Cass. civ. Sez. VI, Sent., 23-12-2011, n. 28583 Danno non patrimoniale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Ritenuto che S.S., con ricorso del 19 luglio 2010, ha impugnato per cassazione – deducendo tre motivi di censura -, nei confronti del Ministro dell’economia e delle finanze, il decreto della Corte d’Appello di Bologna depositato in data 8 aprile 2010, con il quale la Corte d’appello, pronunciando sul ricorso del S. – volto ad ottenere l’equa riparazione dei danni non patrimoniali ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2, comma 1, in contraddittorio con il Ministro dell’economia e delle finanze – il quale, costituitosi nel giudizio, ha concluso per l’inammissibilità o l’infondatezza del ricorso, ha rigettato il ricorso;

che resiste, con controricorso, il Ministro dell’economia e delle finanze;

che, in particolare, la domanda di equa riparazione del danno non patrimoniale – richiesto nella misura di Euro 11.000,00 per l’irragionevole durata del processo presupposto – proposta con ricorso del 15 settembre 2009, era fondata sui seguenti fatti: a) il S., ispettore della Polizia di Stato ed asseritamente titolare del diritto ad un diverso più favorevole inquadramento e ad una diversa più favorevole progressione in carriera, aveva proposto – con ricorso collettivo del 25 novembre 1995 – la relativa domanda dinanzi al Tribunale amministrativo regionale per il Lazio; b) il Tribunale adito non aveva ancora deciso la causa alla data di presentazione della domanda di equa riparazione, decidendola successivamente con decreto di perenzione dell’11 novembre 2009;

che la Corte d’Appello di Bologna, con il suddetto decreto impugnato, ha respinto la domanda, osservando che il ricorrente non aveva presentato l’istanza di fissazione dell’udienza di discussione nel prescritto termine di sei mesi a seguito dell’avviso inviato alle parti ai sensi della L. n. 205 del 2000, art. 9, comma 2, con la conseguenza che il processo presupposto era stato dichiarato perento;

che, inoltre, la Corte di Bologna ha osservato che: a) al momento della presentazione del ricorso introduttivo del giudizio presupposto, la tesi del ricorrente era fondata sulla illegittimità costituzionale della normativa posta a fondamento della loro domanda;

b) tale tesi era stata respinta più volte dalla Corte costituzionale; c) dopo tali pronunce della Corte costituzionale, per il ricorrente avanti al TAR era venuta meno "ogni legittima aspettativa di accoglimento del ricorso", con la conseguenza della "mancanza di interesse ad una rapida definizione del procedimento", in quanto "è provato che alla data della notifica dell’avviso L. 205 del 2000, ex art. 9 finalizzato … alla verifica della permanenza dell’interesse della parte al pendente, l’odierno ricorrente si trovava in una situazione soggettiva di evidente indifferenza rispetto all’esito del proprio ricorso, tanto che non ha provveduto ad attivarsi tempestivamente causando, con il suo comportamento omissivo, l’estinzione del processo".

Considerato che, con i motivi di censura, viene denunciata come illegittima, anche sotto il profilo dei vizi di motivazione, sia l’affermata non indennizzabilità della irragionevole durata del processo per la dichiarata perenzione del processo presupposto, sia l’affermata piena consapevolezza della manifesta infondatezza della pretesa fatta valere dinanzi al Giudice amministrativo, nonchè l’insufficienza della motivazione;

che il ricorso merita accoglimento nei limiti di cui in motivazione;

che, secondo il consolidato orientamento di questa Corte, in caso di violazione del termine di durata ragionevole del processo, il diritto all’equa riparazione di cui alla L. n. 89 del 2001, art. 2 spetta a tutte le parti del processo, indipendentemente dal fatto che esse siano risultate vittoriose o soccombenti, costituendo l’ansia e la sofferenza per l’eccessiva durata del processo i riflessi psicologici del perdurare dell’incertezza in ordine alle posizioni in esso coinvolte, ciò ad eccezione dei casi in cui il soccombente abbia promosso una lite temeraria, o abbia artatamente resistito in giudizio al solo fine di perseguire proprio il perfezionamento della fattispecie di cui al richiamato art. 2, e dunque in difetto di una condizione soggettiva di incertezza, nei quali casi l’esistenza di queste situazioni, costituenti abuso del processo, deve essere provata puntualmente dall’Amministrazione, non essendo sufficiente, a tal fine, la deduzione che la domanda della parte sia stata dichiarata manifestamente infondata (cfr., ex plurimis e tra le ultime, le sentenze nn. 9938 del 2010, 25595 del 2008, 21088 del 2005);

