Corte conti, sez. III Pens. Civili 06-06-1967, n. 24085 Pensioni civili e militari equo indennizzo giurisdizione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

A seguito di intervento della Guardia di Finanza, l’Ufficio II.DD. di Avellino con avviso di accertamento elevava, in relazione all’anno 1992, a lire 169.161.000 il reddito da lavoro autonomo dichiarato da Antonio B., esercente attività di mago e indovino con studi in diverse località del centro – sud.

Avverso l’accertamento il B. ricorreva alla Ctp di Avellino, che accoglieva parzialmente il ricorso, determinando il volume d’affari in lire 86.880.803, imputandolo per il 50% all’attività di cartomante e per il 50% all’attività di indovino e ritenuta quest?.ultima attività illecita, affermando la non imponibilità del relativo reddito.

l’Ufficio impugnava la decisione dinanzi alla Ctr Campania la quale, per quel che in questa sede ancora rileva, accoglieva l’appello, in particolare evidenziando che l’articolo 14 legge 537/93 (esplicitamente ricomprendente tra i redditi imponibili anche i proventi derivanti da fatti qualificabili come illecito), è da ritenersi norma di interpretazione autentica del Dpr 917/86, e perciò applicabile al caso in esame, con conseguente irrilevanza della (peraltro arbitraria e artificiosa) distinzione tra l’attività di cartomante e quella di indovino, non risultando agli atti elementi a sostegno di tale, distinzione; la Ctr segnalava, peraltro, che la contestazione dell’illegale esercizio del generico mestiere di ciarlatano contenuta nel verbale non risultava seguita da ordinanza-ingiunzione del Prefetto e infine che non poteva ritenersi ricorrente l’ipotesi di attività illecita con riguardo alle attività di astrologo, grafologo, chirocartomante, veggente ed occultista.

Rilevavano inoltre i giudici d’appello che la Ctp era incorsa in ultrapetizione commisurando al 50/% invece del 60/% richiesto dalla parte la tassabilità dei redditi ritenuti provenienti da attività lecite e che erroneamente, perché senza alcun supporto logico e documentale, era stata ritenuta l’incongruità del reddito accertato e ridotto il reddito imponibile esclusivamente agli importi risultanti dai conti postali.

Avverso questa sentenza Antonio B. propone ricorso per cassazione; l’Amministrazione e l’Agenzia delle Entrate resistono con controricorso.

Motivi della decisione

Col primo motivo, deducendo violazione e falsa applicazione di norme di diritto, con riferimento al dettato dell’articolo 1 legge 212/00 in relazione all’articolo14 legge 537/93, il ricorrente rileva che, a norma del citato articolo 1 legge 212/2212/00, l’emanazione di norme interpretative in materia tributaria può avvenire solo quando ricorrano casi eccezionali e soltanto qualificando come tali le disposizioni di interpretazione autentica, onde sarebbe da escludere la natura di norma di interpretazione autentica dell’articolo14 legge 537/93.

Col secondo motivo, deducendo violazione e falsa applicazione di norme di diritto, il ricorrente rileva che la qualificazione giuridica in ordine alla liceità o meno di un?attività è questione di carattere generale che può farsi in via analogica ad esempio valutando che l’attività della prostituzione non è stata, mai tassata dallo Stato e che, quanto alla ritenuta liceità dell’attività di indovino, essa sarebbe da escludere alla luce degli articoli 121 e 17bis Tulps in relazione all’articolo 23 del relativo regolamento di attuazione, che vietano il mestiere di ciarlatano, dovendosi intendere per tale ogni attività diretta a speculare sull’altrui credulità o a sfruttare ed alimentare l’altrui pregiudizio.

Col terzo motivo, deducendo vizi di motivazione nonché inammissibilità della deduzione del preteso vizio di ultrapetizione, il ricorrente rileva che l’affermazione secondo la quale i giudici di primo grado sarebbero incorsi in ultrapetizione commisurando al 50%, in luogo del 60% richiesto, la tassabilità dei redditi ritenuti provenienti da attività lecite, sarebbe sprovvista di motivazione.

