Cass. civ., sez. I 09-11-2006, n. 23937 Soggetto privato – Equiparazione allo Stato ai fini dell’applicabilità delle direttive non attuate -Efficacia nei confronti dello Stato

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con citazione notificata il 28 luglio 1994 i signori M. C., G. C., E. L. e L. D. convennero in giudizio la Spa Rti ? Reti televisive italiane. Dedussero di essere fruitori dei servizi televisivi delle reti facenti capo alla società convenuta (?Retequattro?, ?Canale 5? e ?Italia 1?, le cui trasmissioni venivano continuamente interrotte da messaggi pubblicitari oltre i limiti stabiliti dalla direttiva Cee 552/89 del 3 ottobre 1989, attuata in maniera incompleta e difforme dalla legge 223/90 e quindi direttamente applicabile nel territorio nazionale. Chiesero, pertanto, il risarcimento dei conseguenti danni ? da accertarsi in corso di giudizio ? alla libera e incondizionata formazione del pensiero, all’apprendimento senza illecite interferenze dei contenuti dei programmi televisivi, alla libera autodeterminazione nelle scelte commerciali, alla dignità, alla identità personale, alla salute.

La convenuta resistette e l’adito Tribunale di Roma rigettò la domanda.

La sentenza di primo grado fu gravata, dai soli signori C. e L., per i tre seguenti motivi:

1) il Tribunale avrebbe dovuto applicare la legge 327/91, che, ratificando e rendendo esecutiva la convenzione europea sulla televisione transfrontaliera, aveva dato piena attuazione alla direttiva comunitaria 552/89 cit., abrogando tacitamente la legge 223/90;

2) comunque, la predetta direttiva doveva considerarsi direttamente e immediatamente applicabile ai rapporti intersoggettivi, indipendentemente dalla sua attuazione con legge dello stato;

3) la medesima direttiva era in ogni caso applicabile al rapporto dedotto in giudizio, in considerazione dell’equiparabilità della convenuta ad un soggetto pubblico, dato che esercitava il servizio televisivo per concessione dello stato.

Resistette ancora la Rti, eccependo, tra l’altro, l’inammissibilità del primo motivo, recante domanda nuova per novità della causa petendi, e la Corte di appello di Roma, con sentenza del 17 aprile 2001, respinse tutti e tre i motivi di gravame, osservando:

che il primo era inammissibile, sia perché conteneva una prospettazione della domanda del tutto nuova, avendo gli attori invocato la convenzione europea sulla televisione transfrontaliera, e la relativa legge di ratifica, soltanto in sede di discussione finale nel giudizio di primo grado; sia perché mancava in proposito una statuizione del Tribunale, la cui sentenza si era limitata, sul punto, ad una mera enunciazione dell’irrilevanza della tardiva prospettazione;

che il secondo era infondato, alla luce del consolidato orientamento giurisprudenziale sia della Corte di cassazione, sia della Corte di giustizia delle Comunità europee, secondo cui la mancata attuazione, o l’attuazione difforme o inadeguata delle direttive europee, da parte dei singoli stati, consente, anche allorché si tratti di disposizioni incondizionate e sufficientemente specifiche, soltanto l’azione di responsabilità dei singoli nei confronti dello stato inadempiente;

che del pari infondato era il terzo, non potendosi considerare la Rti concessionaria di un servizio pubblico, cioè rientrante nelle finalità dello Stato, sì da potersi affermare che si tratti di attività pubblica esercitata per delega del medesimo: la concessione statale, infatti, è richiesta al solo scopo di disciplinare il settore televisivo e la Rti svolge un?attività essenzialmente privata, senza alcun contributo dello Stato e senza imposizione di canoni, onde essa non è in alcun modo equiparabile ? a differenza della Rai ? a un ente pubblico di formazione.

Avverso tale sentenza ricorrono i signori C. e L. per due motivi, cui resiste la Rti con controricorso illustrato anche da memoria.

Motivi della decisione

1. Va preliminarmente dato atto della ritualità della notificazione dell’avvio dell’udienza ai ricorrenti, eseguita presso la Cancelleria di questa Corte dopo l’esito negativo della notifica tentata presso il domicilio eletto in Roma, Largo del Nazareno 8 (dal quale l’avvocato C., difensore dei ricorrenti, è risultato trasferito) e in assenza della comunicazione di un nuovo domicilio, della quale i ricorrenti erano onerati (cfr. ex multis Cassazione 6508/04, 7309/02,92/1999).

1.1. Con il primo motivo, denunciando violazione degli articoli 345 e 113 c.p.c. e vizio di motivazione, i ricorrenti censurano la statuizione di inammissibilità del primo motivo di appello, emessa della Corte distrettuale sul rilievo che il motivo introduceva una domanda nuova.

