Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 17-06-2011) 03-08-2011, n. 30863Omicidio colposo

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

L.V.G. e L.V.S. ricorrono avverso la sentenza di cui in epigrafe che, confermando quella di primo grado, li ha riconosciuti colpevoli del reato di incendio colposo, in cooperazione tra loro, addebitato ai medesimi per non avere adottato le opportune cautele affinchè la bruciatura delle ristoppie sul loro terreno non si propagasse finendo per interessare anche il terreno vicino, in modo incontrollato, per una dimensione di circa 12 ettari.

Con i ricorsi, sostanzialmente identici, si prospettano diversi motivi.

Con il primo si lamenta il diniego della rinnovazione del dibattimento per nuovo esame su punti ritenuti controversi delle deposizioni dei testimoni G. (capo squadra dei VVFF intervenuti) e C. (p.o.). Rinnovazione che la corte non aveva disposto ritenendo che il primo avesse adeguatamente riferito sull’inesistenza di alcuna barriera "tagliafuoco", onde tale non poteva comunque ritenersi un muretto di separazione tra le proprietà coinvolte; mentre la p.o. aveva soddisfacentemente chiarito i tempi del sollecitato intervento dei VV.FF..

Con il secondo si lamenta "in fatto" l’essersi verificato un "incendio", sostenendosi che, per tale, poteva ritenersi solo un fuoco di non lievi proporzioni tendente ad espandersi e non suscettibile di facile spegnimento, persistendo comunque il dubbio che il fuoco estesosi sulla proprietà della p.o. fosse in effetti partito dalla proprietà degli imputati.

Con il terzo motivo si censura la valutazione di attendibilità attribuita alle dichiarazioni rese dalle pp.oo., che si sostiene avessero motivi di contrasto con gli imputati.

Il V.G. aggiunge un ulteriore motivo, con cui contesta il ravvisato proprio coinvolgimento nei fatti, che avrebbe dovuto essere escluso attraverso una diversa lettura delle dichiarazioni rese dal testimone L.M., che, invece, la corte di merito avrebbe sminuito nella valenza, vuoi apprezzandone la genericità, vuoi comunque ritenendole non decisive per escludere il coinvolgimento del L.V.G. in ragione dell’orario in cui doveva collocarsi la condotta incriminata.

Motivi della decisione

I ricorsi sono infondati, giacchè evocano una diversa ricostruzione del fatto, improponibile in questa sede e violazioni di norme del tutto insussistenti.

Va ricordato che, in tema di ricorso per cassazione, allorquando si prospetti il difetto di motivazione, l’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), non consente alla Corte di legittimità una diversa lettura dei dati processuali o una diversa interpretazione delle prove, perchè è estraneo al giudizio di cassazione il controllo sulla correttezza della motivazione in rapporto ai dati probatori (Sezione 6^, 6 maggio 2009, Esposito ed altro). Tale principio non consente di fare entrare in questa sede le diverse letture fornite nei ricorsi delle testimonianze controverse (vuoi quelle delle persone di cui veniva sollecitata la ricitazione in appello, vuoi del testimone la cui deposizione il V.G. assume di rilievo per escludere la propria responsabilità, vuoi delle dichiarazioni asseritamente interessate delle pp.oo.).

Del resto, le contestazioni articolate nei ricorsi si scontrano con l’ulteriore principio in forza del quale, in tema di ricorso per cassazione, quando ci si trova dinanzi ad una "doppia conforme" e cioè ad una doppia pronuncia (in primo e in secondo grado) di eguale segno (vuoi di condanna, vuoi di assoluzione), l’eventuale vizio di travisamento può essere rilevato in sede di legittimità, ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), solo nel caso in cui il ricorrente rappresenti (con specifica deduzione) che l’argomento probatorio asseritamente travisato è stato per la prima volta introdotto come oggetto di valutazione nella motivazione del provvedimento di secondo grado (Sezione 4^, 10 febbraio 2009, Ziello ed altri). Ciò che qui non risulta, nè vi è in tal senso specifica dimostrazione.

Le doglianze sul contenute delle deposizioni testimoniali incorrono in un ulteriore vizio, stavolta di carenza di adeguata documentazione.