Col quarto motivo, deducendo vizio di motivazione, il ricorrente rileva che sarebbe sfornita di motivazione la pretesa erronea tassazione del solo incasso desumibile dai conti postali, senza considerare che era stata fornita dimostrazione contabile che le somme fatte transitare sui conti correnti bancari provenivano dai conti postali dovendosi perciò ritenere ingiusta la sommatoria degli importi risultanti dai conti bancari e postali.

Col quinto motivo, deducendo vizio di motivazione, il ricorrente assume che i giudici d’appello, affermando che non vi sarebbe prova che quanto incassato a mezzo posta era stato regolarmente trasferito sui conti bancari, avrebbe posto a carico del contribuente la prova della correttezza contabile e si sarebbe cosi astenuto dal motivare le proprie contestazioni in proposito, senza considerare che spetta all’Amministrazione Finanziaria fornire la prova della propria pretesa.

Col sesto motivo, deducendo omessa motivazione su di un punto decisivo, il ricorrente rileva che i giudici d’ appello avrebbero omesso ogni motivazione in ordine alla questione, evidenziata dal contribuente fin dal primo grado, dell’illegittima acquisizione dei dati bancari, posto che solo con l’articolo 81 legge 413/91 è stata disposta l’abolizione del segreto bancario con espressa decorrenza dall’1 gennaio 1992, con la conseguenza che, in riferimento agli anni precedenti l’1 gennaio 1992, l’Amministrazione, senza munirsi dell’autorizzazione prevista dalla precedente disciplina, avrebbe utilizzato dati raccolti in violazione del previgente segreto bancario, laddove il contribuente aveva, per quel periodo, fatto affidamento proprio sulla tutela accordata dal legislatore alla riservatezza dei conti bancari.

Le esposte censure sono infondate.

Con riguardo al primo motivo è innanzitutto da rilevare che la giurisprudenza di questo giudice di legittimità ha ripetutamente affermato che l’articolo 14, comma 4, della legge 537/93 è da ritenersi norma di interpretazione autentica dell’articolo 6 del Dpr 917/86, con la conseguenza che sono retroattivamente tassabili anche i proventi derivanti da illecito, includendo perciò nel reddito imponibile perfino il prezzo del reato obbligatoriamente soggetto a confisca (quando essa non sia stata adottata), dovendo altresì ritenersi tale disposizione interpretativa, ancorché non vincolante rispetto alla precedente disciplina (articoli 1 e 6 del Dpr 597/73 ed articolo 1 del Dpr 599/73), criterio ermeneutica influente, alla stregua della sostanziale identità della stessa in ordine alla determinazione dei presupposti della tassazione, cosi arrivando a considerare imponibili i proventi di qualsivoglia attività illecita anche nel vigore della normativa antecedente al citato Dpr 917/86 (v. tra le altre Cassazione, 4381/95).

A tale orientamento, confermato da numerosa giurisprudenza anche successiva all’entrata in vigore della legge 212/00 (v. Cassazione 21746/05 e 13335/03), questo giudice ritiene di dover aderire, non ravvisando valide ragioni per discostarsene.

In particolare, è da osservare che la disposizione citata, non essendo essa stessa dotata di retroattività, è norma rivolta al legislatore e valevole per il futuro, dovendosi escludere che essa possa incidere sulle norme di interpretazione autentica emanate dal legislatore in precedenza.

Peraltro, come sopra evidenziato, la giurisprudenza ha ritenuto che il citato articolo 14 legge 537/93, a prescindere dalla sua retroattività, costituisce criterio ermeneutico influente anche nell’ interpretazione della disciplina anteriore a quella autenticamente interpretata.

