Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 31-05-2011) 03-08-2011, n. 30695 Circostanze speciali

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con sentenza del 1 luglio 2010 la Corte d’Appello di Catania: – ha confermato la pena di anni 6 di reclusione ed Euro 1.500,00 di multa, inflitta dal Tribunale di Catania, con sentenza del 9 marzo 2009, a M.A., siccome ritenuto penalmente responsabile dei seguenti reati, riuniti col vincolo della continuazione:

– del reato di cui al capo B) della rubrica (illegale detenzione e porto in luogo pubblico di più armi comuni da sparo, parte delle quali illegalmente da lui detenute in epoca anteriore all’inizio della sua collaborazione con la giustizia per conto dell’associazione mafiosa Santapaola; con l’aggravante di aver commesso i fatti per agevolare l’attività dell’associazione di stampo mafioso di cui era partecipe: artt. 81 cpv. e 110 c.p., L. n. 895 del 1967, artt. 2, 4 e 7, e successive modificazioni, D.L. n. 152 del 1991, art. 7); – del reato di cui al capo E) della rubrica (aver fittiziamente attribuito a V.R. e S. la proprietà delle botteghe siete in (OMISSIS), nonchè del locale sito in (OMISSIS), al fine di eludere le disposizioni di legge in materia di misure di prevenzione patrimoniale: L. n. 306 del 1992, art. 12 quinquies).

2.Con la medesima sentenza di cui sopra la Corte d’appello di Catania ha confermato la pena di anni 4 e mesi 6 di reclusione ed Euro 1.400,00 di multa, inflitta il 9 marzo 2009 dal Tribunale di Catania a C.C.. siccome ritenuto penalmente responsabile, in concorso con M.A., del reato di cui al capo B) della rubrica (illegale detenzione e porto in luogo pubblico di più armi comuni da sparo, parte delle quali illegalmente detenute dal M. in epoca anteriore all’inizio della sua collaborazione con la giustizia per conto dell’associazione mafiosa Santapaola; con l’aggravante di aver commesso i fatti al fine di agevolare l’attività dell’associazione di stampo mafioso di cui era partecipe:

artt. 81 cpv. e 110 c.p., L. n. 895 del 1967, artt. 2, 4 e 7, e successive modificazioni, D.L. n. 152 del 1991, art. 7).

3. La Corte territoriale ha fondato la penale responsabilità di entrambi gli imputati in ordine al delitto di cui ai capo B) della rubrica sulle concordi e convergenti dichiarazioni rese da ben quattro collaboratori di giustizia ( I., ME., C. e L.), dichiarazioni particolarmente affidabili in quanto provenienti da soggetti appartenenti al medesimo clan mafioso Santapaola e tutte spontanee e ben circostanziate; i predetti collaboratori avevano in particolare riferito come la custodia delle armi del gruppo Santapaola avveniva in alcuni periodi all’interno dell’esercizio di autodemolizione gestito dal C.; nonchè sugli esiti delle intercettazioni telefoniche effettuate sulle utenze in uso ai due imputati.

Secondo la Corte territoriale sussisteva con riferimento al reato in esame altresì l’aggravante di cui al D.L. n. 152 del 1991, art. 7, in quanto la custodia delle armi aveva avuto il fine di agevolare l’attività illecita della consorteria mafiosa, di cui il M. faceva parte; nè tale aggravante poteva ritenersi esclusa dal fatto che il C. non fosse stato ritenuto intraneo a detta consorteria mafiosa, essendosi egli pur sempre mostrato disponibile a svolgere compiti di custodia di armi in favore della consorteria mafiosa anzìdetta. Il reato di cui al capo E) della rubrica, attribuito al solo M. risultava, secondo la Corte territoriale, adeguatamente provato dalle propolazioni di ben cinque collaboratori di giustizia e da numerose conversazioni telefoniche intercettate, oltre che dalle stesse ammissioni fatte dall’imputato circa la fittizia intestazione delle unità immobiliari descritte in rubrica a prestanomi, al fine di eludere le disposizioni in materia di misure di prevenzione patrimoniali.

4. Avverso detta sentenza della Corte d’Appello di Catania ricorrono per cassazione M.A. e C.C. per il tramite dei rispettivi difensori; quest’ultimo ha altresì prodotto ulteriore memoria difensiva datata 12 maggio 2011. 5. M.A. ha dedotto motivazione carente, contraddittoria e manifestamente illogica, in quanto i quattro collaboratori di giustizia indicati dalla sentenza impugnata avevano reso dichiarazioni accusatone generiche, de relato e mai riscontrate;

erano poi del tutto infondate le valutazioni svolte dalla sentenza impugnata relative alla contraddittorietà ed alla incoerenza che avrebbe caratterizzato il proprio percorso collaborativo, mentre al contrario le circostanze processuali avevano riscontrato la sua assoluta credibilità; da alcune intercettazioni telefoniche indicate dalla sentenza di primo grado era infatti emersa la sua autentica e consapevole volontà collaborativa; inoltre le emergenze probatorie non avevano rivestito lo spessore processuale necessario per pervenire ad una affermazione di penale responsabilità, essendo fondate su motivazioni manifestamente logiche e contraddittorie.