Osservavano:

che essi avevano già invocato nel giudizio di primo grado, anche se non nell’altro di citazione, la legge 327/91, di ratifica della convenzione europea sulla televisione transfrontaliera;

che la sentenza di primo grado non si era posta affatto il problema ? non sussistente ? della novità della domanda, ma aveva argomentato in merito alla suddetta legge affermando, sia pure erroneamente, «l’irrilevanza del richiamo fatto dagli attori alla Convenzione europea sulla televisione transfrontaliera e all’articolo 177 del Trattato Cee (?) perché la causa petendi prospettata dagli attori non ha ipotizzato la derivazione dell’asserito danno dagli spots pubblicitari (rectius, dall’eccessivo affollamento pubblicitario) presenti nelle trasmissioni transfrontaliere (quelle

che in qualsiasi modo e per qualsiasi ragione varcano i confini nazionali e sono ricevibili in un altro stato contraente), che sono le uniche di cui si è occupata la citata direttiva»;

che mutamente della causa pretendi si ha soltanto allorché modifichi i fatti costituitivi del diritto fatto valere, non già allorché integri la sola prospettazione giuridica del medesimo, perché iura novit curia;

che, d’altra parte, neppure è vero che la legge 327/91 non sia applicabile nel caso di specie, in quanto: l’operatività della Convenzione di Strasburgo sulla televisione transfrontaliera può essere esclusa soltanto da diverse disposizioni comunitarie vigenti; la previsione di cui all’articolo 31, comma 3, della legge 223/90, che assiste l’obbligo di osservare le convenzioni internazionali in materia di telecomunicazioni, posto a carico delle emittenti dall’articolo 15, comma 8, della stessa legge, comporta la sanzionabilità, ad opera del Garante, delle eventuali violazioni delle regole dettata dalla Convenzione predetta; la Convenzione di Strasburgo ha piena efficacia dalla data della sua entrata in vigore (7 gennaio 1993) e la stessa legge di ratifica 327/91 stabilisce che «è fatto obbligo a chiunque spetti di osservarle e di farla osservare come legge dello Stato», tanto che il Garante ebbe ad intimare alle emittenti private di rispettarla anche per quanto attiene all’inserimento degli spots pubblicitari.

1.2. Il motivo non può essere accolto.

Il chiaro senso della statuizione del Tribunale, testualmente riportata nel ricorso, è che l’invocazione della Convenzione di Strasburgo e della relativa legge di ratifica, da parte degli attori, non aveva alcun rilievo, dato che: la Convenzione si riferisce alla sole trasmissioni transfrontaliere; affinché, pertanto, le sue disposizioni fossero rilevanti nella fattispecie, occorreva che gli attori avessero dedotto, appunto, il carattere transfrontaliero delle trasmissioni generatrici del danno lamentato; essi avevano, invece, prospettato una diversa causa petendi (non contemplare il detto carattere delle trasmissioni).

La medesima ratio decidendi è stata seguita dalla Corte d’Appello nell’affermare che il primo motivo di gravame era inammissibile per novità della causa petendi e che il Tribunale si era limitato ad affermare la irrilevanza della Convenzione nella fattispecie.

Tale ratio non è posta in crisi dai rilievi svolti dai ricorrenti, cui può replicarsi:

che la modificazione della causa petendi consiste nell’allegazione ? che è allegazione in fatto, non in diritto ? del carattere transfrontaliero delle trasmissioni di cui trattasi (ossia della idoneità delle stesse ad essere ricevute anche in altri paesi parti della Convenzione), allegazione necessaria, secondo i giudici di merito, per dare rilevanza nella specie alla Convenzione medesima, la quale solo a tale tipo di trasmissioni si riferisce;

che i signori C. e L. hanno introdotto tale allegazione per la prima volta nel corso della discussione finale davanti al Tribunale, come affermano i giudici di merito, sul punto non smentiti (o quantomeno non specificamente smentiti dai ricorrenti, i quali si limitano a far presente, genericamente, che essi, «a seguito dell’eccezione di controparte formulata nel giudizio di primo grado inerente i cosiddetti effetti verticali e non orizzontali delle direttive dettagliate, avevano già invocato, anche se non nell’atto di citazione, la norma di cui alla legge 327/91»;

che, pertanto, la medesima allegazione era tardiva;

che, del resto, il presupposto giuridico del ragionamento del giudizio di merito (cioè la limitazione, ratione materiae, [?] non è oggetto di censure nel ricorso del quale si limita ad esaminare la questione dell’applicabilità della Convenzione non già sotto il profilo della materia da essa disciplinata, bensì sotto i diversi profili della sua vigenza e della sua diretta applicabilità nei confronti delle emittenti televisive) e trova, in ogni caso, sicuro fondamento nell’articolo 3 della Convenzione (?Tis Convention shall apply to any programme service transmitted or retransmitted by entites or by technical means whitin the jurisdiction of a Party (?) and which can be received, diretctly or indirectly, in one or more other parties?).