che, inoltre ed in particolare, questa Corte ha affermato il principio per il quale, in tema di equa riparazione per irragionevole durata del processo amministrativo, l’istituto della perenzione decennale dei ricorsi, introdotto dalla L. 21 luglio 2000, n. 205, art. 9 – nel testo, applicabile ratione temporis, anteriore alle modifiche di cui al D.L. 25 giugno 2008, n. 112, art. 54 convertito in legge dalla L. 6 agosto 2008, n. 133, art. 1, comma 1, – non si traduce in una presunzione di disinteresse per la decisione di merito al decorrere di un tempo definito dopo che la domanda sia stata proposta, ma comporta soltanto la necessità che le parti siano messe in condizione, tramite apposito avviso, di soffermarsi sull’attualità dell’interesse alla decisione e di manifestarlo, con la conseguenza che la mancata presentazione dell’istanza di fissazione, rendendo esplicito l’attuale disinteresse per la decisione di merito, giustifica l’esclusione della sussistenza del danno per la protrazione ultradecennale del giudizio, ma non impedisce una valorizzazione dell’atteggiamento tenuto dalle parti nel periodo precedente, quale sintomo di un interesse per la decisione mano a mano decrescente, e quindi come base per una decrescente valutazione del danno e del relativo risarcimento (cfr. la sentenza n. 6619 del 2010);

che, pertanto, il decreto impugnato deve essere annullato in relazione alla censura accolta;

che, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2;

che il processo presupposto de quo ha avuto una durata complessiva di quattordici anni circa (dal 25 novembre 1995, data del ricorso introduttivo del processo presupposto, all’11 novembre 2009, data del deposito del ricorso per equa riparazione);

che questa Corte, sussistendo il diritto all’equa riparazione per il danno non patrimoniale di cui alla L. n. 89 del 2001, art. 2 considera equo, in linea di massima, l’indennizzo di Euro 500,00 per ciascuno degli anni di durata complessiva del processo;

che, nella specie, sulla base dei criteri adottati da questa Corte e dianzi richiamati il diritto all’equa riparazione per il danno non patrimoniale di cui alla L. n. 89 del 2001, art. 2 va determinato in Euro 7.000,00 per i quattordici anni circa di irragionevole durata, oltre gli interessi a decorrere dalla proposizione della domanda di equa riparazione e fino al saldo;

che, conseguentemente, le spese processuali del giudizio a quo debbono essere nuovamente liquidate – sulla base delle tabelle A, paragrafo 4^, e B, paragrafo 1^, allegate al D.M. Giustizia 8 aprile 2004, n. 127, relative ai procedimenti contenziosi, in complessivi Euro 1.850,00, di cui Euro 50,00 per esborsi, Euro 600,00 per diritti ed Euro 1.200,00 per onorari, oltre alle spese generali ed agli accessori come per legge;

che le spese del presente grado di giudizio seguono la soccombenza e vengono liquidate nel dispositivo.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso nei limiti di cui in motivazione, cassa il decreto impugnato e, decidendo la causa nel merito, condanna il Ministro dell’economia e delle finanze al pagamento, in favore del ricorrente, della somma di Euro 7.000,00, oltre gli interessi dalla domanda, condannandolo altresì al rimborso, in favore della parte ricorrente, delle spese del giudizio, che determina, per il giudizio di merito, in complessivi Euro 1.850,00, di cui Euro 50,00 per esborsi, Euro 600,00 per diritti ed Euro 1.200,00 per onorari, oltre alle spese generali ed agli accessori come per legge, e, per il giudizio di legittimità, in complessivi Euro 900,00, di cui Euro 100,00 per esborsi, oltre alle spese generali ed agli accessori come per legge.

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