Corte Suprema di Cassazione – Civile Sezione Tributaria Sentenza n. 24090/2006

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La Società K. C.r.l. ha proposto opposizione avverso l’ingiunzione dell’Ufficio dogana di Rimini per il pagamento della somma di lire 773.419.500, notificata il 13 maggio 1997, per sottrazione di t-shirts al regime di transito comunitario, sostenendo di aver ricevuto la merce da un fornitore greco, quale acquisto intracomunitario in regime di sospensione di imposta, mentre i successivi controlli avevano evidenziato che detta merce, di provenienza extracomunitaria, non era stata sdoganata dal suddetto fornitore, sul quale doveva gravare il debito d’imposta, essendo lo stesso obbligato principale dell’operazione, tenuto a prestare idonea garanzia della sua regolare esecuzione; ha chiesto quindi la disapplicazione dell’ingiunzione e il riconoscimento che l’Iva sulle partite di merce contestate era già stata assolta dall’opponente in regime Intrastat. Il giudice di primo grado ha accolto l’opposizione, attesa la illegittimità della ingiunzione doganale emessa ai sensi del R.D. n.

639/1910, per intervenuta abrogazione di tale sistema di riscossione a norma dell’art. 130 del D.P.R. n. 43 del 1988. Nel merito pur riconoscendo la natura extracomunitaria della merce e la sua sottrazione al controllo doganale, ha ritenuto tuttavia in capo al soggetto acquirente, che aveva espletato le formalità richieste, l’assenza dell’elemento soggettivo idoneo fondare la sua responsabilità ai sensi dell’art. 203 del codice doganale comunitario. La Corte di appello di Bologna ha accolto, con sentenza 11-22 luglio 2000, l’appello dell’Amministrazione finanziaria in ordine alla responsabilità dell’importatore, il quale aveva il dovere di assicurarsi dell’avvenuto sdoganamento della merce extracomunitaria, non sussistendo alcuna norma volta ad imporre al fornitore estero la comunitarizzazione della merce acquistata, mentre l’art. 203 del codice doganale prevede per l’importatore lo specifico dovere di assumere le iniziative necessarie allo scopo, iniziative nella specie non assunte. La Società K. S.r.l. chiede la cassazione di tale sentenza sulla base di tre motivi. Il Ministero delle finanze e l’Agenzia delle Dogane resistono con controricorso, proponendo con lo stesso atto ricorso incidentale sulla base di un motivo, illustrati da memoria.

Motivi della decisione

I ricorsi proposti avverso la medesima sentenza debbono essere previamente riuniti ai sensi dell’art. 335 del codice di procedura civile.

Col primo motivo, adducendo la violazione dell’art. 203 del Regolamento CEE del Consiglio 12 ottobre 1992, n. 2913/92 (Codice doganale comunitario), la ricorrente principale rileva che tale norma presuppone la sottrazione consapevole di merce al controllo doganale da parte di tutte le persone che hanno partecipato a tale sottrazione o che "avrebbero dovuto, secondo ragione, sapere allorquando l’hanno acquistata o ricevuta che si trattava di merce sottratta al controllo doganale ?". Nella specie, pacifico essendo la sottrazione all’obbligo doganale da parte del fornitore greco, titolare del regime di transito comunitario, non può considerarsi condebitore fiscale l’importatore acquirente, che abbia agito, come nella specie, nel rispetto di tutte le formalità previste. Col secondo motivo dello stesso ricorso, adducendo vizio di motivazione della sentenza impugnata, la Società K. S.r.l. afferma che nel regime di scambio fra Paesi comunitari (Intrastat) sia imposto all’acquirente – contrariamente a quanto sostiene la sentenza impugnata, che richiama giurisprudenza relativa ad importazioni da Paesi terzi – il controllo circa la provenienza della merce.

Col terzo motivo del ricorso principale, infine, adducendo violazione degli artt. 96, 195, 317, 348 Regolamento CEE n. 2913/92 la ricorrente sottolinea che il titolare del regime di transito comunitario, tenuto a presentare le merci intatte all’ufficio doganale di destinazione e a prestare idonea garanzia per assicurare il pagamento dell’obbligazione doganale, non può essere confuso con l’importatore della merce, trattandosi di soggetto tenuto a garantire, mediante fideiussione, il buon esito del transito comunitario, e rispondere in prima persona della irregolarità di tale transito, e ciò in quanto l’ufficio doganale di partenza registra la dichiarazione sul Modulo T1, conservandone un esemplare e consegnando gli altri all’obbligato principale. Tale documento, interamente riportabile al dichiarante, costituisce la prova della "posizione comunitaria delle merci". L’Amministrazione controricorrente, nel contestare le avverse deduzioni, sostiene che i documenti di importazione T1 contenevano false attestazioni di avvenuto sdoganamento della merce, di cui la ditta importatrice avrebbe dovuto rendersi conto usando l’ordinaria diligenza;

mentre col ricorso incidentale deduce la violazione, da parte dei giudici d’appello dell’art. 130, comma 2, del D.P.R. n. 43/1988 in riferimento all’art. 82 del D.P.R. n. 43/1973, nonchè vizio di motivazione della sentenza impugnata che aveva confermato la illegittimità e la non esecutività della ingiunzione opposta, disconoscendone la valenza di atto di accertamento, idoneo ad iscrivere a ruolo la pretesa tributaria.

