Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 21-07-2011) 03-08-2011, n. 30876

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Il G.i.p. del Tribunale del Roma, con ordinanza in data 29.12.2010, applicava nei confronti di B.S. la misura della custodia cautelare in carcere in relazione alla violazione della disciplina in materia di stupefacenti. La predetta ordinanza veniva impugnata avanti al Tribunale del Riesame di Roma; ed il Collegio, con ordinanza in data 8.2.2011, confermava il provvedimento genetico. Detta ordinanza, notificata ai difensori ed all’indagato, non veniva altrimenti impugnata.

1.1 Con ordinanza in data 7.3.2011 il G.i.p. rigettava l’istanza di revoca della misura cautelare presentata dalla difesa del B.;

ed avverso quest’ultimo provvedimento veniva interposto appello, avanti al Tribunale di Roma.

Il Tribunale adito, con ordinanza in data 1 giugno 2011, rigettava l’appello proposto nell’interesse del B.. Osservava il Tribunale che l’ordinanza genetica era stata confermata in sede di riesame con ordinanza collegiale dell’8.2.2011; che detto provvedimento emesso ai sensi dell’art. 309 c.p.p., non era stato impugnato; e che conseguentemente, si era formato il c.d. giudicato cautelare, come pure rilevato dal G.i.p. nell’ordinanza del 7.03.2011. Tanto premesso, il Tribunale di Roma osservava che sia l’istanza di revoca della misura cautelare rigettata dal G.i.p., sia i motivi di appello, si fondavano su circostanze già valutate dal giudice per le indagini preliminari nel provvedimento genetico e dalla Sezione con la richiamata ordinanza dell’8.2.2011. 2. Avverso l’ordinanza del Tribunale di Roma resa in data 1 giugno 2011 ha proposto ricorso per cassazione B.S., a mezzo dei difensori, deducendo con il primo motivo la violazione di legge, circa la formazione del giudicato cautelare. Sul punto, la parte rileva che il Tribunale del Riesame deve comunque valutare se siano stati prospettati elementi sintomatici di un mutamento della situazione complessiva relativa allo status libertatis; e ciò, anche con riguardo a circostanze preesistenti rispetto alla adozione del titolo cautelare, se non oggetto di specifica valutazione. Secondo il deducente, l’istanza di revoca della misura in atto, negativamente censita dal G.i.p. con l’ordinanza del 7.3.2011, risultava corredata da nuova documentazione, di talchè si imponeva una specifica valutazione sul punto. L’esponente rileva che la giurisprudenza di legittimità non risulta consolidata nel ritenere che la mancata impugnazione dell’ordinanza cautelare possa determinare la formazione del giudicato cautelare.

Con il secondo motivo la parte deduce la violazione di legge, con riguardo alla scelta della misura cautelare. L’esponente ribadisce che il reale contenuto delle conversazioni intercettate pertiene ad operazioni immobiliari; e contesta che il sequestro della partita di droga sia avvenuto grazie alle informazioni captate dagli investigatori nel corso delle richiamate operazioni di intercettazione. Il ricorrente ritiene che il provvedimento impugnato abbia carattere meramente assertivo, avendo il Collegio affermato che non era stato possibile accertare quali fossero le attività illecite poste in essere dal B..

Con il terzo motivo il ricorrente deduce la violazione di legge, in relazione alla ritenuta sussistenza di attuali esigenze cautelari ed alla scelta della misura da applicare. La parte osserva che il precedente specifico risalente al 2003, che grava il prevenuto, concerne una fattispecie di lieve entità, ai sensi del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5; ed osserva che B. non figura come interlocutore nelle numerose conversazioni telefoniche intercettate.

Motivi della decisione

3. Il ricorso è inammissibile, per le ragioni di seguito esposte.

3.1 Il primo motivo è manifestamente infondato.

Invero, le Sezioni Unite di questa Suprema Corte hanno da tempo chiarito che la revoca della misura cautelare personale non incontra alcuna preclusione – quanto all’accertamento della carenza originaria degli indizi o delle esigenze cautelari – nella mancata tempestiva proposizione, da parte dell’interessato, della richiesta di riesame avverso il provvedimento applicativo di una misura cautelare; e che, di converso, "una preclusione può formarsi solo a seguito delle pronunzie emesse all’esito del procedimento incidentale di impugnazione, in sede di riesame o di appello, avverso le ordinanze applicative delle misure cautelari personali e riguarda le questioni trattate, in forma sia esplicita che implicita, ma non anche le questioni deducibili" (Cass. Sez. U sentenza n. 29952 del 24.05.2004, dep. 9.07.2004, Rv. 228117).

