Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 17-06-2011) 03-08-2011, n. 30699

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1.- Con ordinanza del 14 luglio 2010 il Tribunale di sorveglianza di Venezia respingeva l’istanza di differimento dell’esecuzione della pena avanzata da S.E., detenuto in esecuzione della pena di anni trenta di reclusione determinata con provvedimento di cumulo emesso dal Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte di Appello di Venezia il 28giugno 2007 e della condanna ad anni due e mesi otto di reclusione inflitta con sentenza del GIP del Tribunale di Ferrara in data 28 aprile 2005.

Osserva il tribunale che l’istante è affetto da" fistola artero- venosa che coinvolge distretti aortico addominale e asse iliaco desto, di origine post traumatica, con sviluppo di miocardia dilatativa, verosimilmente secondaria a tale fistola, da sovraccarico di volume, con ipertensione arteriosa; nonchè esiti di gastroresezione parziale per ferita da arma da fuoco con schegge metalliche ritenute in sede addominale". Rileva che l’unica terapia prevista per tale situazione è quella chirurgica alla quale, però, l’istante ha rifiutato di sottoporsi nonostante l’intervento presso l’Ospedale di Padova fosse stato programmato; ritiene che non debba essere accolta la richiesta, subordinata, di disporre consulenza d’ufficio per valutare le effettive condizioni di salute del detenuto non essendovi dubbi, sulla base della documentazione in atti attentamente vagliata anche dai componenti esperti del collegio, sulla malattia dalla quale è affetto e sull’entità della stessa.

Rilevato, quindi, che la situazione di salute del S. è effettivamente di una certa gravità in quanto necessita di costanti contatti con i presidi medici e, però, l’unica terapia prevista è quella chirurgica, ben eseguibile in regime di art. 11 O.P., che è stata rifiutata ingiustificatamente, ritiene non sussistenti i presupposti per il differimento dell’esecuzione ai sensi dell’art. 147 c.p..

Quanto all’incompatibilità con la detenzione carceraria, il tribunale ritiene che il rischio di un accidente vascolare e, quindi, l’esistenza di un pericolo quoad vitam sia il medesimo tanto in corso di privazione della libertà in istituto penitenziario che in libertà o in regime di detenzione domiciliare; è pertanto il comportamento del condannato, che rifiuta la terapia chirurgica, a determinare il procrastinarsi di un rischio che, comunque, perdurerebbe anche fuori dal carcere. Inoltre, osserva conclusivamente il tribunale che il medico del carcere descrive le condizioni del S. come stazionarie e non incompatibili con la detenzione, pertanto esse non appaiono di tale gravità da rendere l’espiazione contraria al senso di umanità ed egli è in grado, con le dovute cautele, di partecipare alle attività intramurarie compatibili con il suo stato.

2.- Avverso l’ordinanza propone ricorso per cassazione S. E. personalmente deducendo i seguenti motivi:

1) Violazione o erronea applicazione dell’art. 32 Cost., art. 147 c.p., in relazione all’art. 47 ter O.P., motivazione contraddittoria e manifestamente illogica. Il tribunale non ha valutato tutte le relazioni mediche, anche provenienti dai sanitari delle case circ. di Parma e di Padova, in atti, dalle quali risulta, pacificamente, l’incompatibilità del ricorrente con il regime carcerario. La sua situazione di salute, infatti, come appurato dal Tribunale, non è fronteggiabile in carcere e la presenza di una partecipazione al normale regime trattamentale è solo apparente, e ciò nonostante è stato respinta la sua istanza di differimento o di detenzione domiciliare.

2) Violazione o erronea applicazione del combinato disposto degli artt. 27 e 32 Cost., art. 147 c.p., in relazione all’art. 47 ter O.P., motivazione contraddittoria e manifestamente illogica. Assume il ricorrente di vivere la detenzione in condizione di sofferenza costante, non solo direttamente correlata alle patologie di cui soffre, ma perchè di fatto, non può vivere le più normali espressioni della socialità quotidiana ed in tal senso il tribunale ha mal interpretato ed applicato le norme richiamate.

3) Violazione o erronea applicazione del combinato disposto degli artt. 27 e 32 Cost., art. 147 c.p. in relazione all’art. 47 ter O.P., motivazione contraddittoria e manifestamente illogica risultante dal testo dell’ordinanza, oltre che dal certificato penale e dalle relazioni degli istituti penitenziari e dalla documentazione medica in atti. Lamenta il ricorrente che il tribunale abbia richiamato, erroneamente ed inutilmente, ai fini della valutazione della ammissibilità dell’istanza :una evasione dagli arresti domiciliari non risultante tra i titoli in esecuzione ed un carico pendente per fatto del 1987, peraltro con procedimento conclusosi il 23 luglio 2010 con l’assoluzione.

4) Violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla mancata esecuzione della consulenza medico- legale espressamente richiesta in sede di discussione.

Il Tribunale, pur in presenza di questioni tecniche sollevate dalle osservazioni difensive, anzichè disporre una consulenza tecnica ha basato il rigetto di tale prova decisiva sula presenza di un medico non specificamente specializzato per ritenerne superflua l’effettuazione.

3.- Il Procuratore Generale presso questa Corte, con atto depositato il 13 dicembre 2010, chiede che la corte rigetti il ricorso con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali in quanto il tribunale ha motivato esaurientemente sulla non incompatibilità delle patologie del S. con la detenzione in carcere.

Motivi della decisione

1.- Il ricorso è infondato.

2.- Osserva il Collegio che secondo la giurisprudenza di questa Corte, alla quale si presta adesione, anche in presenza di una patologia sicuramente grave del condannato, il giudice non è tenuto automaticamente a concedere il rinvio dell’esecuzione della pena per ragioni di salute, ovvero la misura alternativa della detenzione domiciliare, dovendo invece verificare se la situazione patologica sia congruamente fronteggiabile in ambiente carcerario, senza che ciò contrasti con il basilare senso di umanità e impedisca il normale regime trattamentale (in tal senso, da ultimo, Sez. 1, Sentenza 24.11.2010, n. 1371, Rv. 249319, Sergi).

Nel caso di specie, per quel che riguarda le prime tre censure, il tribunale di sorveglianza da atto delle condizioni di salute del detenuto, quali risultati da tutte le relazioni mediche acquisite, provenienti dagli istituti penitenziari, dai sanitari dell’Ospedale di Padova nonchè dei dati ricavabili dalla consulenza medica di parte, e con motivazione congrua, esauriente, scevra dai lamentati vizi di violazione di legge, rileva come la patologia in atto è suscettibile solo di cura da apprestarsi mediante intervento chirurgico, intervento che era stato preparato e programmato, secondo le modalità previste dalla L. n. 354 del 1975, art. 11, proprio presso la struttura sanitaria, U.O.S. di chirurgia vascolare dell’Ospedale di (OMISSIS), luogo eletto dallo stesso detenuto, negli anni, per seguire la sua patologia. Il richiedente ha, però, rifiutato la terapia chirurgica ed il rischio quoad vitam,, derivante dalla possibilità di un accidente vascolare che solo l’intervento di posizionamento di un’endoprotesi all’interno dell’arteria ipogastrica può scongiurare, come correttamente rilevato dai giudici, è identico sia che il condannato si trovi in detenzione carceraria, oppure in detenzione domiciliare o in libertà. E’ in definitiva il comportamento, pur legittimo dell’istante, a determinare il procrastinarsi di gravi rischi per la sua salute, rischi che, peraltro, sarebbero identici se egli fosse restituito alla libertà ovvero ristretto al proprio domicilio, come congruamente apprezzato dai giudici di merito. Nè le condizioni stazionarie del soggetto, quali descritte dal sanitario del carcere, impediscono allo stesso di partecipare alle attività trattamentali, pertanto, come rilevato dal tribunale con giudizio sul fatto non censurabile in questa sede di legittimità, esse non si rivelano, in generale, di gravità tale da rendere l’espiazione della pena, per le eccessive sofferenze da essa derivanti o perchè priva di significato rieducativo, contraria al senso di umanità ed in contrasto con le norme della costituzione e con quelle di carattere sovranazionale ( art. 32 Cost., art. 27 Cost., comma 3, e art. 3 Convenzione EDU).

Assolutamente prive di rilievo, rispetto al thema decidendum, sono, poi, le doglianze relative al richiamo operato in ordinanza ai precedenti del condannato ed ai suoi carichi pendenti, che peraltro lo stesso ricorrente non nega sussistessero al momento della decisione.

Quanto all’ultima censura, essa è parimenti infondata in quanto, come detto dallo stesso ricorrente in premessa ai motivi di gravame, la consulenza medico legale era domandata al fine di stabilire in via principale, la compatibilità dell’esecuzione dell’intervento e del decorso post operatorio con il regime di detenzione carceraria. Posto che il richiedente ha comunque scelto di non sottoporsi alla terapia chirurgica e le sue condizioni di salute sono ampiamente state accertate e valutate, non vi era necessità alcuna di ulteriori indagini, specie se rivolte ad indagare su una situazione ipotetica, peraltro non realizzatasi.

In conclusione il ricorso è infondato e deve essere rigettato con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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