T.A.R. Lazio Roma Sez. I, Sent., 12-09-2011, n. 7178 Ordinamento giudiziario

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Espone in fatto l’odierna ricorrente, entrata nei ruoli della magistratura ordinaria nel 1998, di aver prestato servizio inizialmente presso la Sezione Fallimentare del Tribunale di Palermo, poi presso il Tribunale di Milano ed infine presso la sede distaccata di Cassano d’Adda del Tribunale di Milano.

Rappresenta, quindi, la ricorrente le problematiche di carattere familiare e personale che hanno contraddistinto l’ultimo periodo della sua vita e che hanno condotto al suo ricovero presso una struttura protetta per sottoporsi ad un trattamento poi volontariamente interrotto in prossimità del Natale, di cui l’Ufficio di appartenenza era a conoscenza, come risultante dalla nota del Presidente del Tribunale di Milano del gennaio 2010 in cui si dà atto che la ricorrente ha usufruito di un ulteriore periodo di aspettativa per motivi di salute dal 17 novembre 2009 al 31 dicembre 2009.

Non essendo rientrata in servizio allo scadere di tale periodo di aspettativa è stato adottato il gravato provvedimento di decadenza dall’impiego, senza previo svolgimento di un’istruttoria volta ad accertare le ragioni sottese all’assenza, avverso il quale deduce parte ricorrente i seguenti motivi di censura:

1 – Violazione di legge ed eccesso di potere; travisamento dei presupposti di fatto e di diritto; Violazione degli artt. 127 del D.P.R. n. 3 del 1957, 1, 3, 6 e 7 della legge n. 241 del 1990.

Denuncia parte ricorrente l’intervenuta adozione del provvedimento di decadenza dall’impiego senza previa comunicazione dell’avvio del procedimento, che avrebbe consentito di rappresentare le ragioni giustificatrici dell’assenza.

2 – Violazione di legge ed eccesso di potere; travisamento dei presupposti di fatto e di diritto; violazione dell’art. 6 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo ratificata con legge n. 848 del 1955; sviamento.

Nell’asserito presupposto che venga in rilievo un provvedimento di carattere sanzionatorio, afferma parte ricorrente l’intervenuta violazione del principio del contraddittorio cui il relativo procedimento deve essere ispirato, anche attraverso la dettagliata illustrazione delle ragioni dell’addebito e l’evocazione del responsabile.

3 – Violazione di legge ed eccesso di potere; travisamento dei presupposti di fatto e di diritto; violazione dell’art. 127 del D.P.R. n. 3 del 1957 e dell’art. 6 della legge n. 241 del 1990; carenza di istruttoria; sviamento.

Denuncia parte ricorrente il mancato accertamento delle ragioni sottese alla propria assenza dal servizio, dovuta a problematiche di salute e familiari conosciute dall’Amministrazione di appartenenza, e dell’addebitabilità dell’assenza stessa, in violazione della normativa di riferimento, essendo stato il gravato provvedimento adottato in assenza dei relativi presupposti.

4 – Violazione di legge ed eccesso di potere; travisamento dei presupposti di fatto e di diritto; violazione dell’art. 127 del D.P.R. n. 3 del 1957 e degli artt. 1, 3, 6 e 7 della legge n. 241 del 1990; Violazione delle Circolari CSM P9805257 del 6 marzo 1998 e 160 del 10 aprile 1996; violazione del principio di proporzionalità amministrativa e di quello di progressività della sanzione; sviamento.

Si riporta parte ricorrente alle epigrafate circolari che dettano le linee guida da seguire in presenza di problematiche di natura personale o di salute dei magistrati, ispirate ad una logica di tipo conservativo nella ricerca delle soluzioni da adottare, nel rispetto del principio di proporzionalità amministrativa, che impone la progressività della sanzione, nella specie disatteso.

5 – Violazione di legge ed eccesso di potere; travisamento dei presupposti di fatto e di diritto; violazione dell’art. 127 del D.P.R. n. 3 del 1957; sviamento.

