Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 21-07-2011) 03-08-2011, n. 30874 Misure cautelari

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Il Tribunale del Riesame di Trieste, con ordinanza in data 18.03.2011, respingeva l’istanza di riesame avanzata nell’interesse di C.R. e M.F. avverso l’ordinanza emessa dal giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Udine il 3.3.2011, con la quale era stata applicata nei confronti dei prevenuti la misura della custodia cautelare in carcere e confermava l’impugnata ordinanza, Con riferimento al quadro indiziario, il Tribunale evidenziava che ai prevenuti si contestano delitti di truffa aggravata ed al C. anche quello di furto aggravato, in danno di persone anziane e ministri di culto. Il Tribunale richiamava, segnatamente, le modalità della truffa perpetrata in danno di don P. A., come riferite dal G.i.p. nel provvedimento cautelare genetico. P., invero, aveva consegnato, a più riprese, cospicue somme di denaro a tale R., con la promessa della pronta restituzione delle stesse, somme in realtà mai restituite.

Evidenziava il Collegio che al fine di convincere la parte offesa ad effettuare i predetti esborsi, era emerso che R. aveva rappresentato di versare in gravissime condizioni personali e familiari, per fronteggiare le quali necessitava di un immediato sostegno economico.

Rilevava il Tribunale che le reiterate richieste truffaldine erano state avanzate anche telefonicamente, da parte di terze persone, che si qualificavano ora come parenti di R., ora come funzionar di istituti di credito. E che si era quindi accertato che complessivamente, soltanto le ricariche su tessere Postepay riferibili a C.R. effettuate dal P. erano state quattordici; e che i movimenti effettuati con tali tessere riguardavano, in realtà, il pagamento di conti di ristoranti e le giocate presso numerosi casinò.

Il Tribunale ricostruiva poi i passaggi dell’attività investigativa svolta, che avevano condotto ad identificare nella persona di C.R. il soggetto che aveva perpetrato le condotte truffaldine in danno della anziana parte offesa.

Il Collegio evidenziava che nell’indagine veniva coinvolto anche il nipote del C., M.F., a seguito della denuncia sporta da T.T.. Quest’ultimo era stato avvicinato da uno sconosciuto, che si era presentato come il figlio di un ex collega della parte offesa; il malvivente, captata la benevolenza della vittima, si era quindi fatto consegnare diverse somme di denaro. La parte offesa, in sede di individuazione fotografica, aveva di poi riconosciuto nelle effige di M.F., il soggetto autore delle truffe. Con riguardo alla riferibilità della condotta all’indagato, il Tribunale evidenziava che le telefonate alla parte offesa erano state effettuate anche da una cabina telefonica, ubicata in Padova nei pressi della abitazione del M..

Il Tribunale rilevava che il G.i.p. aveva applicato nei confronti del M., la misura degli arresti domiciliari; e che l’ordinanza applicativa della custodia in carcere nei confronti del C. non era stata eseguita, essendosi il prevenuto reso irreperibile (la misura è stata eseguita solo in data 24.3.2011).

2. Avverso la richiamata ordinanza hanno proposto ricorso per cassazione C.R. e M.F., a mezzo del difensore. Dopo avere richiamato i motivi posti a fondamento della richiesta di riesame, gli esponenti deducono il vizio motivazionale e la violazione della legge penale con riferimento all’art. 61 c.p., comma 1, n. 5. Con specifico riguardo alla posizione del C., nel ricorso si osserva che erroneamente il Tribunale ha ritenuto sussistente la circostanza aggravante della minorata difesa, atteso che lo stesso consulente ha escluso lo stato di infermità o di deficienza psichica della parte offesa; e si osserva che la stessa aggravante non risulta integrata sulla base della mera età della vittima.

Per quanto attiene alla posizione del M., nel ricorso si osserva che non è stata espletata alcuna consulenza in ordine alle condizioni della vittima del reato che si ascrive al prevenuto. Con ulteriore motivo, nel ricorso si ribadisce che erroneamente il Tribunale ha ritenuto sussistente la circostanza aggravante di cui all’art. 625 c.p., comma 1, n. 8 ter, stante la distanza temporale che si registra nel caso tra la fruizione del servizio bancario da parte della vittima e la condotta sottrattiva.

Motivi della decisione

3. I ricorsi, che è dato trattare congiuntamente, sono inammissibili.

3.1 Entrambi i ricorrenti propongono censure in ordine al compiuto apprezzamento della gravità indiziaria e delle esigenze cautelari, che, secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza di questa Suprema Corte, esulano dal controllo di legittimità; invero, il sindacato della Corte regolatrice è circoscritto all’esame del contenuto dell’atto impugnato al fine di verificare, da un lato, le ragioni giuridiche che lo hanno determinato e, dall’altro, la assenza di illogicità evidenti, ossia la congruità delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento (Cass. Sez. 4^ 25/5/95, n. 2146, Rv. 201840). La insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza ex art. 273 c.p.p., è, pertanto, rilevabile in cassazione soltanto se si traduce nella violazione di specifiche norme di legge o in mancanza o manifesta illogicità della motivazione, risultante dal testo del provvedimento impugnato. Il controllo di legittimità, in particolare, non riguarda ne1 la ricostruzione dei fatti, nè l’apprezzamento del giudice di merito circa la attendibilità delle fonti e la rilevanza e concludenza dei dati probatori, per cui non sono consentite le censure, che pur investendo formalmente la motivazione, si risolvono nella prospettazione di una diversa valutazione delle circostanze esaminate dal giudice di merito (ex multis Cass. 23/3/95, n. 1769, Rv. 201177).

