Cass. civ. Sez. I, Sent., 27-12-2011, n. 29005 Revocatoria fallimentare

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con citazione del 25.10.99 il curatore del fallimento della società Nik Spino s.r.l. ha citato innanzi al Tribunale di Prato il Monte dei Paschi di Siena, per ottenere la revoca a mente della L. Fall., art. 67 comma 2, di rimesse asseritamente solutorìe confluite sul conto corrente n. (OMISSIS), intestato alla società e chiuso il (OMISSIS) con un saldo passivo di L. 227.940.826, quantificandole, sulla base delle verifiche compiute nonostante l’atteggiamento ostruzionistico della banca, nella somma di L. 481.171.588.

Nel contraddittorio della banca convenuta che ha contestato la domanda in ciascuno dei suoi profili, il Tribunale ha disposto il rigetto della domanda con sentenza 22.3.2004, reputando non assolto l’onere del curatore di provare il requisito soggettivo dell’azione esperita.

Il curatore ha impugnato la decisione innanzi alla Corte d’appello di Firenze, ascrivendo anzitutto a contegno della banca l’omessa acquisizione di esauriente produzione documentale. Ha formulato istanze istruttorie, ivi compreso giuramento decisorio; ha addotto la sintomaticità, ai fini della prova della scientia decotionis, del contegno ostruzionistico anzidetto, del pesante importo degli sconfinamenti, dell’importo e del rilevante numero delle operazioni transitate sul conto, della proposta di transazione della banca convenuta per L. 90 milioni, della chiusura del conto pochi giorni prima del fallimento della correntista, del perdurante saldo passivo registrato sul conto.

Espletata l’istruttoria ed ammessa consulenza tecnica, resasi necessaria per ovviare al rifiuto della banca di depositare la documentazione relativa alla movimentazione del conto corrente in discussione, la Corte distrettuale, con sentenza n. 1338 depositata il 29.9.2008, ha respinto l’appello, sostenendo, per quel che rileva in questa sede: l’irrilevanza delle istanze istruttorie dell’appellante, attesa l’esauriente indagine espletata dal c.t.u.;

ha ritenuto valorizzabile il contegno processuale ostruzionistico della convenuta nonchè la sua qualità di operatore professionale qualificato, che ha però giudicato irrilevante in quanto non collegato a concreti sintomi d’insolvenza della cliente; ha ritenuto che l’andamento del conto ed il complesso delle operazioni ivi registrate, non avevano inciso sul saldo debitore, rimasto pressochè attestato sulla somma di L. 16.420.955 che appariva accrescimento irrilevante; che l’esposizione era stata superiore al limite dell’affidamento concesso alla società che però di volta in volta aumentava, e la massima esposizione debitoria si era registrata il 7 giugno 2006, epoca lontana dal fallimento, laddove il conto invece era stato chiuso solo 37 giorni prima.

Avverso quest’ultima decisione il curatore fallimentare ha infine proposto ricorso per cassazione articolato in 21 motivi ai quali ha resistito l’istituto intimato con controricorso ulteriormente illustrato con memria difensiva depositata ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Motivi della decisione

Col primo e secondo motivo, logicamente connessi e perciò congiuntamente esaminabili, il ricorrente lamenta contraddittorietà della decisione impugnata che avrebbe ritenuto esaustiva la documentazione acquisita, laddove non erano stati invece prodotti gli estratti conto relativi ai conti correnti nn. (OMISSIS) che la banca non ha versato in atti negandone finanche l’esistenza. La Corte d’appello ne assume invece l’esistenza in atti, e da tale errore sarebbe conseguita l’asserita irrilevanza delle istanze istruttorie articolate.

Il conclusivo quesito di diritto chiede se la mancata produzione dei cennati estratti conto comporti violazione del D.Lgs. n. 385 del 1993, art. 119, artt. 1175, 1176, 1366, 1375 e 1713 c.c..

La resistente deduce l’inammissibilità dei motivi.

Il motivi sono inammissibili in plurimi profili.