Sostiene parte ricorrente che ai sensi dell’art. 127 del D.P.R. n. 3 del 1957, l’assenza dal servizio per un periodo non inferiore a 15 giorni non comporta automaticamente la decadenza dall’impiego, incombendo sull’Amministrazione l’onere di verificare le ragioni e l’imputabilità dell’assenza, potendo la decadenza trovare fondamento unicamente nella volontà del soggetto di sottrarsi ai doveri d’ufficio.

Nella specie, l’Amministrazione procedente non avrebbe effettuato alcun accertamento circa le cause dell’assenza e la riconducibilità della stessa alla volontà della ricorrente di assentarsi.

Con ricorso per motivi aggiunti parte ricorrente ha impugnato il provvedimento del Ministero della Giustizia del 9 giugno 2010 con cui è stata decretata la decadenza della ricorrente dall’impiego, deducendone l’illegittimità derivata dai provvedimenti impugnati con il ricorso principale.

Si è costituita in resistenza l’intimata Amministrazione eccependo l’irricevibilità dell’impugnazione proposta con motivi aggiunti avverso il decreto ministeriale di decadenza, in quanto notificato tardivamente nonché solo presso la sede del C.S.M., sostenendo nel merito, con articolate controdeduzioni, l’infondatezza del ricorso con richiesta di corrispondente pronuncia.

Con ordinanza n. 3488/2010 è stata rigettata la domanda incidentale di sospensione degli effetti del gravato provvedimento.

Con memorie successivamente depositate parte ricorrente ha insistito nelle proprie deduzioni, ulteriormente argomentando.

Alla Pubblica Udienza del 6 luglio 2011, la causa è stata chiamata e, sentiti i difensori delle parti, trattenuta per la decisione, come da verbale.

Motivi della decisione

Con il ricorso in esame è proposta azione impugnatoria avverso i provvedimenti – meglio descritti in epigrafe nei loro estremi – inerenti il procedimento in esito al quale è stata disposta la decadenza della ricorrente dal servizio, ai sensi dell’art. 127, lettera c), del D.P.R. n. 3 del 1957, per essere rimasta assente dall’ufficio ingiustificatamente per un periodo superiore ai 15 giorni.

Nel preliminarmente procedere alla disamina delle questioni aventi carattere pregiudiziale, viene in rilievo l’eccezione, sollevata dalla difesa erariale, di inammissibilità dell’impugnazione, proposta con motivi aggiunti, del decreto ministeriale con cui è stata decretata la decadenza della ricorrente dall’impiego, per essere la relativa notifica tardiva nonché effettuata nullamente presso la sede del C.S.M.

Osserva in proposito il Collegio che la notifica dei motivi aggiunti risulta essere stata effettuata anche presso la sede dell’Avvocatura Generale dello Stato in data 18 novembre 2010, rivelandosi la stessa, inoltre, tempestiva rispetto alla data di conoscenza, da parte della ricorrente, del gravato atto, intervenuta in data 21 settembre 2010, in disparte la considerazione che viene in rilievo un provvedimento avente carattere consequenziale rispetto agli atti impugnati con il ricorso principale.

Tanto precisato ritiene il Collegio, anticipando le conclusioni che, alla luce delle considerazioni che si andranno ad illustrare, intende trarre, che il ricorso sia fondato.

Ai fini della compiuta delibazione in ordine alla controversia in esame è necessario procedere alla ricognizione della normativa di riferimento, come dettata dall’art. 127 del D.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3 – recante il testo unico delle disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati civili dello Stato – in modo da delineare la fisionomia dell’istituto della decadenza dal servizio e di poter verificare la conformità della fattispecie in esame al paradigma astratto.

