Cass. civ., sez. II 15-11-2006, n. 24301 Vizi riguardanti solo alcuni appartamenti di un edificio in condominio e non anche le parti comuni di esso – Somma liquidata a favore del committente a titolo di risarcimento dei danni

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

R.P., R.F., G.I. e A. F. convenivano in giudizio la Cooperativa Edilizia Lavoratori Pinerolesi 13 febbraio a r.l. e la ditta M.F. esponendo di essere rispettivamente proprietari, in forza di distinti atti pubblici di assegnazione da parte della detta Cooperativa, di alcuni appartamenti siti nel fabbricato costruito in Pinerolo dalla ditta Maurino. Gli attori lamentavano che nelle loro abitazioni si erano verificati gravi fenomeni di infiltrazione di umidità e di trasudamento d’acqua e di condensa tali da rendere gli appartamenti invivibili ed insalubri e, pertanto, proponevano domande nei confronti sia della Cooperativa, parte venditrice, sia della ditta Maurino appaltatrice dei lavori Cooperativa si costituiva sollevando numerose eccezione e contestando ogni responsabilità in ordine ai danni lamentati dagli attori.

Si costituiva anche M.F., titolare dell’omonima ditta, eccependo la decadenza e la prescrizione ex articolo 1669 c.c. nonchè la genericità della domanda e comunque la sua infondatezza.

Con sentenza 29/3/2000 l’adito tribunale di Pinerolo dichiarava inammissibili le domande proposte nei confronti della Cooperativa e condannava M.F. ad effettuare nel fabbricato oggetto di causa le opere indicate nella relazione del c.t.u..

Avverso la detta sentenza il M. proponeva appello.

Gli attori in primo grado resistevano al gravame e, in via subordinata, proponevano appello incidentale chiedendo l’accoglimento della domanda di condanna come formulata nell’atto di citazione e riproposta in via principale all’udienza di precisazione delle conclusioni.

La Cooperativa, costituitasi, chiedeva darsi atto che la sua posizione non era coinvolta dai motivi di gravame per cui nei suoi confronti la sentenza appellata era passata in giudicato.

Con sentenza 18/3/2002 la corte di appello di Torino, in parziale accoglimento dell’appello principale e di quello incidentale, condannava M.F. a pagare agli attori in primo grado la somma complessiva di Euro 67.350,39 oltre accessori. La corte di merito osservava: che, contrariamente a quanto sostenuto dal M., ai fini della tempestività della denuncia dei vizi ex art. 1669 c.c. occorreva far riferimento al momento della scoperta di tali vizi e della loro gravità; che non era sufficiente l’esistenza di mere infiltrazioni di umidità per la decorrenza del termine annuale, ma occorreva la conoscenza da parte degli appellati della causa, della portata dei fenomeni e della loro rilevanza ai sensi dell’art. 1669 c.c.; che correttamente il tribunale non aveva tenuto conto delle deposizioni testimoniali circa le manifestazioni di umidità e infiltrazioni subito dopo la consegna dell’immobile ed aveva invece preso a base il momento in cui i fenomeni avevano assunto obiettiva rilevanza e consistenza in modo da ostacolare la salubrità di vita delle persone che occupavano gli alloggi in questione; che il difetto di esecuzione dell’opera era esistente ed era grave incidendo sull’ordinario godimento delle singole unità immobiliari; che il tribunale era andato "ultra perita" avendo gli appellati limitato le loro richieste finali alla petizione restitutoria; che nelle conclusioni definitive gli appellati avevano chiesto solo il risarcimento dei danni facendo riferimento sia al costo delle opere necessarie per l’eliminazione dei vizi lamentati ed accertati, sia al pregiudizio connesso al disagio ed all’indisponibilità dei locali; che quindi il tribunale non poteva prendere in considerazione la rinunciata domanda iniziale volta ad ottenere la condanna del M. all’esecuzione di tutte le opere necessarie per l’eliminazione dei difetti ed il risarcimento di tutti i danni provocati; che la domanda risarcitoria non era nuova essendo stata proposta sin dall’inizio con l’atto introduttivo del giudizio;

che la modificazione apportata aveva avuto solo un effetto riduttivo trasformando la domanda subordinata in domanda principale; che di conseguenza, in accoglimento dell’appello incidentale, dovevano essere accolte le petizioni risarcitorie articolate dagli appellati all’udienza di precisazione delle conclusioni non comportanti alcuna "mutatio libelli"; che il M. andava condannato a corrispondere agli appellati (i quali avevano concluso unitariamente) la somma di Euro 67.350,39 determinata in base alla valorizzazione degli interventi operata dal c.t.u..