Innanzitutto denunciano un errore revocatorio deducibile non certo in questa sede ma innanzi al medesimo giudice che ha pronunciato la decisione asseritamente basata su quella svista percettiva. Comunque censurano nel merito l’apprezzamento sugli atti di causa condotto dalla Corte del merito, che ne ha adeguatamente dato conto con puntuale motivazione. Si concludono infine con quesito di diritto meramente astratto.

Col terzo e quarto motivo, anch’essi logicamente connessi, il ricorrente nega d’aver abbandonato le istanze istruttorie all’udienza di precisazione delle conclusioni, tranne quella d’ammissione del giuramento decisorio sull’esistenza dei conti correnti occultati dalla banca, secondo quanto emerge dalla mera lettura del verbale d’udienza, che richiama le conclusioni dell’atto d’appello in cui chiese prova testimoniale ed un ordine di esibizione.

La resistente deduce inammissibilità o infondatezza dei motivi.

I motivi sono inammissibili.

Generiche nella loro formulazione, le censure esposte non solo non colgono il nucleo della decisione impugnata, che ha riscontrato l’irrilevanza delle istanze istruttorie dell’appellante in ragione dell’esauriente indagine espletata dal c.t.u., ma si concludono altresì con un guesito di diritto con cui si chiede: "giudichi la Corte se la mancata ammissione dei mezzi istruttori formulati dalla curatela costituisca o meno violazione degli artt. 112 e 352 c.p.c., assolutamente inadeguato ad individuare la regula juris che governerebbe il caso in esame secondo quanto prescritto dall’art. 366 bis c.p.c.. Chiedono infatti d’accertare la denunciata violazione di legge asseritamente consumata dal giudice d’appello, e sono perciò assolutamente inidonei a dare impulso alla funzione nomofilattica riservata a questa Corte, tipicamente attribuita alla sua formulazione, che ne giustifica la ratio si da circoscrivere la pronuncia del giudice di legittimità nei limiti di un accoglimento o di un rigetto del quesito formulato (Cass. S. U. 20603/2007).

II quinto motivo denuncia l’erroneità della decisione impugnata laddove sostiene la non decisività del giuramento decisorio. Il quesito di diritto chiede: "giudichi la Corte se il giuramento decisorio autorizzato dal Tribunale di Prato su richiesta della curatela ad oggetto l’l’esistenza o meno di ulteriori conti correnti rispetto all’unico conto ammesso dalla banca da cui dipende la decisione di uno dei capi di domanda o uno dei momenti dell’iter da seguire per la decisione".

La controricorrente deduce l’infondatezza del motivo.

Secondo quanto riferito in narrativa, la Corte territoriale ha ritenuto l’inammissibilità del giuramento decisorio in quanto priva di decisività la formula, meramente esplorativa, con cui si chiedeva al legale rappresentante della banca quali conti oltre quello in discussione avesse intrattenuto la società Nik nel 1996.

L’accertamento in concreto della decisorietà di tale formula rientrava nell’apprezzamento di fatto del giudice di merito, ed è insindacabile in questa sede di legittimità – Cass. n, 12779/2003- alla luce del puntuale tessuto argomentativo che sorregge la decisione impugnata in parte qua, esaustivo ed immune da vizi logici o errori di diritto. Ad ogni modo non si riferiscono nel motivo gli articoli separati esposti in modo chiaro e specifico in cui si sarebbe articolato il mezzo istruttorio, sì che la denuncia resta a livello di mera generica enunciazione.

Col sesto motivo il ricorrente ascrive alla Corte distrettuale vizio di motivazione riscontrabile nell’aver accertato che il primo e terzo indice allegati da essa ricorrente per provare che la banca non adempì all’obbligo di fornire i documenti richiesti e negò falsamente l’esistenza di rapporti occultati rappresentano fatti valutabili, omettendo nondimeno ogni valutazione a riguardo.

La sintesi conclusiva riferisce il vizio di contraddittoria a questo passaggio logico.

Il resistente deduce l’inammissibilità del motivo.