In tale direzione va rilevato che il citato art. 127 prevede, al comma 1, lettera c), che l’impiegato incorre nella decadenza dall’impiego "quando, senza giustificato motivo, non assuma o non riassuma servizio entro il termine prefissogli, ovvero rimanga assente dall’ufficio per un periodo non inferiore a quindici giorni ove gli ordinamenti particolari delle singole amministrazioni non stabiliscano un termine più breve".

Sulla base del costante orientamento espresso dalla giurisprudenza amministrativa in materia, da cui il Collegio non ravvisa motivi per discostarsi, affinché si possa legittimamente pronunciare la decadenza dall’impiego ai sensi dell’art. 127, lett. c), del D.P.R. 10 gennaio 1957 n. 3, l’Amministrazione deve verificare l’inesistenza di giustificati motivi dell’assenza dal servizio e valutare il comportamento complessivo dell’impiegato al fine di accertarne la volontà di sottrarsi ai doveri d’ufficio (ex plurimis: Consiglio di Stato – Sez. IV -22 settembre 1987 n. 550; Sez. V – 30 agosto 2004, n. 5634; 7 aprile 2003, n. 1833; 27 giugno 2006, n. 4122; 10 maggio 2010, n. 2752; Sez. VI -3 giugno 2002, n. 3077; 11 novembre 2004, n. 7295).

Ciò in quanto, pur avendo il provvedimento di decadenza dall’impiego fondamento nella volontà del dipendente di sottrarsi ai doveri d’ufficio manifestata con la semplice assenza dello stesso per un periodo superiore ai quindici giorni, lo stesso richiede tuttavia che tale volontà sia valutata dall’Amministrazione in concreto dall’insieme delle circostanze in cui essa è avvenuta e tenuto conto delle caratteristiche dei singoli rapporti e dei relativi doveri d’ufficio nonché delle norme che li disciplinano e della giustificabilità o meno dell’assenza, dovendo la volontà di non proseguire il rapporto essere manifestata con atti concordanti ed univoci o da comportamenti tali da rendere manifesta ed inequivocabile la volontà di abbandonare il posto di lavoro.

Ne consegue che, affinché possa dichiararsi la decadenza dall’impiego del pubblico dipendente per assenza ingiustificata, detta assenza deve essere accompagnata da comportamenti tali da rendere manifesta ed inequivocabile la volontà di abbandonare il posto di lavoro.

La decadenza dell’impiegato può pertanto conseguire solo all’accertamento del significato dell’assenza, previa verifica dell’eventuale sussistenza di circostanze concrete o di motivi che possano giustificare l’assenza del dipendente, laddove dalla stessa non possa desumersi con certezza, in relazione alle circostanze del caso concreto ed alla tipologia del servizio, l’intenzione di sottrarsi all’obbligo di prestare il servizio ovvero possano sussistere dubbi sull’effettiva volontà del dipendente di abbandonare il posto di lavoro, con la conseguenza che il mancato esperimento di tale accertamento comporta la illegittimità del provvedimento decadenziale.

Ciò coerentemente con la natura e le finalità dell’istituto della decadenza dal servizio per assenza del dipendente, il quale – contrariamente a quanto affermato da parte ricorrente – non riveste natura sanzionatoria, ma costituisce una causa di cessazione del rapporto di impiego basata sul venir meno del sinallagma per fatto volontario, per l’effetto dovendo accertarsi la giustificabilità o meno dell’assenza e l’effettività della volontà di abbandonare il servizio, non proseguendo il rapporto, risultante da atti concordanti ed univoci.

Poste tali coordinate interpretative, come affermate dalla costante giurisprudenza amministrativa, rileva il Collegio, con riferimento al caso di specie, come non sia stato effettuato alcun accertamento né addotto alcun elemento, diverso dal mero dato di fatto dell’assenza dal servizio della ricorrente per oltre 15 giorni, da cui possa ricavarsi la sicura volontà della stessa di sottrarsi all’obbligo di prestare il servizio o di abbandonare il posto di lavoro, nè di tale volontà sono stati forniti "aliunde" elementi indiziari.