La cassazione della sentenza della corte di appello di Torino è stata chiesta da M.F. con ricorso affidato a due motivi.

R.P., R.F., G.I. e A. F. hanno resistito con controricorso illustrato da memoria. La Cooperativa Edilizia Lavoratori Pinerolesi 13 febbraio a r.l. non ha svolto attività difensiva in sede di legittimità.

Motivi della decisione

Con il primo motivo di ricorso M.F. denuncia violazione dell’art. 1669 c.c. e vizi di motivazione deducendo che la corte di merito ha respinto il primo motivo di appello – attinente all’eccepita decadenza dalla garanzia per i vizi dell’opera – senza entrare nel merito delle osservazioni mosse con l’atto di gravame e confermando apoditticamente la decisione del tribunale. La corte di appello ha quindi omesso di esaminare le discrepanze portate alla sua attenzione ed ha fatto riferimento alla testimonianza del teste G.P. per stabilire il momento dal quale l’inconveniente lamentato aveva assunto caratteristiche tali da renderne palese la gravità. Il giudice di appello avrebbe dovuto ritenere quanto meno dubbia la verosimiglianza di quanto riferito da detto teste alla luce sia delle considerazioni del c.t.u. circa il verificarsi del problema alla prima stagione invernale, sia di quanto affermato dai testi R.M., F.P. e M. R..

La Corte rileva la manifesta infondatezza delle dette censure frutto essenzialmente di una non attenta e non corretta lettura della sentenza impugnata con la quale la corte di merito – al contrario di quanto dedotto dal ricorrente – ha espressamente e dettagliatamente esaminato il primo motivo di appello ritenendolo infondato in base ad adeguata e congrua motivazione immune da vizi logici e da errori di diritto.

In particolare la corte di appello – all’esito di una ineccepibile valutazione di merito delle risultanze istruttorie con riferimento principalmente alle prove testimoniali acquisite – ha coerentemente confermato la decisione di primo grado con la quale il tribunale aveva attribuito importanza decisiva a quanto dichiarato dal teste G. e non alle deposizioni dei testi F., R. e M.. La corte distrettuale è pervenuta alla detta conclusione interpretando e valutando le dette deposizioni testimoniali alla luce e tenendo conto del principio giurisprudenziale pacifico secondo cui nel contratto di appalto il termine per la denunzia dei vizi ex articolo 1669 c.c. non inizia a decorrere finchè il committente non abbia conoscenza sicura dei difetti dell’opera quanto alla gravità degli stessi ed alla riferibilità all’attività dell’appaltatore. Al riguardo questa Corte ha avuto modo di precisare che la determinazione di detto momento, involgendo un apprezzamento di fatto, costituisce oggetto di valutazione riservata al giudice del merito ed è insindacabile in sede di legittimità se sorretta da motivazione esente da vizi logici e giuridici (sentenze 14/11/2002 n. 16008; 29/3/2002 n. 4622; 12/5/2000 n. 6092; 7/1/2000 n. 81).

Le critiche in proposito mosse dal ricorrente si risolvono in sostanza – pur se titolate come vizi di motivazione e come violazione di legge – in una diversa lettura del quadro probatorio dimenticando che l’interpretazione e la valutazione delle risultanze processuali sono affidate al giudice del merito e costituiscono insindacabile accertamento di fatto.

Sono pertanto insussistenti le asserite violazioni di legge che presuppongono una ricostruzione dei fatti diversa da quella ineccepibilmente effettuata dal giudice del merito.

