Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 17-06-2011) 03-08-2011, n. 30865 Riparazione per ingiusta detenzione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

G.R., a mezzo del proprio difensore, ha proposto ricorso per cassazione avverso l’ordinanza della Corte di Appello di Reggio Calabria, con la quale è stata rigettata la sua istanza di riparazione per l’ingiusta detenzione subita dal 4 luglio al 9 ottobre 2000 per il delitto di fattispecie associativa finalizzata al contrabbando, in essa ritenuto assorbito il reato di cui all’art. 416 c.p., dal quale era stato assolto con la formula perchè il fatto non costituisce reato.

La Corte territoriale ha ravvisato la circostanza escludente del diritto alla riparazione di cui all’art. 314 c.p.p., comma 1, e cioè di avere concorso a dare causa all’emissione del provvedimento restrittivo della libertà personale per colpa grave. Il giudice della riparazione, in particolare, partendo dall’analisi della sentenza assolutoria ha affermato che le statuizioni assolutorie discendevano non già dalla insussistenza della condotta materiale pacificamente risultante dagli atti ma dalla contraddittorietà della prova riguardante l’atteggiamento psicologico che caratterizzò la condotta dell’imputato. Ciò che rileva, pertanto, secondo il giudice della riparazione è l’accertata sussistenza nel corso del dibattimento di condotte materiali posta in essere dal G. (la partecipazione del medesimo ad una serie di attività e di incontri funzionali alla realizzazione del programma criminoso dell’associazione), che aveva, sotto questo profilo, confermata l’originaria impostazione accusatoria che aveva dato luogo al provvedimento custodiate.

Il ricorrente ha chiesto l’annullamento dell’ordinanza impugnata per violazione dell’art. 314 c.p.p., articolando tre motivi.

Con il primo ha censurato l’interpretazione data dal giudice di merito al concetto di colpa grave, fatta scaturire dalle risultanze del processo così che non avrebbe tenuto presente i principi consolidati di questa Corte in base ai quali per la sua configurabilità è necessaria l’indicazione di comportamenti specifici, posti a fondamento della misura cautelare, che nel caso in esame sarebbe stata trascurata. Con il secondo motivo si duole che il giudice della riparazione non aveva dato rilievo alla condotta collaborativa tenuta dal G. in sede di interrogatorio, avvenuto nella immediatezza dell’arresto, durante il quale l’istante aveva fornito elementi utili idonei a giustificare la revoca della misura custodiale. Gli stessi elementi che erano stati evidenziati nella sentenza di assoluzione, alla luce dei quali il Tribunale aveva ritenuto contraddittoria la prova riguardante l’atteggiamento psicologico che caratterizzò la condotta dell’imputato.

Con il terzo motivo lamenta l’erronea applicazione della legge penale laddove il giudice della riparazione aveva integralmente rigettato l’istanza di riparazione senza neanche valutare la configurabilità della colpa lieve nella condotta del G..

Il ricorso è infondato e deve essere rigettato.

Come è noto, il rapporto tra giudizio penale e giudizio per l’equa riparazione, è connotato da totale autonomia ed impegna piani di indagine diversi e che possono portare a conclusioni del tutto differenti (assoluzione nel processo, ma rigetto della richiesta riparatoria) sulla base dello stesso materiale probatorio acquisito agli atti, ma sottoposto ad un vaglio caratterizzato dall’utilizzo di parametri di valutazione differenti.

In particolare, è consentita al giudice della riparazione la rivalutazione dei fatti non nella loro valenza indiziaria o probante (smentita dall’assoluzione), ma in quanto idonei a determinare, in ragione di una macroscopica negligenza od imprudenza dell’imputato, l’adozione della misura, traendo in inganno il giudice.

Nella specie, il giudice della riparazione, con motivazione logica ed ampia, ha spiegato che le condotte ascritte al G., pur non costituendo illecito penale, sono state idonee a determinare l’applicazione della misura cautelare. In particolare, il giudice della riparazione ha evidenziato che l’assoluzione del G. è derivata non già dalla insussistenza della condotta materiale pacificamente risultante dagli atti ma dalla contraddittorietà della prova riguardante l’atteggiamento psicologico che caratterizzò la condotta dell’imputato. Ciò che rileva, pertanto,secondo il giudice della riparazione è l’accertata sussistenza nel corso del dibattimento di condotte materiali posta in essere dal G. (la partecipazione del medesimo ad una serie di attività e di incontri funzionali alla realizzazione del programma criminoso dell’associazione), che aveva, sotto questo profilo, confermata l’originaria impostazione accusatoria che aveva dato luogo al provvedimento custodiate.

In questa prospettiva le censure difensive volte a rilevare l’aspecificità delle condotte gravemente colpose ascrivibile al G. non colgono nel segno giacchè sono smentite dalla puntuale ricostruzione contenuta nella ordinanza impugnata delle condotte gravemente colpose ascritte al G.: la partecipazione a riunioni operative con i capintesta; i contatti con il doganiere; la pianificazione delle procedure volte a consentire lo sdoganamento delle sigarette di importazione clandestina; la messa in moto di procedure organizzative che passavano attraverso la MALO srl, provocando l’ampliamento dell’opera.

Siffatte condotte – sommate fra loro – senz’altro consentono di configurare la colpa grave, così come individuata dalle Sezioni unite, 23 dicembre 1995, Sarnataro ed altri. Pertanto, correttamente il giudice di merito, senza effettuare alcuna illegittima rivalutazione della sentenza penale di assoluzione ma rilevando solo la sussistenza di elementi che hanno dato causa all’emissione della misura cautelare, e configuranti la colpa grave a norma dell’art. 314 c.p.p., comma 1, ha escluso il diritto della istante alla riparazione, essendo indubbiamente le circostanze succitate idonee a far ritenere – anche se limitatamente all’emissione di una misura cautelare – il coinvolgimento del G. nella fattispecie criminosa contestata.

Anche il secondo motivo è infondato risolvendosi in un enunciato meramente assertivo circa un’ asserita condotta collaborativa dell’istante, incompatibile con i limiti del giudizio di legittimità.

Infondato è anche il terzo motivo: la parte privata non può dedurre per la prima volta in sede di legittimità fatti o circostanze non risultanti dal testo del provvedimento impugnato. In definitiva, non si può imputare al giudice del merito, che ha espresso il proprio giudizio al riguardo, di non avere particolarmente confutato diversi apprezzamenti che mai nessuno gli ha prospettato; e non si possono ora tali apprezzamenti e prospettazioni di merito dedursi per la prima volta in sede di legittimità, a fondamento di dedotti vizi di motivazione.

Consegue, a norma dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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