Per come emergente dall’esame dei gravati atti, difatti, la decadenza dal servizio della ricorrente è stata disposta sulla base del semplice comportamento omissivo connesso all’assenza che non può, invece, ritenersi univocamente idoneo a manifestare la volontà dell’impiegato di sottrarsi deliberatamente ai doveri nascenti dal rapporto d’impiego, potendo lo stesso trovare la propria causa anche in eventi di forza maggiore o in situazioni di necessità indipendenti dalla volontà dell’impiegato.

Al riguardo, giova rilevare, in punto di fatto, che con la nota del 21 gennaio 2010 indirizzata dal Coordinatore del Tribunale di Milano – Sezione staccata di Cassano d’Adda – al Presidente del Tribunale, è stata comunicata l’assenza dal servizio della ricorrente dal 2 gennaio, ritenendo che tale assenza dovesse essere interpretata, in difetto di diversa motivazione e giustificazione, nella prospettiva della volontaria decadenza dell’impiego.

Il Presidente del Tribunale di Milano, con nota del 22 gennaio 2010 indirizzata al C.S.M., ha rappresentato che la ricorrente ha usufruito dal 17 novembre al 31 dicembre 2009 di un ulteriore periodo di aspettativa per motivi di salute e che non è rientrata in servizio al termine di tale periodo né ha altrimenti giustificato l’assenza.

Con nota del 25 marzo 2010 il Ministro della Giustizia ha richiesto al C.S.M. di dichiarare la decadenza dall’impiego della ricorrente ai sensi dell’art. 127 del T.U. n. 3 del 1957 ricorrendone i presupposti di legge.

Il Consiglio Superiore della Magistratura, con verbale dell’assemblea plenaria del 5 maggio 2010, ha deliberato la decadenza dall’impiego della ricorrente per essere rimasta assente dall’ufficio ingiustificatamente per un periodo superiore ai 15 giorni, mentre con nota del C.S.M. del 10 maggio 2010, è stata comunicata la decadenza dall’impiego, ai sensi dell’art. 127 lett. c) D.P.R. 10 gennaio 1957 n. 3, a decorrere dal 17 gennaio 2010, per essere rimasta assente dall’ufficio ingiustificatamente per un periodo superiore ai 15 giorni.

Con decreto ministeriale del 28 maggio 2010 è stata, quindi, decretata la decadenza della ricorrente ai sensi del richiamato articolo, con l’indicata decorrenza e per le riferite ragioni.

E’ di tutta evidenza, dalla disamina degli atti che hanno scandito il procedimento confluito nell’adozione del provvedimento di decadenza della ricorrente dall’impiego, come la stessa sia stata disposta sulla base del mero riscontro dell’assenza della ricorrente dal servizio per un periodo superiore ai 15 giorni, senza alcun ulteriore accertamento e senza alcuna valutazione in ordine alle cause dell’assenza ed alla volontarietà ed imputabilità della stessa alla ricorrente, da cui desumere con certezza la volontà della stessa di sottrarsi ai propri doveri di ufficio, volontà che, per quanto dianzi illustrato, non deve essere valutata solo con riferimento al fatto dell’assenza per un periodo superiore a quindici giorni, ma a tutte le circostanze di contorno, in cui essa si è formata tenuto conto delle caratteristiche dei singoli rapporti e degli specifici doveri che li connotano, della giustificabilità o meno dell’assenza, dell’effettività della volontà di abbandonare il servizio, risultante da atti concordanti ed univoci o da comportamenti tali da rendere manifesta ed inequivocabile la volontà di abbandonare il posto di lavoro.

Peraltro, come risulta dalla richiamata nota del Coordinatore del Tribunale di Milano, Sezione staccata di Cassano d’Adda, l’Amministrazione di appartenenza era a conoscenza della circostanza che la ricorrente aveva fruito di un ulteriore periodo di aspettativa per motivi di salute dal 17 novembre al 31 dicembre 2009, collocandosi l’assenza ingiustificata al termine di tale periodo, con conseguente incertezza circa le cause dell’assenza e del carattere volontario della stessa, che ne avrebbero imposto il relativo accertamento, non emergendo, a connotare in senso inequivoco l’assenza, ulteriori atti o comportamenti che depongano con certezza per la deliberata volontà di allontanarsi dal servizio.