Va poi segnalato che le censure concernenti l’asserito omesso o errato esame delle risultanze istruttorie, relative alle deposizioni dei testi escussi, non sono meritevoli di accoglimento, oltre che per l’incidenza in ambito di apprezzamenti riservati al giudice del merito, anche per la loro genericità in ordine all’asserita erroneità in cui sarebbe incorso il giudice di appello nell’interpretare e nel valutare le risultanze probatorie. Nel giudizio di legittimità il ricorrente che deduce l’omessa o l’erronea valutazione delle risultanze probatorie ha l’onere (in considerazione del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione) di specificare il contenuto delle prove mal (o non) esaminate, indicando le ragioni del carattere decisivo dell’asserito errore di valutazione: solo così è consentito alla Corte di Cassazione accertare – sulla base esclusivamente delle deduzioni esposte in ricorso e senza la necessità di indagini integrative – l’incidenza causale del difetto di motivazione (in quanto omessa, insufficiente o contraddittoria) e la decisività delle prove erroneamente valutate perchè relative a circostanze tali da poter indurre ad una soluzione della controversia diversa da quella adottata. Il mancato esame di elementi probatori, contrastanti con quelli posti a fondamento della pronuncia, costituisce vizio di omesso esame di un punto decisivo solo se le risultanze processuali non o mal esaminate siano tali da invalidare l’efficacia probatoria delle altre risultanze sulle quali il convincimento si è formato, onde la "ratio decidendi" venga a trovarsi priva di base.

Nella specie le censure mosse dal M. sono carenti sotto l’indicato aspetto in quanto non riportano il contenuto specifico e completo delle deposizioni dei testi indicati nel motivo di ricorso in esame e non forniscono alcun dato valido per ricostruire, sia pur approssimativamente, il senso complessivo di tali deposizioni.

Con il secondo motivo il ricorrente denuncia violazione dell’articolo 1669 c.c. e vizi di motivazione sostenendo che la corte di appello ha determinato i danni oggetto del risarcimento sommando tutti gli importi corrispondenti al costo dei lavori elencati nella sentenza di primo grado con quantificazione effettuata in modo del tutto acritico ed immotivato senza alcun riferimento ai motivi di impugnazione con i quali era stata chiesta la commisurazione del risarcimento per equivalente al costo dei soli lavori riguardanti le singole unità immobiliari. La corte di merito ha invece condannato esso ricorrente al pagamento del costo di tutti i possibili interventi di riparazione e/o modificazione. Tale pronuncia di condanna è immotivata oltre che arbitraria ed illogica per aver tradotto in danaro l’imposizione di eseguire interventi esorbitanti rispetto a quanto previsto dagli articoli 1668 e 2058 c.c. Con il riconoscimento del diritto ad ottenere il risarcimento del danno per equivalente è venuto meno il problema dell’esecuzione materiale dei lavori ma si è creata una stortura ancora più evidente ed inammissibile: se prima si sarebbe potuta ipotizzare la raccolta del consenso dei condomini terzi nell’effettuazione delle trasformazioni alla cosa comune con beneficio (al di fuori di ogni logica risarcitoria) per lo stabile, con la monetizzazione del preteso danno ragguagliata alla spesa occorrente per l’esecuzione di quegli stessi interventi, si è attribuito a quattro condomini – a titolo di risarcimento dei loro danni – la somma che sarebbe stata da spendere in favore di tutto il palazzo, senza alcun obbligo per i medesimi di esecuzione diretta dei lavori e senza la possibilità degli altri condomini di avanzare pretese di alcun genere.

Anche questo secondo motivo, al pari del primo, non è meritevole di accoglimento.

Occorre premettere che, come più volte statuito da questa Corte, è possibile chiedere la condanna della società costruttrice al pagamento delle somme necessarie per l’eliminazione dei vizi lamentati: è noto che la domanda con la quale venga chiesta la condanna dell’appaltatore ad eliminare in vizi dell’opera, bene è qualificata dal giudice di merito quale domanda di risarcimento in forma specifica del danno da responsabilità extracontrattuale ex art. 1669 c.c. (da ultimo, sentenza 28/4/2004 n. 8140).