Infatti, in tema di ricorso per cassazione, quando oggetto della denuncia di vizio di contraddittorietà della motivazione risultante da un atto del procedimento è il contenuto di un esame dibattimentale, e comunque di una dichiarazione, requisito di ammissibilità del ricorso è la produzione integrale del verbale nel quale quella dichiarazione è inserita ovvero la sua integrale trascrizione nel ricorso, giacchè tale integralità, stante l’impossibilità per il giudice di legittimità di accedere agli atti, è essenziale per consentire di verifica re se il "senso o significato probatorio" dedotto dal ricorrente sia congruo al "complesso" della dichiarazione. Il compito del giudice di legittimità è comunque molto delicato ove si consideri che l’individuazione del "senso probatorio" di una dichiarazione, di sue parti o del suo complesso è operazione di stretto merito, che in genere presuppone non solo la conoscenza degli altri elementi di prova, ma appunto anche la stessa valutazione complessiva di tutte le prove: la Corte, in questa prospettiva, deve limitarsi alla "verifica di legittimità" della corrispondenza tra il senso probatorio dedotto dal ricorrente e il contenuto complessivo delle dichiarazione, che è verifica del tutto peculiare, che si caratterizza per il non sostituirsi al compito esclusivo del giudice di merito, limitandosi ad accertare l’eventuale sussistenza del vizio processuale dedotto, senza alcun vincolo "contenutistico" per il successivo apprezzamento del giudice di merito nel caso di annullamento con rinvio sul punto.

Si tratta, in definitiva, di una "valutazione incidentale" in cui il giudice di legittimità deve limitarsi a controllare se il senso probatorio della dichiarazione, dedotto dal ricorrente ed articolantesi su affermazioni (o silenzi) specifici del dichiarante, trovi sul piano logico una verosimiglianza non immediatamente smentita ovvero non necessitante di alcuna operazione interpretativo- valutativa ulteriore, imposta, o anche solo consentita, da altre parti del testo dell’esame complessivamente apprezzato. In tale evenienza, il giudice di legittimità deve, prima, prendere atto dell’apparente contrasto tra quanto affermato nel provvedimento impugnato e quanto risultante con immediatezza dall’atto probatorio, poi dell’eventuale astratta decisività di tale contrasto avuto riguardo alla logica del percorso motivazionale di quel provvedimento, e, quindi, in caso positivo, demandare al giudice del rinvio ogni ulteriore e conseguente, comunque libero, apprezzamento, nella pienezza del giudizio fattuale che caratterizza la valutazione delle prove e che appartiene, appunto, solo al giudice di merito (Sezione 6^, 24 febbraio 2010, Nuzzo Pisciteli ed altri).

Proprio la genericità delle doglianze ne impedisce l’apprezzamento in questa sede. Corretto è, in questa prospettiva, anche il diniego della rinnovazione del dibattimento.

La rinnovazione del dibattimento nel giudizio di appello è un istituto di carattere eccezionale al quale può farsi ricorso esclusivamente quando il giudice ritenga, nella sua discrezionalità, di non poter decidere allo stato degli atti, sicchè non può essere censurata la sentenza nella quale siano indicati i motivi per i quali la riapertura dell’istruttoria dibattimentale non si reputi necessaria (Sezione 3^, 27 maggio 2009, A.).

Il giudicante ha correttamente applicato detto principio, spiegando, come si è accennato, le ragioni della superfluità della ricitazione dei testimoni, invocata dagli imputati, in modo ampiamente convincente e qui incensurabile.

Esente da censure è infine la ricostruzione giuridica del fatto. Per la configurabilità del reato di incendio colposo, il fuoco, causato dalla condotta imprudente e negligente dell’agente, deve essere caratterizzato dalla vastità delle proporzioni, dalla tendenza a progredire e dalla difficoltà di spegnimento, restando irrilevante che resti circoscritto entro un limite oltre il quale non possa estendersi; in presenza di tali caratteristiche, il giudice, il cui accertamento di fatto non è sindacabile in sede di legittimità se condotto con criteri non illogici, deve prescindere dall’accertamento di un pericolo concreto, in quanto nel reato in questione il pericolo per la pubblica incolumità è presunto (Sezione 4^, 21 febbraio 2007, Marasà).

Il giudice di merito si è in proposito soffermato con attenzione, attraverso l’attenta disamina delle prove dichiarative in primo luogo i VV.FF. intervenuti, spiegando convincentemente che si era trattato di incendio, vuoi per la dimensione raggiunta dall’evento, vuoi per le acclarate modalità di spegnimento.

Consegue, a norma dell’art. 616 c.p.p., la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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