Sotto altro profilo, osserva il Collegio che, essendo il provvedimento di decadenza dall’impiego collegato all’accertamento dell’esistenza della situazione di fatto dell’assenza dal servizio dell’impiegato per un periodo di tempo superiore a quindici giorni non autorizzata dall’amministrazione, che deve essere accompagnata dal rilevabile chiaro intento di abbandono dal servizio, pur trattandosi di un atto vincolato sussiste comunque la necessità di un previo atto di diffida quando dal comportamento dell’impiegato non possa desumersi con certezza l’intenzione di sottrarsi all’obbligo di prestare il servizio, ovvero possano sussistere dubbi sull’effettiva volontà del dipendente di abbandonare il posto di lavoro (Consiglio Stato, sez. IV, 09 agosto 2005, n. 4253), laddove, nel caso di specie, tale diffida non risulta essere stata adottata.

Tenuto conto delle circostanze di fatto in cui si inscrive la contestata assenza ingiustificata della ricorrente dal servizio, intervenuta successivamente alla fruizione di un periodo di aspettativa per motivi di salute, deve dunque ritenersi che gravasse sull’Amministrazione di appartenenza l’onere di previa diffida, non potendo desumersi con certezza, alla luce delle circostanze del caso concreto, la volontà della ricorrente di abbandonare il servizio, tenuto conto che durante l’indicato periodo di aspettativa la ricorrente è stata sottoposta a trattamento presso una casa di cura privata per disintossicazione dall’uso di alcol e Benzodiazepine, dalla quale si è autodimessa contro il parere dei sanitari.

A fronte della situazione personale della ricorrente e delle esposte considerazioni, che rivelano profili di censurabilità, sotto il profilo procedimentale, dei gravati provvedimenti, non sfugge tuttavia al Collegio come parte ricorrente non abbia, nel corso del giudizio, in concreto comprovato la non addebitabilità dell’assenza a propria responsabilità, che risulta quindi essere solamente enunciata ma non comprovata, come peraltro stigmatizzato nell’ordinanza della Sezione n. 3488/2010 di rigetto dell’istanza cautelare incidentalmente proposta da parte ricorrente e nell’ordinanza del Consiglio di Stato n. 4973/2010 che ha respinto il gravame cautelare avverso la prima presentato.

Ritiene, peraltro, il Collegio come il complessivo atteggiarsi della fattispecie, alla luce dei riscontrati profili di illegittimità dei gravati provvedimenti, consenta di addivenire all’adozione di una pronuncia caducatoria degli stessi, conseguentemente investendo i competenti organi del compito di procedere ad una rinnovata valutazione della situazione, nell’esercizio della propria discrezionalità, mediante un procedimento accertativo emendato dai riscontrati vizi di omessa verifica delle ragioni sottese all’assenza della ricorrente ed al carattere volontario della stessa.

In conclusione, alla luce delle considerazioni sopra illustrate, il ricorso va accolto stante la riscontrata fondatezza degli esaminati profili di censura – con assorbimento di quelli ulteriori – inerenti il mancato accertamento delle cause di giustificabilità o meno dell’assenza della ricorrente e dell’effettività della volontà della stessa di abbandonare il servizio, con conseguente obbligo per l’Amministrazione di procedere al riesame della fattispecie mediante una rinnovata valutazione della stessa emendata dai rilevati vizi.

La peculiarità della fattispecie suggerisce di disporre la compensazione tra le parti delle spese di giudizio.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima)

definitivamente pronunciando sul ricorso N. 6315/2010 R.G., come in epigrafe proposto, lo accoglie nel senso e coi limiti di cui in motivazione.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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