5. C.C. ha dedotto:

a) – violazione di legge e carenza di motivazione in quanto le dichiarazioni rese da alcuni collaboratori di giustizia non erano state controllate sia con riferimento alla loro credibilità, sia con riferimento alla sussistenza degli indispensabili riscontri oggettivi; inoltre era stata posta a suo carico un’unica intercettazione telefonica erroneamente a lui attribuita, in quanto in essa egli non poteva essere indicato come interlocutore.

Nessuno dei collaboratori di giustizia aveva indicato elementi certi in ordine ai tempi ed alle circostanze della consegna delle armi, nessuno di essi aveva conosciuto per via diretta la presunta consegna delle stesse; la sua frequentazione telefonica con il coimputato N. non aveva mai dato luogo ad elementi di addebito nei suoi confronti ed un’unica conversazione (la numero 1080 del 23 agosto 1999) era stata a lui erroneamente attribuita; inoltre non erano stati mai chiariti i contorni e tempi relativi alla consegna ed alla detenzione da parte sua delle armi; la lettura unitaria degli elementi posti a suo carico non era idonea a dimostrare la concretezza del quadro probatorio, necessaria in questa sede per un giudizio di responsabilità; inoltre egli aveva sempre mostrato piena collaborazione con gli organi della giustizia, aveva sempre risposto agli interrogatori ed aveva fornito chiarimenti in merito a tutti gli episodi; ed infatti l’assunto accusatorio non era stato riscontrato da alcun ritrovamento o sequestro di armi, nè i collaboranti avevano fornito notizie precise in ordine ai tempi ed alle caratteristiche delle armi da lui detenute;

b) – insussistenza dell’aggravante di cui al D.L. n. 152 del 1991, art. 7, e prescrizione del reato, in quanto, secondo la giurisprudenza di legittimità, tale aggravante non era ravvisabile quando, come nel caso in esame, non era stato offerto un contributo alla consorteria criminale nel suo complesso ma solo ad un singolo associato, neppure quando quest’ultimo fosse stato un personaggio di vertice; esso ricorrente non era stato inserito in alcuna consorteria mafiosa ed era stato solo amico del M., che egli aveva forse deciso di favorire, siccome dal medesimo intimorito, in un solo episodio ancor oggi mal delineato; non poteva pertanto ritenersi sussistere la sua volontà di agevolare il clan mafioso, non potendosi ritenere che esso ricorrente si fosse rappresentato ed abbia voluto che dalla sua condotta potesse conseguire una qualche agevolazione alla consorteria mafiosa come tale.

Una volta esclusa la sussistenza della contestata aggravante, il reato ascrittogli era poi da ritenere prescritto.

6.Con la memoria aggiunta del 12 maggio 2011 C.C. ha ulteriormente dedotto motivazione carente,, contraddittoria ed illogica Circi la sussistenza dell’aggravante di cui al D.L. n. 152 del 1991, art. 7, in quanto, secondo l’accusa, il delitto di cui al capo B) sarebbe stato da lui commesso in un arco temporale ricompreso fra il mese di agosto del 1998 ed il 30 marzo 2004; tuttavia esso ricorrente era stato assolto con la formula "perchè il fatto non sussiste" dal reato associazione di stampo mafioso, anch’esso contestatogli dal mese di agosto 1998 fino al 30 marzo 2004; la motivazione concernente la sussistenza dell’aggravante in esame era pertanto illogica e contraddittoria in quanto nello stesso arco temporale i giudici avevano ritenuto che non vi fosse alcun appartenenza nè di esso ricorrente nè del M. ad alcun sodalizio criminoso, sì che l’ipotizzata detenzione di armi da parte di esso ricorrente nell’interesse del M. non poteva nè sotto il profilo oggettivo nè dal punto di vista soggettivo aver agevolato alcuna consorteria mafiosa; se poi fosse stato tenuto conto dell’appartenenza del M. ad un’associazione di stampo mafioso per il periodo anteriore alla agosto 1998, l’aggravante anzidetta non avrebbe potuto essergli stata contestata, siccome riferita ad un periodo antecedente rispetto a quello per il quale era stato contestato il reato in materia di armi.