Del resto, si rileva che il Tribunale del Riesame, con l’ordinanza oggi impugnata, ha dato adeguatamente conto delle ragioni che lo hanno indotto ad affermare la gravità del quadro indiziario a carico degli indagati e che la motivazione riguardante la valutazione degli elementi indizianti risulta congrua e priva di fratture logiche rilevabili in questa sede di legittimità. Ed invero, il Tribunale del Riesame, nel censire i motivi di gravame, ha evidenziato, con riguardo alla posizione del C., la manifesta infondatezza della eccezione di legittimità costituzionale della circostanza aggravante di cui all’art. 61 c.p., n. 10; ed ha rilevato che i raccolti elementi indiziari inducevano a ritenere sussistente l’aggravante della minorata difesa. Al riguardo, il Collegio ha richiamato il contenuto della espletata consulenza tecnica psichiatrica ed ha evidenziato l’estrema ingenuità dell’anziano sacerdote. Preme evidenziare che i richiamati apprezzamenti risultano conformi all’orientamento interpretativo espresso, sul punto, dalla giurisprudenza di legittimità. La Suprema Corte ha, infatti, chiarito che, in tema di minorata difesa, ai fini della configurabilità dell’aggravante di cui all’art. 61 c.p., n. 5, l’età della vittima non può di per sè costituire condizione autosufficiente, dovendo essere accompagnata da fenomeni di decadimento o di indebolimento delle facoltà mentali, o da ulteriori condizioni personali, da accertarsi in punto di fatto (Cass. Sezione 2, sentenza n. 39023 del 17.09.2008, dep. 16.10.2008, Rv. 241454). Ed il Tribunale ha considerato che C. si era, nel caso, consapevolmente approfittato di circostanze ostacolanti la privata difesa. Il Tribunale ha ritenuto del pari sussistente l’aggravante del danno rilevante, atteso che la somma oggetto delle truffe era pari a circa Euro 50.000; e l’aggravante di cui all’art. 625 c.p., comma 1, n. 8 ter, in considerazione del breve lasso temporale che separa il prelievo effettuato con la tessera bancomat e l’impossessamento del denaro da parte dell’indagato. Il Collegio ha ritenuto poi condivisibili i rilievi svolti dal G.i.p. con riguardo al delitto di cui al capo B), da qualificarsi come furto, risultando dagli atti che la sottrazione del denaro dal portafogli del P. era avvenuta contro la volontà della parte offesa. Sul versante cautelare, il Tribunale ha rilevato che il precedente a carico dell’indagato riguardante la violazione di una misura di prevenzione e lo stato di irreperibilità inducevano a ritenere che unica misura idonea a salvaguardare il pericolo di attività recidivante fosse quella carceraria. E’ poi appena il caso di rilevare che questa Suprema Corte ha chiarito che il giudizio di riesame si qualifica come rimedio rivolto ad una immediata e integrale riconsiderazione in contraddittorio dinanzi all’organo collegiale dei presupposti di legittimità della misura cautelare adottata dal giudice; e che il riesame è quindi necessariamente circoscritto alla valutazione delle acquisizioni coeve all’emissione dell’ordinanza coercitiva e delle sopravvenienze favorevoli all’indagato ( art. 309 c.p.p., comma 5), nonchè degli ulteriori elementi "addotti dalle parti nel corso dell’udienza" (art. citato, comma 9), con il limite temporale insuperabile, dato dal momento della chiusura della discussione dinanzi al collegio, di talchè eventuali acquisizioni successive possono essere fatte valere soltanto con la richiesta di revoca o modifica della misura al giudice competente (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 34616 del 13/07/2007, dep. 12/09/2007, Rv. 237764). Conseguentemente, del tutto legittimo risulta il riferimento, effettuato dal Tribunale in sede di riesame, anche allo stato di irreperibilità del C. (come detto, la misura è stata eseguita nei confronti del prevenuto solo in data 24.03.2011, mentre la Camera di consiglio avanti al Tribunale del Riesame si è svolta il 18.03.2011).

Con riguardo alla posizione del M., il Tribunale del Riesame ha poi richiamato i gravi indizi di colpevolezza raccolti a carico del prevenuto, sulla base del contenuto della denuncia sporta da T.T. e degli ulteriori elementi raccolti dal personale operante, all’esito delle effettuate perquisizioni personali e domiciliari. Il Collegio ha, inoltre, rilevato che i gravi precedenti a carico del M., pure a fronte della somma non elevata oggetto della presente contestazione provvisoria, portavano ad escludere l’occasionalità della condotta criminosa; ed ha considerato, pertanto, che le esigenze cautelari in ordine al pericolo di recidivazione non potessero essere tutelate con misure meno gravose di quella degli arresti domiciliari in atto.

4. Alla dichiarazione di inammissibilità dei ricorsi segue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e ciascuno a quello della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende. Viene disposta la trasmissione della presente ordinanza al direttore dell’istituto penitenziario competente, in relazione alla posizione di C., perchè provveda a quanto stabilito dall’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e ciascuno a quello della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

La Corte dispone inoltre che copia del presente provvedimento sia trasmesso al direttore dell’istituto penitenziario competente, in relazione alla posizione di C., perchè provveda a quanto stabilito dall’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

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