norme correttive, già emanate al riguardo alla data della richiesta di C. ( D.Lgs. n. 423/2001), appare pertanto ragionevole che l’Amministrazione abbia ricordato come le tariffe di legalità fossero state determinate con prioritario riferimento al costo del lavoro, nonché praticamente senza ulteriori margini rispetto a quest’ultimo nel livello minimo, di modo che la fissazione di tariffe ancora inferiori sarebbe stata in contrasto con "l’esigenza di ordine pubblico di evitare, nel delicato settore in esame, la caduta delle tariffe stesse al di sotto dei costi di gestione, con riflessi negativi sulla qualità del servizio". Il fatto che per alcuni mesi la riduzione tariffaria, oggetto dell’stanza dell’appellante, corrispondesse ad un effettivo minore costo del lavoro per le società cooperative non poteva giustificare un’autorizzazione sottratta a tale limite temporale e, anche nella specifica contingenza in cui detta riduzione veniva proposta, finalizzata ad ottenere l’aggiudicazione di un servizio di durata pluriennale, da svolgersi pertanto, virtualmente, in perdita o senza corretta remunerazione dei lavoratori per il periodo successivo al 2004, in caso di accoglimento della richiesta in questione.

Anche il secondo ed il terzo motivo di gravame, prospettati dall’appellante, risultano pertanto non condivisibili, non essendo l’Amministrazione vincolata a focalizzare la propria complessa analisi di congruità al quadro operativo immediato e risultando, al contrario, adeguata e ragionevole una proiezione di tale analisi in parallelo alle tariffe di legalità vigenti. La stessa appellante, del resto, nel sostenere la propria tesi difensiva, qui non condivisa, ipotizza l’esercizio del "potere di revoca" dell’Amministrazione, quando fossero venuti meno i presupposti dell’autorizzazione richiesta: presupposti, che essa stessa riconosce sussistenti solo per il 2004, pur essendo consapevole del carattere non circoscritto a tale anno della propria richiesta.

Per le ragioni esposte, in conclusione, il Collegio ritiene che l’appello debba essere respinto; le spese giudiziali del secondo grado, da porre a carico della parte soccombente, vengono liquidate nella misura di Euro. 1.,000,00 (euro mille/00)

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando, respinge il ricorso in appello n. 9517 del 2006 indicato in epigrafe.

Condanna l’appellante al pagamento delle spese giudiziali del secondo grado, nella misura di Euro. 1.000,00 (euro mille/00).

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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