Il motivo è infondato. La Corte del merito ha ritenuto valorizzabile il contegno processuale ostruzionistico della convenuta nonchè la sua qualità di operatore professionale qualificato, che ha però giudicato irrilevante in quanto non collegato a concreti sintomi d’insolvenza della cliente. Trattasi di valutazione di merito insindacabile, espressa con motivazione adeguata a rendere conto della scelta tra i mezzi di prova acquisiti in giudizio, che compete unicamente al giudice di merito, cui spetta il compito d’individuare le fonti del suo convincimento assegnando prevalenza all’uno o all’altro tra i mezzi di prova addotti dalle parti ed acquisiti agli atti, senza necessità di esplicitare le ragioni d’irrilevanza di ogni mezzo istruttorio, che, peraltro, come premesso, sono state puntualmente illustrate.

Il settimo motivo che rinvia al precedente, denuncia con assoluta genericità vizio di omessa motivazione senza nè argomentare la denuncia nè illustrare la sintesi conclusiva ed è pertanto inammissibile.

Ancora collegato al sesto motivo è l’ottavo mezzo con cui si assume l’incoerenza della motivazione della decisione impugnata laddove si assume che l’espletamento della c.t.u. sopperisce alla mancata acquisizione della documentazione contabile, e per l’effetto, rilevata altresì la sua confusa illustrazione, ne condivide la sorte.

Restano travolti il nono e decimo mezzo che espongono denuncia collegata anch’essa alla censura esposta nei precedenti motivi, deducendo la contraddittorietà della motivazione in quanto non sarebbe affatto vero che la c.t.u. abbia sopperito alla mancata acquisizione degli estratti conto. La denuncia, peraltro, ancora una volta è indirizzata contro l’apprezzamento del bagaglio istruttorio esaminato dal giudice d’appello, ed induce alla sua rivisitazione, in questa sede preclusa attesa l’esauriente motivazione che lo espone, nè coglie la ratio decidendi.

Dai motivi undicesimo al quindicesimo il ricorrente deduce difetto di motivazione e violazione degli artt. 167, 166 e 180 c.p.c., art. 43 c.p.c., artt. 1325, 1326 e 1346 c.c., art. 2697 c.c. e D.Lgs. n. 385 del 1993, art. 117, in relazione al rilievo, officioso, del superamento di fatto del limite del fido. La mera tolleranza sugli scoperti, alla stregua del rubricato contesto normativo, non ha rilievo ai fini in discussione nè il giudice poteva rilevare il dato, desumendolo dagli atti in assenza di specifica eccezione.

I quesiti di diritto afferiscono ai vizi dedotti.

II resistente deduce infondatezza dei motivi.

I motivi sono infondati.

La Corte distrettuale ha ritenuto che l’andamento del conto ed il complesso delle operazioni ivi registrate, non avevano inciso sul saldo debitore, rimasto pressochè attestato sulla somma di L. 16.420.955 che appariva accrescimento irrilevante, e che l’esposizione era stata superiore al limite dell’affidamento concesso alla società che però di volta in volta aumentava. Tale tessuto motivazionale, lungi dall’affrontare e risolvere tematiche afferenti la validità giuridica dello scoperto di fatto, nè alla luce della disciplina sostanziale in materia contrattuale di quella di settore, e neppure mostrando d’ignorarla, illustra piuttosto la rilevanza probatoria che il giudice d’appello ha attribuito alla circostanza, emersa pacificamente in giudizio, in ordine allo scrutinio condotto sulla condizione soggettiva dell’operatore bancario, la cui tolleranza rispetto ai ripetuti sconfinamenti dal limite del fido concesso, ha ritenuto di poter esaminare e valorizzare quale elemento di smentita della scientia decotionis perchè inconciliabile con il credito e la fiducia che aveva attribuito alla cliente, attestati in fatto attraverso quel comportamento. In relazione a questo percorso logico, che esprime il risultato di un apprezzamento condotto in punto di fatto sulla circostanza in questione, valutata quale mero fatto storico rilevante in sè, i rappresentati vizi di violazione di legge non spiegano rilevanza alcuna. Il vizio di motivazione è invece insussistente non esponendosi tale percorso ad alcuna lacuna nè illogicità.