Nella giurisprudenza di legittimità si è anche affermato il principio secondo cui, qualora i vizi di costruzione di un edificio in condominio riguardino esclusivamente alcuni appartamenti di questo e non le parti comuni, l’azione di risarcimento dei danni ex art. 1669 e 2058 c.c., nei confronti del venditore costruttore, va proposta esclusivamente dai proprietari delle unità danneggiate, non sussistendo una ipotesi di litisconsorzio necessario nei confronti degli altri condomini, ancorchè possa sorgere, in sede di esecuzione, una interferenza – in modo non diretto, ma del tutto riflesso – tra il diritto riconosciuto in sentenza (risarcimento del danno in forma specifica) e i diritti degli altri condomini nel senso che i danneggiati, se vorranno che sia eseguito l’opus necessario ad eliminare i difetti, dovranno procurarsi il consenso degli altri condomini per il fatto che esso deve effettuarsi in proprietà condominiale. Peraltro, l’eventuale condizionamento dell’esecuzione dei lavori al consenso dei condomini costituisce un limite estrinseco al contenuto della pronuncia giudiziale, la cui "utilitas" rimane indiscutibile per chi l’ha richiesta ed ottenuta alla stregua di un diritto derivante dal rapporto giuridico intercorso esclusivamente tra le parti in causa. Invero, il suo riconoscimento giudiziale, in quanto di per sè destinato ad operare solo nella sfera giuridica delle parti, e, non incidendo su quella dei condomini, a non collidere con essa, costituisce tuttavia un risultato giuridicamente apprezzabile, anche se la concreta esecuzione del comando giudiziale dovesse poi passare per l’acquisizione del consenso degli stessi condomini (nei sensi suddetti, sentenza 12/7/1994 n. 6537).

La giurisprudenza della Corte ha inoltre avuto modo di rilevare che:

– l’azione di garanzia ex art. 1669 c.c. ha natura personale e può esser fatta valere da qualsiasi titolare del bene oggetto della garanzia, senza necessità che al giudizio partecipino gli altri comproprietari, sia nel caso in cui i vizi denunciati riguardino la cosa comune, sia se investano delle unità immobiliari di proprietà esclusiva (sentenze 10/4/2000 n. 4485; 22/8/1995 n. 7080);

– in tema di appalto, la somma liquidata a favore del committente per la eliminazione dei vizi e difformità dell’opera – a titolo di risarcimento del danno – ha ad oggetto un debito di valore dell’appaltatore che deve essere rivalutato in considerazione del diminuito potere d’acquisto della moneta intervenuto fino al momento della decisione (sentenza 22/6/2004 n. 11594; 23/1/1999 n. 644).

La sentenza impugnata è conforme ai suddetti principi dei quali la corte di appello ha fatto puntuale e corretta applicazione.

Per quanto concerne la determinazione dei danni in questione e della somma necessaria per eliminare i vizi lamentati e accertati è appena il caso di rilevare che la corte di appello ha fatto corretto riferimento alle conclusioni al riguardo raggiunte dal c.t.u. nominato in primo grado e precisate nella relazione peritale (non aggetto di specifiche censure) nella quale erano stati specificati i difetti ed i vizi riscontrati e le opere necessarie per porvi rimedio, nonchè i relativi costi.

Del tutto irrilevante è poi che alcune delle opere necessarie per eliminare i vizi accertati riguardino parti dell’edificio condominiale e non solo le singole unità immobiliari dei resistenti:

in proposito basta richiamare i principi sopra riportati in tema di azione esercitata da singoli condomini di risarcimento danni ex articolo 1669 c.c. e della possibilità che le opere necessarie per eliminare i difetti possano riguardare parti condominiali.

La somma in questione è stata assegnata ai resistenti a titolo di risarcimento del danno lamentato ed accertato ed è stata determinata con riferimento al costo delle opere necessarie per porre rimedio ai difetti ed ai vizi denunciati: spetterà poi ai danneggiati valutare se e quando – utilizzare la somma loro riconosciuta per eseguire le opere ritenute necessarie per porre termine agli inconvenienti riscontrati nelle loro abitazioni.

Va inoltre aggiunto che dalla lettura della sentenza impugnata non risulta, né è stato dedotto in ricorso, che altri condomini dell’edificio in questione abbiano avanzato – o abbiano dichiarato di voler avanzare o possano ancora avanzare – domande simili a quelle proposte dai resistenti nei confronti del M.. I detti altri condomini, con il loro comportamento silente e con la loro inezia, hanno dimostrato o di non aver subito danni, o di rimettersi con fiducia alla iniziativa giudiziaria dei condomini resistenti.

Ciò consente di escludere la sussistenza della "stortura" cui il M. ha fatto riferimento nel motivo di ricorso in esame per la attribuzione a soli quattro condomini di somma da spendere per opere da eseguire nel fabbricato comune ma senza alcun obbligo per i detti quattro condomini di effettiva esecuzione di tali lavori.

Il ricorso deve pertanto essere rigettato con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento – in favore dei resistenti – delle spese del giudizio di legittimità liquidate nella misura indicata in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di Cassazione che liquida in complessivi Euro 100,00, oltre Euro 3.000,00 a titolo di onorari ed oltre accessori come per legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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