Motivi della decisione

1. E’ infondato il ricorso proposto da M.A., riferito alla mancata sussistenza a suo carico di adeguati indizi di colpevolezza, in ordine al reato contestatogli al capo B) della rubrica, concernente violazioni legge armi. Va al contrario rilevato che i giudici di merito, con motivazione incensurabile nella presente sede, siccome esente da vizi logici e da contraddizioni, hanno indicato i gravi elementi di prova, posti a fondamento della sua declaratoria di colpevolezza per il reato in esame, elementi costituiti dalle concordi dichiarazioni rese nel corso del dibattimento di primo grado da ben quattro collaboratori di giustizia ( I.F., C.S., ME.Sa. e L.G.), tutti particolarmente attendibili in quanto esponenti di rilievo del clan mafioso Santapaola e dai risultati delle intercettazioni telefoniche disposte sulle utenze telefoniche in possesso suo e del coimputato C.; da tali elementi era emerso come il ricorrente, unitamente al coimputato C., avesse svolto il ruolo di detentore e custode delle armi da fuoco nella disponibilità della cosca mafiosa dei Santapaola.

Le argomentazioni svolte dal ricorrente per negare tale suo ruolo sono del tutto generiche ed aspecifiche, non avendo indicato con esattezza le eventuali contraddizioni in cui sarebbero caduti i collaboratori di giustizia e neppure avendo formulato specifiche censure in ordine alle intercettazioni telefoniche poste a suo carico.

2. E’ altresì infondato il motivo di ricorso proposto sub a) da C.C., concernenti la mancata commissione, da parte sua, del delitto di illecita detenzione e porto in luogo pubblico di armi da sparo.

Anche con riferimento a tale ricorso valgono i rilievi formulati in ordine all’analogo ricorso formulato da M.A., trattandosi di censure generiche ed aspecifiche, inidonee a confutare i gravi e convergenti elementi di colpevolezza posti a suo carico dai giudici di merito e costituiti, come per il coimputato M., dalle concordi dichiarazioni rese nel corso del dibattimento di primo grado da ben quattro collaboratori di giustizia ( I.F., C.S., ME.Sa. e L.G.), tutti particolarmente attendibili in quanto esponenti di rilievo del clan mafioso Santapaola e dai risultati delle intercettazioni telefoniche disposte sulle utenze telefoniche in possesso suo e del coimputato C.; da tali elementi era emerso come il ricorrente, avesse coadiuvato col coimputato M. nello svolgere il ruolo di detentore e custode delle armi da fuoco nella disponibilità della cosca mafiosa dei Santapaola, avendo acconsentito a nasconderle all’interno dell’officina di sfasciacarrozze, da lui gestito.

3.E’ altresì infondato il motivo di ricorso proposto da C. Carmelo sub b) ed ulteriormente illustrato con la memoria aggiuntiva del 12 maggio 2011, concernente l’insussistenza a suo carico dell’aggravante di cui alla L. n. 203 del 1991, art. 7.

Tale ultima circostanza aggravante ben può consistere nella condotta di chi, come il ricorrente, anche senza essere organicamente inserito in un’associazione mafiosa, abbia tuttavia offerto un contributo significativo al perseguimento delle finalità proprie della cosca mafiosa, essendo solo indispensabile che il comportamento tenuto dal soggetto risulti assistito da una cosciente ed univoca volontà, intesa ad agevolare il sodalizio criminoso considerato nel suo complesso (cfr. Cass. 6^, 13.11.08 n. 2696, rv.242686).

Tanto è ravvisabile nella specie in esame, essendo emerso che il ricorrente ha accettato di detenere e custodire nella sua officina di sfasciacarrozze le armi, essendo ben consapevole che le stesse venivano utilizzate non dal singolo coimputato M., ma dall’intera cosca mafiosa, secondo le necessità del momento, si che il comportamento del ricorrente è da ritenere consapevolmente inteso a rafforzare l’intera cosca mafiosa dei Santapaola, essendo di primaria importanza e strategico per l’intera cosca poter disporre, in caso di necessità, di armi da fuoco efficienti, collaudate e sicure per realizzare la loro attività criminosa.

Il comportamento del ricorrente non può pertanto essere ritenuto per sua natura strettamente personale e riferibile esclusivamente alla persona del M., potendosi al contrario fondatamente ritenersi, alla stregua di quanto emerso nei giudizi di merito, che detto comportamento abbia perseguito la finalità di rafforzare l’intera cosca mafiosa, di cui il M. era esponente.

4. I ricorsi proposti da M.A. e C.C. vanno pertanto respinti, con loro condanna al pagamento delle spese di giudizio.

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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