Il sedicesimo motivo, che denuncia contraddittoria motivazione in ordine alle variazioni dell’importo dello scoperto, in quanto collegato alle precedenti censure va deciso negli stessi sensi dichiarandone l’infondatezza.

Il diciassettesimo motivo denuncia violazione dell’art. 2697 c.c.. La sentenza, deduce il ricorrente, "parla "di un saldo di conto corrente nel (OMISSIS) non particolarmente elevato fino alla somma di L. 500.251.714 che è uno scoperto, senza spiegare perchè non sarebbe preoccupante. La sintesi conclusiva riguarda tale denunciata lacuna argomentativa.

Il resistente deduce infondatezza del motivo.

La censura estrapola dal complessivo impianto della motivazione il dato illustrato, che si assume erroneamente argomentato, senza specificarne con la doverosa puntualità e specificità se, ed in quali termini avrebbe assunto il carattere della decisività nella definizione della controversia. La circostanza è stata esaminata e vagliata dalla Corte d’appello nel coacervo di tutte le altre circostanze sottoposte al suo apprezzamento ed in tale contesto ricostruttivo, evidentemente, non è stata ritenuta "preoccupante".

Trattasi di valutazione di merito non sindacabile nè adeguatamente censurata.

Con la medesima tecnica argomentativa, il ricorrente col diciottesimo motivo reitera la denuncia del vizio di motivazione in relazione all’affermazione contenuta nella sentenza impugnata secondo cui " alle concessioni di credito sono sempre corrisposti rientri", contraria alle risultanze della c.t.u..

Il motivo, del quale il resistente chiede il rigetto, non solo enuclea il dato dal contesto della motivazione senza neppure dedurne la decisività, ma riferisce la circostanza con genericità senza affatto riferire le emergenze probatorie che ne smentirebbero la sussistenza in punto di fatto, e, comunque, offre un’interpretazione personale della circostanza pretendendo sostituirla a quella espressa dal giudice di merito. Ne discende la declaratoria d’inammissibilità.

Nella medesima prospettiva vanno esaminati e dichiarati inammissibili i motivi diciannove e venti con cui il ricorrente denuncia l’illogicità dell’affermazione, secondo cui la consapevolezza dello stato d’insolvenza sarebbe solitamente raggiunta alla data della revoca del fido e della chiusura del rapporto di conto corrente, e deduce che le ammissioni di esso curatore sulla data dei primi protesti contenute nella richiesta di autorizzazione al giudizio non incidono sulla prova della scientia decotionis mai fondata sui protesti, prive di contenuto confessorio.

Il motivo n. 19 induce alla rivisitazione delle circostanze di fatto assunte all’esito dell’espletata istruttoria, sulla cui base la Corte territoriale ha ritenuto che l’andamento del conto, la sua chiusura che ha preceduto di soli 37 giorni la dichiarazione di fallimento, l’assenza di particolari picchi di saldo negativo, il comportamento complessivo dell’istituto di credito non lasciano ravvisate la consapevolezza dello stato di decozione della correntista. Sollecita un percorso di riesame e rivalutazione dei dati indicati che, data la puntualità e correttezza della riferita motivazione, non è percorribile in questa sede. Smentisce inoltre in fatto l’affermazione, del tutto corretta, secondo cui tenendo conto dei necessari tempi tecnici, la pubblicazione dei protesti coincise con la dichiarazione di fallimento, sì che la levata dei protesti era priva di rilevanza.

L’altro motivo si conclude con inadeguato quesito di diritto, che chiede se il riferimento a pag. 19 della sentenza alle personali valutazioni del curatore è conforme al dettato dell’art. 2731 c.c. e al R.D. n. 267 del 1942, artt. 31 e 35, assolutamente inidoneo a sollecitare la funzione nomofilattica di questa Corte secondo quanto già chiarito.

Tutto ciò premesso, il ricorso deve essere rigettato con condanna della ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte:

rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio liquidandole in complessivi Euro 5.200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi oltre spese generali ed accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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