Il rigetto del motivo che precede comporta l’assorbimento del secondo e del terzo motivo, entrambi presupponenti la rilevanza, ai fini fiscali, della provenienza (lecita o meno) dei redditi.,

Con riguardo al quarto motivo, deve rilevarsene l’inammissibilità per carenza di autosufficienza, posto che il ricorrente deduce vizio di motivazione per avere il giudice trascurato di considerare la ?dimostrazione contabile?, fornita dal contribuente, del fatto che sui conti bancari erano transitate somme dai conti postali, ma omette assolutamente di indicare in cosa consista tale ?dimostrazione?, quando essa sia stata fornita ai giudici di merito e, a fortori, omette di riportare il testo di un eventuale documento dal quale tale ?dimostrazione? risulterebbe.

Con riguardo al quinto motivo, nella sentenza impugnata non risulta alcuna inversione dell’onere probatorio, posto che, avendo l’Amministrazione provato il quantum della pretesa fondando l’accertamento induttivo sull’ammontare dei conti bancari e postali, spettava al contribuente l’onere della prova contraria, nella specie l’onere di provare l’asserito passaggio delle somme dai conti postali a quelli bancari.

Infine, con riguardo al sesto motivo di ricorso, è innanzitutto da rilevare che nella specie non viene denunciata un?omessa pronuncia, bensì un vizio di motivazione, peraltro inammissibilmente relativo a questione di diritto (valutazione della disciplina applicabile in materia di segreto bancario in relazione non al ?tempo? dell’acquisizione dei dati, bensì al ?tempo? cui i dati si riferiscono) e che, secondo la giurisprudenza di questo giudice di legittimità, quando viene denunciato un difetto di motivazione non riguardante un accertamento in fatto, bensì un?astratta questione di diritto, il . giudice di legittimità investito, a norma dell’articolo 384 c.p.c., del potere di integrare e correggere la motivazione (manchevole o inesatta) della sentenza impugnata è chiamato a valutare se la soluzione adottata dal giudice del merito sia oggettivamente conforme alla legge, piuttosto che a sindacarne la motivazione, con la conseguenza che l’eventuale mancanza o erroneità di questa deve ritenersi del tutto irrilevante, quando il giudice del merito sia, comunque, pervenuto ad una esatta soluzione del problema giuridico sottoposto al suo esame (v. tra le altre Cassazione 15764/04 e 12753/99).

Tanto premesso. è da ritenersi corretta la decisione dei giudici di merito, i quali hanno tenuto conto degli accertamenti bancari posti dall’amministrazione a base, del provvedimento impositivo, posto che, nella specie, tali accertamenti sono successivi all’entrata in vigore della legge 413/91, sia pure riferendosi a dati antecedenti, senza che possa ricavarsi dalla disciplina positiva una sorta di sopravvivenza del cd. segreto bancario in relazione all’oggetto degli accertamenti ed alla collocazione ?storica? del medesimo in ragione di un eventuale affidamento sulla differente disciplina all’epoca vigente.

Peraltro, la giurisprudenza di questo giudice di legittimità ha affermato che, in caso di accertamento dei redditi fondato su documenti bancari, non ha rilievo, al fine di escludere la legittimità dell’accertamento medesimo, neppure la circostanza che tali documenti risultino acquisiti in epoca anteriore alla data di entrata in vigore della legge 413/91 che ha consentito l’accesso ai dati bancari, purché l’avviso di accertamento sia stato notificato al contribuente in un?epoca in cui erano già consentite deroghe al segreto bancario, dovendo escludersi avuto anche riguardo alla portata della, delega contenuta nella legge 825/71, ed ai principi al riguardo espressi dalla sentenza della Corte costituzionale 51/1992 che il segreto bancario costituisca, nel regime anteriore alla disciplina innovativa di cui alla citata legge 413/91, un principio inderogabile, e dovendo, al contrario, ritenersi che le ?ipotesi di particolare gravità? indicate dalla citata legge delega in attuazione della quale sarebbe stato, poi, emanato il Dpr 600/73 come quelle che giustificavano il ricorso alla documentazione bancaria, ricomprendevano tutti i casi di illecito per evasione fiscale. (v. Cassazione 267/01; 12971/01 e 7613/02).

Alla luce di tutto quanto sopra esposto, il ricorso deve essere rigettato. Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in e 900,00 di cui e 800,00 per onorari, oltre spese generali e accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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