1.3. Con il secondo motivo, denunciando violazione e falsa interpretazione della direttiva Cee 89/552 e dell’articolo 189 del Trattato Cee, in relazione all’articolo 11 Costituzione, i ricorrenti deducono che, contrariamente a quanto sostenuto dalla Corte di appello, la richiamata direttiva era nella specie direttamente applicabile, in quanto:

a) le direttive europee non attuate o non correttamente attuate dai singoli stati sono direttamente applicabili non soltanto nei rapporti tra stato e privati, ma anche nei rapporti tra questi ultimi;

b) il concessionario radiotelevisivo è sottoposto ad una serie di prerogative e di limitazioni nella sua attività che lo rendono equiparabile, quanto meno, ad un concessionario di un pubblico servizio; la Corte di giustizia delle comunità europee ha stabilito che le società titolari di un rapporto di concessione con lo Stato si considerano rientranti nel concetto comunitario di stato e, dunque, sono vincolate al rispetto delle direttive non attuate; la Rti, rientrando in tale categoria, era quindi soggetta al rispetto della direttiva in questione come qualunque Pa.

1.4. Il motivo è infondato sotto entrambi i profili dedotti.

1.4.1. Il primo di essi ripropone la questione dell’applicabilità ?orizzontale? (ossia nei rapporti tra privati), e non soltanto ?verticale? (ossia nei rapporti tra stato, o in genere Pa, e privati) delle direttive comunitarie non attuate (o non compiutamente o correttamente attuate) dagli stati membri.

Tale questione è stata da tempo risolta in senso negativo dalla giurisprudenza di questa Corte ? sulla scorta di quella della Corte di giustizia europea ? chiarendo (cfr. da ultimo Cassazione 3762/04, 752/02, 4817/99, 11611/97, che le disposizioni di una direttiva comunitaria non attuata hanno efficacia diretta nell’ordinamento dei singoli stati membri ? sempre che siano incondizionate e sufficientemente precise e lo stato destinatario sia inadempiente per l’inutile decorso del termine accordato per dare attuazione alla direttiva ? limitatamente ai rapporti tra le autorità dello stato inadempiente ed i singoli soggetti privati (cosiddetta efficacia verticale), e non anche nei rapporti interpretativi (cosiddetta efficacia orizzontale).

Ciò in quanto esclusivamente in tal senso si è pronunciata ? sin dalla sentenza 26 febbraio 1986 nella causa 152/84 (Marshall/Southampton and South West Hampshire Area Health Authority) la giurisprudenza della Corte di giustizia europea (vincolante per i giudici nazionali) la quale non ha affatto superato il principio che le direttive obbligano esclusivamente gli stati alla loro attuazione mediante strumenti normativi interni, talché l’applicazione delle loro disposizioni ai singoli è soltanto l’effetto indiretto delle disposizioni interne che le recepiscono, ma ha ? più limitatamente ? stabilito che lo stato non può opporre ai singoli l’inadempimento, da parte sua, degli obblighi impostigli dalla direttiva, per cui risponde, nei loro confronti, dei danni derivanti da tale inadempimento.

1.4.2. In merito al secondo profilo, va osservato anzitutto che, affinché un soggetto privato possa essere equiparato allo stato ai fini dell’applicabilità nei suoi confronti delle disposizioni di direttive non attuate, non rileva che si tratti di soggetto qualificabile come (o equiparabile ad un) concessionario di pubblico servizio: nozione, questa, propria del diritto interno italiano, non di quello comunitario.

Quanto, poi, al ?concetto comunitario di stato?, cui fanno riferimento i ricorrenti richiamando la sentenza della Corte europea 12 luglio 1990 nella causa 188/89 (Foster/Britisch Gas), va rilevato che esso è definito dalla Corte, con riguardo al problema dell’applicabilità delle direttive inattuale, nei seguenti termini: «Unconditional and sufficiently precise prvisions of a directive my be relied upopne against organizations or bodies which are subject to the authority or control of the State or have special powers beyond those which result from the normal rules applicable in relations between individuals. They may in any event be relied upon against a body, whatever its legal form, which has been made responsible, pursuant to a measure adopted by the State, for providing a public service under the control of the State and has for that purpose special powers beyond those which result from the normal rules applicable in relations between individuals».

Perchè, quindi, un soggetto privato possa essere equiparato allo Stato, ai fini dell’applicabilità nei suoi confronti delle disposizioni di direttive non attuate, è necessario non soltanto che si tratti di organismo incaricato con atto della pubblica autorità di prestare, sotto il suo controllo, un servizio di interesse pubblico, ma anche che esso disponga, a tale scopo, di poteri che eccedono i limiti di quelli risultanti dalle norme che si applicano nei rapporti tra singoli.

Di siffatti poteri sono, invece, sprovviste le concessionarie televisive private, come la Rti.

2. Il ricorso va dunque respinto.

Le spese processuali, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizi di legittimità, liquidate in euro 3100 di cui euro 3000 per onorari, oltre spese generali ed accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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