Il ricorso principale è complessivamente infondato. Nella specie, non è infatti in discussione il principio che l’obbligazione doganale sorga in primo luogo, ai sensi dell’art. 203 del Regolamento CEE n. 2913/1992 nei confronti della persona che ha sottratto la merce al controllo doganale, dei suoi complici o favoreggiatori, ovvero dell’eventuale fideiussore; la responsabilità della società importatrice è invece contestata dall’Amministrazione finanziaria sulla base di un’omissione di diligenza, cioè in quanto (in forza dello stesso art. 203) la stessa avrebbe dovuto sapere "secondo ragione", allorquando aveva acquistato la merce, che si trattava di merce sottratta al controllo doganale. La società K. S.r.l. contesta in proposito la propria buona fede, per essere stata la merce, in quanto comunitaria, regolarmente introdotta in Italia in regime Intrastat, cioè senza documento doganale di accompagnamento. La merce in questione, tuttavia, era di provenienza extracomunitaria, circostanza che non poteva essere ignorata dalla Ditta importatrice, posto che tale merce era accompagnata da certificati di sdoganamento risultati falsi, ancorchè stilati su Modulo T1, come previsto dall’art. 341 del Regolamento n. 2454/93/CEE. Sostiene nondimeno la Società importatrice che le merci erano state acquisite sulla base documentazione regolare, e che le irregolarità conseguente al controllo a posteriori da parte degli uffici doganali non potevano esserle imputate. Ciò non è in via di principio esatto. Infatti l’art. 84 del codice doganale comunitario prevede che ove le merci non comunitarie siano assoggettate (come nella specie), al regime del cosiddetto "transito comunitario esterno", tale regime può essere provvisoriamente esercitato previa presentazione all’ufficio doganale di destinazione della dichiarazione redatta su modulo T1 nell’ufficio di partenza, modulo che va controllato a posteriori dalla dogana di destinazione (art. 356 del codice doganale comunitario) e rispedito quindi all’ufficio di provenienza. Ove da tali controlli risulti, come nella specie, la irregolarità (falsità) del citato Modello, l’importatore che lo ha presentato all’ufficio di destinazione è comunque tenuto allo sdoganamento, indipendentemente dalla sua convinzione soggettiva che tale pratica fosse stata perfezionata nel Paese comunitario di provenienza, o che vi fosse un fideiussore, trattandosi di obbligazione solidale che abilita la dogana di destinazione a rivolgersi comunque all’importatore finale per ottenere il pagamento dei dazi evasi. Va peraltro rilevato che nella specie, la società ricorrente, pur dichiarandosi estranea all’evasione, non ha chiesto di essere manlevata nè dall’esportatore greco nè dal fideiussore. L’assunto secondo il quale la responsabilità dell’importatore sussiste in via generale, salvo alcuni casi di cui si dirà appresso, è confortata dalla giurisprudenza della Corte di giustizia delle Comunità europee, secondo la quale la facoltà di non procedere al recupero a posteriori (di cui all’art. 220 del Regolamento n. 2454/93/CEE) dell’importo dei dazi doganali qualora tali dazi non siano stati riscossi a causa di un errore della autorità competenti (art. 5, n. 2, del Regolamento CEE n. 1697/79) sussiste soltanto se l’errore non poteva essere ragionevolmente scoperto dal debitore in buona fede, e semprechè tale errore sia dipeso da un comportamento attivo dell’ufficio (Corte Giust. 13 novembre 1984 in cause riunite C-98/83 e C-230/83; 7 settembre 1999 in causa C-61/98; Tribunale di I grado in cause riunite T-10/97 e T-11/97) e non da un fatto doloso o da un raggiro dell’esportatore (quale, nella specie, la falsificazione dei Modulo T1): in tale ipotesi infatti, la buona fede dell’importatore non è comunque sufficiente ad esimerlo dall’adempimento della sua obbligazione (Cass. n. 1971/1996; n. 21775/2005). La Comunità infatti non è tenuta a sopportare, come ha sottolineato la sentenza impugnata, le conseguenze pregiudizievoli di comportamenti scorretti di fornitori degli importatori, i quali debbono essere in grado di calcolare i vantaggi realizzabili mediante il commercio di prodotti che possono godere di preferenze tariffarie in relazione ai rischi inerenti alla commercializzazione degli stessi (Corte Giust. 14 maggio 1996 in cause riunite C-153/94 e C-204/94; Causa C-97/95, P. & F.). Il ricorso principale deve essere dunque complessivamente rigettato, con assorbimento del ricorso incidentale. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi, rigetta il ricorso principale, dichiara assorbito il ricorso incidentale. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali, che liquida in complessivi euro 7.l00,00, di cui euro 7.000,00 per onorari, oltre spese ed accessori come per legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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