Orbene, l’ordinanza oggi impugnata si colloca puntualmente nell’alveo del richiamato orientamento interpretativo. Infatti, il Tribunale del Riesame ha del tutto legittimamente considerato che la preclusione processuale discendeva dal fatto che l’ordinanza genetica era stata confermata in sede di riesame, con ordinanza collegiale dell’8.2.2011 e che detto provvedimento emesso ai sensi dell’art. 309 c.p.p., non era stato altrimenti impugnato. Il Collegio ha in particolare evidenziato che tanto l’istanza di revoca della misura cautelare rigettata dal G.i.p., quanto i motivi di appello, si fondavano su circostanze già valutate dal giudice per le indagini preliminari nel provvedimento genetico e dalla Sezione con la richiamata ordinanza dell’8.2.2011, così sintetizzate: svolgimento di attività imprenditoriale nel settore immobiliare da parte del B.;

l’essere l’indagato padre di due figli minori; il fatto che l’unico precedente penale risalga al 2003; la circostanza che non risulti la perpetrazione di altri reati, dall’anno 2008, da parte dell’indagato;

il rilevante decorso del tempo rispetto ai fatti per cui si procede.

Il secondo ed il terzo motivo, che vengono trattati congiuntamente, si risolvono nella mera prospettazione alternativa della valutazione del compendio indiziario, e delle conseguenti esigenze cautelari, effettuata dai giudici di merito. Invero, secondo giurisprudenza consolidata, il controllo di legittimità è circoscritto all’esame del contenuto dell’atto impugnato per verificare, da un lato, le ragioni giuridiche che lo hanno determinato e, dall’altro, la assenza di illogicità evidenti, ossia la congruità delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento (Cass. Sez. 4^ 25/5/95, n. 2146, Rv. 201840). La insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza ex art. 273 c.p.p., è, pertanto, rilevabile in cassazione soltanto se si traduce nella violazione di specifiche norme di legge o in mancanza o manifesta illogicità della motivazione, risultante dal testo del provvedimento impugnato. Il controllo di legittimità, in particolare, non riguarda ne1 la ricostruzione dei fatti, ne1 l’apprezzamento del giudice di merito circa la attendibilità delle fonti e la rilevanza e concludenza dei dati probatori, per cui non sono consentite le censure, che pur investendo formalmente la motivazione, si risolvono nella prospettazione di una diversa valutazione delle circostanze esaminate dal giudice di merito (ex multis Cass. 23/3/95, n. 1769, Rv. 201177).

Del resto, nel caso di specie, il Tribunale, nonostante la sussistenza della richiamata preclusione processuale, ha comunque espressamente rilevato che i gravi indizi di reato emergevano dalle conversazioni intercettate che trovavano riscontro nel sequestro della ingente partita di cocaina; e che il sequestro della droga era stato possibile grazie al contenuto delle conversazioni intercorse tra B., Ba. e C.. Al riguardo, il Tribunale ha considerato che risultava inverosimile, perchè smentita dalle circostanze obiettivamente accertate, la versione prospettata dalla difesa, in ordine all’oggetto delle conversazioni intercettate, che sarebbe da cogliere nell’affitto di un immobile intestato alle figlie del Ba.. Sul versante cautelare, il Tribunale – in assenza di elementi di novità – ha quindi richiamato le argomentazioni già svolte nell’ordinanza dell’8.02.2011, circa la natura professionale dell’attività criminosa; e, con riferimento alla scelta della misura, ha ribadito – secondo un conferente percorso logico argomentativo che non risulta perciò censurabile in sede di legittimità – che la diffusa rete di collegamenti del B., quale emerge dalle intercettazioni nel loro complesso ed il contesto illecito dei rapporti con molti soggetti, anche se non era stato possibile accertare quali fossero queste ulteriori attività illecite poste in essere dal prevenuto, rendevano l’indagato soggetto inaffidabile in ordine al rispetto delle prescrizioni proprie delle misure gradate.

4. Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso segua la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende. Viene disposta la trasmissione della presente ordinanza al direttore dell’istituto penitenziario competente perchè provveda a quanto stabilito dall’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende. La Corte dispone inoltre che copia del presente provvedimento sia trasmesso al direttore dell’istituto penitenziario competente perchè provveda a quanto stabilito dall’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

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