Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 17-06-2011) 03-08-2011, n. 30860 Attenuanti comuni danno lieve

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

S.S. ricorre avverso la sentenza di cui in epigrafe che, confermando quella di primo grado, l’ha riconosciuta colpevole del reato di concorso in furto pluriaggravato in concorso con altre persone, sostanziatosi nella sottrazione, con destrezza, del portafoglio in danno di M.M.G.A..

Con il ricorso si ripongono le medesime doglianze già disattese in appello.

Si lamenta il diniego dell’attenuante del valore lieve della refurtiva (pur erroneamente indicata richiamando l’art. 62 bis c.p., relativo alle attenuanti generiche, già concesse), argomentando sul fatto che nel portafoglio vi era la somma di soli 49 Euro. Non poteva condividersi il diniego opposto dal giudice di merito motivato sul fatto che nel portafoglio erano anche i documenti della p.o. "con i correlati conseguenti ulteriori effetti pregiudizievoli per la persona offesa".

Si sostiene che doveva ravvisarsi il solo tentativo: la circostanza, acclarata in sentenza, che gli operatori di pg. avevano assistito al fatto ed erano intervenuti subito dopo, recuperando la refurtiva, doveva portare ad escludere la consumazione, diversamente da quanto opinato dal giudice di merito.

Motivi della decisione

Il ricorso è manifestamente infondato.

Ciò perchè, a ben vedere, è inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi che ripropongono le stesse ragioni già discusse e ritenute infondate dal giudice del gravame, dovendo gli stessi considerarsi non specifici: la mancanza di specificità del motivo, infatti, deve essere apprezzata non solo per la sua genericità, intesa come indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione, questa non potendo ignorare le esplicitazioni del giudice censurato senza cadere nel vizio di aspecificità conducente, a norma dell’art. 591 c.p.p., comma 1, lett. c), all’inammissibilità (Sezione 4^, 8 luglio 2009, Cannizzaro).

Anche a non voler considerare tale profilo processuale, le doglianze anche nel merito sono inaccoglibili.

Quanto all’attenuante prevista dall’art. 62 c.p., n. 4, va ricordato che, allorquando il danno abbia ad oggetto una somma di denaro deve trattarsi di una somma di rilevanza economica minima: per la sussistenza dell’attenuante è necessario, infatti, che il danno arrecato alla parte lesa sia non solo lieve, ma "di speciale tenuità"; e tale speciale tenuità deve essere valutata oggettivamente, in relazione al livello economico medio della comunità, mentre il riferimento alle condizioni economiche del soggetto passivo costituisce solo un criterio sussidiario che potrebbe tutt’al più esercitare influenza negativa, nel senso che, pur essendo il danno di speciale tenuità oggettiva, la concessione dell’attenuante può essere esclusa allorchè, in considerazione delle condizioni particolarmente disagiate della vittima, può avere provocato alla stessa un pregiudizio tale da escludere l’applicazione dell’attenuante in questione (Sezione 2^, 22 novembre 2006, Massimi ed altro).

Già tale rilievo, rispetto alla sottrazione di una somma quale quella in contestazione, legittimerebbe la correttezza del diniego contestato.

Vi è di più. Ai fini della concessione della circostanza attenuante di cui all’art. 62 c.p., n. 4, infatti, l’entità del danno deve essere valutata con riferimento al "complessivo" pregiudizio economico subito dalla persona offesa e non già al mero valore intrinseco dell’oggetto sottratto. E’ necessario, inoltre, che il danno cagionato alla persona offesa sia di "minima rilevanza", non essendo sufficiente che esso sia soltanto lieve (Sezione 3^, 8 maggio 2007, Alia).

Sotto questo profilo, in modo incensurabile e non illogico, il giudicante ha apprezzato negativamente il fatto della sottrazione anche dei documenti, tale da importare un pregiudizio incompatibile con i presupposti dell’attenuante.

Correttamente è stato poi ritenuto il reato consumato.

In tema di furto, infatti, ai fini dell’impossessamento e della sottrazione è sufficiente che la cosa sottratta sia passata – anche per breve tempo e nello stesso luogo in cui la sottrazione si è verificata – sotto il dominio esclusivo dell’agente. Il reato è quindi consumato anche se in un secondo momento altri qui, la polizia giudiziaria o la stessa persona offesa abbia impedito al suo autore di assicurarsi definitivamente il possesso della cosa sottratta, magari costringendo lo stesso agente ad abbandonare la refurtiva subito dopo la sottrazione. E, in una tale prospettiva, il reato è parimenti consumato anche laddove il reo, che si sia impossessato della cosa, magari occultandola sulla propria persona, non abbia fatto in tempo ad allontanarsi dal luogo della sottrazione prima di essere stato sorpreso e sottoposto a controllo (Sezione 4^, 7 aprile 2005, Volpi).

A norma del D.Lgs. 28 luglio 1989, n. 272, art. 29, il minorenne che abbia proposto ricorso per cassazione non può essere condannato, in caso di rigetto o dichiarazione di inammissibilità dell’impugnazione, al pagamento delle spese processuali e della sanzione pecuniaria in favore della cassa delle ammende (Cassazione, Sezioni unite, 31 maggio 2000 Radulovic).

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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